Scandiano

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Scandiano

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Provincia di Reggio Emilia. Posta sul Tresinaro (affluente del Secchia) a 13 km. da Reggio, fu posseduta dal XIII secolo dai Fogliani e, più tardi, fu tenuta dagli Estensi e da questi restituita ai Fogliani, nel 1397. In seguito, venne passata a Feltrino Boiardo, in cambio di Rubiera, necessaria agli Estensi per le comunicazioni tra Modena e Reggio. Dai Boiardo, estinti nel 1553, S. passò ai Thiene, poi ai Bentivoglio, per tornare nel 1643 alla casa d'Este, che la diede in feudo ai propri cadetti.

Il primo documento sulla presenza ebraica a S. è un atto notarile del 1488, in cui Bonaventura di Leuccio da Modena, ed il figlio Picetto ricevono dal rettore della chiesa di S. la somma di 106 fiorini d'oro da restituire entro un anno[1]: dal fatto che questo atto fosse stato redatto nell'abitazione di Bonaventura, si deduce che egli si fosse insediato qui in precedenza. Altri documenti notarili, relativi a Bonaventura, ne attestano l'attività almeno sino al 1495 e testimoniano quella dei figli - Picetto alias Beniamin, Sansone e Vitale – confermando la presenza della famiglia in loco. Una dichiarazione di debito del 1499 con Sansone, menzionato come hebreus fenerator[2] indica l'attività, in cui era impegnato questo primo nucleo ebraico a S., attestata anche da un documento del 1500, relativo al prestito fatto dallo stesso Sansone al Comune per li denari de li soldati franzosi[3].

Risale, poi, al primo ventennio del XVI secolo circa, una supplica di Prigioni et Servadei fratrum filiorum quondam Beniamin noncupati Piceti nec non Moyseti filii quondam Sansonis omnium consortium hebreorum a Leone X per continuare a gestire il banco di S.[4].

Nel 1518 il conte Giovanni Boiardi di S. imponeva a Leucio filio Bonaventurae et Belzigioni filio Picetti[5] di prestare denaro solo dietro pegno, mentre, nel 1520, concedeva il privilegio agli ebrei locali (e, cioè, a Ptigianus o Pitigianus e Servadio, figli di Picetto, e a Mosè, figlio di Sansone e relative famiglie), stabilendo che solo ai supplicanti fosse concesso di tenere banco a S. al tasso di interesse stabilito e permettendo l'esercizio del culto e l'apertura di una sinagoga.

Il privilegio relativo al banco fu rinnovato per altri 10 anni, dopo essere passato già nell'agosto del 1520 a Vitale di Leone da Lodi, e, nel 1547, veniva rinnovato includendovi successori, fattori e agenti, per 9 anni, dietro pagamento di 30 (in seguito 32) scudi al conte.

Nel privilegio del 1547, oltre ai capitoli circa la libertà di culto, erano inclusi quelli sull'acquisto di terreno per seppellire i morti, sull'assenza di qualsiasi segno distintivo e sulla facoltà di comprare e vendere case a S., senza licenza particolare del conte o del Comune. È da notare che in questa sede viene detto esplicitamente che gli ebrei sono stati accolti a S. per fenerarvi non tanto per util loro, quanto per le comodita de' sudditi alle quali nelle loro occorrenze è necessario o per sovenzione, o per mercantie, o per altro, trovar denari[6].

Sempre da documenti notarili apprendiamo che, mentre gli eredi di Picetto continuavano l'attività feneratizia, Vitale da Lodi (morto tra il 1562 e il 1564) ed il figlio Iosef vennero incarcerati, senza specificazione del motivo, nella Rocca di Casalgrande. Verso la fine del XVI secolo, tuttavia, queste due famiglie non vengono più menzionate negli atti, mentre altre si sostituiscono loro nell'attività bancaria: nel 1600 risultava agente del banco di S. Isaia de Oziellis, mentre, già dalla seconda metà del sec. XVI, veniva menzionata la presenza di tale Ventura di Samuele, hebreo de Sonino[7].

Una lettera del 1598 attesta, poi, che nella terra di S. tra gli Ebrei e i Christiani vi e una grandissima familiarita[8].

