Lugo

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Provincia di Ravenna. Situato in una fertile pianura, percorsa a ponente e a levante da due torrenti, il Santerno e il Senio, e a occidente dal canale cosiddetto di Lugo, l’insediamento è di origine preistorica e conserva ben visibile il reticolato della colonizzazione romana. Giunto, tuttavia, a costituire un centro notevole solo in epoca medievale, passò alternativamente sotto il dominio degli arcivescovi di Ravenna, dei conti di Cunio, dei marchesi d'Este e della Chiesa, finchè, nel 1437, andò definitivamente agli Estensi, rimanendo sotto il loro governo, salvo brevi periodi di controllo ecclesiastico. L. gradualmente assunse il ruolo di capoluogo della cosiddetta "Romagnola", comprendente Massalombrada, Conselice, Sant'Agata, Cotignola, Bagnacavallo e Fusignano. Nel 1598, tornó alla Chiesa, con il ducato di Ferrara e nel 1796 venne occupata dai Francesi.

 

La testimonianza più antica che è stata rilevata circa la presenza ebraica a L. è un'iscrizione tombale del 1285, che commemora Moshè mi-Pesachim (de Pasquali) da Reggio[1]. Una delle ragioni della presenza ebraica qui è da ascriversi al fatto che vi si tenevano mercati e fiere di notevole importanza: non sono, tuttavia, disponibili studi che la documentino nel XIII e XIV secolo[2].

Dagli atti notarili che sono stati esaminati, risulta che, negli anni Sessanta del Quattrocento, un ebreo originario di Velletri, Joseph quondam Abrae, rivestiva un ruolo di rilievo a L., grazie ai suoi ingenti mezzi finanziari, non solo nell'ambito della comunità ebraica. Josef figura in vari documenti, tra cui la stipula di un contratto di acquisto di terreno e atti che attestano la restituzione di denaro dovuto sia a correligionari che a cristiani. Nel 1475 egli risultava morto e, l'anno successivo, compare nei documenti Salomone di Aleuccio di Rovigo, indicato ufficialmente come feneratore, titolo che nel caso di Joseph non veniva mai esplicitato[3].

A Salomone risultava essere succeduto, nel 1486, il figlio Consiglio, mentre sappiamo che dieci anni dopo, il banco era passato a Ventura da Bologna, proveniente da una famiglia di banchieri bolognesi prestigiosi. In seguito, Ventura si mise in società con il bolognese Raffaele di Samuele da Modena, continuando ad abitare a L. anche nei primi anni del Cinquecento.

In seguito alla predicazione del domenicano Andrea da Imola, venne fondato nel 1546 il Monte di Pieta a L.[4]: ciononostante, le autorità stipularono accordi con i prestatori perché esercitassero in loco.

Più di venti anni dopo la fondazione del Monte, nel 1569, i consiglieri lughesi stabilirono di espellere gli ebrei, accusati di essere responsabili della carestia che, all'epoca, impoveriva il centro: dai documenti risulta che tale progettata espulsione fece seguito alla proposta di aumentare le tasse della Comunita ebraica, ma che ambedue i propositi non furono realizzati. Pertanto, tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del XVI secolo, erano attivi come feneratori a L. e nella cosiddetta "Romagnola" almeno tre banchieri, tra cui, nel 1575, tale Abramo da Fano in qualità di gestore del banco lughese[5], tenuto poi dai fratelli Salomone e Lazzaro da Fano sino al 1587.

Con il passaggio di L. sotto l'autorità di Roma, nel 1598, fu stipulata una condotta con gli ebrei, nella quale era contenute norme particolari circa la proprietà e le imposte[6], oltre all’imposizione del segno distintivo e la proibizione del possesso di immobili.

Nel 1590 durante una scorreria di "banditi", fu saccheggiato il banco ebraico e, dunque, le autorità iniziarono delle trattative per chiamare a L. un altro feneratore: fu scelto, nel 1605, Giuseppe Toscano, insieme al figlio Salomone e di ambedue il cardinale Bellarmino, raccomandandoli, dichiarava che se ne serveviva la reverenda Camera Apostolica[7].

Un altro grave atto di violenza ai danni di chi esercitava il prestito, aveva intanto segnato la vita della Comunità lughese, qualche anno prima (nel 1591), quando fu assassinato da un debitore ebreo Salomone da L., cui le sorelle, Jocheved e Diana, fecero erigere una lapide nel cimitero[8].

