Pesaro

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Pesaro

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Pesaro (פיזארו, פזרו)

Capoluogo di provincia. Antica colonia romana, dopo essere passata ai Bizantini e ai Longobardi, fu donata da Pipino alla Chiesa (774). Libero comune dal XII secolo, fu signoria dei Malatesta, degli Sforza e dei della Rovere e nel 1631 tornò sotto il diretto dominio della Chiesa. Nel 1797, fu occupata, per un breve periodo, dalle truppe francesi. 

La comunità di P. è menzionata in un  responsum di Eliezer di Yoel ha-Levi di Bonn, in cui si accenna ad un naufragio avvenuto “nel mare vicino a P. e a Fano, due comunità distanti fra loro meno di un giorno di cammino”. L’incidente avvenne nel 1214 ed in esso persero la vita il rabbino Shlomoh di Ya’aqov da Verona ed un ebreo di Fano con il figlio[1].  Nel 1284 tale Isacco da Ferrara veniva punito dall’Inquisizione  per aver ricondotto all’ebraismo alcuni ex correligionari passati al cattolicesimo[2]

Sappiamo che nel  1433 alcuni dei feneratori attivi a P. abbandonarono la località, dopo che una parte della popolazione li aveva malmenati e depredati[3], che nel 1468 venne istituito il locale Monte di Pietà[4] e che, nell’ultimo ventennio del  XV secolo, gli ebrei di P.,  dovevano contribuire alla tassazione imposta dal Papa  agli israeliti della Marca d’Ancona[5].

Nel  novembre del 1553, il duca di Urbino emise un bando per la confisca e la distruzione del Talmud e dei compendi talmudici, che si trovassero in possesso di ebrei e cristiani e che avrebberodovuto essere consegnati al Luogotenente di Urbino per essere bruciati[6].

Dopo che, nel 1555, Paolo IV aveva ordinato l’arresto ad Ancona dei marrani di origine portoghese stanziativisi anni prima, alcune famiglie riuscirono a fuggire, rifugiandosi a Ferrara e a P., dove furono accolte dal duca Guidobaldo II della Rovere, il quale sperava che la loro presenza contribuisse a potenziare le attività del porto locale con il Levante. I marrani, dal canto loro, cercarono di assecondare il duca di Urbino, adoperandosi in tutti i modi per indurre gli ebrei del Levante a far confluire sul porto di P. i propri  traffici commerciali, boicottando economicamente Ancona. Allo scopo, inviarono da P. il loro rappresentante Yehudah Faradj alle comunità levantine, per informarle dei roghi dei marrani che si erano succeduti ad Ancona, dopo la loro fuga, e  per chiedere il  boicottaggio del porto a favore di quello pesarese. Gli ebrei anconetani, d’origine italiana, dal canto loro, erano preoccupati che le rappresaglie contro il porto si ritorcessero a loro danno, per cui la lotta per la sopravvivenza divise la comunità italiana da quella portoghese. In ogni caso, il boicottaggio di Ancona da parte dei mercanti levantini, cui avevano aderito con entusiasmo anche Gracia Mendes e Yosef Nassì, ebbe inizialmente successo, ma, in seguito, dato che le  attrezzature portuali di P. si erano rivelate insufficienti alla bisogna, le navi provenienti dal porto turco di Brusa preferirono ritornare ad attraccare con le loro merci ad Ancona e, dopo di queste, anche altre imbarcazioni  levantine fecero lo stesso. Il tentativo dei marrani poteva, dunque, definirsi fallito  e il duca Guidobaldo, preferendo non irritare ulteriormente il papa senza ricevere nessun concreto vantaggio economico dall’iniziativa degli esuli, decise di espellerli dai propri possedimenti nel 1558[7]

Dopo la cacciata degli ebrei dallo Stato della Chiesa, nel 1569, i correligionari di P. diedero loro supporto, organizzando navi e raccogliendo aiuti finanziari dalle altre comunità italiane, per farli giungere in Levante ed in Terra Santa. Molti, dunque, si misero per mare, dove furono fatti prigionieri e venduti come schiavi dai cavalieri di Malta. Dato che Don Yosef Nassì era pronto ad aiutare i profughi, offrendo loro di stabilirsi nella colonia di Tiberiade di cui era il promotore, la comunità di P. gli si rivolse con una lettera, confidando nel suo apporto. La risposta del duca di Nasso non ci è pervenuta: si sa solo che, nel 1586, Sisto V emise una Bolla, in cui proibiva ai monaci corsari di far prigionieri gli ebrei in viaggio per il Levante[8].   

