Genova

Titolo

Genova

Testo

Genova ( ג'נובה)

Capoluogo di provincia. Sorge sulla fascia costiera (estendendosi per una quarantina di chilometri ) e si spinge verso l’interno a comprendere le valli del Polcevera e del Bisagno. Porto di notevole importanza, tra i primi del Mediterraneo, fu città della IX Legione augustea d’Italia, chiamata Genua e, nei primi secoli del Medioevo, cadde, dopo varie vicende, in potere di Belisario, rimanendo a lungo bizantina anche dopo l’invasione longobarda. Rotari s’impadronì di G., facendone abbattere le mura, nel 641 e dopo un periodo di decadenza, la città riacquistò importanza come centro marittimo e navale, iniziando, sin dal secolo VIII, a respingere le scorrerie dei pirati arabi sul litorale ligure. Con Berengario II fece parte della marca Obertenga ed ebbe importanti privilegi (958), mentre con il contributo dato alla I Crociata, fondò il proprio impero coloniale entrando in conflitto prolungato con Pisa e Venezia. La contesa con i pisani, dal 1060-62 sino alla fine del secolo XIII, si concluse con la vittoria genovese della Meloria (1284) e il tramonto della repubblica toscana. La rivalità con Venezia (1205-1381) ebbe, invece, fasi alterne. Genova vinse a Curzola (1299) e si ebbero tre paci, l’ultima delle quali (1381) lasciò immutati gli antagonismi. Nei secoli XIII-XIV le lotte intestine causarono la progressiva decadenza della Repubblica: soggetta alla Francia di Carlo VI (1401), al marchese di Monferrato (1409-13), ai Visconti (1421), a Francesco Sforza (1463) e a Ludovico il Moro
(1488), passò poi sotto i Francesi  e, dopo varie vicende, cadde in mano spagnola (1522), per essere ripresa dai Francesi e riconquistare l’indipendenza con Andrea Doria (1528), appoggiato dall’imperatore Carlo V.

Dopo un periodo di indipendenza, quando volle affiancarsi alla Spagna contro Ludovico XIV, G. venne bombardata dai Francesi (1684) e nel 1713 Carlo VI le prese Finale Ligure. Passata al Piemonte nel 1742, fu poi occupata dagli Austriaci (1746), scacciati da un sollevamento popolare, iniziato dal Balilla. Nel 1797, sotto pressione francese, venne proclamata la Repubblica Ligure.        

L’esistenza di una Comunità ebraica a G. si evince già da due lettere del re ostrogoto Teodorico, una del 507 e l’altra del 511, con le quali il sovrano concedeva agli ebrei di restaurare la sinagoga e confermava che sarebbero stati mantenuti i privilegi[1]. Tuttavia, non ci sono rimaste  tracce ulteriori della presenza ebraica sino al XII secolo, quando da un documento del 1134 si apprende che venne  imposta agli  israeliti una tassa di 3 soldi per l’illuminazione dell’altare di S. Lorenzo[2]. Si trattava forse di un gruppo di ebrei originari della Provenza e, in particolare, di Narbonne, come si evince dall’accordo, stipulato due anni prima, tra G. e Narbonne,  che si concludeva con le parole … Laudes quam Januenses super Judeos Narbonensium habent sint firme…[3], riferite ad accordi precedenti tra i genovesi e gli ebrei narbonensi, probabilmente presenti a G. saltuariamente, se non stabilmente[4].

Il gruppo ebraico genovese è, inoltre, attestato da tutta una serie di atti notarili, del 1158 e del 1162[5] e Beniamino da Tudela (circa 1165), nel suo Libro di  viaggi, attesta di aver trovato a G. due fratelli ebrei, d’origine nord-africana (Ceuta): tale osservazione, precedentemente interpretata dagli storici in senso restrittivo, è stata recentemente interpretata come se  non escludesse  la possibilità che ve ne fossero stati altri, di diversa provenienza, e, soprattutto, come se non escludesse una presenza ebraica localizzata nelle vicinanze di G., anche se non precisamente nell’area urbana[6].   

Nei secoli XIII e XIV troviamo attestato il nucleo ebraico solo in atti notarili e in testimonianze d’ordine commerciale[7], che mostrano come alcuni ebrei risiedessero in città, talvolta per lunghi periodi di tempo, e come intrattenessero rapporti di buon vicinato con la popolazione cristiana[8].

Da documenti della metà del Duecento in poi, emerge inoltre la presenza di alcuni ebrei d’origine provenzale, come  Joseph, figlio di Salomone di Marsiglia, che sposò qui  una Flora di Vitale, o Baruch, originario di  Hyères, che commerciava a G. in sale e grano (prodotti tipici del commercio dei provenzali nel primo Medioevo), o ancora Vita Ferizzolo, giunto a G. per chiedere a Paganus (ivi residente, con una ben avviata bottega presso la chiesa di S. Pietro in Banchi, nel centro degli affari della città) di insegnare al figlio l’arte della manifattura della carta[9].  Un altro ebreo, anch’egli chiamato Paganus, aveva una bottega di colori[10], mentre un Magister Elya, probabilmente un rabbino, commerciava in grano e, almeno in un caso, in schiavi[11]. Un altro ebreo menzionato in rapporto al commercio degli schiavi, all’epoca fiorente tra i genovesi, era tale Marvanus[12].

Con l’espansione dei traffici locali, soprattutto con la  Spagna dopo il trattato con il re di Castiglia, troviamo ebrei d’origine spagnola, impegnati in affari con i genovesi[13].

Nel 1286 si interrompe, però, la documentazione sulla presenza ebraica, per riprendere nel 1376, quando si parla addirittura della vendita di uno schiavo de genere iudeorum[14]

Dal 1444 G. si mostrò favorevole ad accogliere ebrei, sia nella città stessa che nel territorio, intervenendo, se necessario, nei loro contenziosi di genere finanziario[15], e negli anni Sessanta del secolo il rabbino Joseph Judeus e i suoi soci vennero incaricati dell’esazione delle tasse relative al commercio del velluto[16].   

Il primo documento in cui compare un ebreo d’origine spagnola in questo periodo risale al 1449 ed è il testamento di Giovanni Graciano de Toledo de Hispania olim judeus et nunc christianus medicae artem exercens[17].

Nonostante in una lettera della Signoria genovese al Papa venisse annunciato che non vi erano ebrei a G., i documenti mostrano il contrario, dando adito all’ipotesi che la proclamata assenza fosse stata un espediente delle autorità cittadine per evitare il coinvolgimento finanziario nella crociata promossa contro i Turchi: la città, in cattive condizioni economiche, infatti, non avrebbe potuto così far conto neppure sugli ebrei da tassare per sostenere nuove spese[18].   

Il primo accenno agli ebrei che abbandonavano la Spagna è però un documento del 1478, in cui veniva concesso un salvacondotto ai passeggeri di una nave che, giunta nelle vicinanze del porto di G., avrebbe dovuto rimanervi in sosta per  riparazioni. In attesa di poter salpare nuovamente, agli ebrei veniva concesso di sbarcare e commerciare con i beni portati con loro[19]

Poco prima che  l’editto di espulsione dalla Spagna fosse stato promulgato, nel marzo 1492, è documentato (in gennaio) l’arrivo a G. di una nave carica di ebrei, che si fermò nel porto, in attesa di ripartire per altre destinazioni. In aprile si registrò registrato l’arrivo di un’altra nave piena di profughi  ebrei, in sosta a G. per riparazioni: sebbene non vi siano documenti attestanti l’arrivo di ulteriori imbarcazioni, è presumibile che ne fossero giunte, se, in maggio, il Senato della Repubblica istituì una commissione allo scopo di dare salvacondotti agli ebrei provenienti dalla Spagna, controllandone, al contempo,  i movimenti.

La cronaca redatta, vent’anni dopo questi fatti, dal Cancelliere Senarega, riferisce in merito venerunt in urbem nostram plures: la massa degli esuli, descritti come stremati dalla fame, dal freddo e dai disagi[20], dovette essere sistemata in una parte del Molo, per riprendersi un poco dalla navigazione (aliquantulum a fluctuationem refici), in attesa di ripartire (secondo le antiche disposizioni genovesi che non permettevano una sosta a G. di più di tre giorni) [21] o di ricevere un salvacondotto[22].

