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Lucca (לוקא)
Capoluogo di Provincia. Sita presso la riva sinistra del fiume Serchio, in una stretta piana tra il piede delle Pizzorne e del Monte Pisano, è di antica fondazione ligure e fu dominio etrusco e romano. Capitale del marchesato di Toscana (secoli IX-X), si schierò con l’Impero contro la Chiesa, ottenendo vantaggi comunali. Fu in conflitto con Pisa, con cui instaurò una pace stabile nel 1186, anno in cui venne anche riconosciuta libero Comune da Enrico VI. Nel 1197 aderì alla I lega guelfa dei comuni toscani e nel 1314 cadde in mano al signore ghibellino di Pisa, che ne soppresse la costituzione, ripristinata, nel 1320, con Castruccio Castracani. Divisa tra le opposte fazioni dei Bianchi e dei Neri, dal 1400 fu sotto la signoria di Paolo Guinigi (dei Neri), che governò con l’assistenza di un consiglio di nove membri, da lui rinnovati periodicamente.
Nel 1418 le terre lucchesi furono invase da Braccio di Montone, dietro istigazione dei fiorentini, i quali, in seguito, dopo essersi serviti di Niccolò Fortebraccio, assediarono la città, liberata poi con l’intervento degli Sforza e l’arresto del Guinigi. Dalla fine degli anni Trenta del Quattrocento, L. fu sotto un regime repubblicano per un secolo, turbato dai conflitti con Firenze e Pisa. Con la cosiddetta “riforma martiniana” – così chiamata dal suo autore Martino Bernardini – la repubblica lucchese, nel 1556, divenne un’oligarchia.
Nel 1799 entrarono per la prima volta i Francesi in città.
Il primo accenno alla presenza degli ebrei nel territorio di L. è contenuto in un documento dell’anno 859, in cui Sichelmus del fu Simprandus dava in affitto perpetuo a Lopus, abitante a Fabrica (nella provincia di Pisa, ma appartenente, all’epoca, alla diocesi di L.) un terreno acquistato da Donato ex genere ebreorum[1].
Un riferimento agli ebrei insediati a L. è rintracciabile, invece, per la prima volta in un passo di Eleazar di Worms (XIII secolo) che afferma che vissero nella città il rabbino Mosheh di Calonimos e i suoi figli, i rabbini Calonimos e Yequtiel[2]. Da L. i Calonimos emigrarono in Germania, intorno al 950 ed in particolare il figlio del rabbino Calonimos, Meshullam, visse a Magonza e vi morì, all’inizio del secolo XI[3].
Un altro ebreo è ricordato, poi, in un documento latino del X secolo: egli è Juda ebreo, possessore di terre e di una vigna, posti a pochi chilometri da L.[4].
Sappiamo poi che nel novembre dell’anno Mille il vescovo di L. concesse a livello a Calonimos di Yehudah e a Samuel di Isac un terreno di proprietà della Chiesa lucchese, sito in Sorbanello, presso la città[5]. Analoga concessione venne fatta dallo stesso vescovo a Salomone fu Bonfilio, nel giugno 1003, per due cascine site in Filettole (Pisa), già in precedenza tenute da un Bondì ebreo[6] ed altri documenti del secolo XI parlano di ebrei proprietari di terre[7].
Nel secolo seguente Avraham ibn Ezra, partito da Roma, soggiornò a L. tra il 1140 e il 1145, componendovi due opere grammaticali[8], alcune Tabelle (Luhot) astronomiche[9] e il commento a Isaia[10].
Beniamino da Tudela, visitando la città una ventina di anni dopo, vi trovò circa quaranta famiglie: i capi spirituali della Comunità erano i rabbini David, Shemuel e Yaaqov[11].
In una lista di affittuari dei secoli XII-XIII, un copista dell’epoca aggiungeva, in relazione a una parte del quartiere lucchese di Porta San Frediano, u(bi) d(icitur) Trebium ebreorum[12].
