Reggio

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Reggio

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Capoluogo di provincia. Posta nella Pianura Emiliana, attraversata dalla Via Emilia e con il Crostolo che scorre nelle sue vicinanze a occidente, fu una colonia fondata verosimilmente nei primi anni del secolo II a C. da M. Emilio Lepido, con il nome di Regium Lepidi. Sotto i Longobardi divenne un ducato di confine e, dopo varie vicende, in pieno Medioevo divenne un Comune che, nel 1290, passò alla signoria di Obizzo d'Este. Crollata la signoria d'Este, nel 1306, si ebbe un succedersi rovinoso di governi, sinché, nel 1335, R., arresasi a Mastino della Scala, venne consegnata ai Gonzaga di Mantova, che, nel 1371, la vendettero a Bernabo Visconti. Con lo sfasciarsi del ducato di Gian Galeazzo Visconti, nel 1404, R., passò a Ottobono Terzi e, alla sua morte nel 1409, a Niccolo III d'Este. Salvo il breve dominio papale dal 1512 al 1523, fu sotto la signoria estense e nel 1598, ceduta Ferrara al Papa, R. rimase, con Modena, a far parte del Ducato sino al 1796, quando, alla venuta del Bonaparte, fu dichiarata la Repubblica Reggiana (confluita, nel congresso di R. del dicembre 1796, nella Repubblica Cispadana).

Quattro anni dopo il passaggio di R. alla Casa d'Este, abbiamo la prima traccia di uno stanziamento ebraico, quando Muso di Luguzo, il 30 luglio 1413, stipulò con il Comune i capitoli relativi all'esercizio dell'attivà feneratizia, comprendenti anche la libertà di esercitare il culto, sia pure in loco privato et non in loco publico[1], il diritto di acquistare in città un terreno per seppellirvi i morti e quello di possedere immobili[2]. Dieci anni più tardi, morto probabilmente Muso di Luguzo, gli Anziani rinnovarono i patti con Musetto di Manuello, imponendogli, tuttavia, condizioni piu restrittive, mantenute anche con il figlio di Musetto, Manuele, che chiedeva, nel 1432, la riconferma dei patti per quindici anni.

Nel 1436 Manuele di Musetto e David di Magister Salomone di R. ricevettero un salvacondotto per visitare la corte papale e per viaggiare nei territori della Chiesa e l'anno seguente il primo ebbe un altro salvacondotto analogo.

Verso gli anni Quaranta del secolo XV, due famiglie risultavano risiedere a R. e la loro presenza implicò la concessione del permesso della macellazione rituale, accordato sia pure non senza difficoltà.

Morto Manuele, il fratello Zinatano[3] nel 1447 ottenne dal Duca Lionello il monopolio del prestito per R. e diocesi e fino a 12 miglia dal dominio estense.

Nel 1448 Papa Nicola V concesse Lionello d'Este di Ferrara il permesso di ospitare feneratori ebrei nei suoi territori, insieme all'assoluzione per lui e per i suoi predecessori che avevano permesso il prestito ebraico nei loro domini e tale concessione fu, poi, confermata a Borso d'Este nel 1451[4].

Negli anni Sessanta del secolo, dopo i prestiti forzosi concessi dagli ebrei, nel 1445 a Lionello d' Este e al Comune, l'insolvenza di quest'ultimo guastò i rapporti con Zinatano. Questi ebbe a subire numerose vessazioni, protette se non addirittura ispirate dal Comune, culminanti con l'uccisione nel 1473 del figlio Abram per mano di tale Gasparo di Luca della Barba o dei Busanchi, probabile connivente dei ladri che, qualche tempo prima, avevano depredato la casa di un altro figlio di Zinatano, David. L'omicida fuggì nel ducato di Milano, ma, per intercessione del Duca di Ferrara, fu ricondotto a R., dove fu giustiziato nel 1474, nonostante l'opposizione del Comune.

Nel 1477 nuovi capitoli vennero stipulati tra R. e il banchiere Zinatano, insieme alla grida: che niuno gli facia iniuria ni faza fare per alcun modo[5].