Per quanto riguarda le conversioni, nel 1546 indulgenze venivano promesse a chi avesse elargito elemosine al neo-convertito Giovanni Battista di S. e famiglia (ridotti in povertà dopo aver rinunciato, convertendosi, al proprio ingente patrimonio), per aiutarli a realizzare il voto di compiere un lungo pellegrinaggio, pronunciato per la salute di un figlio gravemente ammalato[9].

All'inizio del XVII secolo, venivano registrate nuove presenze a S., come attesta una serie di documenti del 1601–1606, in cui i fratelli Isacco, Abram, Giuseppe e Simone Corinaldi, figli del fu Iacob, ebreo ferrarese, figurano come soci del banco tenuto a S. dagli Arietti o Rieti. Quanto a questi ultimi, si trattava dei fratelli Graziadio Rieti, con i figli Angelo e Laudadio, e Vitale Rieti, con il figlio Leone, mentre Angelo Rieti risultava socius et agens Raphaelis Modone bancherii Scandiani[10] nel 1617.

Un documento del 1618, infine, testimonia della presenza a S. di Samuele Benaroi del fu Abraham di Ferrara, sposato con Stella di Leone Tolledano, anch'egli d'origine ferrarese.

Tra il 1664 e il 1667, si stabilì a S. la famiglia Almansi, di probabile origine spagnola[11]. Il capostipite degli Almansi, stanziati a S. era forse Abrahm del fu Samuele, attivo nel prestito e nella compravendita di bestiame e di merci di vario genere.

Abitava, inoltre, a S. nella prima metà del XVII secolo la famiglia Senigaglia che risiedette in loco e tenne banco sin verso il 1656, quando lasciò la località, vendendo la propria casa ad Abraham Almansi. Nel 1695 quest’ultimo prometteva in sposa la figlia Allegra ad Abramo del fu Angelo Resignani, d'origine modenese e, a partire da questa data, viene attestata la presenza di tale famiglia a S.

I rapporti tra la popolazione ebraica e quella cattolica a S. continuarono a mantenersi buoni nel corso dei secoli, come attesta il fatto che Isach di Abramo Almansi, nel primo trentennio del XVIII secolo, stese il proprio testamento nel Convento dei Cappuccini, avvalendosi della testimonianza dei frati.

 

Organizzazione comunitaria

Da un documento del 1786, riguardante il tentativo dell'Università di Modena e di quella di Reggio di assoggettare al pagamento di un tributo, con effetto retroattivo, quella di S., risulta che, sin dal primo stanziamento in loco, essa godette di una totale indipendenza dalle altre Università dello Stato Estense e, pertanto, non partecipò mai al riparto della cifra che esse dovevano pagare alla Camera Ducale, per rinnovare la condotta. In base al suo status indipendente, la Comunità scandianese contribuì in modo autonomo ai tributi ordinari, pagando ogni decennio 25 doppie per il permesso di soggiorno negli Stati estensi[12]. Per quanto riguardava i tributi straordinari, come la regalia per la nascita dei principi primogeniti o spese di qualsiasi altra natura, essa si atteneva, invece, alla quota stabilita da Modena e Reggio[13].

Una serie di documenti degli anni 1790–1792, periodo in cui era rabbino di S. Mattatia Padovani, ci informa che: Nel 1741 incomincio a formarsi la forma di Kahal Kadosc (santa comunità) formando il va-ad (consiglio) e li memmunim (fiduciari, incaricati) ed altre regole, mentre in un altro punto viene detto: Le costituzioni furono formate da tutti li paganti in numero di sette da osservarsi da loro e loro discendenti nel giorno 4 aprile 1741 e poscia nella congregazione tenuta nel di 25 maggio, anno suddetto, fu destinata la cassella per l'anno 1746[14]. In caso di divergenze tra i contribuenti, risulta che si facesse ricorso all'arbitrato del rabbino di Reggio, Israel Biniamin Bassani, ma, una volta, fu arbitro il rabbino di Modena, Sinigaglia, in villeggiatura a S.