Un documento del novembre 1492 attesta dell’esistenza di una società di aristocratici genovesi avente come scopo l’aiuto agli ebrei convertiti: le conversioni, documentate da questo periodo sino all’inizio del secolo successivo, sono, infatti, numerose[23]. Nello stesso anno fu, inoltre, concesso un salvacondotto annuale agli ebrei sbarcati a Genova (di cui non venivano indicati i nomi) e ai loro averi: poco dopo, un altro salvacondotto dello stesso tenore fu rilasciato e, in seguito, limitato a quelli che fossero sbarcati dalle navi di alcuni patroni genovesi elencati in calce al documento stesso[24]. Dato il transito e la sosta di alcune navi cariche di israeliti, poi, l’Ufficio della Sanità rilasciò agli esuli la concessione di commerciare in panni, purché venissero rispettate le gabelle e le dogane di G.[25].                 

Per contrastare la disponibilità ad aiutare e ospitare i profughi, il cui numero si ingrandiva, Padre Angelo da Chivasso, fondatore del Monte di Pietà di G.[26], invitò, nell’autunno dello stesso 1492, Bernardino da Feltre perché dissuadesse i genovesi dall’accogliere la massa dei fuggitivi che, esagerando, definiva di  multa millia hebreorum[27]. Dato che i cittadini persistevano nel loro atteggiamento, Bernardino “profetizzò” che la peste li avrebbe colpiti.

Intanto gli ebrei che non erano riusciti a ricevere salvacondotti per accedere alla città, rimasero accampati sul Molo e l’eccezionale rigidità dell’inverno del 1493 rese le loro condizioni di sopravvivenza così precarie che molti si convertirono ed altri furono costretti a cedere i figli come servi, mentre, d’altro canto, altrettanti furono venduti come schiavi[28].   

La peste, “profetizzata” da Bernardino, ma, in realtà, endemica a G., si manifestò all’inizio della primavera seguente[29]: il 31 gennaio 1493 un decreto di espulsione per gli ebrei, anche se convertiti, fu promulgato dalle autorità genovesi[30]. Tuttavia, un’altra nave giunse la settimana seguente, facendo riprendere in Senato la discussione. Si disse: dicti judei siano portati for a da questo nostro paese […] in alchuno altro loco[…] più remoto da commercio de gente quanto sia possibile[31] e il 25 febbraio (1493) veniva emesso il decreto pro judeis non receptandis[32].

Il 19 marzo venne vietato lo sbarco degli ebrei di due navi[33] ed il 2 aprile l’Ufficio di Sanità proibì il soggiorno a G. anche ai convertiti[34]: alla luce di documenti, che attestano altresì della concessione di permessi agli ebrei, è stato, però, ipotizzato che il divieto non fosse stato messo in pratica[35].      

Nel 1494, comunque, gli israeliti cominciarono in generale a ripartire[36] e, tra quelli rimasti a G., vi furono dei medici di rinomata perizia[37]. Inoltre, tra coloro che si rifugiarono in città,  confermando l’ipotesi di una certa elasticità de facto se non de jure in materia di profughi, spiccarono, dopo la cacciata da Napoli, alcuni membri della famiglia Abravanel[38].              

Tuttavia, dopo il passaggio alla Francia, la situazione degli israeliti peggiorò, soprattutto per volontà del nuovo governatore francese Filippo di Clèves, che provò ad instaurare anche a G. la politica anti-ebraica che vigeva in Francia. Nel 1501 fu imposto a tutti, medici compresi, il segno distintivo (una rotella gialla larga almeno quattro dita), esteso poco dopo anche alle donne [39]: a due giorni da quest’ultimo provvedimento, tuttavia, fu promulgata una sospensione dello stesso poiché si è saputo che tutti gli ebrei stanno per partire e non volendo che essi debbano patire molestie[40].

Nonostante ciò, ebrei continuavano ad affluire a G., come la famiglia di Yosef Ha-Kohen, proveniente da Avignone[41].

Nel 1503 il periodo di soggiorno a G. concesso venne limitato a tre giorni, ma il fatto che  proclami analoghi si susseguissero, nel giro di circa tre anni, fa supporre che la disposizione non fosse stata eseguita[42].

Nel 1506 fu ripetuto il bando di espulsione per gli ebrei senza salvaconductum,  sotto pena della vita e della riduzione in schiavitù[43]: tuttavia, alcuni medici particolarmente benvoluti ricevettro, pochi giorni dopo, un permesso di residenza[44].

La decretata espulsione, del resto, non ebbe luogo e, alla fine dell’anno successivo, l’Ufficio di Virtù dovette ammettere che, ad onta dei vari decreti, gli ebrei continuavano a circolare in città, dove avevano raggiunto un tale livello di familiarità con la popolazione e di malcostume che cum christianis feminis rem veneream habeant pregnantibus potiones exhibeant ad emittendum fetum intempestivum aborsum et sinagogam in urbem teneant et alia maleficia committant[45].

Nonostante questa dichiarazione decisamente ostile, il governatore e gli Anziani scrissero a Yosef Abravanel, trasferitosi a Venezia, di ritornare a G. e di esercitarvi la professione medica, con le debite garanzie di buon trattamento[46].  

Fu il governatore Ottaviano Fregoso, nel 1516[47], a mettere in atto un’espulsione degli ebrei dalla città, relegandoli nel Dominio: tra costoro, vi fu anche  Yosef Ha-Kohen, che  tornò a Novi, dove rimase sino al 1522. Quando fu eletto doge Antoniotto Adorno, però, agli ebrei fu consentito di far ritorno in città[48] e la loro situazione, a partire dagli anni Venti del XVI secolo, parve mantenersi relativamente stabile, sebbene nel 1533, dietro pressione dell’arcivescovo di G., essi fossero obbligati a portare un copricapo giallo come segno distintivo[49].  

Nel 1550 gli ebrei furono nuovamente espulsi dalla città e paese[50]: eccezione a tale provvedimento fu il permesso di restare, a patto di portare il segno  distintivo, concesso al rabbino Moisè (Bitono o forse Sbitono), medico dell’ambasciatore di Spagna, Gomez Suarez de Figueroa. Del resto anche per altri medici, a G. o nel territorio, furono fatte eccezioni analoghe[51].

I decreti di espulsione della seconda metà del Cinquecento, comunque, sembrarono rimanere  senza seguito o con numerose eccezioni, come, da un lato, si evince dal continuo affiorare della presenza ebraica nei documenti relativi al territorio e, dall’altro, dal moltiplicarsi deidecreti  espulsivi, gli ultimi dei quali datati 1597 e 1598[52].

Nella prima metà del  XVII secolo la storia degli ebrei a G. risulta difficile da ricostruire, mentre vi sono attestazioni della loro presenza nel Dominio[53]. Un documento del 1600, intitolato Sinodo, contiene un Capitolo per li Giudei (senza indicazione se si tratti solo di quelli del territorio o anche della città), da cui si può inferire che relazioni relativamente buone intercorressero con la popolazione cristiana[54].

Il più noto commentatore della politica dell’epoca, Andrea Spinola, sembra avallare l’ipotesi che non vi fossero ebrei in G.: infatti, nel suo Dizionario (compilato dal 1619 al 1623), suggeriva che la città, per incrementare la propria economia, avrebbe dovuto accettare la presenza ebraica[55].

Nel 1636 il Magistrato della Consegna stabilì che un soggiorno iniziale di quattro giorni a G. avrebbe dovuto essere concesso dal Senato, senza obbligo di pagamento e del segno distintivo da parte ebraica, per non impedire il commercio e gli affari, mentre un’ulteriore licenza avrebbe dovuto essere concessa dietro pagamento di 8 reali mensili pro capite. Tale somma avrebbe dovuto essere utilizzata nell’opera pia di scacciare li poveri mendicanti della città, mentre un eventuale avanzo si destinerebbe all’Ufficio dei Poveri[56]. 

Dal 1637 venne emessa dal Santo Uffizio una serie di editti, tesi ad appurare l’identità di coloro che aderiscono ai riti de’ Giudei, tuttavia, senza esito. Dai atti della Curia Papale sembrerebbe che la città fosse stata piena di ebrei, che venivano a G. per loro negotii, et si trattengono non solo giorni, ma settimane e mesi, habitando in casa de cristiani senza portar segno alcuno[57].  I documenti, però, non recano attestazioni tali da giustificare la preoccupazione papale.