Per quanto riguarda l'atteggiamento dei religiosi cristiani, risulta che, sin dal 1452 un monaco, Giovanni da Prato, avesse predicato contro l'usura, suscitando fermenti tra la popolazione; nel 1478, poi, il domenicano Giovanni da S. Miniato aizzò i cittadini contro gli ebrei, rifacendosi, tra l'altro, al presunto omicidio rituale di Simoncino da Trento del 1475. Contro l'usura ebraica si era scagliato anche Bernardino da Feltre nelle sue tre visite a R., nel 1476, nel 1482 e nel 1486 e gli faceva eco la predicazione di Domenico Ponzone, dei Frati Minori Osservanti.

Quanto alla Santa Sede, nel 1456 nominò il Francescano Ludovico di Vicenza esattore delle tasse e delle decime nei dominii estensi. Nonostante il clima anti-ebraico, il Comune di R. nel 1479, per saldare i debiti contratti, aveva dovuto cedere a Zinatano l'ufficio di massarolo, per ottenere che rinunciasse a riscuotere gli interessi che gli sarebbero spettati e perché finanziasse la condotta di un maestro sive poete[6].

Alla morte di Zinatano, tra il 1484 e il 1487, i capitoli di prestito passarono a suo figlio Giuseppe, ma pochi anni dopo (1493) fra' Simone Donzelli si fece promotore dell'istituzione di un Monte di Pietà a R., sfruttando anche la minaccia delle peste: l'anno successivo, il Monte fu fondato con l'autorizzazione del Duca e la raccomandazione a evitare qualunque cosa trista[7] nei confronti degli ebrei.

Anche a seguito della creazione del Monte, però, gli ebrei continuarono a fenerare a R., servendo soprattutto il Comune che, facendosi forte della concorrenza del Monte, poteva cercare di strappare condizioni di prestito più vantaggiose.

Nel 1450, intanto, gli israeliti erano stati obbligati al segno, mentre nel 1437–38 li si era dichiarati liberi di farne a meno: nel 1497, probabilmente sotto l'influsso di un frate predicatore, il Consiglio cittadino lamentò l'assenza del segno distintivo ebraico e nel 1498 fu imposta, con decreto ducale, la berretta gialla. Contro la mancata applicazione della normativa circa l'obbligo del segno protestarono, però, i consiglieri cittadini già nel 1505, mentre l'anno successivo il Consiglio decise di fare pressioni sul Duca perché revocasse un editto in favore degli ebrei ed a danno del dazio della beccheria (nel 1500 e nel 1505, i consiglieri avevano gia ottenuto la proibizione della vendita della carne macellata ritualmente alla popolazione cristiana)[8].

Nel 1508, infine, agli ebrei fu proibito di esercitare l'attività feneratizia durante le feste cristiane, con conferma ducale nel 1510 e nel 1511.

Per quanto riguarda i rapporti con la Santa Sede, il nunzio papale e commissario nel 1503 rilasciò un attestato relativo alla cifra che gli ebrei avevano concordato di pagare, come acconto sulla vigesima e come ammenda per ogni reato e fraude commessi, in particolare in connessione con la vigesima stessa. In quest'attestato venivano menzionati, tra l'altro, i banchieri prominenti del Ducato estense, tra cui Beniamino Giuseppe Finzi di R.

Per quanto riguarda le conversioni, dal 1508 se ne verificarono una serie, al ritmo di circa un paio all'anno, favorite anche dalle generose elargizioni fatte ai neofiti: tale situazione si protrasse nei decenni, sino a provocare, nel 1572, il tentativo della Comunità ebraica di prendere dei provedimenti per impedirle e continuò anche nel XVII e XVIII secolo, dando origine, spesso, ad abusi "conversionistici" da parte della Chiesa[9].

Durante il breve periodo in cui R. fu sotto il dominio papale, dal 1512 al 1523, è da segnalare il rigido divieto imposto nel 1516 di esercitare il prestito nei giorni di festa, accompagnato dall'ingiunzione alle autorità locali di garantirne il rispetto.