Un ulteriore episodio criminoso si registrò, poi, nel 1612, con l'assalto al banco dei Toscano, da parte di una quarantina di armati, intenzionati a uccidere a scopo di rapina gli israeliti: dalla richiesta di protezione rivolta da Salomone Toscano e compagni al Cardinale Caetani, risultava che non erano state le autorità locali a mettere in fuga gli assalitori, ma la popolazione stessa. Ma una riprova dell'atteggiamento poco favorevole alla presenza ebraica tenuto dalle autorià, risale all'anno successivo, quando ci fu la proposta del Priore di rivolgersi a Roma e a Ferrara per caldeggiare l'istituzione in loco di un ghetto per rimediare agli scandali e agli infiniti danni che si patiscono nella nostra terra dagli ebrei[9].

Per quanto riguarda le conversioni, se ne registrarono qui molte tra il 1610 e il 1618[10]. Successivamente, si ebbero più tentativi da parte delle autorità lughesi di far partecipare a ingenti spese pubbliche gli ebrei, che si opponevano: nel 1624, l'Università inviò così una supplica al consiglio di Lugo, pregandolo di intercedere con i signori Padroni di Roma et Ferrara nel presente motivo di doversi partire da questa terra[11]. Il motivo della ventilata espulsione non è chiaro, tuttavia, essa non si deve ascrivere al potere pubblico di L., dato che ci resta un documento relativo alla decisione di intercedere presso le autorità romane e ferraresi per far restare gli ebrei[12].

In ogni caso, nel 1626, Urbano VIII indirizzò un rescritto al Legato di Ferrara con cui concedeva agli ebrei di L. il permesso di continuare a risiedere nei suoi Stati, assicurando loro la protezione di cui avevano goduto in precedenza[13].

Tre anni dopo, il verbale di una seduta consiliare attesta di un progetto comunale di espulsione degli ebrei, forse motivato stavolta dal loro rifiuto di pagare un tributo in denaro[14].

Tuttavia, poco prima, sempre nello stesso anno, era stata stipulata una condotta quinquennale tra il Comune e due mandatari dei banchieri Toscano di Roma, tali Moisè Beher e Salomone Milano. Dal carteggio intercorso tra le autorità lughesi e il Legato di Ferrara si evince che l'ostilità alla presenza ebraica era essenzialmente causata dalla presunta poca partecipazione degli israeliti alle spese del Comune, cui erano, invece, esonerati in virtù dei Capitoli del 1598. La Convenzione, stipulata tra l'Università di L. e le autorità comunali nel 1630, sancì il compromesso tra le due parti, impegnando, da un lato, gli ebrei a sborsare ogni anno una cifra per le spese pubbliche e, dall' altro, il Comune a desistere dai progetti di espulsione[15].

Notevole accrescimento numerico ricevette, poi, la Comunità di L. nel 1639, quando, dopo l'istituzione del ghetto, le si aggregarono gli ebrei delle località circonvicine
(Bagnacavallo, Cotignola, Massa e Fusignano). Per ricchezza e notorieta si distinguevano allorA principalmente le famiglie Finzi, Sinigaglia e Del Vecchio ed i banchieri di quest'ultima (Giuseppe, Isaac, Alessandro Del Vecchio e figli), che sopperivano alle necessità finanziarie della nobiltà bolognese, ricevettero, nel 1740, una Patente di Benedetto XIV in cui venivano riconosciuti come persone distinati al servitio di sua Santità, dovendo per ciò tutte le prerogative, e privileggi, che a simili persone competano[16].

Nel 1751 l'arcivescovo di Imola emanò un "Editto sopra gli Ebrei", in cui venivano ribaditi i provvedimenti restrittivi presi, in particolare, da Clemente XVI nel 1733: pertanto, furono proibiti l'uso, l'acquisto, la vendita e la stampa di libri ebraici, cosi come il servirsi di servitù cristiana, mentre venne ribadito l'uso del segno e ci fu la limitazione delle attività economiche e commerciali entro i confini del ghetto. Qualche anno prima, nel 1743, i rappresentanti degli ebrei di L. si erano appellati all'arcivescovo di Imola per non estendere alle donne l'obbligo della predica coatta, nei giorni di Quaresima, che fu poi ribadito dagli editti del 1751, 1755 e 1771.[17]

La situazione della Comunità ebraica lughese fu gravemente compromessa anche dalla epidemia del 1765, seguita da un periodo di carestia[18]. Le ripetute scosse di terremoto che, senza fare vittime, si fecero sentire a L. nel 1781, provocarono grande impressione tra la popolazione del ghetto e, in particolare, venne commemorato come miracoloso il fatto che, mentre tutti gli edifici vicini al ghetto subirono gli effetti del sisma, non cadde neanche una delle case di Israele[19].

Nel 1796 le truppe francesi occuparono L. e gli ebrei ottennero la parità dei diritti con gli altri cittadini.