Per quanto riguarda l'organizzazione dell'istruzione, soprattutto religiosa, dei ragazzi, che era molto curata, nel 1778 è attestata nel corpo insegnante la presenza, sicuramente non eccezionale[15], di una donna, tale Regina che faceva la maestra di Scandiano[16].

 

Attività economiche

Nel 1520 gli ebrei erano autorizzati a fenerare a 6 denari per ogni lira e a 2 denari per i prestiti da 10 soldi in giù[17]. Oltre ad essere attivi nel prestito, essi si occupavano di concia delle pelli, con conseguente vendita di articoli di pelle e, in particolare, di scarpe[18]. In aggiunta a queste attività, è attestato un esempio di arbitrato ebraico[19].

Nel 1741 un ebreo di Reggio, subconduttore dell'appalto del bollo del corame di S., cedette in subaffitto ai fratelli Iesi, trasferitisi da S. Martino d'Este a S., il dazio del bollo dei corami e pelli di una serie di località della zona, implicante il permesso di vendere tutte le pelli (non conciate) che avrebbero raccolto. Quanto alla concia delle pelli, continuò ad essere praticata sino al secolo XIX.

Nel 1706 fu concesso in sublocazione per il Marchesato di S. l'appalto dell'acquavite e tabacco a Prospero di Iacob Corinaldi, rinnovato nel 1709.

Inoltre, nello stesso Settecento è abbondantemente attestata l'attività di svariati ebrei come conduttori dei beni feudali: nel 1762 Emanuele Almansi, conduttore dei mulini del marchesato, si offrì di macinare le biade ad uso del panificio e nel 1773 Giuseppe Corinaldi venne prescelto per mantenere fornita la piazza di tutte le sorti di farina, nonostante il suo essere ebre o e in considerazione del fatto che lo si è fatto altre volte e l'anno successivo tale incarico gli fu rinnovato.

Nella seconda metà del XVIII secolo, si intensificò da parte degli ebrei scandianesi anche l'investimento di capitali in beni immobili: risale a questo periodo il formarsi di un notevole patrimonio di beni immobili nelle famiglie Almansi e Segre.

Quanto all'attività dei banchi feneratizi, fu abolita nel 1767 in tutto il dominio estense.

 

Demografia

Rimonta al 1753 il primo elenco affidabile della popolazione ebraica di S., da cui risultano essere vissute, all'epoca, 14 famiglie (tra cui Almansi, Corinaldi, Beneroi, Foa, Resignani, Rimini, Segre) per un totale di 67 persone. Nel 1758 erano registrate a S. 13 famiglie, per un totale di 68 persone, numero che, tuttavia, può essere innalzato approssimativamente a 78[20]. Nel 1760 si trovavano 72 ebrei, suddivisi in 16 famiglie e nel 1767, Abram Vitta Beneroi, massaro di S., dichiarava esservi 109 ebrei, compresi i servienti e le creature da latte[21].  Nel 1770, infine, si raggiungeva il numero di 112[22].

 

Quartiere ebraico

A S. non vi fu un ghetto vero e proprio, ma le abitazioni ebraiche erano raggruppate intorno alla Rocca, dove era sita anche la sinagoga, e nei tre isolati di case, separate da viuzze dette "Contradelle": tutto il complesso veniva chiamato "ghetto" e gli ebrei difficilmente potevano acquistare case fuori da questa area, anche se la sua vicinanza rispetto alla sede dei feudatari è stata interpretata come segno della protezione accordata da essi alla Comunità ebraica[23].

 

Sinagoghe

In un atto del 1623 Raffaele Modona chiese al "Serenissimo Principe" di poter trasferire la sinagoga in una nuova casa, dal momento in cui era stata venduta quella in cui vi era la sinagoga precedentemente. La supplica fu accolta, dietro pagamento di lire 18.

Nel 1664–1667 la famiglia Almansi, recentemente insediatasi a S., dopo essere entrata in conflitto con la famiglia Beneroi per la gestione della sinagoga, ne aprì una nella casa di Isacco di Abraham. Nel 1740 fu inaugurato il nuovo tempio, celebrato dai versi del Segre, ma, divenuto in seguito troppo piccolo, fu sostituito con uno più grande nel 1781, sempre sotto l'egida degli Almansi[24].