In documenti del periodo 1185-1192 figurano, poi, due o forse più “conversi” ebrei, non identificati[13] e, in un atto del 1203, viene menzionato il feneratore Sabbato di Mellecchi, che non era definito ebreo, ma che potrebbe esserlo stato, nell’ipotesi che il patronimico “Mellecchi” sia da ritenersi l’italianizzazione dell’ebraico melekh[14].
Nella prima metà del XIII secolo, ancora due documenti menzionano ebrei[15] e, dalla metà circa del successivo, sono attestate delle conversioni: quella di Bellafiore e dei suoi figli (accompagnata dalla licenza vescovile di mendicare), nel 1348, quella di Giovanni di Dattilo, che riceveva aiuto finanziario dal Consiglio dei Cinquanta, nella speranza che servisse da sprone alla conversione di altri nel 1361, quella di Iohannes de Viven (o Vinen), d’origine tedesca, e della sua famiglia nel 1381, e quella di Magister Franciscus alias Magister Consilius, figlio di Magister Daniel, rabbino romano, insieme alla famiglia, nel 1388. Anche negli ultimi due casi veniva concessa la licenza di mendicare e, nel caso di Magister Franciscus,veniva sottolineato che l’aiuto economico era necessario a prevenire eventuali ricadute nella precedente cecità tamquam canis ad vomitum[16].
Da un documento del 1372 sappiamo esservi stato nella contrada San Pietro un luogo denominato chiasso judaico, che attesterebbe l’esistenza di uno spazio cimiteriale, dato che, probabilmente, era ubicato fuori delle mura cittadine[17].
Nel 1391 le autorità lucchesi decisero che se uno o più ebrei avessero voluto venire in città a fenerare avrebbero dovuto pagare una tassa annuale (dell’ammontare di 110 fiorini) per ogni banco o casana che avessero aperto e che l’interesse non avrebbe dovuto superare il 30% annuo. Se i feneratori cristiani operanti a L. avessero interrotto la propria attività, gli ebrei avrebbero potuto gestire i banchi così liberatisi, in aggiunta al proprio, pagando la stessa tassa dei banchieri operanti in precedenza. Un mese dopo, un mercante lucchese dette in affitto a Benedetto del fu Musetto, residente a Bologna, che agiva per sé e per altri correligionari di Pisa e di Perugia e di Davide di Angelo, precedentemente residente a Bologna, un pezzo di terra con casa e tre solaria a L., nella contrada di San Salvatore in Mustolio[18].
In seguito, Davide del fu Angelo, trasferitosi a L., risultava aver ricevuto 4.000 fiorini d’oro ad pondus forte lucanum, da Sabato del fu Dattilo, originario di Roma e allora a Pisa, da Salomone di Mattasia di Perugia, da Musetto di Liuccio e dai figli ed eredi di Liuccio di Musetto di Orvieto. Davide era agente e negotiarum gestor di Sabato del fu Dattilo e di Benedetto del fu Musetto di Bologna, il suo contratto era biennale e la residenza, fissata a L., avrebbe potuto essere cambiata a libito dei creditori, cui Davide si impegnava a restituire, entro due anni o quando a loro fosse sembrato opportuno, la somma ricevuta, in beni e danaro, e il guadagno. Davide avrebbe ricevuto come compenso annuale per il suo lavoro 40 fiorini più le spese di completo mantenimento per sé e famiglia[19].
Nel 1392 le autorità lucchesi concessero a Salomone di Mattasia di Perugia, a Sabato di Dattilo, prima residente a Pisa e all’epoca a L., a Leuccio di Musetto di Orvieto, a Leuccio di Musetto di Bologna, a Davide di Angelo di Perugia e ai loro figli, entourage domestico e agenti, di gestire un banco feneratizio per due anni, pagando 110 fiorini di tassa all’anno: l’interesse non avrebbe dovuto superare il 30% annuo per i prestiti inferiori a un fiorino e mezzo e il 25% per quelli superiori a tale cifra[20].
Due anni più tardi, agli stessi ebrei (con l’aggiunta di Salomone di Gualdo, all’epoca a L., e senza menzione di Davide di Angelo di Perugia) fu rinnovata la concessione feneratizia per un anno, alle precedenti condizioni[21].