Nel 1529, Vincenzo Cavina (Canina) ricevette istruzioni per la punizione degli ebrei che avevano fenerato a R. senza autorizzazione e per l'esazione della vigesima. Nel 1534 fu incaricato dell'esazione della vigesima Luca Thomasinus e nel 1537 Franciscus Corthesius.

Lungo l'arco del Cinquecento, nonostante vi fossero motivi di attrito e lagnanze nei confronti della presenza ebraica la città continuò ad assicurare protezione ai banchieri contro le eventuali violenze di cui avrebbero potuto essere vittime e contro le indebite richieste papali, come quella di cui si voleva gravare Salomone Finzi, cui si opposero gli Anziani.

Nel 1544, nel 1553, nel 1554 e nel 1557, il Comune prese a prestito dagli ebrei, senza interesse, il denaro necessario per opere di pubblico interesse e, sempre senza interesse, nel 1567 il banchiere Lazzarino Foà prestò una notevole somma di denaro per l'acquisto di doni al Duca.

Ad onta delle tensioni anti-ebraiche e dell'istituzione del Monte, la popolazione ebraica di R. era intanto aumentata, in parte anche grazie all'afflusso nel Ducato estense degli espulsi dalla Spagna e dal Portogallo, tanto da provocare nel 1555 la decisione dei rappresentanti della cittadinanza, in base alla quale gli ebrei avrebbero potuto acquistare immobili solo con il permesso congiunto degli Anziani e del Consiglio generale (come di fatto avvenne in alcuni casi, attestati dagli atti consiliari della seconda metà del XVI secolo).

Quanto ai rapporti con la Chiesa, va rilevato che già nel 1555 il senese Jacopo Giraldini, neofita, si era presentato al vescovo di R. per rivedere i libri ebraici, stabilendo che per questa sua prestazione gli fosse dato dalle Università ebraiche soggette alla Santa Sede un compenso di ducatos centum nonaginta auri in auro de Camera in singulos annos[10].

Nel 1611 a R. furono processati come possessori di libri ebraici contrari alla religione cristiana due ebrei, condannati, poi, da Roma a una pena pecuniaria; nel 1630, probabilmente su istigazione del revisore, vennero sequestrati a R. tutti i libri ebraici, mentre il Santo Uffizio stabilì, in seguito, che essi fossero restituiti agli ebrei, salvo gli scritti sospetti di contenere formule magiche, di cui il Vescovo dichiarava voler sapere se gli ebrei che li possedevano hanno usato gli incanti che si trovano fra le loro scritture[11].

Sempre nello stesso anno, la peste infieriva, provocando l'apertura di un lazzaretto per gli ebrei fuori della porta S. Stefano, e dando occasione ad una serie di battesimi di minori di sette anni, somministrati con il dolo e alla sottrazione dei bambini, sopravvissuti all'epidemia, alle famiglie ebraiche per allevarli cristianamente[12].

Risalgono al 1632 i capitoli et regole per la casa de' Catecumeni di Reggio[13] cui si dovettero molte conversioni[14].

Nel XVII secolo le condizioni di vita degli ebrei stanziati da tempo a R. erano venute deteriorandosi, a causa della situazione politica e della gestione economica che caratterizzava il Ducato: tuttavia, poco dopo la metà del secolo, vi fu una seconda immigrazione di spagnoli, portoghesi e tedeschi che, favoriti dagli Estensi con la speranza che risollevassero la situazione economica, si erano stabiliti in varie località del Ducato.