Data la situazione economica poco florida, tra le varie soluzioni per incrementare i traffici vi fu la decisione di fare di G. un portofranco ( presa alla fine del XVI secolo e rinnovata nel 1654), aprendo la strada all’ufficializzazione dell’insediamento ebraico. Infatti, nella nuova dichiarazione di portofranco si concedeva a qualunque persona di venire a G. con la famiglia per abitarvi e poter negotiare in cambi, merci, vettovaglie[58], con la specificazione: …e gli Hebrei e gli Infedeli ancora s’ammetteranno secondo li modi e le forme che comoderanno li Serenissimi Collegi[59].

Si ponevano, così, le basi per la formazione di una futura Comunità genovese che, dopo un periodo di iniziali difficoltà, sfociò nel privilegio del 1655, di durata decennale, con possibilità di sospensione in caso le autorità avessero cambiato idea. Tuttavia, i dissensi interni e lo scoppio di un’epidemia di peste, che mieté moltissime vittime, fecero rimandare la proclamazione del privilegio sino al  1658[60]. In tale anno, i Serenissimi Collegi approvarono un privilegio o Capitoli per la natione hebrea, alla quale è stato concesso il venire ad habitare nel Dominio della Serenissima Repubblica di Genova[61].

Poiché i Capitoli non discriminavano gli ebrei che avevano vissuto altrove come cristiani, gli stessi incontrarono l’opposizione della Curia romana, e le autorità genovesi, dopo svariate trattative fallite, furono costrette a stilare, l’anno successivo, una nuova versione, da cui venivano esclusi coloro che erano tornati all’ebraismo, salvo quelli provenienti dalla Spagna e dal Portogallo[62]. Ma la nuova versione del privilegio riaprì ancora una volta la discussione sull’opportunità della presenza ebraica a G., diatriba che fu risolta in senso favorevole. 

Da documenti del 1660 risulta che l’Inquisizione avesse arrestato alcuni ebrei spagnoli in transito per Livorno, costretti al battesimo per sopravvivere in Spagna, ma intenzionati a tornare all’ebraismo in Italia: il doge, vedendo usurpati i diritti della Repubblica e calpestate le assicurazioni fatte agli ebrei circa la libertà di culto, iniziò trattative diplomatiche con Roma, sinché non riuscì a farli scarcerare, promettendo, però, per il futuro, di non accettare più i relapsi[63].

Gli ebrei venivano, intanto, costretti in quel periodo alle prediche forzate, che si svolgevano in chiese sempre più lontane dal ghetto, provocando segni di ostilità tale che i Protettori della Nazione Ebrea intervennero presso le autorità competenti  per far cessare le molestie[64]

Documenti del 1662 e del 1663, redatti in spagnolo, riferiscono di una serie di ebrei che ricevette autorizzazione a vivere fuori del ghetto e forniscono i dati del censimento.

Dalla seconda metà degli anni Sessanta sino agli anni Ottanta si protrasse, inoltre, un contenzioso (peraltro rimasto aperto) tra la corporazione dei venditori di merce di seconda mano o repessini, la corporazione dei merciai e gli ebrei, accusati di commerciare fuori del ghetto, facendo loro una concorrenza che li rovinava economicamente. Gli israeliti si difesero, probabilmente con il favore del Segretario del Senato, Felice Tassorello, che pare si fosse mosso in loro aiuto[65].

I massari ed i Protettori dovettero intervenire più volte per mantenere l’ordine nella Comunità e nel 1666, la Congrega  chiese al primo rabbino di G., Abba Mari, di  scomunicare tale David Rison, accusato di aver maltrattato i massari [66].

Due anni prima, questi ultimi si erano appellati ai Protettori perché fosse garantita loro l’amministrazione della giustizia in materia civile, secondo quanto stabilito dal privilegio

La Comunità ebraica di G. si distinse particolarmente nel  riscatto degli ebrei che erano stati fatti schiavi[67].

Nel 1669 un editto proclamò l’espulsione entro cinque anni,[68] provocando opposte reazioni  tra i genovesi, incerti se apprezzare o meno la presenza ebraica nella città, mentre gli ebrei, nonostante la situazione loro poco favorevole, sembravano riluttanti ad andarsene. L’anno successivo, un’accusa anonima fu lanciata contro gli israeliti, considerati rei di furti e di corruzione: non ne seguì però un’espulsione, sebbene la Comunità passasse un momento difficile[69].

Nel 1674 arrivò il decreto espulsivo, che gli ebrei attribuirono al loro insuccesso nell’incrementare il commercio, presentando, pertanto, auto-difese orali e scritte. La decisione, tuttavia, pare fosse dovuta ad altri motivi, come l’accusa di ricettazione, la trasgressione all’obbligo di portare il segno e di ascoltare le prediche e quella al divieto di avere servitù cristiana. Gli ebrei reagirono ammettendo come unica colpa quella relativa al segno e si dichiararono  disposti ad eseguire tutti gli ordini, pur di rimanere nella città in cui dimoravano già  da quindici anni e di cui si consideravano devotissimi sudditi[70].  Nello stesso anno, Felice Tassorello difese la presenza ebraica con la famosa orazione Sopra l’intimazione fatta agli ebrei di dover partire dal Dominio della Repubblica Serenissima[71]. La città, divisa ancora una volta, , infine si risolse in favore degli ebrei, cui venne permesso di restare per altri 10 anni, sebbene in condizioni più restrittive, ovvero: osservando l’obbligo del cappello giallo come segno distintivo, quello di viaggiare per le Riviere e il Dominio solo previa autorizzazione scritta, quello di pagare un tributo monetario annuo alla Camera, nonché il divieto di tenere servitù cristiana e il divieto di tenere in casa e in sinagoga libri considerati lesivi della cristianità, a giudizio dei Protettori[72].  Il nuovo privilegio venne, come in precedenza, esteso a tutto il Dominio ed i Protettori della Comunità non furono più i Residenti di Palazzo, ma due Procuratori Perpetui[73].    

Tutti gli Ebrei, al di sopra degli undici anni, dovevano ora assistere mensilmente alla predica forzata, il che li indusse a progettare di andarsene, iniziando dalle partenze di donne e bambini. Le autorità reagirono vietando di abbandonare la città e, d’altro canto, ridussero la partecipazione alle prediche forzate a 5 o 6 volte all’anno e in una cappella posta vicino al ghetto[74].

Nel 1679 Abram, figlio di Samuele Del Vecchio, si convertì al cristianesimo e , nello stesso anno, in seguito ad una serie di richieste anonime di espellere gli ebrei, per far cosa grata a Dio[75],fu decretata l’espulsione, prima che spirasse il  privilegio. La Comunità cessò di esistere, ma alcuni ottennero a titolo personale il permesso di rimanere, sinché, nel 1710, fu elargito un nuovo privilegio. Tra le ragioni che indussero le autorità a concedere i permessi, oltre che i vantaggi che il commercio ebraico procurava, vi era la possibilità di percepire delle tasse per la concessione, mentre non era più imposto, ovviamente, l’obbligo della tassa pro capite.

Il permanere della presenza ebraica, ad onta dell’espulsione, provocò svariate denunce anonime che, in mancanza della totale sparizione degli ebrei, richiesero almeno la segregazione in un nuovo ghetto e l’obbligo del segno (cui era possibile sottrarsi, previo pagamento)[76].

La crisi con la Francia distrasse per un po’ le autorità genovesi dalla presenza ebraica[77] e nel 1684, con l’aggravarsi della situazione, G. venne bombardata per alcuni giorni, subendo gravissimi danni. Alcuni ebrei, assai compromessi dai bombardamenti cercarono di ottenere  facilitazioni per superare la temperie[78].

Con il ritorno della normalità, tuttavia, le autorità fronteggiarono nuovamente la situazione anomala degli ebrei, il cui privilegio era scaduto nel 1684 (anche se la comunità era stata espulsa prima),  decidendo per un decreto di espulsione[79]. Tuttavia, alcuni continuarono a rimanere, sulla base dei permessi di residenza personali, rinnovati di tanto in tanto. Nel 1692 fu sollevato il problema se la dichiarazione di portofranco, rinnovata nello stesso anno, includesse anche gli Ebrei: ne seguì una serie di votazioni  per estendere a questi ultimi le condizioni favorevoli che erano state stabilite per chi partecipasse all’incremento del portofranco. Nonostante l’esito negativo di tali votazioni, gli ebrei continuarono a rimanere a G., con salvacondotti e permessi concessi dai Collegi, dal Senato, dal Doge e dai Residenti di Palazzo[80].