Documenti degli anni Novanta del XIV secolo, riguardanti il Provento della farina, menzionano proprietari di farina ebrei[22].
Nel 1405 veniva registrata la conversione di Abraam Magistri Elie (?) dell’Anna (?) de Leccio ebreus, che venne battezzato alla presenza di esponenti delle autorità religiose e cittadine, prendendo il nome di Agostino[23]. Alcuni anni più tardi, si convertì tale Magister Michael Abrae medicus, abitante a L. e battezzato a Firenze, mentre un suo parente avrebbe espresso l’intenzione di battezzarsi, intorno al 1419[24].
Nel 1432 Angelo di Gaio e Isacco di Emanuele da Rimini, banchiere pisano, aprirono a L. un banco[25] e, in seguito, il banchiere di maggior rilievo in città fu David di Dattilo (Yoav) da Tivoli, che era anche poeta e studioso, in rapporti d’amicizia con David di Yehudah Messer Leon[26].
Papa Nicolò V nel 1452 concesse a Lucca l’assoluzione dalle sanzioni ecclesiastiche per aver ammesso in città dei prestatori ebrei, che vennero altresì autorizzati a proseguire il proprio mestiere anche in futuro[27].
Nel 1477 David da Tivoli ottenne una condotta per nove anni a L., a nome proprio e del suocero Vitale da Pisa, già coinvolto nel banco lucchese, nella condotta anteriore a quella precedente[28]. Dieci anni più tardi, i capitoli di David da Tivoli e di Vitale da Pisa vennero rinnovati. Durante il periodo di validità dei patti, Bernardino da Feltre, affiancato da fra Timoteo da L., riuscì però con la sua predicazione a promuovere l’istituzione del Monte di Pietà, nel 1489[29]: da questa data sino al 1493 il Monte e il banco di David da Tivoli operarono parallelamente, ma, mentre il secondo prosperava, primo si riduceva ad avere una funzione pressoché simbolica. Nel 1492 David venne accusato di aver agito contra divinam majestatem et contra eius sanctos et sanctas, e contro la gabella[30]. Poco dopo, egli risultava comunque in società con Abraham di S. Miniato, anche se i da Pisa avevano ancora delle somme in deposito nel banco di L.[31].
In occasione della predicazione quaresimale, nel 1493 fra Timoteo polemizzò contro il feneratore ebreo, inducendo il Consiglio Generale della città a discutere, per alcuni mesi, sull’opportunità della presenza ebraica, sino alla decisione dell’eliminazione del prestito ebraico e all’impegno a fondare un nuovo Monte[32].
Il processo a David da Tivoli, inizialmente animato da un’accusa di distruzione di immagini sacre al culto cristiano, si concluse con la condanna ad una multa di 1.300 ducati, da pagarsi entro il luglio 1493, poi prorogata di un mese, per l’impossibilità di David di farvi fronte. Tuttavia, al banchiere venne anche rinnovata l’accusa di frode contro la gabella e, per sottrarsi alla incresciosa situazione, egli riparò presso la famiglia a Pisa, da dove comunicò agli Anziani di L. di non avere più il capitale per continuare a tenere il banco cittadino e chiese che venisse revocato il bando contro di lui e i suoi figli ed il proscioglimento dall’ingiusta seconda accusa della gabella[33]. La multa venne poi pagata per lui dal cognato Isacco da Pisa[34].
L’anno successivo, il banco ebraico rimase ancora aperto per le pratiche relative alla sua liquidazione e per la restituzione dei pegni ai legittimi proprietari: continuavano, pertanto, a restare nella città i fattori e i contabili ebrei occupati in queste operazioni[35].
Nel 1494 un figlio di Mair de Tolledo de Castilia risultava essere a L., convertito al cristianesimo, con il nome di Domenico e ospite di un esponente dell’oligarchia repubblicana: la sua famiglia sembrava anch’essa essersi convertita[36].
