Imola

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Imola

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Provincia di Bologna. Posta nella pianura alla sinistra del Santerno, viene tagliata in due dalla Via Emilia. Di fondazione romana, con il nome di Forum Cornelii, passò, in seguito, alla Chiesa con la donazione carolingia, soggiacendo all'arcivescovo di Ravenna e, poi, al vescovo. Dopo essere diventata Comune e dopo un periodo di lotte per il dominio signorile della città, I. passo sotto l'influenza dei Visconti di Milano che la governarono direttamente nel 1424, dal 1434 al 1435 e dal 1438 al 1439. Filippo Maria Visconti, che aveva dato la città alla Chiesa nel 1426, dopo il 1439 la dette a Guidantonio Manfredi, signore di Faenza.

A seguito del governo di Taddeo Manfredi, dal 1448 al 1472, I. passò , l'anno successivo, a Gian Galeazzo Sforza, che la diede a Girolamo Riario, marito di sua figlia Caterina: rimasta vedova, quest'ultima resse lo stato di Imola e Forlì, fino alla vittoria del Valentino.

Caduto il Borgia, I. , dopo un vano tentativo dei Riario, si diede a Giulio II, rimanendo sotto la Chiesa sino alla conquista del Bonaparte.

Tradizioni orali fanno risalire la presenza ebraica a I. al settimo secolo[1]: una fonte ottocentesca riporta la storia, secondo cui, dopo che gli ebrei furono cacciati da I. nel 976, desiderando vendicarsi contro la città, tentarono di incitare gli abitanti di Ravenna ad occuparla, nella speranza di potervi tornare, ma i ravennati non solo non furono d'accordo con questo progetto, ma consegnarono gli emissari ebrei all'autorità di Imola, che li fece uccidere, disperdendone le ceneri nel fiume[2].

La presenza in Toscana di prestatori ebrei originari di I., nel periodo tra la fine del secolo XIV e l'inizio del XV, attesta con più certezza l’esistenza di un nucleo formatosi precedentemente in loco[3], fatto confermato anche dalla presenza, nel XIV secolo, del poeta Menahem b. Avraham[4].

Dalla documentazione relativa agli ebrei entrati a Bologna nel primo ventennio del Quattrocento si apprende che una cinquantina di essi provenivano da I.[5], ma il primo documento datato, a nostra disposizione, è più specificatamente il lasciapassare valido un anno rilasciato nel 1436 a Vitale di Magister Alegro di I., per viaggiare a Bologna e nei territori papali[6]; quasi trent'anni più tardi, il vescovo di Rieti e governatore papale di Bologna, era deputato all'esazione delle tasse per le spese connesse alla spedizione contro i Turchi, inclusa la vigesima, nei territori sotto la sua giurisdizione, tra cui I.[7].

Nel 1458 Taddeo Manfredi concesse il permesso di fenerare a Salomone di Vitale di Vicenza e a Iacopo Alvincini, per dieci anni, in cambio di una somma annua di 300 lire bolognesi[8]. Nell’accordo si stabiliva che per il prestito su pegno l'interesse mensile sarebbe stato di 6 bolognesi per lira, mentre per il prestito sulla parola o sub instrumentis et publicis scripturis l'interesse esigibile avrebbe potuto essere di 8 bolognesi mensili[9].

Nel 1459 il Duca Francesco I Sforza scrisse ad Astargio de Manfredis, chiedendogli di differire il pagamento della parte della multa non ancora pagata da Samuele di I., arrestato in seguito a falsa testimonianza. Samuele, menzionato come figlio del fu Manuel di Cremona, residente a I., torna in un documento del 1468, riguardante le multe che avrebbe dovuto pagare al vescovo di Ancona e tesoriere papale di Bologna, per aver violato un accordo relativo all'arbitrato sul contenzioso che aveva con Salomone del fu Vitale di Vicenza, residente a Bologna[10].

Con una missiva del 1465 il Duca pregò, poi, Taddeo Manfredi di prestare tutta l'assistenza possibile all'illustre medico Magister Santo Rubini e al cognato, nel processo allora condotto a I. contro un altro ebreo. Qualche anno dopo, Galeazzo Maria, ricordando il legame paterno con lo stesso medico, lo raccomandò nuovamente al Manfredi, esortandolo a concedergli le terre, dategli dal padre quando era al suo servizio, la cui proprietà era rivendicata, invece, da un cittadino di Bologna, secondo quanto indicato da un documento del 1472.  Nel 1473 il Duca intervenne ancora una volta, affinché, dopo i debiti accertamenti, venisse fatta giustizia a Santo e al legum doctor bolognese Ludovico di San Pietro, implicati in una disputa.