All’inizio del XVIII secolo, G. si trovò a doversi giostrare  tra le mire di dominio dei Borbone e degli Asburgo e l’antagonismo della Casa Savoia, rischiando di perdere la propria neutralità. In questo contesto, visto l’incremento dei traffici con il Levante che la presenza ebraica avrebbe apportato, con gran beneficio della città, le autorità decisero di affrontare di nuovo il problema degli ebrei, di fatto ancora presenti (come testimoniato, solo per fare un esempio, nel 1705 dall’affitto di terreno per uso cimiteriale)[81].  

Da documenti del 1707, inoltre, si apprende che le autorità cercavano allora un luogo adatto per istituirvi il ghetto e, al tempo stesso, si preoccupavano di procurarsi una lista del numero, e qualità, e luoghi ove qui abitano li medesimi ebrei[82]. Inoltre, erano in corso i lavori per la sinagoga[83] e, pertanto, non potendo più sorvolare sulla presenza ebraica, nel 1710, le autorità decisero di accordare un  nuovo privilegio che garantisse tolleranza ufficiale ed escludesse ogni interferenza esterna, compresa quella del papato. Il progetto del ghetto fu sospeso, dato che gli ebrei residenti a G. erano pochi e poveri, in attesa che ne venissero di facoltosi[84]. Il privilegio conteneva degli emendamenti proposti dalla Comunità ebraica stessa alla Giunta di Giurisdizione, cui i Collegi avevano affidato il compito di valutare le proposte. Tali emendamenti  riguardavano il lavoro dato ad artigiani cristiani da eseguire fuori dal ghetto, la proibizione per i convertiti di testimoniare nelle cause ebraiche. l’esclusione delle donne e dei minori di quattordici anni dal segno distintivo ed il permesso  di stampare  i  propri regolamenti interni, dopo averne sottoposta una copia alla Signoria[85]

Nel 1711, i Collegi decisero di istituire nuovamente un ghetto a G.

Due conversioni sono attestate in questi anni: nel 1708 vi fu quella di Isac Della Costa e, nel 1713, quella di Salomon Del Mare[86].

Nel 1729 la proclamazione di un nuovo portofranco previde l’estensione di privilegi anche agli ebrei , purché fossero segregati nel ghetto, che non era, tuttavia, ancora stato realizzato. In attesa essi prendevano in affitto lussuose e costose abitazioni nella zona di Canneto o vicino alla chiesa degli Armeni[87]. Una lettera della Curia romana al Padre Inquisitore, in cui si denunciavano  certe trasgressioni e, soprattutto, si lamentava l’assenza di un ghetto, accelerò i lavori per la sua istituzione. Tuttavia, la protesta di un cittadino, che non gradiva il luogo scelto per segregarvi gli ebrei, ritardò nuovamente l’esecuzione del progetto, consentendo agli ebrei di opporvi, a propria volta, ostacoli economici. Ma nell’ambito delle controversie sorte sulla costruzione del ghetto e l’espulsione degli ebrei, il Minor Consiglio scelse la seconda opzione nel 1737. Dopo i sei anni di preavviso, contemplati dal privilegio, nel 1743, il rabbino Isac Pincherli ricevette l’ordine di lasciare G. e il Dominio con tutta la Comunità. Solo tre famiglie – i  Foa-Malvano, i Rosa e i Del Mare – ebbero il permesso di rimanere, dati i vantaggi economici che la città traeva dalla loro presenza[88].  Tuttavia, in conformità con la storia degli ebrei a G., sempre oscillante tra le posizioni ufficiali e il lassismo ufficioso, un anno dopo l’espulsione, veniva registrata la residenza in città di altri israeliti  oltre ai membri delle tre famiglie di cui sopra[89].

Nel 1748 Moise Foa (Fora) fu chiamato dai Padri del Comune a pagare l’affitto del cimitero ebraico, al posto della Comunità, da tempo morosa. Moise, dopo aver fatto presente di essere rimasto uno dei pochissimi rimasti dopo l’espulsione, concordò di pagare una cifra sino all’eventuale ritorno della Comunità a G.[90].     

Nonostante gli ebrei avessero cercato di incrementare l’economia locale,  G. si era aspettata di più dalla loro presenza, soprattutto rispetto al vantaggio economico che da essa aveva tratto Livorno, la sua rivale nei commerci[91]

Dopo il tormentato periodo seguito al trattato di Worms (in cui G. fu costretta a perdere la propria neutralità e, dopo varie vicende, dovette risolversi ad arrendersi alle truppe austriache, pagando, poi, a Maria Teresa d’Austria un debito di guerra di tre milioni di genovini), l’economia genovese versava in gravissime condizioni. Presumibilmente, la nuova legge sul portofranco del 1751, con il salvacondotto per gli ebrei, va inserita in questo contesto[92].

Tra gli israeliti che, sino a questa data, avevano continuato ad ottenere permessi di residenza a G., vi era stato Moise Foa,  che aveva reso un importante servigio alla Repubblica, come fornitore di armi, durante la guerra. Nel 1749, insieme alla causa del Foa, da ricompensare con la stabilità di abitazione, venne sollevato il problema di tutta la Comunità ebraica che, sebbene malvista, tuttavia deve stare in qualche luogo di questo mondo[93]. Queste considerazioni, unite all’interesse economico, indussero la Giunta di Giurisdizione a presentare, nel 1751, una serie di regolamenti che consentissero il ritorno degli ebrei nel Dominio e che divennero, l’anno seguente, la base per il nuovo privilegio che fu stampato e distribuito anche fuori dal Dominio. Per attirare ebrei dotati di mezzi economici, il privilegio non prevedeva l’istituzione di un ghetto, l’obbligo del segno, le prediche forzate e i battesimi dei minori. Agli Ebrei veniva concesso di avere propri statuti e di portare armi fuori delle mura della città.Veniva garantito, inoltre,  il rispetto delle festività ebraiche, mentre la testimonianza dei convertiti in processi contro gli ex-correligionari non veniva considerata valida.

Tuttavia, furono imposte alcune restrizioni: gli ebrei non potevano indossare il mantello nero dei cittadini, né fare pubbliche cerimonie, né cantare, né portar lumi[94] durante i loro funerali, mentre i massari erano tenuti ad informare il Magistrato della Consegna sugli ebrei che risiedevano o che si trovavano in viaggio a G. ed erano proibiti gli oratori privati e l’impiego di servitù cristiana era sottoposto all’approvazione dei Protettori. Il privilegio aveva la stessa durata del portofranco, mentre venivano confermate le norme previste in caso di espulsione[95].

Benedetto XIV reagì, indignato contro l’eccessiva libertà che il privilegio consentiva e ne seguì un lungo scambio di lettere tra la Santa Sede e la Repubblica, ambedue ferme sulle proprie posizioni. La distensione dei rapporti fu, in seguito, raggiunta per via diplomatica e il privilegio  rimase inalterato[96].

Gli ebrei che si trovavano a G., in questo periodo erano, per la maggior parte, originari del Piemonte, mentre alcuni, come Samuele Nataff, provenivano da Tunisi e altri da Livorno. Le zone di abitazione erano tra le mura di Malapaga e la chiesa di S. Marco, nella zona del Molo: tutti si servivano della medesima sinagoga, che era anche il luogo di riunione della Congrega[97].

Tra la fine degli anni Sessanta e la metà circa degli anni Settanta del secolo, la Comunità fu tormentata dai continui litigi tra i suoi pochi membri e dalle difficoltà economiche: pertanto, venne sollecitato l’intervento di Abraham Rodriguez Miranda, di Livorno, che scrisse ad Amsterdam e a Londra per cercare fondi per aiutarla e propose di sedare le annose dispute originate dai conti non saldati da alcuni membri, bruciando i registri[98].    

Nel 1774 i Collegi approvarono una nuova regolamentazione interna della Comunità, presentata dai capi e dai Protettori, in concomitanza con il nuovo privilegio, accordato per nove anni[99].    

Verso il 1770 la famiglia Foa risultava avere un ruolo di notevole rilievo nel gruppo ebraico, detenendo più di una carica comunitaria e provocando, di conseguenza, proteste nella Comunità stessa.