 

Attivita economiche

Il primo documento circa le attività economiche ebraiche a L. risale al 1461 e riguarda Joseph quondam Abrae, che prendeva in affitto per sei anni tutte le terre e le proprietà non affittate del Comune e i relativi diritti su di esse. Nello stesso anno, Josef ed un socio cristiano si accordarono per gestire insieme affitti, decime, censi ed altre entrate del Comune, per sei anni[20].

Nel 1476 compare per la prima volta in un atto notarile l'indicazione dell'attività feneratizia in riferimento all'ebreo Salomone di Aleuccio di Rovigo, menzionato come conductor banci fenoris in terra Lugi[21].

 Da un atto del 1486 risulta che il figlio di Salomone, Consiglio, doveva pagare annualmente una tassa al daziario di L. per la conduzione del banco e sappiamo che, circa una cinquantina di anni piuù tardi, il tasso di interesse praticato era del 30% anuo. Nel 1529 il camerlengo papale concesse a Abraam e Aminadab, alias Gentilhuomo, figli di Salamone, alias Riccio, da Fano una tolleranza e indulgenza per poter riparare e ampliare le sinagoghe nelle loro abitazioni, l'esenzione dal portare il segno ed altri privilegi. Il prestito ebraico continuava, intanto, anche dopo la fondazione del Monte nel 1546, in forza di autorizzazioni concesse del Duca nel 1535 e nel 1567[22].

Fra gli anni Sessanta e Ottanta del XVI secolo i feneratori di L. prestavano sia denaro che beni (panno o lino, lenzuoli, anelli o collane d'oro) e dai documenti relativi a Salomone di Abramo da Fano risulta che egli raccogliesse ingenti quantità di frumento e altri viveri per farne oggetto di prestito[23].

Nell'ultimo ventennio del XVI secolo, a causa della situazione economica estremamente difficile, gli ebrei anticipavano sia denaro che frumento e comperavano o prendevano in affitto case e terre[24].

In un atto del primo trentennio del XVII secolo, che menziona i cespiti di reddito ebraici, oltre al prestito, viene ricordato il commercio, in particolare di gioielli, perle e pietre preziose[25].

Dopo l'avvento del potere papale, venne consentita la presenza di un solo banco feneratizio a L., pagato settanta scudi l'anno: l'interesse massimo che si poteva esigere per ogni prestito era del 14% annuo[26], mentre la gestione di dazi e gabelle era vietata.

Dall'inchiesta fatta per conto dell'Inquisizione romana, nel 1703, risulta che dei 242 ebrei residenti a L., 98 possedevano capitali (cioè, esercitavano l'attivita feneratizia, anche dopo che essa era stata vietata da Innocenzo II), 82 vivevano d'industrie (ivi compreso il piccolo commercio) e 62 di sussidi da parte della Comunità[27].

Da un documento che registra i particolari salienti della vita degli israeliti di L., quasi una ventina d'anni dopo l'istituzione del ghetto, emergono, in particolare, dati riguardanti le attività femminili, spesso indispensabili all'economia familiare. Pertanto, troviamo donne attive nel commercio, nell'insegnamento, nella preparazione di medicinali, nei lavori artigianali e anche nella macellazione rituale[28].

Le condizioni economiche degli ebrei lughesi peggiorarono nel XVIII secolo, come attesta, nel 1722, il ricorso dei massari all'autorità cardinalizia per limitare l'assistenza, ritenuta troppo gravosa, che l'ospizio gestito dalla Comunità forniva ai poveri che non fossero di L.[29]. Il commercio di oro, argento non lavorato, pietre preziose e gioielli, anche nel XVIII secolo viene attestato in un lasciapassare, rilasciato nel 1765 dal cardinale Rezzonico a Graziadio e Abramo Sinigaglia e ai loro garzoni e impiegati per viaggiare in tutta la parte settentrionale dello Stato Pontificio con esenzione da ogni dazio, tassa o imposta e con diritto ad un trattamento di rispetto.

 

Vita comunitaria

Con la condotta del 1598 fu stabilito che gli ebrei non potessero possedere terreni e, di conseguenza, non fossero soggetti a tassazione calcolata sull'estimo dei terreni posseduti; pertanto essi sarebbero stati tenuti a contribuire, tramite un’imposta straordinaria, solo a quelle spese del Comune, per le quali le autorità di Roma avessero dato esplicito permesso di ricorrere alle finanze ebraiche[30].

Durante il periodo in cui era stato istituito il ghetto a L., vi fu creata una "Accademia" o yeshivah di notevole importanza[31]. Dalla cronaca del Bonoli, che descrive sommariamente la struttura della Comunità, risultavano in funzione, oltre al rabbino e al cosiddetto "sottorabbino" (addetto all'istruzione dei giovani) ed i Rappresentanti dell'Università, incaricati dell'esazione delle tasse e di ogni particolare, purchè spetti al mantenimento civile e politico della loro Università[32].