I giudei che erano immigrati nel ducato di Urbino, prima e dopo l’espulsione dal territorio pontificio, vi vennero cacciati nel 1571[9], ma già l’anno precedente, in ossequio ai decreti papali, il duca aveva vietato agli ebrei di abitare insieme ai cristiani e di avere un solaio o un’altra parte dell’edificio in comune, sotto pena della perdita della casa per la parte cristiana e di due tratti di corda e 200 scudi di multa per la parte ebraica[10].  Nel 1574,  in seguito alla visita apostolica, il duca ribadì, inoltre, l’obbligo del segno distintivo[11].  

Durante gli ultimi decenni del secolo, due famiglie ebraiche pesaresi di feneratori di un certo spicco, i Benami e  i da Foligno, ebbero ognuna un figlio convertito al cristianesimo ed anche un figlio ed una figlia di un artigiano, Prospero da Recanati, si convertirono[12].

All’inizio del XVII secolo, a ragione della decadenza economica di Urbino, P. aveva preso il sopravvento, divenendo la sede preferita della corte ducale e attirando gli ebrei con la prospettiva di migliori guadagni, come attesta il fatto che, nel 1626, a Urbino restavano solo otto ebrei che tenevano banco, mentre a P. il loro numero era salito a diciannove[13]. All’incirca in questo periodo si trovava insediata in città anche la famiglia Gentilomo, di rito spagnolo e, presumibilmente, stanziatasi in Italia dopo la cacciata dalla Spagna. Il più antico membro di cui sia rimasta attestazione è Simone, vissuto nella seconda  metà del secolo XVI e che risultava essere già morto nel 1626. I Gentilomo di P. detenevano il primato del commercio con la Turchia nel XVII secolo e, allo scopo di estendere il proprio giro di affari, alcuni esponenti andarono a risiedere, alla fine del XVIII secolo a Venezia, raggiungendovi una florida posizione finanziaria[14].

Nel documento del 1626 che attesta l’ascesa economica di P. venivano menzionati, tra gli hebrei che non fanno Banco, gli eredi di Simon Gentilomo, che risultavano i più forti contribuenti della categoria, e Iacobbo e Amadio Gentilomo (Gentilhomo). Tra gli hebrei che fanno il banco, invece, il più forte contribuente risultava Iacobbe di Lione Montefiore[15].        

Nel corso del XVIII secolo, le famiglie ebraiche residenti a P. si ridussero notevolmente e, tra queste, il numero di quelle indigenti era molto elevato[16].

Nel 1789 la comunità cittadina. risultava in deficit, gravata com’era da una serie di tributi da pagare alla Curia di Roma e dalle spese per auto-gestirsi, di cui  una buona parte era destinata all’aiuto ai bisognosi. Il 4% pagato alla comunità dai forestieri sugli affari conclusi in loco era ben poca cosa rispetto all’esborso costante in favore delle cinquanta famiglie povere che dipendevano dall’assistenza comunitaria[17].    

Quando le forze francesi entrarono nel ghetto, nel febbraio del 1798, dopo aver liberato la comunità di P., esso fu assediato dalla plebaglia locale. Tra i primi ad arrivare, al momento dell’assedio, furono dei soldati ebrei, che accorsero in aiuto dei correligionari, disperdendo la folla. Un testimone oculare racconta che le truppe francesi guidarono la marcia di liberazione, strappando il segno giallo dai cappelli e sostituendolo con la coccarda tricolore. Tre giudei furono nominati nel Consiglio municipale e uno, Salvatore Morpurgo, fu incluso nella delegazione da inviare per assicurarsi che Napoleone approvasse la costituzione repubblicana proposta. Tuttavia, l’esultanza ebraica venne smorzata dal fatto che più di una metà della cifra imposta alla città dai Francesi  avrebbe dovuto venire pagata dalla comunità. Quando, nell’estate del 1799 le truppe francesi si ritirarono, le due sinagoghe di P. vennero saccheggiate e i rotoli della Legge profanati:  gli ebrei, in preda al  panico, rimasero per due mesi pressoché rinchiusi  nel ghetto, sino a che non pagarono una cifra altissima per il riscatto. Dato che il maggior rischio corso dalla comunità era stato nel periodo della festa di Pentecoste, in tale giorno venne deciso di  indire una celebrazione annuale di ringraziamento per lo scampato pericolo, per la quale il rabbino Mattatyahu Nissim Terni compose, in seguito, poemi di ringraziamento[18].

