Fossombrone

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Fossombrone

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Fossombrone (פוסומברונה)

Provincia di Pesaro. Posta sulla via Flaminia, alla sinistra del Metauro, era chiamata anticamente Forum Sempronii e fece parte della VI regione Augustea. In seguito, passò sotto la Chiesa (1292) e poi sotto il dominio dei Malatesta di Rimini, venendo, poi, venduta a Federico da Montefeltro. Incorporata da allora nel ducato di Urbino, ne seguì le sorti, sinché fu riunita allo Stato della Chiesa nel 1631.

 

Risale al 1371 la prima menzione di un ebreo a F., Sinaluccio da Sassoferrato[1]. Gli ebrei di F. sotto il dominio dei Malatesta furono esentati dal pagamento delle tasse papali e Bonifacio IX confermò tale disposizione nel 1402[2].  

Poco più di un trentennio dopo, è attestata la presenza qui del feneratore Manuele di Isaia, nel 1407,[3] e di Magister  Daniele, del quale è ricordata l’attività creditizia nel 1423, 1430 e 1441[4]. Tra il 1430 e il 1440, inoltre, troviamo anche,Giuseppe e Vitale, figli di Magister Daniele,  Daniele di Manuele di Isaia, titolare di un banco, Daniele di Daniele e Giuseppe quondam Mathia.

Da un documento notarile del 1441 risulta che per ogni ducato prestato il tasso di interesse era pari a due denari al mese[5].

Intorno al primo trentennio del secolo, gli ebrei iniziarono ad acquistare immobili e gioielli ed inoltre ricevettero terreni in enfiteusi dal vescovo di F.[6].

Con il passaggio di F. a  Federico di Montefeltro, i titolari dei banchi continuarono la loro attività. All’inizio degli anni Ottanta del secolo, era gestore tale Isacco, che intervenne in una società formata da sua sorella Rosa  e dalla cristiana donna Lucrezia per l’allevamento dei bachi da seta[7].

Probabilmente Isacco se ne andò (come già avevano fatto i suoi predecessori), dato che, nel 1487, risultavano operanti i banchieri Leone e Consiglio, forse in società tra loro. Il fatto che fossero stati fatti venire dal potere locale è provato, in modo indiretto, dalla richiesta di perdono e di remissione dalla scomunica, presentata al vicario del vescovo di F., da due esponenti delle autorità cittadine, che si dichiaravano pentiti di  aver invitato in città i due feneratori ebrei. Non essendo disponibile la documentazione dei patti stipulati, non è possibile valutare se gli stessi fossero stati  considerati, in un secondo momento, troppo favorevoli agli ebrei, provocando il pentimento di chi li aveva stilati, o se il cambiamento di atteggiamento riguardo alla condotta fosse da ascriversi alla campagna contro l’usura ebraica, patrocinata, anche nel Ducato di Urbino, dai francescani.

Il Monte di Pietà venne istituito qui nel 1492, ma le necessità economiche della popolazione fecero sì che l’attività feneratizia ebraica continuasse, come mostra l’esistenza, nel 1497, del banco di Dattilo di Allevuccio da Ancona, di cui, tuttavia, non si conoscono gli accordi stipulati con le autorità cittadine[8].

 Nel 1502, Dattilo di Allevuccio pagò una notevole somma di denaro per riottenere la libertà, perduta in seguito all’occupazione dello Stato urbinate da parte del  duca Valentino[9].

Dopo il tentativo di F. di contrastare la conquista del Borgia, cui  fecero seguito saccheggio e violenze, Dattilo e gli altri ebrei lasciarono, presumibilmente, la  città per qualche tempo: secondo il vescovo di F. nel 1511 restava  nella località solo un ebreo, del tutto sprovvisto di mezzi[10].

L’anno successivo, tuttavia, Dattilo tornava a F. , pagava il riscatto impostogli dal Valentino, probabilmente vendendo le sue proprietà, e prendeva in affitto una casa da un cittadino[11], ma solo due anni più tardi (1514) egli  risultava nuovamente proprietario di una casa[12] e morì prima del 1516[13].

Nel 1533 papa Clemente VII concesse a Muggetto (Musetto, Moyse) Dattari. licenza di commerciare nel luogo, l'esenzione dal segno e altri privilegi, rinnovati poi da papa Paulo III nel 1537 e nel 1542. Paolo III concesse (1535) allo stesso anche una tolleranza e relativa proroga per poter fenerare a F., valida per un quinquennio[14].