Nel 1495 giunsero a L. alcuni prestatori pisani, legati ai Medici e ai fiorentini, che erano stati espulsi dalla loro città, dopo l’insurrezione contro Firenze[37]. I profughi provenienti da Pisa, tra cui si trovavano anche degli esuli dalla Spagna, lasciarono presto la città, sebbene i tentativi del governo lucchese di trattenere, nel 1497, un medico ebreo d’origine spagnola, tale Samuel, lascino presumere che alcuni fossero rimasti. Samuel stesso compare in un documento del 1500 come Magister Samuel ebreus medicus de Luca[38].
Nel 1513 una coppia di israeliti, da poco in città, si sarebbe convertita al cristianesimo, dopo il presunto intervento miracoloso della Vergine del Soccorso, che avrebbe riportato in vita il loro unico figlio. La famiglia avrebbe assunto il cognome “Cristiani”[39]. L’anno successivo è attestato il battesimo di tale Gregorio, figlio di Maestro Michele, che era giudeo, poi si fece cristiano e si chiama maestro Michele de’ Cenami[40].
Dal 1548 almeno, il medico pisano Pace di Leuccio abitava a L. , dove nacquero, negli anni Sessanta, i suoi tre figli: Pace mantenne rapporti familiari e finanziari a Pisa, ma, a partire dal 1570 cominciò a investire i suoi capitali a L. , privilegiando, ormai, la Repubblica[41].
Nel 1546 un ebreo bandito da Firenze per ragioni rimasteci ignote, David di Uriel alias “il Thodeschino”, trovò rifugio a L. e, nel 1553, quidam Ysach hebreus chiesealle autorità il permesso di risiedere nella città e di fenerarvi, cosa quest’ultima che non gli venne, però, accordata[42].
L’”eresia” protestante, che si era introdotta nella Repubblica lucchese, non indusse le autorità, nella seconda metà del XVI secolo, a considerare gli ebrei come possibile tramite di diffusione e per il loro soggiorno in città si seguirono presumibilmente le stesse disposizioni in vigore per il soggiorno degli altri forestieri[43].
Nel 1572 il Consiglio Generale approvò però, su proposta dell’Officio sulla Religione, una legge che stabiliva l’espulsione, entro quindici giorni, degli ebrei venuti nella città e nel territorio lucchese durante l’ultimo decennio, vietando inoltre la futura permanenza a L. per più di quindici giorni (o, al massimo, per più di un mese), senza esplicito permesso degli Anziani[44].
Dallo scarso materiale attualmente disponibile sulla presenza ebraica a L. nel XVII secolo, si fa strada l’ipotesi che l’applicazione della legge del 1572 fosse tanto elastica da consentire agli israeliti di soggiornare nella Repubblica quasi ininterrottamente (entrando e uscendo e abitando in case private e non negli alberghi e locande, come previsto dalla legge stessa)[45].
Dal 1738 sino all’inizio del XIX secolo, vennero concessi, inoltre, alcuni permessi di soggiorno in città[46].
Dotti, rabbini
Nel 1311 l’esegeta biblico Yosef Angelino compose in una località, che si ipotizza sia L., un commento cabbalistico alla Genesi[47].
Il prestatore David da Tivoli, che in gioventù era stato allievo, a Bologna, del celebre dotto Yehudah Messer Leon, coltivò gli studi biblici, insieme a quelli cabbalistici e filosofici. Egli, presumibilmente, si occupò anche di scienze esatte, come attesterebbe il suo nome riportato in un codice miscellaneo, contenente, fra l’altro, opere matematiche.
David compose anche un’elegia in ebraico per la morte del suocero Yehiel da Pisa, esaltandone le doti morali ed esprimendo nei suoi versi idee che riecheggiano i componimenti di questo genere dell’epoca[48]. Prima del soggiorno lucchese, egli risultava in possesso del manoscritto miscellaneo di opere matematiche e filosofiche sopra menzionato e, probabilmente, per lui fu scritto un Pentateuco nel 1468[49]. Si è ipotizzato, inoltre, che fosse lui il compilatore di una raccolta di lettere in ebraico (in cui figurano, tra l’altro, missive al figlio di Yehudah Messer Leon), riunite a scopo didattico come prontuario epistolare[50].