Attività economiche

Da un documento del 1447 risulta attestata l’attività feneratizia ebraica a P.[19], ma, nel corso del secolo, gli ebrei furono presumibilmente anche tintori, come attesterebbe l’appellativo “il tintore”, con cui veniva chiamato Abraham di Gayyim, in seguito attivo altrove come stampatore[20].

Nel 1514 erano in funzione a P. tre banchi ebraici e  negli anni Sessanta i banchi erano saliti a quattro, mentre a due mercanti era concesso di prestare senza pegno[21].

Nel 1626 tra i giudei di P. che pagavano le tasse al ducato di Urbino, ve ne erano quasi  una ventina che  svolgevano attività di banco, mentre gli altri erano circa un’ottantina[22].

Nell’attività creditizia  si distinse, nel XVIII secolo, la famiglia Della Ripa[23] e già nel XVI secolo sono attestati anche alcuni ebrei artigiani, orefici e fabbricatori di carte da gioco, ma anche il commercio della strazzeria e l’attività di merciaiorisultano essere state praticate ed alla fine del secolo Giuseppe di Simone Gentilomo aveva aperto una scuola di danza[24].

Risultavano poi impegnati nell’attività medica, talvolta anche curando pazienti cristiani, medici e “cerusici” ebrei[25] e all’inizio del Seicento, Isacco Pesaro produceva qui maioliche e, in particolare,  piatti decorati per la cerimonia del Seder pasquale[26]. Nella produzione di maioliche era attiva anche la famiglia Azulai, di cui vanno menzionati in particolare due membri rispondenti allo stesso nome di Ya’aqov Azulai, di cui sono rimasti piatti per il Seder, eseguiti, rispettivamente, nel 1652 e  nel 1732.[27]

Gli israeliti di P. , dal XVII secolo in poi, furono anche presenti sulla scena  mercantile, commerciale e delle fiere locali[28].

Demografia

Nel 1626 i capofamiglia ebrei che pagavano le tasse al ducato di Urbino erano circa un centinaio: pertanto, si può inferire che il numero globale dei membri della comunità fosse elevato[29]. Dopo l’istituzione del ghetto, altri se ne aggiunsero, provenienti dalle località dove esso non era stato istituito, ma, in seguito, con il peggioramento della situazione economica, il loro numero diminuì: un documento del 1789 riferisce così che, all’epoca, vivevano nella città circa 500 ebrei[30].

Nel corso dei secoli XVII e XVIII la maggioranza degli israeliti di P. era d’origine italiana, qualche famiglia era d’origine tedesca ed altre d’origine sefardita[31].   

Ghetto

Nel 1634 venne istituito a P. il ghetto, in cui  confluirono anche ebrei residenti in altre zone delle Marche[32]: da una mappa secentesca esso risulterebbe essersi trovato in via delle Scuole[33].

Sinagoghe

Nel  XVII secolo vi erano a P. due sinagoghe, una di rito italiano e una, di particolare bellezza, di rito spagnolo. Alla sinagoga di rito spagnolo, il rabbino ascolano Ahriel  Trabot consegnò un’Arca santa di pregevole fattura, alla cui base stavano due leoni dorati, che era appartenuta alla comunità ebraica di Ascoli, scioltasi dopo la Bolla del 1569[34]. In seguito all’istituzione del ghetto, la sinagoga italiana, ubicata nell’attuale  via delle Zucchette, fuori dell’area ghettuale, dovette essere venduta[35].