Nello stesso anno Galeazzo Maria assolse Giacobbe, arrestato[11] a I., dove aveva crediti da riscuotere, e, pertanto, fece revocare il bando di espulsione da tutto il Ducato, emesso precedentemente contro di lui. Qualche tempo dopo, gli concesse anche un lasciapassare per tre mesi, onde permettergli di viaggiare liberamente per I. e le sue terre, e,  previo consenso del Comune, diede disposizioni al governatore locale perché a Salomone e Raffaele venisse confermato il privilegio concesso loro da Taddeo Manfredi. Sempre in questo periodo, al governatore di I. fu ingiunto di obbligare il figlio di Giacobbe a restituire i due capi di vestiario ricevuti in pegno da Donna Barsibilia e di convocare Salomone per appurare la verità circa il contenzioso con un ex soldato di Taddeo, che aveva riscattato i pegni impegnati presso di lui e sosteneva di continuare ad essere molestato dal feneratore. Dietro ripetute lamentele del soldato, fu sollecitato l'intervento di Taddeo stesso e di un doctor per comporre la vertenza, ma il caso risultava ancora aperto quasi sei anni più tardi.

Nel 1474 il governatore dovette appianare il conflitto tra alcuni ebrei di I. e il Manfredi, a proposito dei privilegi goduti dai primi.

Quattro anni più tardi, il Duca e la Duchessa furono pregati da parte del conte di I. di aiutare Giacobbe a riscuotere 500 ducati a saldo dei 1.000 dovutigli, in conformità con la sua richiesta, riconosciuta giusta  quamvis el sia hebreo[12] e, in seguito, provvidero a dare le disposizioni del caso[13].

Nel primo trentennio del XVI secolo Elia di Emanuele di Castelfranco, residente a I., ricevette, insieme ai familiari e ai soci, la tolleranza papale, valida per dieci anni, per fenerare qui e nei dintorni, l'esenzione dal segno distintivo ed altre facilitazioni[14]; analogo permesso fu dato a Giuseppe di Guglielmo di Arezzo, residente a I., purché esercitasse la propria attività senza aprire un regolare banco[15], come accadde anche per il mercante bolognese Mosè Giuseppe Ispano[16]. Sempre nello stesso periodo, anche a Magister David di Giuseppe, ebreo portoghese, al figlio Giuseppe, con familiari e soci, e a Musetto di Salomone di Sant'Angelo venne elargita la tolleranza per fenerare, rispettivamente per un periodo di sedici e di cinque anni[17].

Nel 1535 alle autorità e alla popolazione di I. fu ordinato di non eseguire i provvedimenti di un Breve papale, da loro ottenuto, che imponeva agli ebrei locali l'obbligo del segno distintivo e la redazione dei libri contabili in latino o nel dialetto, ad onta del loro privilegio, in modo da consentire agli ebrei di rivolgersi a propria volta alla Santa Sede[18].

Nello stesso anno, i fratelli Aronne, Crescino e Giacobbe Bellini di I., e Simone, alias Monus, di Guglielmo da Tossignano, anch'egli di I., ricevettero il permesso di gestire un banco feneratizio, secondo quanto già concesso loro anni prima: la tolleranza fu rinnovata nel 1543 ai fratelli Bellini (de Belin)[19], mentre, cinque anni prima, allo stesso Simone era stata estesa di un quinquennio la tolleranza inerente il banco feneratizio, con proibizione di impedirgli di usufruire del suo privilegio[20].  In seguito, la concessione fu rilasciata a Leo di Lazaro di Casale e ad Isacco di Angelo Raffaele di Tossignano[21].

Nel 1542 il rabbino David fu assolto dall'imputazione, risalente a sedici anni prima, di aver istigato un artigiano locale a vendere bombarde e archibugi di sua produzione a Costantinopoli, dicendogli che colà sarebbero stati venduti a prezzo maggiore[22].

Qualche anno dopo, fu proibito a Simone de Papettis di Arzignano e  agli eredi di Giuseppe Abenaia , spagnolo, di prestare, dato che avevano un contenzioso in merito all’attività feneratizia con gli strazzaroli locali[23].

Nel 1548 la popolazione di I., capeggiata dal vescovo, si lamentò presso la Santa Sede riguardo agli ebrei e, pertanto, il legato pontificio ricevette disposizioni, previo accertamento dei fatti, per ridurre il numero dei feneratori ebrei locali, istituire un quartiere ebraico separato e imporre l'obbligo del segno[24]. Quasi un anno dopo, in seguito all'appello rivolto dagli israeliti di I. e dal camerlengo papale alla Santa Sede, venne proibito qualsiasi cambiamento del privilegio ebraico e, pertanto, furono annullate tutte le disposizioni precedenti contro gli ebrei[25].