Bibliografia
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Luzzati, M., Lucca e gli Ebrei fra Quattro e Cinquecento, pp. 149-175; Fra Timoteo da Lucca (1456-1513), pp. 177-202, in Id., La casa dell’Ebreo, Pisa 1985.
Luzzati, M., Fuggire dalla Spagna per convertirsi in Italia: ebrei e sefarditi a Lucca alla fine del Quattrocento, in Zazzu, G. N. ( a cura di), E andammo dove il vento ci spinse, Genova 1992, pp. 103-114.
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Zunz, L., Literaturgeschichte der synagogalen Poesie, Berlin 1966.
[1] Luzzati, M., Documentary History of the Jews in Italy, Pubblicazione del Diaspora Research Institute, The School of Jewish Studies, Tel Aviv University, in corso di pubblicazione, doc. 1.
[2] Nel testo Eleazar di Worms narra che i suoi antenati “ricevettero tutti il segreto della vera versione delle preghiere, da maestro a maestro su su fino ad Abu Ahaon ben Shemuel il Nassì, che emigrò da Babilonia […] e peregrinò […] finché giunse nella terra di Lombardia, in una città chiamata Lucca, dove trovò rabbi Mosheh, autore della poesia Emat norotekha […]. Costui [rabbi Mosheh ben Calonimos ben Meshullam ben Calonimos ben Yehudah] fu il primo che lasciò la Lombardia, egli e i suoi figli rabbi Calonimos e rabbi Yequtiel e altri importanti personaggi, perché il re Carlo li portò con sé dalla terra di Lombardia e li condusse a Magonza; e qui essi si moltiplicarono e fiorirono grandemente.” Eleazar di Worms, presso Yosef Shlomoh Del Medigo, Matzref la-hokhmah, ediz. Basilea 1629, f. 14a. Il testo fu messo in luce da Rappaport: Rappaport, S.J., Bikkure’ ha-ittim, XI (1830), pp. 97-99. L’accenno a Carlo (Magno) è anacronistico e di sapore leggendario, dato che Mosheh da Lucca e il figlio Calonimos (anch’egli detto da Lucca) fiorirono nel X secolo. Cfr. Zunz, L., Literaturgeschichte der synagogalen Poesie, Berlin 1966 (= Hildesheim 1966), pp. 104-108; Salfeld e Bein, Germania Judaica, Breslau 1934 (=Tübingen 1963), I, p. 188. I responsa del rabbino Calonimos sono stati pubblicati da Müller, J., Teshuvot Rabbenu Calonimos mi-Lucca, Berlin 1891.
[3] Colorni, V., Judaica Minora, pp. 77-80. La pietra tombale di Meshullam è conservata nel Mittelrheinisches Landesmuseum di Magonza ; per le riproduzioni, cfr. Grab, vol. 7. E.J., pp. 615-616; “Kolonimus”, J.E. , vol. X, col. 719.
[4] Luzzati, M., Documentary History, doc. 2, 3.
[5] Luzzati, M., Documentary History, doc. 4; cfr. Memorie e documenti per servire alla storia del ducato di Lucca, tomo IV, parte II, Lucca 1836, doc. 81, p. 113.
[6] Luzzati, M., Documentary History, doc. 5; cfr. Memorie cittadine, tomo V, parte I, Lucca 1844, p. 171, n. 2; La notizia che gli ebrei di L. si sarebbero convertiti in massa, nel 1016, ad opera di S. Simeone è del tutto priva di fondamento. Cfr. Acta Sanctorum, 6 luglio (Vita di S. Simeone), pp. 328-329.
[7] Luzzati, M., Documentary History, doc. 6, 7, 8, 9, 10; cfr. R. Archivio di Stato di Lucca, Regesti, vol. I, Pergamene del Diplomatico, parte I, Lucca 1903, doc. 133 ( 26 maggio 1048), p. 95; ivi, doc. 175 ( 9 gennaio 1061), p. 117.