Nel 1756 Giuseppe Del Mare, convertitosi con il nome di Paolo Marcello Maria, si fece sacerdote, mentre nel  convento di S. Nicola prendeva gli ordini, nel 1759, un ebreo livornese, Giacomo Lampronti, prendendo il nome di Padre Maria da San Giacomo. Nello stesso convento si convertì, nel 1784, Salomone, figlio dell’inserviente della sinagoga Abram Israel Acoen, e vi furono accolti, per essere preparati al battesimo, nel 1788 e nel 1797, Daniele Ortona di Casale Monferrato e Abramo Emanuele Ortona[100]

A partire dal 1792, la Comunità si ingrandì per l’afflusso di membri provenienti dalla Germania, da Avignone, da Alessandria, da Nizza, da Saluzzo, da Roma, da Gibilterra e da Livorno: i nuovi venuti dovettero dimostrare di avere un lavoro ed un posto dove vivere[101]

Nel 1794 un ebreo francese di Livorno, Carlo Giuseppe Ayda, che viveva nella zona del Molo, fu accettato nel Corpo dei Volontari di Stato.

Tra i beni che varie istituzioni religiose dovettero consegnare ai Francesi, nel 1798, vi è anche una lista di oggetti di culto in argento, che si trovavano nella sinagoga[102].

Vita comunitaria

Dai Capitoli del 1658, si evince che la Comunità era capeggiata dai Massari, eletti tra i suoi membri, i quali avrebbero dovuto nominare quattro in sei Censali[103] o sensali  per regolare gli affari tra gli ebrei. Per le cause civili, avrebbero deciso i rabbini e i Massari. Inoltre, gli ebrei potevano eleggere tra i membri della Comunità un Secretario agli Atti del quale [..] si darà fede di tutti i Ministeri della Repubblica[104]. I Massari avrebbero potuto scacciare dal ghetto i rei di cattiva condotta.

Il  privilegio del 1753 riconfermava quanto era stato statuito nel 1658, mentre alcuni emendamenti furono introdotti nel privilegio  del 1774[105].

Un documento risalente al 1710 circa riferisce, in modo particolareggiato, della legislazione interna del ghetto. Tra le varie disposizioni, vi erano menzionate le regole per le elezioni dei Massari e la definizione dei loro poteri, la giurisdizione civile, le norme per il comportamento dei singoli membri della Comunità, il contributo alle opere caritatevoli gestite dalla Confraternita della Misericordia e alle spese per il culto, la macellazione rituale, l’educazione dei fanciulli, nonché per il riscatto degli schiavi ebrei. Non essendo sufficienti le offerte volontarie, per sostenere le spese si proponeva una tassa di 40 soldi per ogni capofamiglia. Il rispetto delle disposizioni adottate era deputato alla Congrega Minore , formata da sei persone da nominarle una per volta e da restar eletto con la pluralità dei voti[106].  

 

Attività economiche

I pochi documenti riguardanti l’attività degli ebrei nella seconda metà del XIII secolo, indicano come presenti il commercio di sale e di grano, la gestione di botteghe ed il commercio degli schiavi.[107] Inoltre, è attestata la vendita di una biblioteca di libri ebraici[108].

I profughi dalla Spagna furono attivi nel commercio e si distinsero nella medicina, arte per la quale si segnalarono esperti anche nel XVI secolo.

Le attività economiche ebraiche, nella seconda metà del Seicento, erano limitate al commercio, compreso quello ambulante, e alla vendita dell’usato: era vietata la vendita delle armi, mentre vi erano anche ebrei gioiellieri e artigiani[109].

Ad essere concesso agli ebrei fu invece spesso il monopolio dell’acquavite e del caffè ( all’epoca ancora poco apprezzato), in cui erano attivi, in particolare, David Aboaf, David Valensino, i Levi e i Sacerdote[110].

Gli ebrei che ottennero il permesso, a titolo personale, di rimanere a G., furono implicati nel commercio con l’Oriente: in particolare, va menzionata l’importazione del sale di Tripoli, per rifornirne il Monferrato[111].

In seguito, gli ebrei furono attivi nel commercio del tabacco, del cuoio e del corallo. Inoltre essi  assicuravano navi e carichi ed erano impegnati nella costruzione di navi, si occupavano di cambio marittimo, fornivano approvvigionamenti alle truppe del re di Francia durante la guerra e furono coinvolti nel sistema delle cambiali più che negli anni precedenti[112].

 

Demografia

Negli anni Sessanta del XVII secolo risultavano vivere a G. circa 200 ebrei[113].

Nel 1744 è documentata la presenza di 22 ebrei locali e quindici forestieri in città, ad onta del decreto di espulsione[114], mentre sappiamo che verso il 1760 vi erano a G. una sessantina di israeliti[115].

 

Ghetto

Dopo il privilegio del 1658, gli ebrei si installarono nel ghetto di Vico del Campo (divenuto noto come carrogio degli Ebrei), dove rimasero sino al 1674[116].

In quell’ anno, essi dovettero trasferirsi in un ghetto più capiente, per evitare che la scarsezza delle abitazioni del carrogio perpetuasse la necessità, verificatasi in precedenza, di vivere nelle vicinanze del ghetto, ma fuori dai suoi confini. Il nuovo ghetto era in Piazza dei Tessitori, vicino alla chiesa di Sant’Agostino[117].

Nel 1711 i Collegi decisero che il ghetto, che doveva nuovamente essere istituito, avrebbe dovuto essere ubicato nell’area del Molo e, nonostante il luogo non fosse soddisfacente per diverse ragioni, la Comunità ebraica in un primo momento non si oppose, ma, in seguito, dichiarò di preferire Piazza dell’Olmo, che offriva maggiori garanzie di sicurezza. Tuttavia, la protesta di Nicolò Cattaneo Pinelli contro l’ubicazione del ghetto in Piazza dell’Olmo, troppo vicino alla sua casa, fece sospendere i lavori. I Massari, pertanto, ne approfittarono per accampare difficoltà economiche che si opponevano al progetto e due anni dopo, lo stesso Pinelli propose l’ubicazione in Piazza dei Tessitori (dove era stato, sino al 1679), ma una nuova decisione di espulsione, rese ormai inutile l’iniziativa[118].

 

Cimitero

Nel 1705, su decreto del Senato, i Padri del Comune avevano affittato alla nazione ebrea  un appezzamento di terra, posto vicino a San Girolamo, da adibirsi ad uso cimiteriale[119]. Lo stesso cimitero veniva ricordato anche in documenti del 1748 e del 1753[120].

 

 

Personaggi famosi.

Yosef Ha-Kohen (1496-1578), noto cronista ebraico, medico e filologo, venne educato a Genova, all’inizio del XVI secolo, specializzandosi nello studio della medicina, con cui si conquistò ampia fama. Dopo l’espulsione del 1516, abbandonò G. per farvi ritorno dal 1538 al 1550.

Yudah Abrabanel, noto come “Leone Ebreo” - figlio di Isaac Abravanel, che fu, presumibilmente a G. per qualche tempo, dopo la cacciata da Napoli del 1494 – vi scrisse probabilmente la sua opera De coeli armonia. Il fratello di Yudah, Yosef, si fermò a lungo nella città, divenendovi molto apprezzato per la sua perizia nell’arte medica[121].

 

 

Bibliografia

 

Amram,  D. W., The Makers of Henbrew Books in Italy, London, 1963.

Da Tudela,  B., Libro dei viaggi, a cura di Minervini, L., Palermo 1989.

Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, Torino 1992.

Urbani, R., Gli Eccellentissimi Protettori della Nazione Ebrea a Genova, in Italia Judaica, Gli ebrei in Italia dalla segregazione alla prima emancipazione. Atti del III Convegno Internazionale, Tel-Aviv 15-20 giugno 1986, Roma 1989.

Urbani, R.- Zazzu, G., N., The Jews in Genoa,  2 voll., Leiden-Boston-Köln 1999.

Zazzu, G.N., La biblioteca di Maino giudeo, in  La Berio XXIX, n.1 (1989).

 

 


[1] Urbani, R.- Zazzu, G.N., The Jews in Genoa, I (507-1681), doc. 1, 2.

[2] Ivi, doc. 4.

[3] Ivi, doc. 3.