Da un registro risalente al 1621, risulta che era in vigore la forma di tassazione basata sull'impegno di ogni membro della Comunità – sia di sesso maschile che femminile – di mettere nell'apposita "cassetta" l’imposta sul reddito da devolvere alla Comunità stessa, secondo la haskamah del 1605, senza controllo da parte dei funzionari, ma sotto giuramento[33].

Tornando alla descrizione della vita comunitaria del ghetto lasciataci dal Bonoli, veniva fatta menzione di un "Ospitale" ebraico che, presumibilmente è da identificarsi con l'ospizio, che vi era a L., destinato ad ospitare gli ebrei di passaggio nel ghetto[34]. A proposito di questo ospizio, i Massari dell'Università, nel 1722, data la difficile situazione economica, dovettero ricorrere al Cardinale Legato perche intervenisse a limitarvi il periodo di soggiorno dei forestieri e perché proibisse ai "vagabondi di passaggio" che mendicavano nel ghetto di farvi ricorso piu di due volte all'anno[35]. Sempre per motivi economici, i Massari si rivolsero all'autorità pontificia, ottenendo un editto nel 1739, per porre limitazioni ad ogni tipo di gioco e ad intemperanze d'altro genere, per la durata di dieci anni[36].

Nel 1768 i Massari furono, poi, costretti a ricorrere nuovamente al pontefice, facendo concedere validità legale alla "Pragmatica", emessa nello stesso anno e con validità sino al 1782, per frenare gli eccessi e le spese superflue che col tempo rendono anco taluni impotenti di concorrere alle pubbliche gravezze[37]. La prammatica constava di 19 capitoli, riguardanti la proibizione del gioco, eccezion fatta per Purim, le feste e mezze feste e altri giorni tollerati dalla "ristretta Congregazione" della Comunità e la limitazioni della cifra da potersi giocare, nei giorni permessi. Inoltre, veniva diminuito il numero del corteggio in occasione di nozze[38] e circoncisioni e ristretta l'entità di cibi e bevande da offrirsi in queste occasioni; veniva anche limitato l'invio di regali di qualunque valore, in occasione di nascite, cosi come venivano contenuti i festeggiamenti per matrimoni, maturità religiosa e ricorrenze, comprese le "conversazioni" e visite d'occasione; i forestieri erano dispensati dall'ottemperare a queste regole per il primo trimestre della loro permanenza nel ghetto. In caso di controversia nell'interpretazione delle norme suddette, si dovevano seguire le spiegazioni della norma che avrebbero ricevuto il maggior numero di voti[39].

Un'ulteriore attestazione del ricorso dei Massari all'autorità papale risale al 1771, con la richiesta di proibire l'esazione del dazio sui cadaveri che venivano trasportati da fuori a L. per esservi seppelliti[40].

La Comunita locale gestiva i rapporti sociali e assistenziali attraverso una serie di confraternite. Dal Pinkas (registro) della confraternita Gmilut Hassadim, in cui sono annotate le morti degli ebrei di L. dal 1657 al 1825, si desume una serie di particolari circa i lughesi, superiore a quanto si trova in analoghi documenti[41] e, soprattutto, si possono ricostruire alcuni aspetti del fervore religioso che sembrerebbe aver caratterizzato la vita non solo degli uomini, ma anche delle donne del ghetto, di cui, tra l'altro, vengono rilevate le pratiche ascetiche e l'istruzione religiosa[42].

Tra le pratiche caritatevoli in uso a L., di cui e rimasta documentazione, vi era quella del Tamhui, ossia della raccolta di cibo, alla vigilia del sabato, per distribuirlo ai poveri[43].

 

Demografia

Secondo il Bonoli, nel 1639, la popolazione di L. contava 606 persone.

Nel 1703 la Comunità era ridotta a 54 famiglie, per un totale di 242 persone[44]. Dal "Registro delle Denunzie delli Cittadini Ebrei" del 1797, alla fine del XVIII secolo, sappiamo che il numero degli ebrei ammontava a 643[45].

 

Sinagoga

La sinagoga si trovava, nel XVI secolo, in via S. Maria, nella casa Zanelli[46]. In seguito, in un edificio dell'attuale corso Matteotti furono ubicate due sinagoghe, una più grande ed una più piccola, ambedue esempi notevoli dell'architettura barocca. Dell’eleganza e della fastosità della sinagoga più grande è rimasta testimonianza in una guida lughese del 1925[47] ed alcuni rotoli della Legge e un "seggiolone di Elia", di pregevole fattura, sono stati trasferiti da L. a Ferrara. Al pianterreno dell'edificio, si trovavano l'"ambiente del pane", un forno e il pozzo, destinati agli usi della Comunità[48].