[8] Si veda quanto attesta lo stesso Ibn Ezra :”Ho scritto intorno a temi grammaticali […] nella città di Lucca il Sefer ha-yesod e il Sefat yeter…”. Ibn Ezra, A., Safah brurah, ediz. Lippmann, Fürth 1839, f. 15b.
[9] Yosef ben Eliezer ben Yosef Tov Elem, Ohel Yosef [Supercommento al Commento al Pentateuco di Avraham Ibn Ezra, edito con il Commento medesimo, Amsterdam, 1721], al passo della Genesi, cap. 33, v. 29, scrive: “Nelle sue Tabelle , che compose in Lucca, ecc.”.
[10] Sulla redazione in L. di tutti questi scritti, cfr. Fleischer, J.L., Avraham ibn Ezra e la sua attivita letteraria a Lucca ( in ebr.) in : Ha-soqer, IV, pp. 186-194, citato in Baron, S.W., A social and religious history of the Jews, New York e Philadelphia, 1952 e segg…, vol. IV, p. 245, n. 28.
[11] Beniamino da Tudela, Itinerario, ediz. Adler, Londra 1907 (con versione inglese), p. 7 (=versione inglese, p. 5).
[12] Luzzati, M., Documentary History, doc. 15.
[13] Ivi, doc. 12, 13, 14.
[14] Ivi, doc. 16.
[15] Ivi, doc. 17, 18.
[16] Ivi, doc. 20, 21, 23, 25.
[17] Ivi, doc. 22.
[18] Ivi, doc. 27, 28.
[19] Ivi, doc. 30.
[20] Ivi, doc. 31.
[21] Ivi, doc. 34. Davide di Angelo ( seu Davino) risultava avere, nel 1395, un contenzioso con il proprietario lucchese della casa da lui affittata, insieme ad altri ebrei, per un presunto debito non estinto di 30 fiorini d’oro, relativo all’affitto stesso, per cui era stato anche per un breve periodo posto in stato di arresto. Cfr. ivi, doc. 35, 36; cfr. doc. 28.
[22] Ivi, doc. 32, 33, 37.
[23] Archivio di Stato di Lucca (ASLu), Notari, n. 349, I, c. 152v, citato in Luzzati, M., La casa dell’Ebreo, p. 170, n. 64.
[24] ASLu, Notari, n. 306, III, foglio sciolto, in ibidem; cfr. Luzzati, M., Documentary History, doc. 37.
[25] ASLu, Notari, n. 327, cc. 103v-104v, citato in Luzzati, M., La casa dell’Ebreo, p. 166, n. 50.
[26] David di Messer Leon dedicò a David da Tivoli l’opera filosofico-religiosa Maghen David e gli suggerì di prendere come precettore del proprio figlio il maestro fiorentino Azriel. Cassuto, U., La famiglia di David da Tivoli, p. 150; p. 299. Cfr. Id., Gli ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento, p. 187; p. 258, n. 2.
[27] Simonsohn, S. Apostolic See, doc. 810.
[28] Cassuto, U., La famiglia di David da Tivoli, p. 263.
[29] Ibidem; Luzzati, M., La casa dell’Ebreo, p. 180.
[30] Cassuto, U., La famiglia di David da Tivoli, p. 263. Dato che l’accusa era stata rivolta al solo David, è stato ipotizzato che la società con i da Pisa si fosse sciolta. Ibidem.
[31] Lonardo, P.M., Gli Ebrei a Pisa sino alla fine del secolo XV, Doc. XXIV, p. 82 e seg.; Doc. XXV, p. 86.
[32] Ivi, p. 182; per i documenti relativi al dibattito sulla presenza ebraica, cfr. ibidem, n. 14. Secondo il Luzzati, fra Timoteo si sarebbe appoggiato più su una parte del ceto dirigente lucchese che non sulla popolazione. Cfr., ivi, p. 185. Nell’ambito della discussione sul prestito ebraico, venivano consultati illustri teologi, tra cui Girolamo Savonarola, che affermava che, sebbene non fosse lecito far venire gli ebrei a fenerare, era, tuttavia, permesso farli venire e lasciare, poi, che fenerassero; in ogni caso, non si dovevano espellere gli ebrei che già risiedevano nella città. Cfr. Cassuto, U., La famiglia di David da Tivoli, p. 298.