[4] Cfr. ivi, pp. XI-XII.

[5] Ivi, p. XIII; doc. 7, 9, 10. Documenti ulteriori, che vanno dal 1145 al 1191, menzionano tale Caput Judei, in relazione a G. o al suo territorio. Cfr. ivi, doc. 5, 6, 8, 17, 20, 21, 22, 23. Quattro documenti, risalenti agli anni 1163-1198, menzionano un terreno, sito a Rivarolo, nei  pressi di G., chiamato pastinus de judeo (doc.12, 16, 24, 25).    

[6]  Per le argomentazioni in favore della presenza ebraica nel XII secolo, nell’area genovese, inferite dai vari  documenti menzionati, compresa la testimonianza di Beniamino da Tudela, cfr. ivi, pp. XIII-XVII.Cfr. Da Tudela,  B., Libro dei viaggi, a cura di Minervini, L., p.44. Riguardo all’interpretazione restrittiva data all’osservazione di Beniamino, cfr. Cassuto, U., E.J.,  alla voceGenua”; cfr. Milano,  A.,  J.E., alla voce “Genoa”.

[7] Da  rilevarsi è il fatto che, nella documentazione posteriore al 1226,  non compare più il Caput  Judei (menzionato nei documenti del secolo XII), dando adito all’ipotesi che l’ integrazione di questo capofamiglia in seno alla città di G. e al suo circondario fosse  riuscita a tal punto da rendere ormai superfluo il cenno all’origine ebraica come segno di riconoscimento. L’appellativo Caput Judei, è stato interpretato come  l’esplicita menzione del suo ebraismo, che segnalerebbe un’eventuale conversione dei suoi antenati. Cfr. Urbani, R.- Zazzu, G.N., op.cit., pp. XVIII-XIX.

[8]   Urbani, R.- Zazzu, G.N., op.cit., doc. 28, in cui si attesta che tre Genovesi (evidentemente cristiani) non avevano mai sentito esprimere da tale Mosè giudeo il proposito di formare una società con cristiani, ebrei o saraceni. I tre genovesi, inoltre, affermavano che  Mosè - che evidentemente aveva un contenzioso con tale Maino giudeo - non l’avesse mai ingannato, avendo [Mosè] reputazione di essere un uomo onesto. Il nome  Maino (probabile contrazione di Maginus, forma latinizzata del nome ebraico Mayer (Meir) indicherebbe l’origine provenzale di questo ebreo, che viene menzionato sei anni più tardi in un altro documento, a conferma del permanere della sua presenza in città. Cfr. ivi, p. XIX e doc. 31. 

[9] Ivi, doc. 32, 37, 38, 39, 42. 

[10] Ivi, doc. 33, 35, 36.

[11] Ivi, doc. 44, 45, 46. Cfr. pp. XX-XXI.

[12] Ivi, doc. 40.

[13] Ivi p. XXI, n. 53; doc. 48, 49, 50. Il doc. 48, che menziona l’ebreo Colombo di Tortosa, è stato considerato dal De Madariaga la conferma  delle origini ebraiche di Cristoforo Colombo. Cfr. ivi, p. XXII,  nota 55.

[14] Ivi, doc. 52. Negli anni dal 1379 al 1391 troviamo altri documenti genovesi, in cui vengono menzionati ebrei, senza chiarire se fossero residenti a G. (doc. 53, 54, 55, 56, 57). Nel decennio 1440-1450 troviamo ebrei, talvolta provenienti dall’area genovese, cui veniva dato il permesso di recarsi a G. o di risiedervi e svolgervi affari, in alcuni casi anche con la famiglia, i domestici e i soci; nel decennio successivo gli ebrei che ricevevano un salvacondotto per G. e dintorni risultavano provenire dall’Italia centrale e settentrionale e dalla Germania (doc. 69, 71, 72, 74, 77, 78, 79, 80, 83, 85). Sul permesso esteso alla famiglia e a tutto l’ entourage, cfr. doc. 79, 80.  Nel decennio 1440-1450 troviamo anche menzionato un ebreo di Rodi e uno di Gerusalemme, tale Angelo de Gatti, cui viene concesso di stabilirsi e lavorare a G. insieme ai propri servitori (doc. 70, 76).

[15] Ivi, doc. 73, 74.

[16] Ivi, doc. 88.

[17] Ivi, doc. 81, 86. Sugli episodi di intolleranza contro ebrei e convertiti, a Toledo, nel 1449, cfr. ivi, p. XXX, nota 94.

[18] Ivi, doc. 83, 84, 104. Per i particolari relativi alla dichiarazione di G. nel 1460 e per il capovolgimento delle conclusioni, cui erano arrivati gli storici, consultando solo le dichiarazioni ufficiali della repubblica genovese, senza controllare il materiale d’archivio, cfr. ivi, p. xxxi,  n. 95. Cfr. Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, pp. 266-267.  

[19] Ivi, doc. 97. Per l’approfondimento degli aspetti insiti nei rapporti tra G. e gli esuli spagnoli, prima della cacciata del 1492, cfr. ivi, p. XXXII-XXXVII.

[20] Ivi, doc. 113, dove è riportata il testo del Senarega;  doc.114, 117, 118. Cfr. p. XLIII.

[21] Ivi, doc. 113, p. 49. Secondo lo Zazzu, il Senarega, che, come è stato rilevato, scrisse la cronaca un ventennio dopo lo svolgersi dei fatti, avrebbe attribuito alle antiche tradizioni patrie il  divieto agli ebrei di soggiornare più di tre giorni, di cui si trova traccia documentaria, tuttavia, solo nel 1503. Tale anacronismo sarebbe stato ispirato al Senarega, secondo lo Zazzu, da una serie di prediche, tese ad osteggiare qualsiasi rapporto tra il popolo genovese e gli ebrei, tenute a G. all’inizio del XVI secolo. Seguendo la cronaca del Senarega, senza consultare altri documenti e, in particolare, gli atti notarili, gli studiosi avrebbero maturato l’opinione che G. fosse stata, fin dal remoto passato,  particolarmente ostile agli ebrei. Vedi ivi, p. LIII.         

[22] Cfr. ivi, doc. 118.

[23] Ivi, doc. 130. Sugli ebrei che si erano convertiti, dal  1492 al 1506, vedi i doc. 129, 133, 134, 135,139, 140, 147, 148, 156, 157, 165,170, 173, 174, 175, 178, 179, 181, 182, 183, 184, 185, 186, 188, 190, 192, 217,  219.

[24] Ivi, doc. 119, 120; cfr. Zazzu, G.N., Sepharad addio, pp. 63-64. Il fatto di limitare il salvacondotto a chi fosse stato trasportato da determinate navi ebbe, presumibilmente l’effetto di alzare i prezzi del trasporto, operando una selezione economica dei profughi che potevano aspirare ad essere ammessi in città. La questione del prezzo che dovevano pagare gli esuli raggiunse spesso toni drammatici. Oltre che dalle cronache ebraiche, da quella del  Senarega si evince che, tra le varie angherie cui i marinai genovesi sottoponevano i profughi, vi fu anche quella di obbligarli a vendere i figli, pur di ottenere il compenso per trasportarli sulle navi. Cfr. Urbani, R.-Zazzu, G.N., op. cit., I, doc. 113; Zazzu, G.N., Sepharad, pp. 64-65. 

[25] Urbani, R. – Zazzu, G.N., op. cit., doc. 125, 125, 127, 128.

[26] Ivi, p. XL, n. 133.

[27] Ivi,  p. XL, n. 114.

[28] Cfr. Zazzu, G.N., Sepharad, p. 67.

 [29] Come scrive il Senarega nella sua  cronaca: Appropinquante vere ulcera coepta sunt apparere. Urbani, R. – Zazzu, G.N., op. cit., doc. 113, p. 49.

[30] Ivi,doc. 146.

[31] Ivi, doc. 149.

[32] Ivi, doc. 151. Il  testo del decreto stabiliva : quod  de  cetero nulli judei venire per mare vel per terram possint ad civitatem Januevel aliquam partem districtus Januensis sub pena tormentorum duorum [… ] .

[33] Doc. 155.

[34] Doc. 158.