Con la riconquista dello stato da parte di Francesco Maria della Rovere, il duca stipulava dei patti nel 1545 con dei feneratori ebrei. L’anno successivo, Guidubaldo II autorizzò Raffaele di Dattilo da F. a prestare per due anni nella città, nel contado e nella terra di Pergola, rinnovandogli la condotta sino agli anni Sessanta del secolo[15].

Nel 1566, Guidubaldo II stipulò poi dei patti feneratizi con Sabato di Raffaele Moscato da Osimo: la condotta era rinnovabile ogni tre anni, a Sabato veniva concesso il monopolio del prestito, i pegni non riscattati dal banco potevano essere venduti 14 mesi dopo la loro accettazione e, inoltre, al feneratore e al suo entourage venivano assicurate protezione e tutela  in caso di rivolte, epidemie, intemperanze del periodo quaresimale[16].

Nello stesso anno, Guidubaldo II introdusse l’obbligo del segno distintivo: una berretta di colore giallo per gli uomini e un contrassegno giallo per le donne. Inoltre, si stabilì che gli ebrei vendessero tutti i propri beni immobili ai christiani e che non si avvalessero di personale di servizio cristiano, comprese le nutrici[17].

Verso la fine del XVI secolo, il vescovo della città lamentava, tuttavia, le relazioni amichevoli che intercorrevano tra alcune famiglie ebraiche e cristiane e il fatto che alcuni bambini e bambine cristiani si recassero a casa degli ebrei per imparare a leggere e a scrivere[18].  

Negli anni Ottanta del XVI secolo, il duca Francesco Maria II ordinò agli israeliti di non farsi vedere in luogo pubblico in occasione della processione del Corpus Domini e al suono dell’Ave Maria, esortando, tuttavia, ad applicare le proprie disposizioni senza eccessivo rigore e in modo che gli ebrei potessero vivere nel nostro stato quietamente. Dato che, però, certe vessazioni continuavano, Francesco Maria proibì esplicitamente con un decreto del 1590 di dare molesia alcuna, né ingiuriare in modo alcuno Hebrei Levantini, Portughesi, o altri di qualsivoglia Provincia o natione e sancì pene corporali e pecuniarie per gli eventuali contravventori[19].    

Nel 1587 era bancherius a F. Pellegrino Buonaiuti e nel 1604, risultavano operanti in città quattro banchi, gestiti da Salomone di Sabato Moscato, dal rabbino Vital Bemporad, da Moise Beer e da Agnolo di Daniele da Camerino. Nel 1622 il banco di Salomone Moscato non risultava, però, più iscritto nell’elenco delle tasse dovute alla Camera ducale e nel 1626, nessun feneratore ebreo figurava nell’elenco dei contributori all’erario[20].

Nel 1631, le famiglie ebraiche rimaste a F., dopo che i prestatori se n’erano andati, si rivolsero alle autorità per chiedere il permesso di restare in città[21]: tuttavia, per volontà del legato pontificio che aveva autorità sul territorio che era stato del ducato urbinate, fu decretata l’espulsione.

Nel XVI e nel XVII secolo vi furono alcune conversioni: nel 1521 decise di passare alla religione cristiana Rosa del fu Dattilo di Allevuccio, chiedendo- e ottenendo -  la protezione e l’appoggio del Comune per avere dai fratelli, rimasti ebrei, una dote pari a quella assegnata alle altre sorelle. Poco dopo anche tale Maddalena, novella cristiana, chiese l’aiuto delle autorità comunali per  ottenere dai fratelli la dote, ma, data la povertà di questi ultimi, la dote necessaria per sposarsi le fu fornita dalle autorità stesse[22].

In un  documento del 1588 veniva, inoltre, menzionato tale Petro q. Iuliani olim hebrei de Forosinfronii[23] e nel 1591 venne battezzato Innocentio figlio de Piero hebreo[24], mentre, due anni dopo, ricevettero il battesimo, con grande solennità e con padrini e madrine scelti tra la nobiltà di F., Francesco, Susanna e donna Lucia. L’anno seguente, i documenti parlano di Felice figliola di Antonio fatto christiano[25], nel 1602 risultava fatta christiana donna Lucia di Matteo e nel 1611 una neonata ebrea fu battezzata dalla balia in articulo mortis, ma, a quanto si evince dal documento, senza il consenso del padre, Barbadura hebreo[26].  Tre anni dopo, si convertì ed entrò in convento tale Caterina e, dal libro della Regolaria del Comune del 1627, risultava che una somma di denaro era stata elargita alle zitelle e al putto hebrei catecumeni[27].

