Titolo
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Sarzana (סרצנה)
Provincia di La Spezia. Situata nella bassa valle della Magra, al margine dell’ampio fondovalle in cui serpeggia il fiume, e presso l’ affluente Calcandola, ai piedi dei colli che chiudono la valle della Magra e formano le ultime diramazioni delle Apuane, S. era l’erede della distrutta Luni e divenne capitale della Lunigiana. Dopo essersi data istituzioni comunali, nel XII secolo, divenne, nel XIII, sede del vescovato e comitato di Luni. Dal XIV al XVI secolo fu sotto varie signorie, sinché non passò stabilmente sotto il dominio di Genova, nel 1572.
Intorno al 1473 il governo cittadino di S. concesse ad un prestatore ebreo di risiedere ed esercitare la propria attività a S.[1].
Nel 1577 la città stipulò una condotta con il medico Raffaele Sora, autorizzandolo a commerciare, gestire un banco di pegni e praticare l’arte medica[2]: in una lettera, indirizzata dagli Anziani di S. alle autorità genovesi nel 1580, si richiese poi di prolungare l’autorizzazione a Raffaele di vivere e gestire il banco, concessagli dalla precedente condotta triennale, di cui fu fornita contestualmente copia. Dai capitoli risulta che Raffaele ed i figli potevano fenerare al tasso di 4 denari per lira su pegno per huomini et donne di Sarzana e Todeschi et altre persone sotto al Dominio genovese[3], mentre per i forestieri potevano percepire l'interesse che si esigeva a Novi e a Gavi[4].
Quattordici anni dopo (1594), un’altra petizione fu rivolta dagli Anziani e dal luogotenente dei soldati tedeschi della fortezza di S. per non far espellere Raffaele Sora, data la sua grande utilità per i bisognosi: si chiese, inoltre, che fosse esentato dal segno giallo.
Nel 1598 venne indirizzata un’altra petizione ancora per non far espellere Raffaele, concedendogli di rimanere in città per un ulteriore decennio, ma le autorità estesero il permesso di soli due mesi. Quattro anni più tardi, i figli di Raffaele, Mosè e Isacco Sora, furono poi autorizzati a restare a S. per sei anni.
Nel 1628 ad Isacco fu concesso di continuare a vivere in città, purché non vi restasse per più di dieci anni e, l’anno successivo, il Senato dette l’autorizzazione di vivere a S. per altri due anni a Forte [Ascoli], stabilitovisi l’anno precedente per gestire un negozio, senza prestare denaro. Alcuni anni dopo (1636), due ebrei di passaggio a S. chiesero di non essere obbligati all’uso del segno, onde facilitare i propri commerci, sostenendo che i correligionari dimoranti a S. non lo portavano.
I fratelli Mosè e Angelo Uzielli, cognati di Isacco Sora, che aveva ricevuto un ulteriore permesso decennale per stare a S., domandarono, nel 1641, di poter a propria volta continuare a dimorare con le famiglie e lavorare a S., sostenendo di aver vissuto da svariati anni nella città, come parenti del Sora, ormai vecchio e malato: le autorità genovesi in prima istanza concessero loro due anni di residenza, ma il permesso venne, in seguito, rinnovato per ulteriori due anni.
Qualche anno dopo, il Commissario di S. fu esortato a non autorizzare a vivere a S. Forte Ascoli, che ne era stato espulso per cattiva condotta. Le informazioni raccolte su di lui riportavano che Forte, che era solito recarsi a S. nel periodo natalizio per vendervi le proprie mercanzie, era sgradito agli altri commercianti. Inoltre, anni prima sembrava essersi comportato male in una storia in cui era implicata una donna. Tuttavia, la lettera di un ignoto informò le autorità che le accuse contro il Forte erano frutto di un complotto per far venire un altro ebreo a commerciare a S. ed il Commissario fu sollecitato a proseguire le indagini[5].
Nel 1652 il Commissario della Giunta dei Confini scrisse ai Serenissimi Signori che gli israeliti che vivevano a S. (Mosè Uzielli ed i figli del defunto Angelo) non erano di nessuna utilità, mentre era auspicabile l’istituzione di un Monte di Pietà. Dalla lettera risulta il tasso d’interesse del prestito dietro pegno era allora del 15% per i cittadini e del 17% a per quelli de Carrara. Chi traeva guadagno dalla presenza degli ebrei era, eventualmente, il Comissario locale cui essi facevano qualche regalo, mentre il pericolo rappresentato dall’eccessiva familiarità con la popolazione cristiana era evidente, tanto più che giornalmente comitive di herbrei che stanno qui con ogni libertà e qualche giorno senza segno per la permissione che ne hanno da’ Vostre Signorie[6].
