Titolo
Testo
Villimpenta (וילימפינטה)
Provincia di Mantova. Insistendo su di un’area abitata già in epoca preistorica, V. fu nel Medioevo sotto il controllo dei benedettini dei San Zeno, dei Canossa, dei Bonacolsi e fu acquistata dai Gonzaga alla fine del ‘300, entrando a far parte poi del ducato di Mantova.
Il primo accenno alla presenza ebraica a V. risale al 1481, quando Giacobbe di Reuven ricevette l’absolutio. Dieci anni più tardi, Isacco e Giuseppe di Simone Meldola ottennero il permesso di dividere il patrimonio familiare con il fratello maggiore Mosè[1] e, qualche anno dopo (1495), Mosè e Isacco di Simone (Shemuel) da Fano ebbero licenza di fenerare.
Nello stesso anno, Mosè e Isacco di Simone Meldola, ottennero l’absolutio, mentre, un paio di mesi più tardi, furono autorizzati a prestare Elia da Fano e Giuseppe da Modena.
Due anni dopo, i figli di Simone Meldola, Isacco e Mosè (menzionato come Mosè di Castiglione Mantovano) ricevettero anch’essi l’absolutio[2].
Il banco feneratizio di V. proseguì l’attività durante il secolo XVI, con svariati banchieri[3] e, all’inizio del secolo successivo, esso figurava ancora tra quelli ebraici in funzione nel territorio mantovano[4].
Ulteriori tracce della presenza ebraica nella località non sono state reperite[5].
Bibliografia
Simonsohn, S., The History of the Jews in the Duchy of Mantua, Jerusalem 1977.
[1] Archivio Gonzaga di Mantova, Libro dei decreti, 15 gennaio 1481; 28 novembre 1491, citati in Simonsohn, S., History of the Jews in the Duchy of Mantua, p. 212 (nota). Riguardo al secondo documento,va rilevato che la data 1591, indicata per il permesso relativo alla spartizione dei beni tra i fratelli Meldola, è dovuta ad un errore di stampa. L’absolutio ricevuta a V., nel 1481, da Giacobbe di Reuven gli garantiva l’impunità per il possesso di libri ebraici, a patto che i testi contenenti espressioni ritenute ingiuriose per la religione cristiana non circolassero più nello Stato di Mantova. Ivi, p. 685, nota 373.
[2] Ivi, p. 212 (nota).
[3] Nel 1501 ricevettero il permesso di fenerare i fratelli Elia e Isacco Fano da Governolo e nel 1520 lo ebbe Menahem Finzi. Quattordici anni più tardi (1534), Emanuele (Menahem) Gallico ricevette licenza di vendere il banco a Leone (Yehudah) da Colonia, il quale, due anni dopo (1536) lo vendette, a sua volta, a Dattilo (Yoab) e a Giuseppe da Modena; quest’ultimo lo rivendette a Giacobbe Bonaventura (Meshulam), che lo gestiì sino al 1557, quando passò a Giuseppe da Napoli. Nel 1590 il permesso di gestire il banco fu accordato a Salvatore (Yehoshua) Massarano e, tre anni più tardi, Salvatore vendette il banco ai fratelli Leone (Yehudah) e Dattilo (Yoab) Galli.Ivi, p. 225 (nota).
[4] Nel 1601 e nel 1605 ricevettero l’autorizzazione a gestire il banco i fratelli Leone e Dattilo Galli e nel 1616 l’autorizzazione passò a Abramo e Zippora Portaleone, cui si aggiunsero, nel 1626, Michele Vita (Chay), Aronne Sullam e i suoi fratelli. Ivi, p. 237 (nota).
[5] Sulla base degli scritti di Immanuel Aboab, Menaheh Ben Israel e Yosef ha-Cohen, il Roth ha scritto di Yosef da Fano (c. 1550-c. 1630), intimo del duca di Mantova, come del “Marchese di Vellimpendi” (ovvero Villimpenta), considerandolo come il primo ebreo insignito di un titolo nobiliare in Italia. A Yosef da Fano Abraham Yagel Gallico dedicò la sua opera Leqah tov, chiamandolo “ornamento del secolo” e augurandogli di trovar posto alla “tavola reale”. Roth, C., Josef Da Fano, il primo ebreo italiano nobile, in RMI XIV (1948), pp. 190-194. Tuttavia, il Simonsohn sostiene che Yosef da Fano non aveva il titolo marchionale e che non è neppure da considerarsi come il primo ebreo italiano assurto al rango di nobiliare. Cfr. Simonsohn, S., op. cit., p. 32, nota 115.