Titolo
Testo
Goito (גויטו)
Provincia di Mantova. Con molta probabilità fondato dai Romani, G. fu fortezza dei Goti e fu controllata in seguito da longobardi e franchi. Dopo la dominazione dei Canossa, il centro divenne un libero Comune e dalla metà del XV secolo entrò nell’orbita dei Gonzaga e nel ducato di Mantova.
Il primo accenno alla presenza ebraica a G. risale al 1519, quando Mosè da Castellazzo ed i figli Giacobbe, Michele, Vita (Hayyim) e Giuseppe ricevettero l’autorizzazione a fenerare[1].
L’attività di prestito proseguì sino alla fine del Quattrocento con svariati banchieri[2] e, durante il primo trentennio del secolo successivo, il banco continuò ad essere in funzione[3].
Dopo l’espulsione degli ebrei da Mantova, in seguito alla guerra di successione, il duca Carlo tornò nell’area, andando a risiedere a G., dove lo raggiunsero i rappresentanti della Comunità mantovana che si adoperarono per il rientro degli esuli[4].
All’inizio del XVIII secolo l’insediamento ebraico a G. esisteva ancora, come si evince dal fatto che le autorità austriache, aderendo alla richiesta della Comunità di Mantova, informarono il governatore di G., che il paese faceva parte delle località che pagavano la propria quota di imposte allo Stato per il tramite della Comunità della capitale e, pertanto, non dovevano essere ulteriormente tassate[5].
Non sono rimasti ulteriori testimonianze relative al gruppo ebraico nella località.
Attività economiche
Gli ebrei furono qui attivi nel prestito, tuttavia, nel 1605, i gestori del banco di G. ricevettero il permesso di vendere indumenti di lana[6].
Nel 1690 Abramo Vita (Hayyim) Fano, che commerciava in carta ed aveva aperto una nuova fabbrica vicino a G., ricevette il monopolio per la produzione[7].
Bibliografia
Simonsohn, S., The History of the Jews in the Duchy of Mantua, Jerusalem 1977.
[1] Archivio Gonzaga di Mantova, Libro dei decreti, 3giugno1519, citato in Simonsohn, S., History of the Jews in the Duchy of Mantua, p. 227 (nota). Mosè da Castellazzo va, presumibilmente, identificato con il pittore che visse anche a Venezia; su di lui, vedi ivi, pp. 653-654 e alla voce “Castellazzo Bormida” della presente opera.
[2] Nel 1527 i figli di Mosè da Castellazzo, morto il padre, furono autorizzati a continuare la gestione del banco; dal 1533 al 1545, l’autorizzazione passò ad Abramo da Rodigo e, nel 1577, a Giuseppe da Civitavecchia. Nel 1580, l’autorizzazione fu concessa ai suoi figli, Zaccaria, Sabbato (Shabbetai) e Leone (Yehudah), quindi (nel 1593 e nel 1597), al solo Leone, che nel 1598 ottenne di vendere metà del banco a Mosè, Daniele e Vitale (Yehiel) Melli. Quest’ultimo è presumibilmente da identificarsi con quel Yehiel Melli che fu rabbino a Mantova tra la fine del XVI secolo e l’inizio del successivo, e scrisse commenti alla Bibbia e l’opera Tapuhe’ ha-zahav. Cfr. ivi, p. 720.
[3] Nel 1605 gestivano il banco Leone (Yehudah) da Civitavecchia ed il socio David Milio, mentre nel 1626 lo gestivano Abramo Senigaglia, Simone Melli e gli eredi di Leone (Yehudah) da Balma da Fano. Ivi, p. 236 (nota).
[4] Ivi, p. 59.
[5] Ivi, p. 299; p. 410.
[6] Ivi, p. 236 (nota).
[7] Ivi, p. 291.