L’anno successivo il Senato, invece, approvò il rinnovo dell’autorizzazione, concessa per altri quattro anni, a Mosè Uzielli per gestire il banco di pegni.
Nel 1674 gli Anziani di S. chiesero ed ottennero dalle autorità genovesi che venisse abbassato il tasso praticato dal banco gestito dalla famiglia Uzielli. L’anno successivo Raffaele ed Emanuele Uzielli presentarono una petizione domandando, per ragioni di sicurezza personale, di non portare il segno quando uscivano dalla città per commerciare e ricordando che la loro famiglia aveva vissuto a S. per più di un secolo. Nel 1676 i Giurisdicenti della Riviera di Levante e, dunque, anche di S., ricevettero l’ordine di controllare se gli ebrei portavano il segno, non parlavano con i cristiani e osservavano le norme indicate nel privilegio. Nove anni più tardi, il Senato concesse una moratoria generale di un anno a Isach Uzielli.
Nel 1702 Angelo e Raffaele Uzielli ebbero un’esenzione quinquennale dal segno, dopo aver pagato una tassa di cinque scudi.
Nel 1707 ebbe luogo uno scambio di lettere tra il Commissario di S. ed i Protettori del S. Uffizio a proposito di una donna cristiana, incarcerata a S. sotto l’accusa di averne ferita un’altra e di aver abiurato, dietro incitamento di un ebreo ( non meglio identificato).
L’anno dopo, i fratelli Uzielli ottennero di poter rimanere a S. per altri cinque anni.
L’ultima nota relativa agli ebrei di S. risale al 1723, quando i Protettori della Comunità spedirono al tribunale rabbinico la petizione indirizzata al Senato dagli eredi minorenni di Raffaele Uzielli: dato che le parti erano giunte ad un accordo, tutti i libri contabili e l’analogo materiale presentato al Senato e al tribunale rabbinico venne restituito alla famiglia Uzielli[7].
Bibliografia
Loevinson, E., La concession des banques de prêts aux juifs par les papes des seizième et dix-septième siècles, in REJ 92 (1932), pp. 1-30; 93 (1932), pp. 27-52, 157-178; 94 (1933), pp. 57-72, 167-183; 95 (1934), pp. 23-43.
Urbani, R.- Zazzu, G., N., The Jews in Genoa, 2 voll., Leiden-Boston-Köln 1999.
Tizzoni, E., La presenza ebraica a Sarzana nei secoli XV-XVII, in Materia giudaica XIII/1-2 (2008), pp. 339-348
[1] Tizzoni, E., Sarzana, p. 340 e segg. Vedi ivi, relativamente ad un'offerta nel 1468 di un ebreo da Pontremoli di fare un prestito a S. e di istituire qui un banco. Non risulta dalla documentazione quale esito abbia avuto la proposta
[2] Urbani, R. -Zazzu, G.N., The Jews in Genoa, doc. 367.
[3] Ivi, doc. 376. I Todeschi erano i soldati di stanza nella fortezza di S. Nella condotta stipulata con Raffaele, nel 1577, veniva detto, tra l’altro, che, in caso le autorità genovesi non avessero ratificato la condotta, si verrebbe a fomentare un numero di christiani, i quali circa il prestare ad usura avanzano senza comparazione qualsivoglia hebreo. Ibidem.
[4] Per quanto riguarda Novi, Vita di Lazzarino Poggetto risultava, secondo un documento del 1578, percepire 6 denari per lira al mese. Cfr. Urbani, R. -Zazzu, G.N., The Jews in Genoa, doc. 368; documenti risalenti a qualche giorno più tardi limitavano l’interesse percepibile a Novi a 4 denari per lira al mese (doc. 371, 372). In tutti e tre i documenti non è specificata una differenza di interesse da percepire dai locali o dai forestieri.
[5] Urbani, R. -Zazzu, G.N., The Jews in Genoa, doc. 485, 518, 533, 551, 552, 559, 562, 565, 569, 575, 576; Loevinson, E., Banques de prêts, p. 25.
[6] Urbani, R. -Zazzu, G.N., The Jews in Genoa, doc. 578.
[7] Ivi, doc. 581, 823, 861, 880, 995, 1138, 1183, 1206, 1591.