 

Ghetto

Secondo una fonte, gli ebrei, prima della reclusione nel ghetto, tendevano a risiedere in via del Limite[49]. Fin dal 1613 il Consiglio Municipale aveva fatto richiesta per la costituzione di un ghetto, ma, probabilmente grazie agli appoggi cardinalizi di cui godevano gli ebrei lughesi a Roma, la proposta non ebbe alcun seguito[50]. Anche dopo che, nel 1624, Urbano VIII ebbe ordinato la segregazione nella legazione ferrarese, gli ebrei di L. riuscirono a procrastinarne l'esecuzione sino al 1634, quando esso venne realizzato nella zona scelta da loro e cioè nell'ultimo tratto della centrale via S. Agostino, chiamata Codalonga, che è posta sulla strada per Ravenna, Bagnacavallo e Cotignola[51].

I due portoni che chiudevano il ghetto furono messi solo nel 1639, probabilmente in concomitanza con il bando papale che consentiva agli ebrei della legazione di risiedere solo nei

tre ghetti istituiti, di cui uno era L. Nel 1732 il Bonoli affermava: In oggi il ghetto di L., benchè piccolo, è uno dei più spaziosi e puliti che abiano gli ebrei nello stato della chiesa [52]. Caratteristica del ghetto era l'intercomunicabilità tra gli appartamenti e i ballatoi che davano sui cortili; da rilevare che le mezuzot adottate a L. avevano la particolarità di essere mimetizzate da un coperchietto per evitare profanazioni[53].

 

Cimitero

Il primo cimitero di L. risalirebbe, secondo la tradizione, al secolo XIII e, secondo i dati rilevati dal catasto redatto tra il 1638 e il 1640, risulta essere stato ubicato fuori Porta Codalunga, in prossimità del ghetto. Nel 1702, dato che la capienza del cimitero era insufficiente rispetto al numero degli ebrei lughesi, il massaro Flaminio Sinigaglia e il rabbino Nedanel Levi furono incaricati dell'acquisto di nuovo terreno dagli amministratori dell'Ospedale di S. Antonio. Nel 1750 un altro acquisto di terreno sancì l'ulteriore ingrandimento del cimitero, in seguito chiuso. Da un manoscritto di proprietà privata conosciamo il testo della lapide del 1285 che attesta l'antichità del nucleo ebraico lughese e il testo di altre lapidi del XVI, andate perdute, tra cui, quella del dotto Beniamino Raffaele da Arezzo del 1575. Sono ancora conservate, invece, le lapidi di Jechiel e Eliezer da Fano, del rabbino Salomone Davide Del Vecchio e di Rachele, moglie di Salomone da Fano, risalenti all'ultimo trentennio del XVI secolo[54].

Le lapidi cimiteriali del Seicento e del Settecento testimoniano dell'uso di incidere versi rimati sullo schema dei pijutim o composizioni poetiche di vario argomento, secondo un genere letterario d'influenza greca, sorto in Palestina, in epoca bizantina[55].

 

Rabbini e dotti

Alla fine del secolo XV viveva a L. un dotto ebreo, tale Josef Hayyim di Mosè di Venturo, in possesso di una biblioteca di 65 volumi, di cui ci è rimasto l'elenco[56]. Nel XVI secolo erano rabbini a L. Beniamino Raffaele da Arezzo[57] e Shemuel Mahalalel Del Vecchio, noto halakhista, menzionato nei respnsa di Jehiel b. Azriel Trabot (in manoscritto) e autore del Sefer ha-Tikkunim o Haggahot ha-Rif, che si rifà all'opera di Rif[58]. Visse, inoltre, a L., all'inizio del secolo XVI, il convertito Camillo Jagel, nominato censore dai capi dell'Inquisizione, della cui opera restano tracce in testi di svariate biblioteche. La Mishnah (codice Kaufmann, edito da Beer, nel 1930): secondo una fonte, uno dei testi indicati nell'inventario della biblioteca di Joseph Hayyim, l'opera di Maimonide Mishneh Torah, stampata da Gershom Soncino, andrebbe identificata con quella posseduta, almeno sino al 1611, dai membri della Comunità ebraica di L. e custodita attualmente nella Biblioteca Comunale locale[59] e che era in possesso di una famiglia ebraica di L.[60].

Furono rabbini a L., nel XVII secolo, Elchanan David Foa, Isacco Berachjah da Fano e Netanel Segre, che non rimase, tuttavia, stabilmente qui, ma che, nella sua opera di consulti Afar Yaaqov (Polvere di Giacobbe), apponeva il proprio nome al nono consulto aggiungendovi l'indicazione poh Lugo ("qui, a Lugo")[61].

