Quistello

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Quistello (קויסטלו)

Provincia di Mantova. Attestato come Custellum almeno dall’XI secolo, fece parte del ducato di Mantova e restò sotto i Gonzaga sino al Settecento.

Il primo accenno ad una presenza ebraica a Q. si ha nel 1439, quando venne concesso il permesso di risiedere nella località e fenerare ad Angelo (Mordekhay) di Beniamino da Perugia (figlio del primo titolare di banco di Revere, Beniamino di Mosè da Perugia)[1]. La concessione fu rinnovata, nel 1446, ad Angelo ed al figlio Leone (Yehudah), mentre due anni più tardi, fu autorizzato ad esercitare il commercio nella località Consiglio (Yequtiel) di Elia da Gubbio.

Salomone di Deodato (Nathaniel) di Padova, titolare del banco di Governolo, ebbe, nel 1464, l’invito degli abitanti di Q. ad aprirvi una filiale del suo banco, apparentemente con il consenso del Marchese. Tuttavia, quando Salomone, firmato l’accordo con i cittadini di Q., iniziò l’attività feneratizia, il clero locale scomunicò la popolazione durante le funzioni pasquali , scacciandola dalla chiesa. Salomone, pertanto, scrisse al Marchese per ricevere consiglio sul comportamento da tenere e per chiedergli  a quale istituzione ecclesiastica avrebbe dovuto appellarsi[2].

L’episodio sembra chiarirsi se si tiene presente che, da un lato, non sono stati rintracciati documenti attestanti l’autorizzazione marchionale a Salomone e che, dall’altro, il prestito ebraico era stato proibito a Mantova già nel 1462, in ottemperanza a motivi d’ordine religioso[3].

Dopo una ventina d’anni di assenza di tracce attestanti la presenza ebraica a Q., troviamo alcuni documenti relativi ad ebrei che avevano ricevuto l’absolutio, dagli anni Ottanta alla metà degli anni Novanta[4]

Nel 1495 Abramo di Cresambeni (Crescimbene) ricevette conferma del diritto di fenerare a Q., rinnovato, due anni dopo, a lui e al fratello Beniamino[5]

Nel XVI secolo l’attività feneratizia ebraica a Q. proseguì con feneratori delle famiglie Norsa, Galli e Montalbotti[6].

La tassa pagata, negli anni Novanta, per il rinnovo del privilegio ebraico ammontava a Q.  a circa  537 scudi[7].

I provvedimenti stabiliti dal vescovo di Mantova, nel 1595, in relazione alla rimozione dei passi dei testi ebraici ritenuti ingiuriosi per la fede cristiana, furono messi in atto anche a Q.[8].

Durante il primo decennio del XVII secolo continuò ad essere in funzione il banco locale[9] e speciali misure di sicurezza per proteggere gli ebrei dagli attacchi della popolazione cristiana furono prese nel 1609, in occasione della nascita della figlia di Francesco II[10].

Dopo le infauste vicende belliche del 1630, Q. era tra le località del mantovano in cui riprese il prestito ebraico, con Anselmo (Asher) Vivanti (Chay), menzionato nel relativo documento del 1649[11].

In conformità con il generale peggioramento della situazione delle Comunità ebraiche dell’area, verso il finire del secolo, a Q. si intrapresero iniziative per limitare e ostacolare le attività economiche degli israeliti[12].

L’ultima testimonianza relativa ad ebrei nella località si inquadra nel clima di ostilità crescente verso di loro, caratteristico del  XVIII secolo, come attesta l’episodio del governatore di Q., cui le autorità mantovane dovettero ordinare, nel 1740, di non incarcerare gli ebrei di passaggio, sotto l’imputazione di non aver avuto il segno distintivo, posto che la legge li esentava da quest’obbligo quando si trovavano in viaggio[13].

Attività economiche

Gli ebrei di Q. furono principalmente dediti all’attività feneratizia, tuttavia, nel 1448, Consiglio di Elia da Gubbio ricevette il permesso di commerciare[14].

Dopo il divieto di fenerare, emesso nel 1547, Bonaventura (Meshullam) Galli ebbe il permesso di commerciare in tessuti[15] e dalla documentazione del 1675 risulta che la Comunità ebraica di Mantova intervenne per difendere gli interessi di Mosè Corinaldi di Q., compromessi dal monopolio della vendita dei medicinali accordato dal governatore locale a due cristiani: il Corinaldi fu convocato in tribunale per presentare il proprio caso, di cui non si conosce l’esito[16].

