San Severino Marche

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San Severino Marche

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San Severino Marche (סן סברינו מארקה)

Provincia di Macerata. Insistendo su di un territorio abitato già in epoca paleolitica, che vide sorgere un centro piceno ed in seguito un municipio romano, l’attuale S. è una fondazione alto medievale, che crebbe molto nel XIII secolo e conobbe la signoria degli Smeducci in quello successivo (e fino agli anni ’20 del Quattrocento). Dopo un breve dominio dello Sforza (1433-1445), S., che fin dal XIV secolo era stato annoverato nelle Costituzioni del cardinale Albornoz tra i principali centri delle Marche, passò sotto il diretto controllo di Roma.

L’atto più antico, dal quale si può dedurre una presenza ebraica in questa località,  è un testamento di Moise fu Angelo a favore delle figlie Basceva e Burgella, datato 13 novembre 1270[1]. Qualche anno più tardi, nel 1279, con atti stilati ancora qui, Angelo di Beniamino di Angelo Giudeo – probabilmente lo stesso che aveva un banco di prestito nel 1276 a Perugia[2] e a Matelica[3] - vendeva un terreno all’abate del monastero di  S. Maria[4].

Un altro documento relativo agli ebrei di  S. risale al 1365 e tratta della regolamentazione del prestito[5].

Nella Riformanza consiliare di una trentina di anni più tardi (1396) si legge che i feneratori ebrei potevano chiedere il pagamento dei propri crediti direttamente al Podestà, senza l’ intervento di procuratori ed ottenere giustizia sommaria e che il tasso di interesse consentito era fissato al 10%.

Nel 1409 papa Gregorio XII arruolò 220 armigeri condotti dal guelfo Rodolfo da Varano e dai suoi figli Gentilpandolfo e Berardo e come stipendio assegnò loro il denaro dalle tasse da esigere quell’anno in varie località e comunità ebraiche: il contributo dovuto dai giudei di S. nel 1410 e nel 1412 fu, rispettivamente, di 23.23.0 ducati e 7.39.8 fiorini, mentre nel 1414 fu di 23.33.2 ducati[6].

Nel 1426, dopo la cacciata dell’ultimo degli esponenti della famiglia Smeducci, il Comune ottenne da papa Martino V dei Capitoli, da cui si inferisce la presenza di ebrei che avrebbero abbandonato la località, con grave detrimento della popolazione, se non fossero state abbassate le tasse cui non erano più in grado di far fronte[7]

Nello statuto municipale di S. dello stesso anno (1426), inoltre, due rubriche riguardano esplicitamente gli israeliti: nella prima si stabiliva che il feneratore ebreo, che avesse prestato sotto qualsiasi forma, ma non dietro pegno, avrebbe perso il proprio credito se non lo avesse riscosso, in tutto o in parte, entro cinque anni da quando il prestito era stato contratto, mentre quello che avesse prestato dietro pegno avrebbe avuto facoltà di citare in giudizio il debitore, passato un anno dal mutuo, facendogli dare la proroga di un mese, trascorso il quale il pegno sarebbe rimasto in mano all’ebreo, che poteva venderlo solo a S. previa autorizzazione delle figure municipali preposte. Nella seconda rubrica si trattava del giuramento sulle Scritture ebraiche che dovevano prestare gli ebrei che avessero dovuto testimoniare in caso di contenzioso, posto che la loro parola aveva valore probatorio[8].

Alla fine degli anni Venti del XV secolo furono stabiliti patti o Capitoli della durata di  25 anni con  Angelo di  Magister Leone ed i fratelli Manuele e Deotiaiute, nei quali, tra l’altro, si concedeva ai feneratori di mutuare liberamente a chiunque presentasse loro pegni: nel caso questi ultimi risultassero non appartenere ai mutuatari, i legittimi proprietari non avrebbero potuto chiederne la restituzione sinché non fosse stato estinto il mutuo, con relativo saldo del debito. Tali Capitoli erano conformi a quelli stipulati con altri ebrei e, in particolare , con Salomone di Sabato di S.[9].

Dieci anni più tardi, un documento segnala l’esistenza qui di un giudeo attivo nella stracciaria e nel commercio minuto, che otteneva il permesso di lavorare la domenica, giorno del massimo afflusso della sua clientela, fatta di contadini e forestieri. L’anno successivo (1440), il Consiglio comunale accordava, poi, dei Capitoli decennali a Magister Alleuzio di Salomone di Arezzo (che agiva anche per conto del padre Salomone), Guglielmo di Abramuccio, Samuele di Salomone di Sabbato e Consilio di Alleuzio di S.:         quattro anni dopo, però, sorsero dei contrasti, perché i feneratori sembravano fare discriminazioni tra i clienti, contrariamente agli obblighi assunti.

