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Provincia di Teramo, nell'Appennino abruzzese. L'abitato è disposto sul crinale di un dosso che domina le valli del fosso Siccagno e del torrente Fiumicino e nel XVI secolo divenne per via matrimoniale feudo dei Farnese, che lo tennero sino al XVIII. Nel 1443 era tassato per 563 fuochi.
Il 28 giugno 1463 Pio II confermò ad Abramo di Salomone di Norcia, abitante qui, la licenza di esercitare la medicina tra i cristiani e l’esonero dal portare il segno. Essa era stata concessa ad Abramo da Alfonso I d’Aragona, dopo che era stato esaminato da Gaspare Peregrino, medico del re. Abramo aveva praticato lodevolmente per molti anni la medicina e la chirurgia nel Regno ed era attualmente medico del capitano d’armi Matteo da Capua[1].
Un Manuele de Daniele di C. aveva nel 1489 problemi con Maestro Vitale di Teramo, non riuscendo i due a chiudere i conti in ordine ad un banco di prestito che avevano gestito insieme in quest'ultima città. L'incarico dell'operazione era stato affidato a Consiglio de Mosè e ad Angelo di ser Mele da Ascoli, ma erano già passati quattordici mesi e la vicenda non si era ancora conclusa. Manuele de Daniele ricorse allora presso la Camera della Sommaria, affermando che i due mediatori prendevano a pretesto della loro lentezza l’assenza di un termine entro cui concludere l'operazione. La Sommaria ordinò al capitano di Teramo di scrivere ai due mediatori di redigere i conti entro un mese e, se entro tale tempo non avessero adempiuto al loro ufficio, egli avrebbe conferito l'incarico a due giudei della provincia d'Abruzzo eletti d'accordo con le due parti in causa[2].
Nel 1494 ci fu un intervento della Sommaria a favore di Manuele de mastro Guglielmo, che aveva denunciato di essere stato costretto a contribuire più del dovuto alla tassa che gli ebrei del Regno pagavano annualmente alla Regia Corte. Riguardava forse un eccessivo carico fiscale anche il memoriale inviato nello stesso anno da Gabriele de Bellante, che la Sommaria rinviò al capitano di C. perché provvedesse alla tutela del ricorrente. Sempre nel 1494 la Sommaria ordinò al capitano di Civitella di inviare informazioni intorno a tre giudei di C., di nome Daniele, Vittasio e Matasso, e sul motivo per cui li aveva messi in prigione, in modo da poter provvedere secondo giustizia, essendo essi, per privilegio reale, sottomessi alla giurisdizione della stessa Camera. Nel frattempo, dietro idonea e sufficiente cauzione, egli doveva rimettere in libertà i tre detenuti[3].
Nel 1511 gli ebrei di C. lasciarono la città in forza della prima prammatica di espulsione dal Regno, emanata nel novembre del 1510. Poiché essi erano annoverati con i fuochi locali, l'università ne chiese la cancellazione per non doverne portare il peso fiscale. La Sommaria accolse la richiesta e, ricevute le debite informazioni, intimò al tesoriere provinciale di esigere da C. i contributi fiscali per 607 fuochi e non più per 614. I sette nuclei ebraici partiti erano registrati sotto i nomi di Angelo, Manuel, Moscia, Daniele, Annoe, Salamon e Sabato[4].
Nel 1533 Daniele di mastro Angelo di Montorio e suo cugino Lazzaro di C. ottennero di gestire insieme per cinque anni un banco di prestito a Tolentino[5] e un’uguale licenza, per un banco ad Acquaviva Picena, fu concessa nel 1541 a Dattilo Vitale di C. ed ai suoi soci Emanuele e Benedetto Blondi di Caramanico[6].
Bibliografia
Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Abruzzo (II), in Sefer Yuhasin 3 (1987), pp. 81-90.
Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.
[1]Simonsohn, S., The Apostolic See, pp. 1106-1108, doc. 896.
[2] Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Abruzzo (II), pp. 83, doc. 11.
[3] Ibid., pp. 84-87, doc. 12, 13, 17.
[4] Ibid. p. 89, doc. 21; (III), pp. 12-13, doc. 28.
[5] Simonsohn, S., The Apostolic See, p. 1875, doc. 1624*. La licenza fu rinnovata nel 1543:ibid., p. 2349, doc. 2248*.
[6] Simonsohn, S., The Apostolic See, p. 2225, n. 2036*.