Nel 1669 la reggente del Ducato di Modena e Reggio, Laura Martinozzi, emanò il decreto con cui venne istituito il ghetto, ricavato dalla separazione di quattro vie. Nel recinto del ghetto si trovavano due ospedali per i poveri, una Scola Tedesca e una italiana, una scuola machile ed una femminile e numerosi maestri con i relativi allievi, tra cui, Angelo Carmi, i cui 17 studenti spiccavano per tumulto e romore... e loro audacia come di presente sono li figlioli[15].  Dal censimento del 1717, si rileva che , nel ghetto, vi erano 100 proprietari di immobili, di cui 59 conproprietari per la cazagà con altri ebrei e, in rari casi, con concittadini cristiani. Dal Catasto estense del 1786–87 risultavano, poi, 123 proprietari, mentre lo jus cazaga non veniva più menzionato.

Per evidenziare lo sviluppo della Comunità ebraica reggiana è rilevante sottolineare la presenza di svariati edifici pubblici: 6 edifici di proprietà della Compagnia di Carità ebraica e 5 dell'Università, di cui uno destinato alla Scuola spagnola e l'altro alla Scuola Grande Italiana, nonchè il progetto di costruzione di un ospizio per gli ebrei poveri, dopo la demolizione del filatoio e torcitoio che era stato, dal 1715, di proprietà degli Ottolenghi e, più tardi, di David Vita Padoa.

Tra le maggiori riforme dello Stato estense, va ricordata quella di sostituire alla vecchia legislazione statutaria un corpus di leggi unico per tutto lo Stato e per tutti i cittadini, che fu reso pubblico nel 1771: in questo nuovo codice non si distingueva tra ebrei immigrati e oriundi ed il problema della cittadinanza veniva sfiorato solo incidentalmente, all'articolo in cui si concedeva agli ebrei libertà di professione, mentre le altre restrizioni rimanevano inalterate.

La simpatia degli israeliti verso le idee della rivoluzione francese è provata da alcuni documenti del 1792, tra cui una lettera in cui veniva comunicato al governatore di R. di convocare i capi dell'Accademia ebraica perche vigilassero sui membri della Comunità, ammonendoli che nelle presenti circostanze si debbono ritenere come persone che hanno diritto di essere osservate più degl' altri, ma non privilegiate più degli altri[16].

Con l'occupazione francese del 1796, gli ebrei furono temporaneamente emancipati e la Municipalità di R. deliberò l'abbattimento dei portoni del ghetto[17].

 

Demografia

Nel 1669 la comunità reggiana risultava costituita da 142 famiglie con 782 bocche: i dati furono successivamente corretti, portando al risultato di 156 famiglie per un totale di 867 persone[18].

Dati precisi riguardo gli anni successivi non  sono attualmente disponibili e, pertanto, le indicazioni circa la crescita demografica sono deducibili solo dal catasto degli immobili. Dal censimento del 1717 risultavano, nel ghetto, 100 proprietari di immobili, mentre nelle denunce per la formazione del Catasto estense del 1786–87, a riprova del notevole incremento, figuravano 123 proprietari e non si faceva piu menzione dello jus cazagà[19].

Dopo l'epidemia del 1735, che colpì molti abitanti del ghetto, il numero degli ebrei di R. era ovviamente notevolmente diminuito, anche se le cifre precise non sono disponibili[20].

 

Attività economiche

Gli ebrei stanziatisi all'inizio del XV secolo a R. erano feneratori, che prestavano al 20% per prestiti oltre le 12 lire e al 30% per prestiti sino a tale somma. Durante la condotta di Manuele di Musetto fu istituito il massarolo dei pegni (incarico prima riservato ai cittadini, ma, in seguito, passato agli ebrei come palliativo per prolungare il tempo utile per la riscossione dei pegni e favorire la popolazione contro i diritti del feneratore). A favorire i sospetti che si addensavano contro chi gestiva il prestito risultava, però, anche l'abitudine di tenere i registri in lingua ebraica che implicava, tra l'altro, l'intervento di un traduttore di fiducia del Comune.

Nel 1479 l'ufficio di massarolo dei pegni passò a Zinatano per 15 anni.