Al contempo, la gestione del banco di I. fu affidata ai fratelli Giacobbe ed Elia, di Giuseppe di Nola, con familiari e soci[26] e l'anno seguente, il vescovo di Imola, Gerolamo Dandino, figurò come arbitro tra la popolazione e la locale comunità ebraica, stabilendo che in futuro non più di dieci famiglie avrebbero avuto il permesso di abitare in città e nei dintorni e avrebbero dovuto vivere in un quartiere separato: due sarebbero stati i banchieri ebrei ammessi, tre gli strazzaroli, tre i mercanti d'altro genere. Gli altri ebrei avrebbero dovuto andarsene entro un mese e furono emesse nuove leggi relative al prestito e venne reso obbligatorio il segno[27]. Nello stesso anno, un debitore cristiano di Crescino Bellini fu, però,  obbligato a pagare, in quanto la condizione di cessio bonorum da lui accampata, risultava ottenuta col dolo[28].

Nell'elenco degli Ebrei della Romagna, accusati nel 1551 di aver dichiarato redditi inferiori al vero per frodare il fisco papale, figuravano anche quelli di I.[29].

Nel 1555, quando furono costretti in un ghetto, gli israeliti abitavano le case della via Selice, mentre qualche anno prima, nel '48, erano proprietari di immobili siti nei pressi della chiesa di S. Mattia[30]. In conseguenza dell'atteggiamento ostile di Paolo IV, il cronista Ghedalyah ibn Yahya lamentò una perdita di 10.000 scudi nella sua azienda privata a I.[31].

Nel 1566 gli ebrei di I. dovettero cedere il loro cimitero a dei religiosi e ricevettero un altro luogo da adibire a sepoltura[32].

Nell'elenco delle località in cui Sisto V e i suoi successori concessero agli israeliti la gestione di banchi di prestito, figurava anche I., per il periodo dal 1587 e al 1596[33].

Nel 1593, tuttavia, con la cacciata dallo Stato della Chiesa, anche la comunità di I. aveva cessato ufficialmente la propria esistenza[34].

 

Attività economiche

Intorno alla metà del secolo XVI, risulta che i prestatori di I. percepivano l'interesse mensile del 2% e, pertanto, l'interesse annuale del 24%[35]. Da documenti del 1551, sappiamo che l'interesse praticabile dai feneratori ebrei in Romagna doveva essere lo stesso praticato a I. e Bologna  e che si era assestato al 20% e al 25%[36].

Dai responsa di Azriel Diena risulta che la forte concorrenza tra prestatori ebrei a I. dava adito ad aspri conflitti, che l'autorità rabbinica tentava di sedare[37]. Oltre al prestito, gli ebrei esercitavano anche il commercio della strazzaria, come attestano una serie di concessioni papali del 1529, elargite in aggiunta al permesso di fenerare[38], e sappiamo che nel 1532, era stato dato anche un permesso di commerciare, senza ulteriori specificazioni[39].

Nel 1555 a Leone di Giuseppe Abenaya de Nigro di I. che aveva studiato, tra l'altro, a Padova, fu conferito il titolo di dottore e la licenza di esercitare l'arte medica anche nei confronti di pazienti cristiani[40].

 

Vita culturale

Avraham di Elia di Benyamin di David di Elia, appartenente ad una famiglia di copisti, era in possesso di una biblioteca, i cui testi dal 1385 al 1395 sono stati enumerati in un elenco che risulta essere il primo pubblicato per l'Italia centro-settentrionale del XIV secolo[41].

Alla fine del Quattrocento si stabilì a I. il rabbino David b. Yosef ibn Yahya, che fu chiamato in seguito a Roma e a Napoli, mentre dal figlio Yosef, rimasto a I., nasceva Ghedalyah ibn Yahya (1515–1587), autore dell'opera Shalsheleth ha-Qabbalah (La catena della tradizione), una sorta di zibaldone in cui venivano raccolte le notizie storiche sugli ebrei dai tempi di Mosè a quelli dell'autore[42].

Nel XVI secolo la comunità di I. costituì fu afflitta dai problemi connessi con al criterio da scegliere per conferire il titolo rabbinico[43].

 

Bibliografia

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[1] Roth, C., The History of the Jews of Italy, p. 70; anche il Cassuto, U., E.J. , alla voce "Imola" riporta questa ipotesi di un insediamento ebraico nel VII secolo.

[2] Bonfil, R., Reshimat sefarim ivriim mi-Imola", p. 51. L'episodio leggendario è menzionato anche dal Roth, C., op. cit., p. 72 e dal Cassuto, U., op. cit.

[3] Luzzati, M., La casa dell'Ebreo, p. 239; p. 242. La presenza ebraica a I., a partire almeno dall'ultimo quarto del secolo XIV, viene menzionata dal Luzzati anche in Banchi e insediamenti ebraici nell'Italia centro-settentrionale, p. 201.