La famiglia Del Vecchio di L. diede origine, oltre a Shemuel Mahalalel, menzionato sopra, a svariati rabbini: nel XVII secolo troviamo Abraham ben Shabbetai (autore di molte opere di Halakhah e di responsa inclusi nel codice di Samuel Aboab), Devar Shemuel, e, tra il XVII e l'inizio del XVIII secolo, Salomone David di Moisè, rabbino a L., apprezzato da Isacco Lampronti che incluse due suoi responsa nel Pahad Yitzhaq, venne citato dal Morpurgo nella raccolta di responsa Shemesh Zedaqah e menzionato in modo elogiativo nello Sefat Emet di Nissim Matthathias Terni.

Nel XVIII secolo, poi, troviamo il rabbino Sabbatai Elchanan di Elisha, nipote di Salomone David, posek, predicatore e autore di opere manoscritte, molto stimato, sin dalla gioventù, dal Lampronti, che incluse 20 suoi responsa nel Pahad Yitzhaq. Sempre nel XVIII secolo, troviamo Salomone Mosè, attivo, però, a Sinigaglia e l'ultimo dei rabbini Del Vecchio, Salomone David, teologo, pensatore e poeta, che in giovanissima età divenne rabbino di L. e capo della locale Accademia rabbinica.

Citando i rabbini piu prestigiosi di L., sono da menzionare anche i da Fano, ritenuti discendenti del noto cabbalista Menachem Azaryah,[62] Jehudah Arieh I da Fano, Isaac Berachjah da Fano, suo figlio, e Jehudah Arieh II, suo nipote; Isaac Berechjah fu autore di molti psaqim o decisioni rituali contenuti nel Pahad Yitzhaq del Lampronti (che lo nominava con grande rispetto) e in altre opere di contemporanei ed egli scrisse anche poesie d'ispirazione religiosa e due inni per il venerdi sera[63].

Nel XVIII secolo vi furono inoltre: Reuben Jacchia, discendente da una famiglia originaria del Portogallo, passata da Imola a L., che diede la sua Haskamah (approvazione) al Pahad Yitzhaq, come pure fece il rabbino lughese Isacco Modena[64].

A L. soggiornò, prima di recarsi a frequentare i corsi di medicina a Padova, il Lampronti per studiare con il rabbino Tranquillo Provenzal, in seguito trasferitosi altrove[65]. Sempre nel XVIII secolo, sono da segnalare i rabbini Isacco Berechyah da Fano, Isaia Romanin e Daniel Terni[66]. Nel 1775, Arie Chaj di Jesi compose qui una raccolta di leggende ebraiche[67] e fu compilato il manoscritto 863 del British Museum, contenente il computo dell'Omer, con le Kavvanot (intenzioni mistiche) di Abraham Hai Sinigaglia[68].

 

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[1] La lapide, oggi non piu esistente, viene menzionata da uno storico locale del XVIII secolo, insieme alla notizia che nel cimitero ebraico vi erano una serie di lapidi che consentivano di stabilire che la presenza ebraica a L. risaliva all'incirca all'inizio del secolo XIII (Bonoli, G., Storia di Lugo ed annessi fino al 1732, Faenza, 1732, p. 212. Cfr. Volli, G., Gli ebrei a Lugo, p. 135). Questo studio della Volli è stato ripubblicato dalla Rassegna Mensile di Israel, che citiamo nel presente lavoro, segnalando che è apparso la prima volta in Studi Romagnoli, IV (1953), pp. 143-183.

[2] Larner, ricordando la presenza di banchi ebraici in Romagna, menziona anche L., (The Lords of Romagna, p. 134; anche il Luzzati menziona la presenza di un nucleo ebraico in loco, prima del XIV secolo, in Banchi e insediamenti ebraici nell"italia centro-settentrionale, p. 201).

[3] Muzzarelli, M.G., La comunità ebraica a Lugo fra Medievo ed Età Moderna, pp. 225-227.

[4] È da notare che, mentre fu un domenicano a promuovere il Monte a L., generalmente furono i Minori Osservanti dell'ordine di S. Francesco a sostenere la fondazione dei Monti di Pietà, quasi una ventina d'anni dopo, nell'Italia settentrionale e centrale (Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 233). Già nel 1547 Paolo III fu costretto a fissare il tasso d'interesse del Monte al 5% (Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 2684).

[5] Balletti, A., Gli ebrei e gli Estensi, p. 66; secondo la Muzzarelli, tuttavia, si tratterebbe non di Abramo da Fano, ma di Salomone di Abramo da Fano, dichiarato residente in L. e ivi operante conme feneratore dal 1569 (cfr. Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 233).

[6] Pirazzini, A., La reclusione degli ebrei nel ghetto di Lugo di Romagna", p. 106, n. 4. Per i particolari cfr. "Attivita economiche" e "Vita comunitaria".