Cimitero

Verso la fine del XIX secolo scavi archeologici effettuati nei pressi di Porta Pia, nelle vicinaze della via Flaminia, fecero emergere i resti di un cimitero ebraico, dove furono rinvenute due lapidi, una del 1415 ed un’altra del 1484.  Questo vecchio cimitero era stato, però, nel tempo soppresso e, sulla sua area, era stato costruito un convento[36]: verso la fine del XVII secolo, risultava in uso un altro cimitero ebraico, sito “in fondo di Pantano”, fuori dalle mura cittadine, tra la porta Fano e la porta Collina, proprietà comune delle due sinagoghe di P.[37].

Nel 1695 per ragioni connesse all’affioramento di acque, tale area cimiteriale fu sostituita con un podere sul colle San Bartolo, in località Soria[38].

Vita culturale

Sebbene sulla sua vita si sappia ben poco, si suppone che il trattatista di danza quattrocentesco denominato “Guglielmo ebreo da Pesaro” sia nato o abbia vissuto per un periodo a P.: egli è noto per aver interpretato la danza secondo l’istanza rinascimentale del porgere diletto, senza nulla togliere alla sua dignità di “arte liberale”, vista nella duplice prospettiva di una scienza speculativa e pratica insieme, in cui l’esigenza teorica andava verificata e sperimentata nella sua applicazione concreta[39].   

Tra i rabbini, che vissero o soggiornarono per un periodo a P. e che scrissero opere edite o manoscritte o sono menzionati nelle raccolte di responsa, sono attestati nel XVI secolo alcuni membri della famiglia Trabot (Trabotto), originaria della Francia: Yehiel di Ahriel, attivo a P. all’inizio del secolo, Ahriel di Yehiel, rabbino di Ascoli che si rifugiò a P. dopo la cacciata del 1569 (morendovi nello stesso anno) e Yehiel di Ahriel , che, oltre che a P., rivestì la carica rabbinica anche a Ferrara[40]. Sempre nel XVI secolo, troviamo Meshullam di Yitzhaq di Ariccia [41], Benyamin di Mattathiah[42], Mosheh Yehiel di Salomone da Casio[43], Yitzhaq di Yosef Forti[44] e Yehiel e Shabbetay Refael Mondolfo[45].  Nel 1555 circa furono per qualche tempo a P. il celebre medico d’origine marrana Amatus Lusitanus [46]e Ghedallyah Ibn Yahya[47]

Tra coloro che diedero il loro assenso alla decisione del 1574 di esigere per la lettura del Me’or Enayim di Aharyah de’ Rossi l’autorizzazione del rabbinato vi erano, in questa città, Mosheh Hezeqyah di Yitzhaq ha-Levi e Mahalal’el Yediyah di Barukh Ascoli[48]. Ancora nel XVI secolo troviamo  Menahem di Yaaqov da Perugia[49], Mosheh Nissim[50], mentre nel XVII secolo, figurano, tra gli altri, Eliyah Recanati,Yitzhaq Refael e Yitzhaq Hananyah Ventura e Refael Gay Mondolfo[51]. Nel XVIII secolo vanno menzionati : Isaiah Romini e Yaaqov Israel[52], Ya’aqov Israel Bemporad[53],  Yizhaq di Yedidyah  e Yedidyah Zekharyah da Urbino[54] e Yaaqov di Mosheh da Fano[55]. Infine, fu autore di opere stampate e manoscritte anche Daniel di Mosheh David Terni, che, nel 1789, rivestiva la carica di segretario della comunità pesarese[56].

Stampa ebraica

Il rinomato stampatore Gershom Soncino aprì a P. una tipografia nel 1507, che fu attiva per svariati anni.. Tra le opere in lingua ebraica, vanno ricordati trattati talmudici, opere grammaticali del Qimhi , commentari del Nahmanide e del Gerhonide. Inoltre, tra il 1507 e il 1508, vennero pubblicati il Sefer Bakhyah (o Bakhyeh ), commento al Pentateuco di Rabbi Bakhyah di Aher, il Petah devarai (L’esordio delle mie parole), opera di carattere grammaticale di autore spagnolo anonimo, con il Commento di Elia Levita e un formulario di preghiere per tutto l’anno. In seguito, vennero pubblicati il testo dei Profeti anteriori, con il Commento di Yitzhaq Abrabanel (Abarbanel), varie edizioni della Bibbia, il Sefer ‘arukh (Libro preparato), sorta di enciclopedia talmudica di Rabbi Natan di Yehiel da Roma, il Midrash Hamesh megillot o “Omelie rabbiniche sui cinque rotoli” (Cantico dei Cantici, Rut, Lamentazioni,Ecclesiaste, Ester), il Pirqe’ Eliyahu (I capitoli di Elia), opera grammaticale di Elia Levita e i Profeti posteriori[57].      