[4] Menahem b. Avraham risultava essere ancora in vita e risiedere a I. nel 1385 (Zunz, L., Literaturgeschichte der synagogalen Poesie, p. 510; Bonfil, R., Reshimat sefarim ivriim mi-Imola", p. 51).

[5] Loevinson, E., Notizie e dati statistici, p. 143, p. 144, p. 145, p. 152, p. 153, p. 154, p. 155, p. 156, p. 157, p. 158, p. 159, p. 160, p. 161, p.162, p. 163, p. 164, p. 165, p. 166, p. 167. Risulta, inoltre, che, tra questi ebrei provenienti da I., uno fosse designato come d'origine francese (p. 143), uno d'origine spagnola (p. 156) e due d'origine tedesca (p. 157; p. 164).

[6] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 710.                                                                                      

[7] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 866.                                                                                       

[8] Biblioteca Comunale di Imola, Mss. 943, 1 Novembre 1458, citato da Larner, J., The Lords of Romagna, p. 271, n. 46.

[9] Larner, J., op. cit., p. 134.

[10] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 923.                                                                                    

[11] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, doc. 1441.

[12] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan., doc. 1782.

[13] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, I, docc. 583, 898, 1157, 1404, 1447, 1448, 1455, 1461, 1466, 1478, 1508; II, doc. 1782, 1857.

[14] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 1409.                                                                                                         

[15] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 1410.                                                                                                        

[16] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 1418.                                                                                                         

[17] Ivi, doc. 1411 e 1422.                                                                                                                                              

[18] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 1713.                                                                                                        

[19] Ivi, doc. 1693 e doc. 1446; doc. 2268.                                                                                                                     

[20] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc.1871.                                                                                                         

[21] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 1920.                                                                                                         

[22] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 2081.                                                                                                        

[23] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 2490.                                                                                                        

[24] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 2742.  Tuttavia, secondo Stow, la datazione di questa lettera non risale al 1548, ma al periodo posteriore all'istituzione del ghetto, nel 1555 (cfr. Stow, K., Taxation, p. 150).                   

[25] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 2800.                                                                                                        

[26] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 2810.                                                                                                        

[27] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 2860.                                                                                                         

[28] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 2885.                                                                                                        

[29] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 3043.                                                                                                         

[30] Cassuto, U., op. cit.

[31] Milano, A., op. cit., p. 250; Roth, C., op. cit., p. 298.

[32] Cassuto,U., op. cit.

[33] Loevinson, E., op. cit., p. 141; in particolare, ricevevano la concessione quinquennale del banco, nel 1587, Giuseppe di Davide, Rosso di Salomone d'Arezzo, Mose, di Aronne "de Gallo" e Leone di Mose "de Castelfranco"; nel 1590 viene documentata la gestione quinquennale di un banco data ai fratelli Zaccaria e Isacco del fu Bonaiuto d'Urbino; nel 1592, risultavano iniziare il periodo della concessione quinquennale del banco i fratelli Giuseppe, Davide e Berto D'Arezzo. Loevison, E., La concession de banques de prêts aux Juifs par les Papes des seizième et dix-septième siècles, pp. 60-61.

[34] Cassuto, U., op.cit.

[35] Muzzarelli, M.G., Ebrei e città d'Italia in età di transizione, p. 219.

[36] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 3007, 3017, History, p. 441.                                                                     

[37] Diena, A., Responsa, II, p. 392, p. 474; idem, Responsa Mattanot ba-Adam, pp. 175-176.

[38] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 1409, 1422, 1426. Nel 1535, Elia (Helia) di Lazaro, strazzarolo, insieme alla famiglia e ai soci, riceveva il permesso di fenerare, ad onta di un arbitrato che, a proposito della sua disputa con David Spagnolo, Magister Angelo, Raffaele e Simone di Arignano, permetteva a quest'ultimo di opporre il proprio veto alla concessione di una tolleranza come quella nei confronti di Helia e soci (ivi, doc. 1699; sulla vicenda, cfr. ivi, doc. 1426, 1428, 1569). Nel 1541 l'autorità papale in Romagna era incaricata di impedire agli strazzaroli di I. l'esercizio del prestito, senza autorizzazione pontificia (ivi, doc. 2071). Sul permesso di fenerare concesso agli strazzaroli, cfr. ivi, doc. 2394.

[39] Ivi, doc. 1573.

[40] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 3239.                                                                                                        

[41] Bonfil. R., Reshimat sefarim ivriim mi-Imola, sof ha- meah ha XIV, p. 50. Per la descrizione dei testi in generale e per la lista più particolareggiata, cfr. ivi, pp. 53-62.

[42] Marx, A., Glimpses of the Life of an Italian Rabbi, p. 607, p. 610; Milano, A., op. cit., p. 663.

[43] Bonfil, R., Ha rabbanut be-Italia be-tqufat ha -Renaissance, pp. 37-38; pp. 212-214, pp. 223; p. 224.               

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