Nel XVI secolo, oltre all'attività feneratizia, gli ebrei presumibilmente si dedicavano anche al commercio (come attesta un caso di bottega ebraica a R.) e, a partire dal 1577–1588, alla produzione vinicola, secondo quanto risulta dalle sedute del consiglio comunale, in cui, fra l'altro, si discuteva del permesso di aggiungere ulteriori finestre alle proprie abitazioni per illuminare la cella vinaria, da concedere a alcuni ebrei.

All'inizio del XVII secolo, la situazione economica degli israeliti oriundi di R. languiva, tanto che, nel 1608, essi dichiaravano: da tre capi in poi... tutti gli altri sono poveri[21].

Dopo il 1669, dalle carte della Congregazione per il ghetto, risulta l'esistenza di una sessantina di commercianti, di cui la metà erano stracciai, merciai e scavezieri (venditori di scampoli di tela). Seguivano, poi, drappieri, venditori di cordelle, di granaglie e di biade, di grassi, di ferrarezze e proprietari di fondachi. Inoltre, vi erano tre botteghe di seta e tre di orsoglio, due fabbriche di drappi e cordelle e di calzetti (quest’ultima di un ebreo olandese, tale Pinchas Netto che, nel 1665, aveva introdotto l'arte di lavorare le calze di seta in telaio all’inglese).

Infine, vi erano un'osteria, il negozio di un sarto, il forno per azimelli, gli alloggi per ospitare i forestieri e il banco feneratizio. Più tardi, vi sarebbe stata aperta anche una beccaria.

Nel 1786 era, poi, attiva la filanda di seta di tale Isac Sacerdoti e dai rogiti notarili sappiamo che vi erano una ventina di esercizi comerciali di medio-piccole dimensioni e svariate piccole botteghe artigiane, in numero non inferiore a quello risalente all'epoca dell'istituzione del ghetto.

Tra il 1717 e il 1786–87, le fonti archivistiche attestano la presenza di molti insediamenti produttivi ebraici siti fuori dal ghetto. Già nel 1725 erano di proprieta ebraica un mulino e un filatoio, nei pressi del cimitero di via Tiratora, e, poco lontano, vi era un altro filatoio con annesso torcitoio, mentre, già nel 1715, la famiglia Ottolenghi era proprietaria di un filatoio e un torcitoio, poi demoliti. Inoltre, sulla via Emilia, confinante con il Pio Albergo degli Orfani, si trovava il filatoio di Abramo Vita Fano, in cui lavoravano 17 operai, in gran parte cristiani. Infine, a sud della via Emilia, vi erano 8 filatoi di proprietà ebraica, gestiti, in molti casi, congiuntamente da imprenditori ebrei e cristiani.

Quanto all'attivita feneratizia ebraica, essa continuò ufficialmente sino al 1767[22].

 

Luoghi di culto

La prima condotta ebraica, nel 1413, permetteva l'esercizio del culto in forma privata e, infatti, esso ebbe luogo in oratori privati. Alla metà del secolo XV, Zinatano tentò di fondare una sinagoga e, condannato dall'Inquisizione, scampò al castigo solo per intervento del Duca. All'inizio del XVII secolo, i banchieri Foa avevano tre oratori con permesso ducale di aprirne un quarto e, in ragione di cio, si opponesero all'iniziativa di quei correligionari che chiedevano l'apertura di una sinagoga ad uso loro a publico benefitio d'Hebrei poveri[23].

In seguito alla Bolla di Pio V del 1555, gli ebrei potevano avere una sola sinagoga nel ghetto e, pertanto, dopo l'istituzione di quest’ultimo, dovettero rinunciare ai vari edifici di culto che avevano in città; nel 1672, fu demolita la sinagoga maggiore o Offizio grande, sita fuori del ghetto, e ricostruita all’interno di esso, in via dell'Aquila.

Nel 1731 vi era una sinagoga degli Spagnoli, in via San Rocco, seguita da altre tre[24].