[33] Ibidem; cfr. Lonardo, P.M., op. cit., Doc. XXIX, pp. 89-91.
[34] Cassuto, U., La famiglia di David da Tivoli, p. 298.
[35] Contrariamente a quanto era stato riportato da alcune fonti, la espulsione da L. non riguardò tutti gli ebrei, ma solo i feneratori. Cfr. Luzzati, M., La casa dell’Ebreo, p. 153; cfr. ivi, n. 4.
[36] Luzzati, M., Fuggire dalla Spagna per convertirsi in Italia : ebrei sefarditi a Lucca alla fine del Quattrocento , pp. 108-110; cfr. il Testamento di Domenico del fu Dom [sic]Mair da Toledo- Lucca 29 luglio 1494, ivi, Appendice, pp. 113-114.
[37] Luzzati, M., La casa dell’Ebreo, p. 154.
[38] Luzzati, M., Fuggire dalla Spagna per convertirsi in Italia, p. 108. Samuel ( di cui non è noto il cognome) curava i pazienti lucchesi con tanta perizia da convincere gli Anziani a cercare di ottenere la dispensa apostolica per continuare a beneficiare delle sue cure, mantenendo intatta la buona coscienza cristiana. Ricevuto responso negativo, non si sa quale esito abbia avuto la vicenda; forse, il medico Samuel andrebbe identificato con tale Magister Libertas de Toleto olim hebreus et nunc christianus habitator Luce, menzionato in un documento notarile del 1516, riguardante il suo matrimonio con Clara di maestro Benedetto di Niccolò Tomei di Lucca. Cfr. ASLu, Notari, I, n. 1307, cc. 56rv, citato ivi, p. 108, n. 13; cfr. Luzzati, M., La casa dell’Ebreo, p. 155; pp. 171- 172; p. 172, n. 68.
[39]Luzzati, M., La casa dell’Ebreo, p. 155.
[40] Archivio di San Frediano di Lucca, Libri dei Battesimi, n. 2, c. 139v., citato ibidem, n. 10.
[41] Luzzati, M., La casa dell’Ebreo, pp.158-164.
[42] Sulle ragioni che avrebbero consentito la proposta di ripristinare il prestito ebraico, cfr. ivi, p. 156, n. 14.
[43] Ivi, p. 157.
[44] ASLu, Consiglio Generale, Reformagioni Pubbliche, n. 59 (1572), c. XLII, citato ivi, p. 157, n. 16. Pertanto, non è corretto parlare di espulsione di tutti gli ebrei, come è stato riportato in alcune fonti, sia in questo caso che in quello dell’espulsione della fine del secolo XV. Cfr. Luzzati, M., La casa dell’Ebreo, p. 157. Va rilevato che anche il Cassuto ritiene che, dopo l’abbandono di L. da parte di David da Tivoli, gli ebrei avessero potuto tornare a L. solo nella seconda metà del XVI secolo, venendone ben presto espulsi e ricevendo il divieto di soggiornarvi, senza speciale permesso, per più di quindici giorni, nel 1572. Cfr. Cassuto, E.J., alla voce“Lucca”.
[45] Cfr. Luzzati, M., La casa dell’Ebreo, p. 165.
[46] Cassuto, E.J., alla voce “Lucca”.
[47] Cassuto, U., alla voce “Lucca”, E.J. Cfr. ivi,alla voce “Angelino, Josef “ . Il medico lucchese David de’ Nigarelli, che ebbe in cura il re di Francia Enrico IV, all’inizio del XIV secolo non fu ebreo, contrariamente a quanto è stato ritenuto. Ibid.
[48] Cassuto, U., Gli ebrei a Firenze, pp. 270-272; Idem, La famiglia di David da Tivoli, pp. 5-6.
[49] Cassuto, U., Gli ebrei a Firenze, p. 225, n. 5.
[50] Ivi, p. 330.