[7] Pirazzini, A., op. cit., p. 108. Si tratta dei banchieri romani Toscano, appartenenti a una delle famiglie più ricche e più prestigiose di Roma. Sui Toscano ed altri prestatori si veda anche Loevinson, E. Banques de prêts, p. 69 e segg.

[8] Pesaro, A., Cenni storici sulla comunità israelitica di Lugo, pp. 299-300. Volli, G., Gli ebrei a Lugo, p. 135.

[9] Pirazzini, A., op, cit., p. 110.

[10] Ivi, p. 109, n.18; p. 112.

[11] Ivi, p. 112.

[12] Ibidem.

[13] Margaliouth, G., CMBM, III, p. 570.

[14] Pirazzini, A., op. cit., p. 115.

[15] Da una lettera del Legato pontificio di Ferrara al Governatore di L., datata 1634, si apprende che stava per spirare il periodo di sei mesi concesso agli ebrei per poter ancora risiedere a L., ma che sarebbe stata concessa una proroga. Tuttavia, non è chiaro se il testo si riferisce al permesso di residenza nel territorio di L. o alle modalità della residenza stessa, cioè alla necessità di rendere effettivo l'ordine di restrizione nel ghetto emanato nel 1624 e non ancora realizzato (cfr. Pirazzini, A., op. cit., p. 118).

[16] Volli, G., op. cit., p. 183. Per il testo completo della Patente cfr. ivi, pp. 182-183. Tra le agevolazioni che erano incluse nella Patente vi era presumibilmente anche l'esenzione dalla berretto giallo quando si recavano a Bologna. cfr. ivi, p. 132.

[17] Sierra, S., Notizie storiche e pragmatica degli ebrei di Lugo nel sec. XVIII, pp. 452-453.

[18] Ivi, p. 454.

[19] Da una memoria ebraica del 10 Nissan 5541 (1781), citata da Sierra, S., op.cit., p. 458. Da questa stessa memoria risulta che il Rabbino Salomone David Del Vecchio, che aveva rincuorato gli ebrei durante il terremoto, decise di stabilire un giorno di digiuno alla vigilia del Capo di ogni mese di Nissan, in ringraziamento a Dio per lo scampato pericolo (ivi, p. 459).

[20] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 225.

[21] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 227.

[22] Muzzarelli,  M.G., op. cit., p. 233;  Simonsohn, S., op. cit., doc. 1417.

[23] Per maggiori dettagli su questo tipo di prestito, cfr. Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 234.

[24] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 231.

[25] Margaliouth, G., CMBM III, p. 569.

[26] Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 236.

[27] Volli, G., op. cit, p. 71.

[28] Rivlin, B., Ha-hayyim ha-pratiim shel Yehudei Lugo, p. 180.

[29] Sierra, S., op. cit., p. 452; pp. 459-460; i provvedimenti circa l'Ospizio, insieme agli altri presi nel corso del tempo per far fronte alla difficile situazione socio-economica sono esaminati piu nel dettaglio nel paragrafo "Vita comunitaria".

[30] Pirazzini, A., op. cit., p. 106, n. 4; p. 109.

[31] Volli, G., op. cit., p. 73; Roth, C., The History of the Jews of Italy, p. 397.

[32] Citato in Volli, G., op. cit., p. 72.

[33] Margaliouth, G., CMBM III, p. 568-569.

[34] Il rabbino Leone Leoni (Le comunità che scompaiono, Lugo, in Israel, XVII (14-17 dicembre 1931), rifacendosi a testimonianze orali, riferisce che intorno alla sinagoga di L. vi era un recinto di case, i cui appartamenti erano dati gratuitamente in uso alle famiglie povere, a spese di quelle piu benestanti: presumibilmente a queste case fa allusione il Bonoli, parlando di "Ospitale" ebraico (Volli,G., op. cit., p. 72, n. 25).

[35] Il testo della supplica dei Massari al Cardinale Legato, nel 1722, e stato pubblicato da Sierra, S., op. cit., pp. 459-460.

[36] Il testo dell'editto e stato pubblicato da Sierra, S., op. cit., pp. 460-462.

[37] Dal proemio della "Pragmatica" del 1768, citato in Sierra, S.,  op. cit., p. 455.

[38] Èstato rilevato che, nella prammatica, viene attribuito anche alle donne il titolo onorifico di cui erano stati insigniti i mariti e, pertanto, vi si parla di "Cal…-Tor…" e "Cal…-Bereshit" (Sierra, S., op. cit., p. 455, n. 2).

[39] Ivi, pp. 455-457.

[40] Ivi, p. 458.

[41] Rivlin, B., Ha-hayyim ha-pratiim shel Yehudei Lugo, p. 177.