Nel 1635, soprattutto per sopperire alle necessità di finanziamento dell’arte della lana, venne accolta dall’autorità pontificia la richiesta di concedere una condotta triennale a due ebrei, dietro pagamento di una somma di 50 scudi da devolvere al Monte di Pietà. Pertanto, furono scelti per venire a F. a svolgere l’attività creditizia e a tener anco una bottega per uso di merceria per servitio della città Flaminio di Zaccaria di Porto e i figli di Jacob da Camerino. Trascorsi i tre anni loro accordati, gli ebrei se andarono e, in seguito, non si hanno più tracce della presenza di feneratori giudei nella città[28].  

Attività economiche

Gli Ebrei di F. furono attivi nel campo del prestito: da una lettera inviata, nel 1545, da Francesco Maria della Rovere per tutto il suo Stato, si apprende che il tasso feneratizio massimo concesso era  del 20%[29].

Guidubaldo II della Rovere, che stipulò i patti con Raffaele di Dattilo, dal 1546 al 1559 abbassò il tasso d’interesse al 15%, facendolo scendere, nel 1560, al 12%.[30] Nel 1598 il camerlengo papale concesse una proroga per poter prestare a F. a Mosè e fratelli, figli di Sabbato da Camerino[31].

Da documenti del 1604 risulta che alcuni ebrei erano anche artigiani: troviamo, infatti, due  cappellari, un sarto, un materassaio e tre gestori di botteghe di merceria, che servivano anche il Comune[32].

Un sarto figurava, infine, anche in un documento del 1626[33].

Demografia

Sulla base dei documenti, è stato ipotizzato che nei primi decenni del XV secolo, la presenza ebraica fosse relativamente consistente, per poi diminuire in seguito alle vicende politiche della città e riprendere verso la fine del XV secolo.  La comunità sembra essersi estinta in seguito alla conquista del ducato d’Urbino da parte di Cesare Borgia, per poi rifiorire nel XVI secolo: tra il 1547 e il 1578 si stima che vi fossero tra i 175 e i 210 ebrei, nel 1591 un numero compreso tra i 185 e i 225, mentre nel 1597 il numero degli ebrei sarebbe stato di 150. Sappiamo poi che nel 1600 la comunità era di 134 individui e nel 1604 era di 158[34].

Da un elenco dei contribuenti ebrei all’erario ducale, risalente al 1626, risultavano circa 25 capifamiglia F.[35].

Sinagoga

In una lettera del 1567, dopo aver proclamato il divieto della proprietà fondiaria ebraica, il duca Francesco Maria chiedeva al podestà di informarsi sulla sinagoga che li hebrei non hanno più lì, e riferisca[36]. Dopo questa attestazione indiretta dell’esistenza di una sinagoga, si ha una prova, ancora indiretta, del fatto che gli ebrei avessero affittato a lungo termine un edificio da ristrutturare a sinagoga a F., nel 1569, quando Guidubaldo II scriveva al podestà di F. invitandolo a trattare con il vescovo per graziare gli hebrei di aver fatto quella sinagoga […] e che per l’avenire possino farla come si fa negli altri luoghi del stato[37].

Nel 1580, l’ebrea Diamante del fu Ermellino di Montolmo, moglie del feneratore Salomone Moscato di F.  testava, lasciando una  somma di denaro ad una serie di sinagoghe, tra cui quella di F. [38].

La sinagoga, ricostruita tra il 1567 e il 1569, si trovava a ridosso della cinta muraria urbana, lungo l’odierna via Rebecchini von Stein, nn. 10-12[39].

Dopo il ritorno temporaneo dei banchieri, negli anni Trenta del XVII secolo, venne concesso agli ebrei di adibire a luogo di culto una stanza delle loro abitazioni[40].