 

Cimitero

Nel 1480, alla conferma dei capitoli tra il Duca e il feneratore Zinatano, veniva confermato anche il "possesso dell'orto per la loro sepoltura";[25] nel 1550, l'Universitא

israelitica reggiana ottenne il permesso di recintare con un muro l'orto in questione, che risultava essere in via Tiratora. Nel 1676, dato il notevole aumento della popolazione ebraica, l'Universitא ottenne una nuova area cimiteriale in Borgo Emilio.[26]

 

Vita culturale

Tra le figure di un certo rilievo, nel XVI secolo, vi era Yitzhak Foa, suocero di Menahem Azariah da Fano. Nel XVI-XVII secolo si ricordano Hizkyah ben Yitzhak Foa e Yehiel ben Yitzhak Foa, mentre tra gli autori di manoscritti seicenteschi compaiono Barukh Abraham Foa e Immanuel Sonino e, tra le figure di maggior spicco, troviamo Eliezer Nahman Foa, rabbino e cabbalista, discepolo di Menahem Azariah da Fano, rabbino capo del Ducato di Modena. Egli fu tra i promotori della pubblicazione del commento alla Haggadah pasquale, Midrash be-Hiddush (iniziata a Venezia nel 1641) e fu autore del commento filosofico-cabbalistico al Pentateuco, Goren Ornan.

Da menzionare è, infine, Elkhanan David Carmi, che compare anche nel Gvul Benyamin di Benyamin ben Eliezer ha-Kohen Vitale. Quest'ultimo, insegnò nella yeshivah di R., in cui si era trasferito, dopo il 1682: allievo di Mose Zacuto, il Vitale fu uno dei maggiori esponenti della Qabbalah luriana in Italia e seguace del sabbatianesimo. Di lui ci restano svariate opere[27].

Tra le altre figure di qualche rilievo, non dobbiamo poi dimenticare Israel Salomon Lenghi e Mordekhai Provenzal, ricordato nell'Epistolario di Mosè Zacuto.

Nel XVIII secolo fu rabbino a R., dopo esserlo stato in altre località del Ducato, Isaia Bassan (Bassani), prolifico autore opere, tra cui, poesie, lettere, glosse talmudiche, responsi, in parte manoscritti, in parte pubblicati nell'opera Todat Shelamim II del figlio e nel Pahad Yitzhak di Isacco Lampronti[28]. Il figlio del Bassan, Israele Beniamino, fu autore, tra l'altro, di responsi, poesie e di un commento, Perure Lekhem, al testo Egle Dal del padre.

Fu, inoltre, rabbino a R. nella seconda metà del secolo, Yeshayah ben Yosef Hai Carmi, di cui si ricorda almeno un responso. Sempre nel XVIII secolo, troviamo tra gli autori di scritti, pubblicati postumi[29], Yehudah Hayyim Fontanella, Israel Berakhyah Fontanella e, tra il XVIII e il XIX secolo, Abraham Mikhael Fontanella.

Tra il XVIII e il XIX secolo, figura di grande spicco fu quella del reggiano Mosè Beniamino Foa: bibliofilo e provveditore della biblioteca centrale estense di Modena, egli donò alla Comunità di R. la biblioteca di Israele Beniamino Bassan, che aveva acquistato, scrisse una grammatica ebraica e copiò con grande perizia svariati manoscritti ebraici[30].

 

 

Bibliografia

Artom, E., I portoni del ghetto, in RMI XVI (1950), pp. 291-309;.

Balletti, A., Gli ebrei e gli Estensi, Reggio-Emilia, 1930.

Cassuto. U., E.J. alla voce "Bassano".

Fabbrici, G., Le case degli ebrei a Reggio Emilia: appunti per una storia degli insediamenti urbani ebraici dall'istituzione del ghetto alla fine del Settecento, in We-zot le-Angelo, Bologna, 1993.

Ghirondi, S.-Neppi, H., Toledot ghedolei Israel be-Italia, Trieste, 1853.

Milano. A., Storia degli Ebrei in Italia, Torino, 1963.

Muzzarelli, M. G., La fondazione del Sacro Monte di Reggio Emilia e il suo primo secolo di attività, Milano, 1994.

Mortara, M., Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, Padova, 1886.