 

Cimitero

Probabilmente esistito sin dal XV secolo, anche se il primo documento rimastoci attestante il permesso di acquistare della terra ad uso cimiteriale risale al privilegio del 1547, concesso dal conte Giulio Boiardo all'ebreo Vitale ed ai suoi successori. Il cimitero stesso viene menzionato per la prima volta in un documento del 1633, mentre un altro riferimento in questo senso, si trova in un atto di vendita del 1646, relativo a terra per sepoltura ceduta da Lodovico Cuppini alla famiglia Beneroi[25].

 

Dotti e rabbini

Nel secolo XVIII figura come autore di opere manoscritte a S. Meir Almansi, mentre tra il XVIII e il XIX secolo troviamo Jehoshuan Benzion II ben Binjamin, autore di molte opere, per la maggior parte inedite[26]. Tuttavia, la figura di maggior spicco del ‘700 fu Salvador (Joshua) Segre (c. 1705-c. 1797): originario di Casale Monferrato, nipote di un sabbatiano di un certo rilievo, il Segre venne insignito del titolo rabbinico dalla yeshivah di Mantova, dove fu allievo del rabbino Jehudah b. Eliezer Briel, da cui ereditò lo spirito polemico nei confronti del cristianesimo[27]. Dal 1735 o 36 fu attivo a S. come maestro per i bambini (melammed tinokot) e, più tardi, come rabbino. Nel 1740 entrò in conflitto con la Comunità di Mantova per la censura esercitata dal rabbino Aviad Sar-Shalom Basilea al suo volumetto di poesie, Kol Omrim Hodu, scritto in occasione dell'inaugurazione della nuova sinagoga di S.[28].

Il De Rossi attesta che egli fu l'autore di varie opera inedite, tra le quali una confutazione della religione cristiana, Asham Talui, composta quand'era molto giovane, disapprovata dal De Rossi per lo spirito critico mostrato verso il cristianesimo, non suffragato da basi sufficienti, come egli metteva in rilievo sottolineando che le critiche del Segre contro l'inesattezza della traduzione della Vulgata, erano mosse ad onta della sua scarsa conoscenza del latino[29].

Autore, tra l'altro, di un libretto di Regole certe per riconoscere i tempi e le persone nella santa lingua regolata dal rabbino Salvador Segrè e della Oratione purgata (traduzione, talvolta in versi, di alcune principali preghiere e di molti Salmi, ad uso di coloro che non potevano seguire il testo ebraico del Siddur) inoltre compose un opuscolo, Kerovot (Poesie liturgiche supplemetari) da cantarsi a Simkhat Torah e diverse poesie in occasione di nozze e funerali[30].

 

Bibliografia

AA.VV., Cultura ebraica in Emilia-Romagna, Rimini 1987.

Asaf, S., L'educazione ebraica in Italia nel Medio-Evo, in RMI XX, 3 (1954), pp. 51-57.

Balletti, A., Gli ebrei e gli Estensi, Reggio Emilia 1930.

Ghirondi, S.- Neppi, H., Toledot Ghedolei Israel be-Italia, Trieste 1853.

Margini E., Informazione legale per l'Università degli ebrei di Scandiano sopra l'articolo di declinatoria del foro dell'ebraica modenese Università e remissione di causa al Supremo Consiglio nanti l'Eccelsa Consulta, Modena 1786 (Documento di proprietà privata).

Mortara, M., Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, Padova 1886.

Padoa, L., Storia di una piccola comunità ebraica: Scandiano, in RMI XXXIII, 1 (1967), pp. 30-41; XXXIII, 10 (1967), pp. 442-456.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.

Simonsohn, S.,  History of the Jews of the Duchy of  Mantua, Jerusalem 1977.

Wilensky, M. Identification of a Manuscript and ascertainment of its data, in JQR XXXVIII (1947–48), pp. 189-196.


[1] Archivio di Stato di Reggio Emilia (A.N.) Mattacoda Tommaso, I 170 n.138 citato da Padoa, L., Storia di una piccola comunita ebraica: Scandiano, p. 32.

[2] Ibidem.

[3] Ivi, p. 33.