Gershom che era stato attirato a P. dal mecenatismo di Ginevra Sforza e dalla ricca biblioteca che si trovava alla corte di P., pubblicò anche una serie di opere di autori greci, latini ed italiani[58].

 

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[1] Cfr. Eliezer ben Yoel ha-Levi, Sefer Rabiah, par. 901, ediz. Eliahu Prisman e Sha’ar Yashuv Cohen, Parte IV, Jerusalem 1965, pp. 133-143. Per la data, vedi  Aptowitzer, V., Mevò le –Sefer Rabiah (Introduzione al libro di Rabiah), Jerusalem 1938, pp. 431-432, n. 4.

[2] Archivio arcivescovile di Ferrara, Sommario cronologico-generale di tutte le scritture esistenti nell’Archivio del venerabile monastero delle RR.MM. di Santa Caterina Martire, compilato dal notaio Giacomo Filippo Guerini nell’anno 1750, vol. I, (=V della serie complessiva), f. 14v, segnatura: Cartone A, n. 63.

[3] Cassuto, U., Jüdisches Lexikon, alla voce“Pesaro”. Il Roth indica per tale episodio la data del 1431. Roth, C., The History of the Jews of  Italy, p. 162.

[4] Roth, C., The History, p. 169.

[5] Simonsoh, S., The Apostolic see and the Jews, doc. 1045; in precedenza, invece, erano esentati dalle tasse (ivi,  doc. 500, 877). All’inizio del XVI secolo, gli ebrei di P. erano tenuti al pagamento della vigesima (ivi, doc. 1164).

[6] Luzzatto, G., I banchieri ebrei in Urbino nell’età ducale, Appendice, doc. VII.

[7] Per queste e per ulteriori informazioni, cfr. Kaufmann, D., Les Marranes de Pesaro et les représailles des Juifs Levantins contre la ville d’Ancône, pp. 61-72; Id., Deux lettres nouvelles des Marranes de Pesaro aux Levantins, pp. 231-239; Roth, C., The History of the Jews of Italy, pp. 301-302; 307-308. Toaff, A., Nuova luce sui  Marrani di Ancona (1556), pp. 263-280. Il fatto che l’atteggiamento del duca Guidobaldo fosse dettato principalmente dall’interesse economico, e non dal desiderio di prestare soccorso ai perseguitati dal pontefice, è corroborato dall’atteggiamento anti-ebraico dell’entourage ducale, secondo la testimonianza del rabbino Yehoshua Soncino, che riporta un episodio di  profanazione dell’Arca dove si tenevano i rotoli della Legge da parte di un membro della famiglia ducale e di alcuni cortigiani, poco prima che i marrani fossero accolti a P. (cfr. Kaufmann, Les Marranes de Pesaro, p. 65, n. 3).  Sui  marrani a P. si veda anche Segre, R., Gli ebrei a Pesaro sotto la signoria dei Della Rovere, pp. 153-155.    

[8] Kaufmann, D., A  Letter from the Community of Pesaro to Don Joseph Nassi,  pp. 509-512.

[9] Nel decreto viene fatta menzione degli ebrei  che erano venuti ad abitare nel dominio ducale tre o quattro anni prima del 1571  (cfr. Luzzatto, G.,  op. cit.,Appendice, doc. IX) 

[10] Luzzatto, G.,  op. cit.,Appendice, doc. VIII.

[11] Segre,  R., op. cit., p. 147. Clemente VI impose agli ebrei di P. il segno distintivo nel  1345 (Simonsohn, S., op. cit..,doc. 366).

[12] Per questi e ulteriori particolari legati alle vicende conversionistiche e al tentativo delle famiglie di opporvisi, si veda Segre,  R., op. cit., pp. 148-149.

[13] Luzzatto, G., op. cit.,p. 45; ivi,Appendice, doc. XII.