Cimitero

Sebbene non siano stati rinvenuti documenti circa l’ubicazione del cimitero ebraico, l’autorizzazione a comprar terreno a F. per seppellirvi i morti ebrei è confermata nei capitoli concessi da Guidubaldo II a Sabato Moscato. Tale autorizzazione è posteriore di qualche settimana al decreto ducale che annullava la possibilità di acquistare e possedere immobili per gli ebrei, pertanto, è stata fatta l’ipotesi che un cimitero ebraico pre-esistente fosse ormai al completo, per cui occorresse l’autorizzazione ad personam a provvedere all’acquisto del terreno da adibire ad uso cimiteriale. Un cippo funerario ebraico è conservato nel museo “Vernarecci” di F., ma non consente di giungere ad ulteriori informazioni in materia[41]

 

Bibliografia

Loevinson, E., La concession des banques de prêts aux juifs par les papes des seizième et dix-septième siècles, in REJ 92 (1932), pp. 1-30; 93 (1932), pp. 27-52, 157-178; 94 (1933), pp. 57-72, 167-183; 95 (1934), pp. 23-43.

Luzzatto, G., I banchieri ebrei in Urbino nell’età ducale, Padova 1903.

Savelli, R., La comunità di Fossombrone fra XV secolo e devoluzione dello Stato urbinate a Roma, in Anselmi, A. -  Bonazzoli, V., La presenza ebraica nelle Marche. Secoli XIII-XX, Ancona 1993, pp. 85-104.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews,  8 voll., Toronto 1988-1991.

Vernarecci, A., Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, Fossombrone 1903.    


[1] Vernarecci, A., Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, Fossombrone 1903, vol. II, p. 436 ( citato in Savelli, R.,  La comunità di Fossombrone fra XV secolo e devoluzione dello Stato urbinate a Roma, p. 101, n. 3. 

[2]  Simonsohn,  S., The Apostolic See, doc. 500.

[3] Vernarecci, A., op. cit., vol. II, p. 432 (citato in Savelli, R.,  La comunità di Fossombrone fra XV secolo e devoluzione dello Stato urbinate a Roma p. 102, n. 8.

[4]  Vernarecci, A., op. cit., vol. II, p. 432 (citato in  Savelli, R.,  op. cit., p. 102, n. 9). Il Savelli afferma che essi furono presumibilmente chiamati dal Comune e che esercitavano l’attività del banco in regime di convenzione, forse previa approvazione del Malatesta (ivi, p. 87).

[5]  Vernarecci, A., op. cit., vol.II p. 438 (citato in Savelli, R.,  op. cit., p. 102, n. 11). Il Savelli aggiunge che doveva trattarsi di prestito a carta e  non a pegno e che il tasso appare nell’ordine dei tassi allora praticati (ivi, p. 87).

[6] Vernarecci, A., op. cit., vol.II p. 437-438 (citato in Savelli, R.,  op. cit.,  p. 102, n.12).

[7] Savelli, R.,  op. cit.,  p. 88.

[8] Savelli, R.,  op. cit., p. 88. Su Leo(ne) di Ioseph se veda Simonsohn, S., op. cit., doc. 1104.

[9] Dattilo, che risultava essere  alquanto facoltoso, ospitava  in casa sua come precettore privato Magister  Isacco di Salomone, sostituito, in seguito, con  Isacco di Magister Allevuccio da Arezzo (Vernarecci, A., op. cit., vol II, pp. 338-339). Per la somma pagata al Valentino quale taglia per riacquistare la libertà, si veda Vernarecci, A., op. cit., vol. I, pp. 233-235 (citato in Savelli, R., op. cit., p. 102, nn. 16 e 17).

[10] Vernarecci, A., op. cit., p. 264  (citato in Savelli, R., op. cit., p. 102, n. 18).

[11] Cfr. Savelli, R., op. cit., p. 89; cfr. ivi n. 19.

[12] Biblioteca Passionei di Fossombrone (in seguito, B.P. F.),  Fondo Comuntà. Registro delle Colte Straordinarie degli anni 1514-1515, ms. n. 28, c. 23, citato in Savelli, R., op. cit.,, p. 102, n. 20.

[13] Dal fatto che gli immobili di proprietà di Dattilo risultassero a nome del figlio Mosè, nel catasto del 1516, si deduce che Dattilo fosse morto in data precedente. Cfr. Archivio Storico Comunale (in seguito, A.S.C.),  Catasto di S. Maurenzo, vol. 2, c. 190, relativo ai terreni del distretto di F., citato in Savelli,R., op. cit., p. 102, n. 21.