[35] Infatti, il medico spagnolo Aaron Seti veniva raccomandato al Papa. Altre navi che trasportavano ebrei transitavano per G., due di essi ricevettero un salvacondotto e il governatore e il Consiglio degli Anziani si rivolsero al papa per essere autorizzati a trattenere a G. il medico Aaron natione Hispanus (probabilmenteAaron Seti), da due anni nella città, in virtù del giovamento che portava alla popolazione con l’esercizio dell’arte. Cfr. doc. 160, 161, 162, 163, 166, 167, 168, 169 e p. LI.

[36] In gennaio Isacco Benachem noleggiò una nave per trasportare a Tripoli ed a Beirut gli ebrei giunti dalla Spagna; in seguito, salpò per Napoli una nave con a bordo ebrei imbarcati a suo tempo a Tortosa (doc. 164, 166, 171).Da segnalare è la partenza, già nel 1492, di alcuni ebrei per Ferrara, invitati da Ercole d’Este. Cfr. la voce “Ferrara” della presente opera.

[37]  Da un documento del 1498 si apprende che i medici ebrei avevano attirato l’ostilità dei colleghi genovesi che avrebbero cercato di boicottarli, impedendo agli erboristi di rifornirli di prodotti. Ivi, doc. 187. Già nel 1495 Rabbi Benachem, medico di specchiata reputazione, era stato raccomandato dal Governatore di G. al Marchese di Mantova, da lungo tempo malato. Urbani, R. – Zazzu, G.N., op. cit., doc. 177. Nel 1500  il medico Jacob, assai rinomato, ricevette un salvacondotto per esercitare a G., mentre i medici locali ricevettro ordine di non rifiutarsi di consultarsi con lui. Ivi, doc. 196.

[38] Ivi,  p. LI,  n. 153.

[39] Ivi, doc. 197-198, 199.

[40] Ivi, doc. 200.

[41] Ivi, p. LIII.

[42] Ivi, doc. 201, 202, 205, 207, 208, 209, 214. Il doc. 201, relativo alla limitazione del soggiorno a tre giorni,  risulta essere stato il primo rinvenuto in materia: cfr. nota 24 della presente voce. Per maggiori particolari sui provvedimenti restrittivi e, al tempo stesso, permessi di soggiorno concessi agli ebrei (in particolare, professanti l’arte medica), cfr. ivi,  p.  LIV.   

[43] Ivi, doc. 214.

[44] Ivi, doc. 216, in cui vengono menzionati  il  rabbino Moyse,  suo genero, Amadeus, il  rabbino Yoshua e il rabbino  Yosef Habendavid o Yosef Abravanel.

[45] Ivi, doc. 223. Sulle ragioni dell’atteggiamento anti-ebraico, in connessione con la crisi storica che attraversava G., vedi ivi, p. LV, nota 164. Sulla testimonianza di Yosef Ha-Kohen che sembra confermare, in parte, il doc. 223, vedi  ivi,  p. LVI,  nota 166.

[46] Ivi, doc. 220. Cfr. ivi, p. LVI.

[47]A Genova venne pubblicata, nel 1516, dal vescovo Agostino Giustiniani una parte della Bibbia poliglotta: Iil Salterio nell’originale ebraico, la Septuaginta greca, la Vulgata latina, il Targum aramaico, con traduzione latina e una versione araba, insieme ad alcune note del Giustiniani. Nessun ebreo, tuttavia, poté partecipare alla pubblicazione di questa edizione, che testimonia dell’interesse dei genovesi per l’ebraismo, ad onta dei dubbi sulla presenza ebraica. Da notare che proprio il fratello del doge, Fridericus Fulgosus, era uno studioso di  cultura ebraica. Cfr. Amram,  D. W., The Makers of Henbrew Books in Italy, pp. 226-227.     

[48] Ivi, p. LX.

[49] Ivi, doc. 239. Dal segno distintivo veniva esentato il  medico Yosef (da identificare probabilmente con Yosef Ha-Kohen (o Sacerdote)  o con il  genero Yosef Habendavid. Ibidem. A riprova, tuttavia, dei rapporti relativamente buoni,  un bambino ebreo, battezzato in segreto, venne restituito alla famiglia, nel 1539. Cfr. Urbani, R. – Zazzu, G.N., op. cit., doc. 249.  

[50] Ivi, doc. 294.

[51] Ivi, doc. 296, 297, 299, 300, 302.

[52] Ivi,  doc. 510, 514. Per tutto il  periodo, cfr. ivi, pp. LXV-LXXI.

[53] Ivi, p. LXXI. Data la particolare situazione governativa e burocratica di G., è difficile reperire documenti che possano chiarire la questione della presenza ebraica. Un dato di fatto è, tuttavia, l’istituzione, nel 1628, del Magistrato della Consegna o Bolletta, incaricato della giurisdizione civile e criminale rispetto agli stranieri, che doveva tenere il registro degli ebrei residenti a G.: tale Magistratura sarebbe stata deputata a dare permessi di residenza agli  ebrei, sino all’epoca napoleonica. Tuttavia, è difficile ricostruire chiaramente l’attività di questa istituzione, dato che non ne sono ancora stati reperiti gli archivi e,  pertanto, gli unici documenti a disposizione sono stati trovati nel corpo di altro materiale documentario. Cfr. ivi, p. CLXIV ; p. LXXIII.   

[54] Oltre all’usuale divieto di uscire di casa nel periodo della Pasqua cristiana, di lavorare di domenica, di avere balie e servi cristiani, veniva, infatti,  decretato nel documento: Che li christiani non intervenghino alle solennità giochi e recreationi de giudei et non giochino con loro ancorche a giochi leciti, ne conversino con loro familiarmente, ne si facciano ne si nominano loro compatri, ne le donne christiane ammettano presso di se donne giudee per belletti o colori o simili vanità, ne li christiani faccino condurre a se li giudei per essere da loro medicati senza nostra licenza o del Vicario, ne essi giudei, benche chiamati, li vadino senza licenza sotto pena de uno scuto per volta. Che li Giudei non siano proposti ad officii ò cure pubbliche et universali, ne tra christiani abbino alcun grado magistrato o superiorità. Ivi, doc. 531. Cfr. ivi, p.  LXXII.

[55] Lo Spinola sosteneva che, dato il cronico bisogno di mercanti e di promotori di attività artigianali, G. dovesse accettare gli ebrei, principalmente per ravvivare i traffici marittimi, avere una fonte creditizia (operante sulla base di un tasso imposto) e per il tributo pecuniario alla Camera che avrebbero potuto dare. Gli ebrei avrebbero dovuto portare il segno distintivo e vivere in un ghetto, chiuso la notte; d’altro canto, il governo avrebbe dovuto tutelarli dall’eventuale ingerenza dell’Inquisizione, alla ricerca dei relapsi. Cfr., ivi, doc. 547.

[56] Ivi, p. LXXV.

[57] Ivi, p. LXXIV.

[58] Ivi, p. LXXVI.

[59] Ivi, doc. 584.

[60] Per i particolari relativi al privilegio del 1655e allevicende che portarono al privilegio del 1658, cfr. ivi, pp. LXXVIII-LXXX.

[61] Ivi, doc. 622. Nei Capitoli, di cui si compone tale documento, venivano garantiti ampio salvacondotto e protezione agli ebrei e alle loro proprietà, anche qualora avessero vissuto altrove sotto nome  cristiano. Inoltre, veniva stabilito di fornire un luogo per la sinagoga e per il ghetto, chiuso nelle ore notturne da una guardia cristiana e nel Giovedì, Venerdì e Sabato santo. Venivano vietate le balie cristiane, salvo speciale permesso, mentre potevano servirsi di ostetriche cristiane e di  personale cristiano a domicilio solo durante il giorno, salvo il sabato, in cui tale personale, se lo avesse voluto, avrebbe potuto pernottare dagli ebrei. Questi ultimi potevano, inoltre, tenere e alloggiare schiavi, purché non cristiani, obbligandosi a venderli in caso di conversione. Veniva concesso, poi, di comprare terreno da adibire a cimitero. I libri ebraici dovevano essere sottoposti al controllo delle autorità, mentre il Talmud era proibito (in conformità con le decisioni del Concilio di Trento), insieme ai libri vietati dalla Bolla di Clemente VIII (1592). Venivano proibiti i  ratti a scopo di conversione prima del tredicesimo atto di età e chi si fosse convertito avrebbe perso il diritto all’eredità familiare e non avrebbe potuto testimoniare in cause ebraiche. Le cause civili tra ebrei potevano essere auto-gestite, mentre quelle con i cristiani erano di competenza della magistratura cittadina. Ogni capofamiglia avrebbe dovuto pagare 1 scudo all’anno anziché gli 8 reali mensili  ( pro capite) stabiliti nel 1636. Il segno distintivo obbligatorio era un nastro verde sul cappello.                    