Nel 1445, quando vennero stipulati i patti tra il Comune ed il legato pontificio per la dedizione alla Chiesa,   furono ratificati anche quelli con Magister Alleuzio e i soci, ai quali si era aggiunto Salomone da Perugia[10].

Tre anni più tardi il banchiere Samuele di Salomone di Sabbato ricevette  una coltellata da un minorenne, il cui padre dovette pagare al Comune una pena pecuniaria suddivisa in rate mensili.

Dopo la morte di Salomone da Perugia, nel 1449, il banco passò ai figli ed eredi, Abramo, Elia e Israele, cui il Comune accordò, per la durata di un decennio, di gestire uno o più banchi feneratizi e di esercitare l’attività di prestito, con o senza pegni, con locali e forestieri, al tasso del 30% annuo per le cifre da mezzo fiorino in su[11].

Abramo di Ventura da Perugia, proprietario a metà di un banco a S. vendette nel 1469 la propria quota ad Angelo di Aleuccio di Civitanova per 500 ducati d'oro[12].

Nel 1470, in seguito alla predicazione del minorita  fra’ Gabriele da Iesi[13], fu decisa l’istituzione di un Monte di Pietà, ma tre anni dopo esso venne svaligiato nottetempo, con gravi conseguenze economiche.

Negli anni ottanta fra i banchieri ebrei a S. vi furono Israele ed i figli Raffaele, Giacobbe, Salomone. Daniele, Manuele, Mose e Leone. Nel 1486 Raffaele acquistò dai fratelli la loro quota nel banco dietro pagamento di 125 ducati, promettendo, inoltre,  di comprare anche la quota di Ventura di Abramo a Perugia, socio nel banco dal 1483[14].

Negli anni 90 del '400 abitava a S. anche Deodato di Manuele, medico, che aveva avuto licenza da papa Innocenzo VIII di curare i cristiani[15].

Intanto, dato il danno subito dal Monte, il Comune si vide costretto a ricorrere al prestito ebraico, stipulando a tal fine patti sino al 1504: nel Consiglio del 1500 fu deliberato, ad esempio, che gli ebrei non potessero prendere in pegno armi difensive o offensive, sotto pena pecuniaria. All’incirca nello stesso periodo, comunque,, il Comune cercò di rimettere in piedi il Monte di Pietà[16], ma ciò non impedì che, anche in seguito, esercitassero a S. dei banchieri ebrei. Tra essi figuravano Salomone di Bonaventura da Ancona (1533), Isacco di Bonaiuto (1533), Angelo di Aronne da Cingoli (1535), Pacifico di Isaia  e Consiglio Bonaiuti da Camerino (1538), Salomone di Faice e Lazzaro di Abramo (1541)[17].

Nell’elenco dei contribuenti alla tassa fumantium, nel 1519, sono menzionati dodici capifamiglia ebrei, che risultavano abitare esclusivamente il quartiere San Lorenzo[18].  

Papa Paolo III, nel 1537, assolse tale Giacomo (Iacobus), originario della Lombardia e abitante a S., per aver ferito a morte involontariamente l’ebrea  Ricca, moglie di Lazzaro, in seguito ad una lite con Lazzaro stesso che non voleva pagarlo per alcuni lavori di muratura eseguiti a casa sua[19]

Nonostante gli sforzi fatti per finanziare il Monte, le autorità comunali dovettero continuare a rivolgersi ai feneratori ebrei anche dopo il 1544[20], nel 1555,  in seguito al decreto di Paolo IV che obbligava gli Ebrei alla segregazione nel ghetto, la maggior parte di quelli di S. abbandonò la località, per recarsi ad Ancona o nel ducato d’Urbino. Tuttavia, alcune famiglie rimasero, per cui il Comune dovette provvedere ad assegnare loro uno spazio per erigervi il ghetto[21]

Nello stesso anno, inoltre, si convertì un Consiglio e, sette anni dopo (1562), si convertì con tutta la famiglia anche Bonaiuto, ricevendo aiuti economici dal Comune[22], mentre nel 1473 fu la volta di una ragazza di nome  Consola[23].   

Nel 1569, alla luce della bolla Hebreorum Gens di Pio V, che li espelleva dallo stato pontificio, gli ebrei furono costretti a lasciare S. In seguito, vi tornarono solo in occasione di fiere e mercati: tuttavia, da un documento del 1714 si apprende che il Santo Uffizio aveva, in un secondo tempo, negato loro il permesso di soggiorno anche in tali occasioni[24].  

Demografia

Da un documento del primo ventennio del XVI secolo risultavano vivere a S. dodici famiglie ebraiche[25].

Secondo un storico locale ci sarebbero stati all’incirca 200 giudei all’epoca dei decreti di Paolo IV sul ghetto[26].