 

Bibliografia

Colorni, V., Prestito ebraico e comunità ebraiche nell’Italia centrale e settentrionale con particolare riguardo alla comunità di Mantova, Bologna 1935 (Estratto dalla “Rivista di  Storia del Diritto Italiano”, Anno VIII, Vol. VIII, Fasc. 3).

Simonsohn, S., The History of the Jews in the Duchy of Mantua, Jerusalem 1977.


[1] Archivio Gonzaga di Masntova, Libro dei decreti (d’ora innanzi AGM, LD), 13 maggio1439, citato in Simonsohn, S., History of the Jews in the Duchy of Mantua, p. 211, nota 51.

[2]  Ivi, p. 8; p. 211, nota 51.

[3] Ivi,  p. 8, nota 28; sulla violenta reazione del clero di Q. al prestito ebraico, vedi anche Colorni, V., Prestito ebraico e comunità ebraiche nell’Italia centrale e settentrionale con particolare riguardo alla comunità di Mantova, p. 21. Nel 1457, il Marchese di Mantova aveva proibito l’attività feneratizia e tale  divieto, motivato da motivi d’ordine religioso, tornò a ripetersi nel 1462. Tuttavia, nel 1466, il Marchese, spinto da considerazioni realistiche, consentì nuovamente il prestito ebraico nel suo Stato. Simonsohn, S., op. cit., pp. 8-9.

[4]  Nel 1481 ricevette l’absolutio  Abramo di Magister Cresambeni; nel 1484, la ricevettero Abramo d’Urbino e il figlio Simone (chiamato Samuele), Bonaventura (Meshullam), Salomone d’Urbino e il summenzionato Abramo di Cresambeni; un’altra absolutio venne concessa, nel 1495, ad Abramo e al fratello Beniamino (il cui padre veniva chiamato Crescimbene)  e ad Abramo di Isacco Finzi (Simonsohn, S., op. cit., p. 211, nota 51). L’absolutio ricevuta nel 1481 da Abramo di Magister Cresambeni  gli garantiva l’impunità per il possesso di libri ebraici, a patto che i testi contenenti espressioni ritenute ingiuriose per la religione cristiana non circolassero più nello Stato di Mantova. Ivi, p. 685, nota 373.    

[5] Ibidem.

[6] Nel 1502 ricevettero l’autorizzazione a fenerare i fratelli Abramo e Graziadio (Hananel) di Emanuele (Menahem) Norsa; nel 1520 Abramo ebbe il permesso di prendere come socio Isacco di Daniele Norsa; nel 1529, Graziadio di Emanuele Norsa ebbe il permesso di associarsi con un altro, alla morte del suo socio e congiunto; nel 1530 i fratelli Mosè, Giacobbe e Salomone di Isacco Norsa e le eredi di Graziadio Norsa (Stella, Graziosa e Speranza) ricevettero il permesso di vendere il banco; nel 1534,  gli eredi di Isacco Norsa furono autorizzati a vendere il banco a Bonaventura Meshullam di Graziadio (Hananel) Galli. Bonaventura  e, poi, David e Graziadio Galli tennero il banco sino al 1561, quando ebbero il permesso di venderlo a Lazzaro (Eleazar) Montalbotti; nel 1572 i figli di Lazzaro Montalbotti (Ventura, Giacobbe, Isacco e Sforza) ebbero il banco, sino al 1592. Ivi, pp. 223-224 (nota).   

[7] Ivi, p. 166.

[8] Ivi, p. 690.

[9] Ivi, p. 229, nota 91.

[10] Ivi, p. 127, nota 76.

[11] AGM, filza 3010, 30 agosto 1649, citato ivi, p. 237, nota 110.

[12] Ivi, p. 71; a questo proposito si veda l’episodio del 1675, relativo al monopolio dei medicinali , riferito riguardo alle attività economiche.

[13] Ivi, pp. 81-82.

[14] Ivi, p. 211, nota 51; p. 255, nota 179.

[15] Ivi, p. 262, nota 206.

[16] Ivi, p. 289.

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