Redondesco

Titolo

Redondesco

Testo

Redondesco (רידונדיסקו)

Provincia di Mantova. Il centro fu durante il Medioevo controllato da grandi famiglie come gli Ugoni, i Longhi, i Lomello ed entrò poi a far  parte del ducato di Mantova.

La prima attestazione pervenutaci sulla presenza ebraica a R. è del 1533, quando Abramo di Simone (Shemuel) da Rocchetta, residente a Mariana, ricevette il permesso di acquistare dagli eredi del fu David di Mariana i banchi di Mariana e di R.: da tale documento si evince che un banco ebraico doveva già essere stato fondato precedentemente nella località[1]. Il banco restò essere in funzione sino alla fine del secolo, passando per le mani di svariati feneratori[2].

Anche nel primo trentennio del secolo successivo proseguì il prestito a R., con i Montalbotto e i Norsa[3].

In occasione della nascita dei figli di Francesco II (1609 e 1611) vennero prese particolari misure per proteggere gli ebrei dai moti ostili della popolazione che accompagnavano tradizionalmente i lieti eventi della casa ducale.

Nel corso degli anni Venti del Seicento, anche gli ebrei di V. furono costretti all’acquisto di grano per smaltire le scorte ducali[4].

Bibliografia

Simonsohn, S., The History of the Jews in the Duchy of Mantua, Jerusalem 1977.


[1] Archivio Gonzaga di Mantova, Libro dei decreti, 23 marzo 1533, citato in Simonsohn, S., History of the Jews in the Duchy of Mantua, p. 228 (nota).

[2]  Nel 1538 Abramo di Simone da Rocchetta ricevette il permesso di vendere il banco a Giuseppe da Colonia, cui fu confermata l’autorizzazione a fenerare; nel 1577 e nel 1587 i fratelli Raffaele e Michele Carmini ebbero l’autorizzazione a gestire il banco; nel 1591 a Isacco Almagiati fu consentito di  prendere come socio Abramo Montalbotti. Ivi, p. 228 (nota).  

[3] Nel 1601 e nel 1605 il banco era tenuto da Abramo Montalbotto, nel  1616, dai fratelli Emanuele (Menahem) e Lazzaro Montalbotto e nel 1626,  dai fratelli  Daniele, Isacco e Leone (Yehudah) Norsa. Ivi, p. 236 (nota).   

[4] Ivi, p. 127, nota 76; pp. 279-280, nota 269. 

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