[14] Morpurgo, E., Notizie intorno alla famiglia Gentilomo da Pesaro, pp. 121-124, p. 122; Roth, C.,  The History of the Jews, p. 373.

[15]  Loevinson, E., Banques de prêts, p. 171 e segg.; Luzzatto, G., op. cit., Appendice, doc. XII.

[16] Il Roth riferisce che il numero delle famiglie ebraiche era sceso, nel corso del XVIII secolo, a  73; tra gli ebrei uno su dieci dipendeva completamente dall’assistenza comunitaria e pertanto, quasi un terzo degli introiti comunitari veniva speso per il soccorso ai poveri (Roth, C., The History of the Jews of Italy,  p. 419).

[17] Bruzzone,  P.L., Les Juifs des Etats de l’Eglise au XVIII siècle, pp. 249-250.

[18] Roth, C., The History of the Jews of Italy, pp. 431-432; p. 434; Idem, Some revolutionary Purims (1790-1801), p. 470.

[19] Luzzatto, G., op. cit., p. 14.

[20] Milano, A., Storia deglio ebrei in Italia, p. 638.

[21] Segre, R., op. cit., p.  135; p. 139. Nel 1544, Israele di Zaccaria di P. riceveva una tolleranza quinquennale per condurre un banco feneratizio nella località (Simonsohn, S.,  op. cit., doc. 2408).

[22] Luzzatto,  G., op. cit.,  Appendice, doc. XII. Dallo stesso documento si deduce, tuttavia, che anche la situazione degli ebrei pesaresi era meno florida: infatti vi si legge  Scudi vinti pagati dalla Università delli Hebrei di Pesaro per il sgravamento che si è fatto di un poco di tassa alli Hebrei poveri e mendichi decaduti dallo lor primo stato, che habitano in dicta città, che non potevano comportare  il peso già impostoli, quando si trovavano in buono stato, che per accordo  et con il consenso del S.r Maestro delle Entrate se li è fatto pagare li suddetti scudi venti per questa volta sola non obbligandoli apagare più detta somma né altra alla detta Università (ibid.)

[23] Per i particolari, cfr. Patrignani, G., I Della Ripa banchieri ebrei di Pesaro, p. 65.

[24] Segre, R., op. cit., pp. 142-144.

[25] Ivi, pp. 144-146.

[26] Maisel, D., J. E, alla voce“Cohen, Italian  family”.

[27] J.E., alla voce  “Azulai, Italian family”.

[28] Bonazzoli, V., L’economia del ghetto,  p. 33 Milano, A., Immagini del passato ebraico: VIII. Pesaro, p. 262.

[29] Luzzatto, G., op.cit., Appendice, doc. XII. Per la situazione demografica agli inizi del XVII secolo, vedi anche Segre, R., op. cit. , p158.

[30] Bruzzone, P.L., op. cit., p. 250. Nel XVII secolo, all’epoca dell’istituzione del ghetto, sembrerebbero esservi stati circa 700 brei a P. (Bonazzoli,  V., op. cit.,  p. 26, n. 38).

[31] Tra le famiglie ebraiche  pesaresi, i cui nomi  ricorrono con maggior frequenza nei registri notarili, vi sono i Camerino, i D’Ancona, i Da Pesaro, i Del Bene, i Della Ripa , i Del Veccchio, i D’Urbino, i Gentilomo, i Fano, i Foligno, i Mondolfo, i Montebaroccio, i Montefiore, i Moscati, i Recanati, i Rieti, i Terni, i Vitali, i Viterbo ed i Volterra. Alcune famiglie che figurano nei documenti pesaresi  recano nomi d’origine ashkenazita, come  Beer e  Bemporad (trasferitisi a P. da Ancona) e  Tedeschi, provenienti da Roma; un ramo della famiglia Aboab, come altre famiglie sefardite, si trasferì a P. da Venezia (Bonazzoli, V., op. cit.,  pp. 30-31).

[32] Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, p. 527. Prima della segregazione nel ghetto, parrebbe che gli ebrei d’origine italiana abitassero nel Borgo Mozzo, nella parte più alta della città, verso Fano, mentre i sefarditi, giunti in seguito, si sarebbero concentrati nella località detta “Mammola Bella”, nella parte  bassa della città, verso Rimini (Servi, F., Archeologia. Un antico Cimitero ebraico a Pesaro, p. 400).