[14]  Simonsohn, S., op. cit., doc. 1606, 1694, 1834, 2194.

[15] Savelli, R.,  op. cit., pp. 89-90.

[16] Ivi, p. 90. Dalla seconda metà del XVI secolo, va  tenuto  presente che facevano concorrenza al prestito ebraico, oltre al Monte di Pietà, anche i censi  accesi dalle famiglie nobili dotate di una certa ricchezza e dalle confraternite religiose, che applicavano un tasso di interesse del 6%,  accettato dalla Chiesa, in quanto ritenuto non lucrativo(cfr., ivi, p. 91). 

[17] Savelli, R., op. cit.,, p. 97. Per quanto riguarda la facoltà di possedere immobili, documenti che attestano proprietà ebraiche si ritrovano dal primo trentennio del XV secolo, sino al 1559 (cfr.,  ivi, nn. 12 e 54).

[18] Vernarecci, A., op. cit., vol. II, pp. 446-447 (citato in Savelli, R., op. cit., p. 104, nn. 57 e 58).

[19] Vernarecci, A., op. cit., vol II, pp. 445-446 (citato  in Savelli, R., op. cit., p. 104, nn. 61 e 62).

[20] Vernarecci, A., op. cit., vol. II, pp. 448-449 (citato in Savelli,R., op. cit., p. 103, n. 32); cfr. Savelli, R., op. cit.,, p. 91. Per quanto concerne il monopolio feneratizio, concesso a suo tempo, a Sabato di Raffaele Moscato, non sono stati reperiti, a tutt’ora, documenti attestanti per quanto tempo fosse rimasto in vigore (Ibid.).

[21] Vernarecci, A.,  op. cit., vol. II, p. 433 (citato in Savelli,R., op. cit., p. 103, n. 33).

[22] Savelli, R., op. cit., p. 99-100.

[23] ASP, Notarile Fossombrone, not. B. Filarista, 1588, c. 197v., citato in Savelli, R., op. cit.,p. 104, n. 71.

[24] Archivio dei Canonici di Fossombrone (in seguito, A.Ca.F.),  Registro dei battesimi, 1580-1598, c. 183v, citato in ivi, p. 104, n. 72.

[25] A.Ca.F. , Registro dei battesimi, 1580-1598, c. 222v, citato in ivi, p. 104, n. 76.

[26] A.Ca.F. , Registro dei battesimi, 1608-1616, c. 36, citato in Savelli, R., op. cit., p. 104, n. 78.

[27] B.P.F. , Fondo Comunità, Regolaria, vol. 16 , 1627, c. 17v., citato in ivi, p. 104, n. 81.

[28] Savelli, R., op. cit., pp. 91-92.

[29] Archivio di Stato di Pesaro (in seguito ASP), Legazione Copialettere, 1545-1546, 18 dic. 1545, c.49v., citato in ivi, p. 102, n. 23.

[30] Savelli, R., op. cit., pp. 89-90.

[31]  Loevinson, E., Banques de prêts, p. 58.

[32]  Savelli, R., op.cit.,pp. 91-92.

[33] Luzzatto,  G., I  banchieri ebrei in Urbino nell’età ducale, p. 58.

[34] I dati relativi al periodo dal 1574-78 sino al 1597 sono desunti da Vernarecci, A., op. cit., vol. II, p. 395; p. 393; p. 447. I dati relativi al 1600 sono desunti da “Rassegna de’ grani e biade de l’anno 1600”, in  BPF, Fondo ms, fogli sparsi, citato  in Savelli, R., op. cit.p. 103, n. 41.

[35] Luzzatto, G.,  op. cit., p. 58.

[36] ASP, Legazione, copialettere, testo citato,  c. 215v., citato in Savelli, R., op. cit.,p. 103, n. 46.

[37] ASP, Legazione, copialettere, reg. 10 (1568-1572), c. 123v., citato in ivi,  p. 103, n. 47. Cfr. ivi, p. 94.

[38] Savelli, R., op. cit., p. 94.

[39] Per questo e per ulteriori particolari, vedi Savelli, R., op. cit., p. 95.

[40] Ibidem.

[41] Ivi, p. 96.

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