[62] Ivi, doc. 625, 627, 629, 631, 659. Il testo del nuovo privilgio  è contenuto nel doc. 631.

[63]   Ivi,  doc. 652, 653, 655, 656, 657,  659, 660, 661, 662, 663, 664, 665, 666,  668, 669,  670, 671, 672, 674,677.  Per ulteriori particolari sulla presenza dell’Inquisizione e per l’episodio degli ebrei arrestati, cfr. pp. LXXXIV-LXXXV. 

[64] Ivi, p. LXXXVI-VI; i due Protettori assegnati alla comunità ebraica furono, sino al 1674 i due Governatori Residenti di Palazzo. Ivi, p. LXXXI; cfr. Urbani, R., Gli Eccellentissimi Protettori della Nazione Ebrea a Genova, pp.  197-201.

[65] Urbani, R. – Zazzu, G.N., op. cit., p. LXXXVII, docc. 733, 754, 762.

[66] Ivi, p.  LXXXVIII; doc. 732.

[67] Ivi, p. LXXXVIII.

[68]  Cfr. ivi,  doc. 759, 764

[69] Ivi, doc. 773, 774, 779,  790 sui dettagli della vicenda.

[70] Ivi doc. 816,  p. 420.

[71] Ivi, pp. LXXXIX-XC.

[72] Ivi, doc. 816,  pp. 427-428.

[73]  Nominati  tra i Dogi che avevano appena terminato il loro mandato biennale, i Procuratori sarebbero rimasti in carica quattro anni e avrebbero avuto maggior possibilità di farsi carico dei problemi degli ebrei rispetto ai Residenti,  che si alternavano continuamente ed erano oberati da molti altri compiti. Cfr. ivi, p. XCI

[74] Ivi, p. XCII.

[75] Ivi, p. XCII.

[76] Ivi,p. XCIII.

[77] In connessione con la crisi con la Francia, va segnalato che, nel 1682, la visita di Francesco Pidon de Saint-Olon, inviato in perlustrazione a G. dal re Luigi XIV, suscitò forte malcontento. Oltre all’atteggiamento arrogante del Saint Olon, causò scalpore tra la popolazione il fatto che un uomo del suo entourage – un ebreo spagnolo di Antibes, chiamato Bueno -facessetrucidare un giovane convertito, che aveva preso il nome di Domenico Doria. La vittima era stata uccisa, per errore, al posto di un altro convertito, Giovan Morando, che era l’oggetto di una vendetta familiare da parte del Bueno e l’omicidio dell’innocente Doria indignò i genovesi. Cfr. ivi,p. XCIV; ivi, II, docc. 966, 967.

[78]Un gruppetto di ebrei, data la gravità dei  danni subiti per i  bombardamenti, ottenne un lasciapassare  per tutto il Dominio della Repubblica, inclusa la possibilità di non portare il segno distintivo; altri ricevettero il permesso di stare un mese in città senza il segno; un altro supplicò di ottenere un salvacondotto o moratoria civile, generale e personale per un anno, data la disastrosa situazione economica causatagli dai bombardamenti, chiedendo, in seguito, di estenderlo per un ulteriore anno (a tale petizione si associava un altro ebreo, ugualmente danneggiato dalle bombe). Infine, Raffael Pansier, che aveva fornito di indumenti l’esercito, ricevette un’estensione del permesso di soggiorno per regolare i propri affari. Un altro ebreo, Abraham Zarfatti (Sarfatti) chiese un permesso biennale e denaro in cambio di mostrare un metodo da lui escogitato per trasportare i sassi più rapidamente alla Fortezza della Cava. Cfr. ivi, II, doc. 986, 989, 991, 993, 996, 997.

[79] Ivi, II, doc. 994; del decreto si ha notizia indiretta, a partire da altri documenti posteriori. Cfr. ivi, I , p. XCV,  nota 268.

[80] Ivi ,  pp. XCVI- XCVII, cfr. doc. 1031, 1041.

[81] Vedi al paragrafo “Cimitero”. 

[82] Urbani, R. – Zazzu, G.N., op. cit., II, doc. 1197.

[83] Ivi, II, doc. 1196, 1203. 

[84] Ivi, II, doc. 1239.

[85] Ivi, II, doc. 1254, 1265. Il  nuovo privilegio era più tollerante di quello del 1674: infatti, era abolito l’obbligo di assistere alla  predica forzata e venivano sanzionate pene per chi avesse battezzato i bambini all’insaputa dei genitori, mentre la giurisdizione rabbinica veniva riconosciuta, nell’ambito del ghetto. L’obbligo del segno permaneva e la durata del privilegio era ventennale: qualora l’espulsione fosse stata approvata con tre quarti dei voti del Minor Consiglio, gli ebrei avrebbero dovuto esserne informati con sei anni di anticipo e la Comunità avrebbe dovuto essere agevolata in tutte le operazioni concernenti l’esodo. Per questi  e ulteriori particolari, cfr. ivi, doc. 1258.    

[86] Ivi, II, doc. 1201, 1202, 1586, 1589, 1340.

[87] Ivi, p. CI; ivi, II,  doc. 1672.

[88] Ivi, pp. CIII-CIV.

[89]  Vedi il paragrafo “Demografia”.

[90] Urbani, R.-Zazzu, G.N.,op. cit., II, doc. 1846.

[91] Vedi il paragrafo “Attività economiche”.

[92] Urbani, R-Zazzu, G.N., op. cit.,  p. CV.

[93] Ivi, II,  doc. 1847.

[94] Doc. 1878,  p. 869

[95] Ivi, II, doc. 1878.

[96] Ivi, II, doc.  1879; cfr. Urbani, R., La  riammissione degli ebrei in Genova nel 1752. Il carteggio tra la Repubblica e la Curia Romana,  pp. 573-591.      

[97] Urbani, R. – Zazzu, G.N., II, doc. 1965; cfr. doc. 1195.

[98] Ivi, doc. 1954, 1955, 1956, 1958. La storia della comunità di G., tra il 1769 e il 1776, è registrata  nel Libro delle deliberazioni, che è l’unica fonte che ancora rimane negli archivi della locale comunità. Vedi ivi, p. CVIII, nota 296. 

[99] Ivi, , II,  doc. 2035; per le disposizioni relative alla vita comunitaria, vedi doc. 2047; cfr. p. CX.

[100] Ivi, p. CX;  cfr. ivi, II, doc. 1899,  2132, 2178.

[101]  Ivi, II, doc. 2157, 2160, 2161, 2162, 2164.

[102] Urbani, R. – Zazzu, G.N., op. cit., p. CXI; ivi, II, doc. 2183.

[103]  Ivi, doc, 622,  p. 310.

[104] Ivi , p. 312.

[105] Ivi, II, doc. 1878, 2047.

[106] Ivi, doc. 1265; per ulteriori dettagli  sulla serie di norme in questione, cfr. ivi, pp. 629-634.

[107] Ivi, I, doc. 32, 33, 35, 36, 37, 38, 40,42, 45, 46. Cfr., p. 3  della presente voce. 

[108] Ivi, p. XXIV; cfr. Zazzu, G.N., La biblioteca di Maino giudeo, in  La Berio XXIX, n.1 (1989), p. 46.

[109]  Ivi, p. LXXXVII; vedi anche ivi, doc. 622,  824; II, pp. 1131-1133.

[110]  Ibidem. 

[111] Urbani-Zazzu, op. cit., p. XCIII.

[112] Ivi, pp. C-CI.

[113] Ivi, doc. 687,  697, 698.   

[114] Ivi, II, doc. 1833.

[115] Ivi, p. CVII.

[116] Ivi, pp. LXXXIII-IV.

[117] Ivi, XCI.

[118] Ivi, pp. CI-CIII.

[119] Ivi, II, doc. 1178. La notizia dell’affitto del terreno in questione si evince da un documento posteriore. 

[120] Ivi, II, doc.  1846,  1878. 

[121] Ivi, p. LI, n. 153; J.E., alla voce“Joseph Ha-Kohen”.

Geolocation