[33] Uguccioni, R. P.,  I cimiteri ebraici in Pesaro, p. 11.

[34] Milano, A., Immagini del passato ebraico: VIII. Pesaro, pp. 262-263; Roth, C., The History of the Jews of Italy, p.390; cfr. Servi, F., op. cit.,p. 400. L’Arca con i due leoni fu oggetto di una controversia tra le autorità rabbiniche circa la liceità o meno di introdurre  sculture di animali in una sinagoga, risoltasi a favore della permanenza dei leoni nel luogo di culto (Kaufmann, D., Art in the Synagogue, pp. 256-258). 

[35] Orazi, S., Aspetti della comunità ebraica di Pesaro in età moderna,  p. 56.

[36] Servi, F., op. cit., pp. 400-401. L’ubicazione di un cimitero ebraico, chiamato “campo vecchio dei Giudei”, si conosce anche dalla veduta prospettica di Pesaro incisa da Johan Jansonius Blaeu nel 1633 e ripresa da Pierre Mortier nel secolo successivo; il periodo in cui fu usato tale cimitero non è, tuttavia, noto allo stato presente della ricerca( Uguccioni, R.P., op. cit.,  p. 11).

[37] Allegretti, G. – Manenti, S.,  I catasti storici di Pesaro, 1.3, Catasto  innocenziano (1690), Tabulati, Pesaro 1998, p. 75, citato in Uguccioni, R.P., op. cit., p. 11,  n. 4.  

[38] ASP, NP, notaio Giuliano Tedeschi, 1695, 11 luglio, cc. 220v-228r, citato in Uguccioni, R.P., op. cit, p. 15. Per la trascrizione di alcune lapidi cimiteriali pesaresi, cfr. Moscati Benigni, M.L., Trascrizione di alcune lapidi più antiche, pp. 157-166.

[39] Per ulteriori approfondimenti si rimanda il lettore a Kinkeldey, O., A Jewish Dancing Master of the Renaissance (Guglielmo Ebreo), pp. 329-372; Padovan, M. (a cura di), Atti del convegno “Guglielmo Ebreo da Pesaro, e la danza nelle corti itasliane del XV secolo”, Pisa 1990; cfr.  Bonazzoli, V., Guglielmo Ebreo da Pesaro, pp. 295-303. 

[40] J.E., alla voce“Trabot (Trabotto); cfr. anche Kaufmann,  D., The  Art in the Synagogue, p.256 e segg.  

[41] Mortara, M., Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, p. 4.

[42] Ivi, p. 8.

[43] Ivi, p. 11.

[44] Ivi, p. 24.

[45] Ivi, p. 41. V. anche  Kaufmann, D., Art in the Synagogue, p. 257.

[46] Milano, A., op. cit., p. 632.

[47] Elbogen, I, The Jewish Encyclopedia, New York  and Londonalla voce“Pesaro”.

[48] Kaufmann, D., Contributions à l’histoire des luttes d’Azaria de Rossi, p. 80;  p. 84.

[49] Mortara, M., Indice, p. 48.

[50] Ivi, p. 44.

[51] Ivi,  p. 53; p. 68 ; p. 41.

[52] Hirschfeld, H., Descriptive Catalogue of Hebrew Mss. Of the Montefiore Library, p. 171.

[53] Mortara, M., Indice, p. 8.

[54] Ivi, p. 67.

[55] Ivi, p. 21.

[56]  Bruzzone, P.L., op. cit., p. 250; Mortara,  M., op. cit., p. 64

[57] Per ulteriori particolari, cfr. Pavoncello, R., La tipografia ebraica nelle Marche, pp. 55-60; Amram, D., W., The Makers of Hebrew Books in Italy, London 1963, p. 126. Sui trattati talmudici pubblicati a P., cfr. Adler, N., Les éditions du Talmud de Pesaro, pp. 98-103. Sul progetto degli anni Sessanta del XVI secolo di rinverdire i fasti editoriali pesaresi in fatto di Talmud, cfr. Segre, R. Una mancata edizione pesarese del Talmud tra Bomberg e Plantin, pp. 284-307.

[58] Amram, D., op. cit., p. 105 e segg.

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