Padoa, L., Le Università ebraiche di Reggio e Modena nel periodo 1796–1814, in Reggio e i territori estensi dall'antico regime all'età napoleonica, I, Parma, 1979, pp. 103-136. Schulvass, M., A., Ha-pinkas shel ha hevrah 'Hesed ve-Emet' be-Reggio, in Reshumot 4 (1947), pp. 93-130.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto, 1988–1991.


[1] Balletti, A., Gli ebrei e gli Estensi, p. 21.

[2] Per quanto concerne questo particolare e tutti gli altri, inerenti la condotta, cfr. ivi, pp. 20-23.

[3] Forse Zinatano era della famiglia Finzi: cfr. Balletti, A., op. cit., p. 50.

[4]  Simonsohn, S., Apostolic See, doc. 772, 789.

[5] Dal Balletti, tuttavia, risulterebbe che la data della stipulazione dei nuovi capitoli fosse il 1479 (Cfr. Balletti, A., op. cit., p. 48). Muzzarelli, M. G., La fondazione del Sacro Monte di Reggio Emilia e il suo primo secolo di attività, p. 100.

[6] Balletti, A., op. cit., p. 48.

[7] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 94.

[8] Contro la vendita alla popolazione cristiana della carne macellata ritualmente si sarebbero scagliati i consiglieri anche nel 1597: cfr. Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 105.

[9] Cfr. Balletti, A., op. cit., cap. XVI.

[10] Balletti, A., op. cit., p. 91.

[11] Balleti, op. cit., p. 93.

[12] Balletti, A., op. cit., pp. 205-206.                                                                                                                    

[13] Balletti, op. cit., p. 208.

[14] Cfr. Balletti, A., op. cit., p. 210 e segg.

[15] Fabbrici, G., Le case degli ebrei a Reggio Emilia p. 236.

[16] Padoa, L., Le Università ebraiche di Reggio e Modena nel periodo1796–1814, p. 105.

[17] Artom, E., I portoni del ghetto, pp. 291; Balletti, A., op.cit., passim; Muzzarelli, M.G., op. cit., passim; Fabbrici, G., op. cit, passim; Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, passim; Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, History, p. 438; doc. 709, 713, 716, 729, 772, 830, 1415, 1440, 1427, 1825, Add. 17.

[18] Fabbrici, G., op. cit., p. 234; Balletti, tuttavia, sostiene che, nel 1669, vi fossero 162 famiglie per un totale di 885 persone (op. cit., p. 178).

[19] Fabbrici, G., op. cit., pp. 234-240.

[20] L'informazione relativa all'alto numero di vittime ebraiche dell'epidemia del 1735 è deducibile dalla fondazione, qualche anno dopo, della società di beneficienza Hesed ve-Emet, che si dette per scopo, tra l'altro, di evitare che si ripresentasse la penuria di vesti funebri, verificatasi in occasione dell'epidemia citata. Cfr. Schulvass, M., A., Ha-pinkas ha-rishon shel ha-hevrah 'Hesed ve-Emet'be-Reggio, pp. 98-99.

[21] Balletti, A., op. cit., p. 80.

[22] Balletti, A., op. cit., pp. 32-33; Fabbrici, G., op. cit., pp. 235-243; Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 100; p. 106.

[23] Balletti, A., op. cit., p. 98.

[24] Balletti, A., op. cit., pp. 98-99.

[25] Balletti, A., op. cit., p. 48.

[26] Balletti, A., op. cit., p. 241.

[27] Per maggiori dettagli, vedi alla voce "Alessandria" della presente opera.

[28] Per ulteriori dettagli, cfr. Cassuto, U., E. J., alla voce "Bassani".

[29] Furono pubblicati nell'"Educatore israelita", mensile fondato nella seconda meta del XIX secolo.

[30] Cassuto, U., E. J., alla voce "Bassani"; Ghirondi, S.- Neppi, H., Toledot Ghedolei Israel be-Italia, p. 36; p. 124; Mortara, M., Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, passim.

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