[4] Balletti,  A., Gli ebrei e gli Estensi, pp. 67-68, n. 1.

[5] Padoa, L.,op. cit., p. 33.

[6] Ivi, p. 35.

[7] Ivi, p. 35.

[8] Balletti, A., op. cit., p. 451.

[9] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, Vol. VI, Documents: 1546–1555, doc. 2596.

[10] Ivi, p. 36.

[11] Nell'elenco degli ebrei d'origine spagnola, portoghese e tedesca, venuti a stanziarsi nello Stato Estense, sino al 1657, non compare la famiglia Almansi; può darsi, dunque, che gli Almansi fossero giunti poco dopo la redazione di quest'elenco o che facessero parte di quel flusso di ebrei venuti a stabilirsi nel Ducato di Modena, alla metà del XVII secolo.

[12] Un contrasto sembra essere sorto rispetto al destinatario della somma - il feudatario del marchesato oppure la Serenissima Camera - posto che la Comunità di S. dovette pagare due volte 75 doppie per tre decenni, avendole una volta percepite indebitamente il feudatario, il Marchese De' Mari, come risultò da una causa vinta dalla Comunità, anche se "con totale discapito delle spese" (Padoa, L., op. cit., p. 455).

[13] Informazione legale per l'Università degli Ebrei di Scandiano sopra l'articolo di declinatoria del foro dell'ebraica modenese Università e remissione di causa al Supremo Consiglio nanti l'Eccelsa Consulta, Modena, 1786 (documento di proprietà privata); Padoa, L., op. cit., pp. 454-455.

[14] Ivi, p. 448.

[15] Cfr. Asaf, S., L'educazione ebraica in Italia durante il Medioevo, pp. 51-57.

[16] Padoa, L., op. cit., p. 456, n. 124.

[17] Ivi, p. 34. Il Padoa, nel fornire questi dati, non riferisce ulteriori particolari per chiarire l'entità del tasso d'interesse.

[18] Il fatto che svariati ebrei di S. avessero botteghe in cui si vendevano pellami e scarpe, aveva sollevato, nella prima metà del XVIII, problemi di Halakhah, rispetto alla vendita di sabato. Cfr. Wilensky, M., Identification of a manuscript and ascertainment of its data, pp. 189-196.

[19] Si tratta dell'attività di un Beneroi di S. come calculatore per la Comunità di Montebabbio rispetto alle somme pretese dalla Camera Ser.ma di Modena per le contribuzioni degli anni 1643–44. Cfr. Padoa, L., op. cit., p. 452.

[20] Infatti, di due famiglie sono menzionati solo i cognomi, senza indicazione del numero dei componenti, dando adito alla valutazione approssimativa di dieci membri da aggiungere al conteggio globale della popolazione scandianese. Padoa, L., op. cit., p. 449.

[21] Ivi, p. 449.

[22] Ivi, p. 449.

[23] Ivi, pp. 450-451; AA.VV., Cultura ebraica in Emilia-Romagna, p. 29.

[24] AA.VV., op. cit., p. 66; Padoa, L., op. cit., pp. 443-445.

[25] AA.VV., op. cit., p. 100; Padoa, L., op. cit., p. 40.

[26] Mortara, M., Indice, p. 3 e p. 61. Su Yehoshuan Benzion Segre, v. Ghirondi, S. - Neppi, H., Toledot, p. 207; per il ruolo di spicco che ebbe in epoca posteriore a quella trattata da noi, cfr. Artom, M., E., J.E., alla voce "Segre Salvatore (Joshua Benzion)".

[27] De Rossi, E., Bibliotheca Iudaica antichristiana, pp. 106-107, citato da Padoa, L., op. cit., p. 41; Simonsohn, S., Mantua, p. 84.

[28] Simonsohn, S., ivi, p. 693.

[29] Secondo il De Rossi, nella stessa opera il Segre polemizzava anche contro la Via della fede del noto neofita d'origine marrana Giulio Morosini, mentre aveva preso parte ad una disputa, ad Acqui, con lo Zeccati, intorno all'oracolo di Giacobbe. Cfr. Padoa, L., op. cit., p. 41.

[30] Padoa, L., op. cit., pp. 442-445.

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