[42] Ivi, pp. 180-181; sulla Gmilut Hassadim di L., cfr. anche Rivlin, B., Mutual Responsibility in the Italian Ghetto. Holy Societies 1516–1789, Jerusalem 1991, passim.

[43] Pesaro, A., op.cit., p. 299.

[44] Le cifre risultano da una lettera scritta, nel 1703, dal vice-legato di Ferrara al Tesoriere Generale (Bruzzone, P.L., Les Juifs dans les États de l'Église, p. 247; cfr. anche Volli, G., op. cit., p. 71); questi dati contrastano con quelli del Bonoli che riteneva esservi, nel 1732, 400 Ebrei a L. (cfr. Bonoli, op. cit., libro II, p. 213, citato in Sierra, S., op. cit., p. 451).

[45] Il dato risulta dal "Registro delle Denunzie delli Cittadini Ebrei", risalente a un anno dopo l'occupazione francese, secondo la legge del 15 ottobre 1797 (Volli, G., op. cit., p. 180).

[46] Ivi, p. 69; secondo una fonte, sino alla reclusione nel ghetto, la sinagoga si trovava nella via abitata preferenzialmente dagli ebrei, cioè in via del Limite (Pirazzini, A., op. cit., p. 106).

[47] Rossi, M., Guida di Lugo, Lugo 1925, pp. 91-93, citato in AA. VV., Cultura ebraica in Emilia-Romagna, p. 76.

[48] AA.VV., op. cit., p. 76.

[49] Pirazzini, A., op. cit., p. 106 (cfr., in particolare n. 3). Il Pirazzini si è servito nel suo studio di materiale d'archivio nuovo rispetto a quello della Volli, che, invece, sosteneva non esservi stata a L. una zona di residenza preferenziale ebraica, prima dell'istituzione del ghetto. Cfr. Volli, G., op. cit., p. 66.

[50] Circa i tentativi degli ebrei lughesi di muovere a proprio favore alcuni prelati romani cfr. Pirazzini, A., op. cit., pp.106-121.

[51] Per quanto riguarda la regolamentazione dei rapporti economici tra gli affittuari ebrei, ovvero l'Università di L., e i proprietari cristiani delle case destinate al ghetto, cfr. Volli, G., op. cit, pp. 178-179. Inoltre, dal 1635, gli ebrei dovettero pagare un tributo annuo all'arciprete di S. Giacomo, in quanto il ghetto era stato istituito nell'area di questa parrocchia. Ivi, pp. 180-182.

[52] Bonoli, G., op. cit., p. 213.

[53] AA.VV. op. cit., p. 45; Volli, G., op. cit., p. 70.

[54] Volli, G., op. cit., p. 135.

[55] Ivi, p. 73.

[56] Si tratta di volumi in gran parte manoscritti (solo 12 sono stampati), tra cui se ne trovano 11 dedicati ai testi biblici, 6 all'esegesi, 2 alla lessicografia della Bibbia e della letteratura rabbinica, 8 alla liturgia, 13 alla Halakhah, nonché 20 trattati talmudici. Meno di 5 volumi trattano gli aspetti teologico-filosofici e cabbalistici; alla medicina e all'astronomia sono dedicati due volumi (Vajda, G., Notes et melanges. Un inventaire de bibliotheque juive d'Italie, pp. 473-483.

[57] Il Cassuto ritiene che Beniamino Raffaele sia, invece, di Reggio. Cfr. Volli, G., op. cit., p. 67, n. 11; cfr. Cassuto, U., alla voce "Lugo", E.J.

[58] Rif, dalle iniziali di Rav Yitzhaq Alfassi, cui si deve l'opera di codificazione precedente a Maimonide era particolarmente studiato in Italia, in quanto la sua opera sostituiva, in certo modo, il Talmud vietato dalla Inquisizione.

[59]Muzzarelli, M.G., op. cit., p. 229. Va notato, tuttavia, che la Muzzarelli sostiene che il proprietario della biblioteca fosse da identificarsi con Joseph di Ventura di Musetto, mentre il Vajda lo indica come Joseph Hayyim di Mosè di Venturo, indicando "Venturo" come ipotetico toponimo: Cfr. Vajda, G., op. cit., p. 473.

[60] Cassuto, U., alla voce "Lugo".

[61] Pesaro, A., op. cit, p. 331.

[62] Secondo il rabbino Giuseppe Ancona, come riferisce il Pesaro,A., op. cit., p. 330.

[63] Ibidem.

[64] Ivi, pp. 330-331.

[65] Ivi, p. 331.

[66] Per quanto concerne questi e gli altri rabbini menzionati sino ad ora, cfr. anche Mortara, M., Indice alfabetico dei rabbini e scrittori israeliti, passim.

[67] Cfr. Cassuto, alla voce "Lugo".

[68] Margaliouth, G., op. cit, III, p. 155.

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