Ghetto

Dopo il 1555, ai pochi ebrei che erano rimasti  a S. venne assegnata come residenza coatta una piccola  zona  nel quartiere San Lorenzo, dove già da prima essi  risiedevano abitualmente. Si suppone che il ghetto fosse ubicato tra quella che nel secolo XIX si sarebbe chiamata Strada S. Rocco, la chiesa di S. Rocco e la Piazza del Duomo[27].  

Sinagoga

Da un documento del 1445 si apprende che la sinagoga era nella casa di Magister Alleuzio, il quale, venduto l’edificio, chiese al Papa il permesso di construere de novo et edificare locum seu oratoria per il culto ebraico[28].

Bibliografia

Aleandri, V. E., Gli ebrei e le loro banche d’usura ed il monte di Pietà. Memorie dal secolo XIV al secolo XVII, Sanseverino-Marche 1891.

Colorni, V., Prestito ebraico e comunità ebraiche nell’Italia centrale e settentrionale con particolare riguardo alla comunità di Mantova, in Judaica Minora, Milano 1983.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.

Toaff A., Gli ebrei a Perugia, Perugia 1975.

Toaff, A., The Jews in Umbria, Leiden-New York-Köln 1993-94.


[1] La notizia è desunta da  pergamene, già appartenenti all’antico monastero di S. Mariano, ora conservate nell’Archivio Capitolare di S. Severino (cfr. Colorni, V., Prestito ebraico e comunità ebraiche nell’Italia centrale e settentrionale con particolare riguardo alla comunità di Mantova, p. 230, n. 63).

[2] Toaff A., Gli ebrei a Perugia, p. 15; p. 43, n. 21. 

[3] Vedi la voce “Matelica” del presente lavoro.

[4] Cfr. Colorni, V., op. cit.,pp. 230-231, n. 63 con riferimento ad appunti manoscritti trovati dal Colorni in una copia di  Aleandri, V.E., Gli ebrei e le loro banche d’usura ed il Monte di Pietà in Sanseverino-Marche.

[5] Aleandri, V.E., op. cit., p. 6.

[6] Simonsohn, S., The Apostolic See,doc. 579.

[7] Aleandri, V.E., op. cit., pp. 6-8.

[8] Aleandri, V.E., op. cit., p. 4. Per valutare la situazione di relativo favore  di cui godevano gli ebrei a S.. va tenuto presente che nelle Costituzioni Egidiane (Libro V, Cap. 9) i debiti contratti per prestiti senza pegno cadevano in prescrizione dopo sei anni (ibidem, n. 1).  A proposito del giuramento sulle Scritture ebraiche, Aleandri ricorda che  pezzi di pergamene ebraiche, usati in  epoca successiva come copertine di libri, erano stati rinvenuti a S. e posti nel locale Archivio Segreto Municipale (ibidem, n. 2).  

[9]  Per il testo dei Capitoli, si veda Aleandri, V.E., op. cit.,  pp. 8-10. Per i nomi dei feneratori e la data della condotta, cfr. ivi, p. 37.

[10] Ivi, pp.11-12.

[11] Ivi, pp. 13-14. Dai Capitoli risulta, tra l’altro, che  nessun ebreo poteva fenerare, durante il decennio della condotta, senza l’assenso di Abramo, Elia e Israele o dei loro eredi, pena una multa da suddividere tra questi ultimi e il Comune. Gli ebrei, inoltre, non potevano essere forzati da alcun pubblico ufficiale a prestare letti o altre suppellettili: l’unica  imposta che dovevano pagare, oltre alle consuete gabelle, era quella per il salario del podestà. Per il testo dei Capitoli, cfr. ivi, pp. 14-17.

[12] Toaff, A., Umbria, Doc. 1528.

[13]  Aleandri, V.E., op. cit., p. 18; per la documentazione relativa alla fondazione del Monte, cfr. ivi, pp. 19-21.

[14] Toaff, A., Umbria, doc. 1903, 1993.

[15]  Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 1135.

[16] Aleandri, V.E., op. cit., p. 23 ; pp. 39-40.

[17]  Simonsohn, S., op. cit., doc. 1622, 1631, 1753, 1876-7, 2026

[18] Aleandri, V.E., op.cit., pp. 23-24.

[19] Ivi, p. 25; i dati esatti relativi all’episodio si trovano in Simonsohn, S., op. cit., doc. 1848. 

[20] Ivi, pp. 25-27.

[21] Ivi, pp. 30-31.

[22] Ivi,p. 33.

[23] Ivi, p. 22.

[24] Ivi, p. 36.

[25] Per l’elenco dei capifamiglia ebrei, cfr. Aleandri, V.E., op. cit.,  p. 24.

[26]   Cancellotti, V., Storia di Sanseverino (manoscritto), citato in Aleandri, V.E., op. cit.,  p. 30.

[27] Aleandri, V.E., op. cit., p. 32.

[28] Ivi, p. 12.

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