Ferrara

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Ferrara

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Città dell'Emilia, capoluogo di provincia. Situata nell'aperta pianura a Nord-Est di Bologna, dalla quale dista una cinquantina di chilometri è bagnata dal Canale di Burana. Divenuta possesso estense nel 1240, dopo svariate vicende, nel 1332 ne divenne feudo per intervento della Santa Sede e rimase legata alla Casa d'Este sino al 1598, quando passò sotto il dominio della Chiesa.

Considerando brevemente i membri più significativi della dinastia estense, abbiamo Leonello (1441–1450), che fece della corte di Ferrara ricetto di artisti, dotti e letterati, rendendo la città tra le più celebri d'Europa, Borso (1450–1471), con il quale venne conferito alla dinastia il titolo ducale da parte di Papa Paolo II ed Ercole I (1471–1505), che portò al massimo periodo di splendore della città. Il suo successore, Alfonso I (1505–1534), riconquistó alla Casa il Polesine di Rovigo (1510), mentre Modena e Reggio rimanevano in mano alla Chiesa ed Ercole II (1534–1559) pose fine, nel 1539, alle discordie esistenti tra Ferrara e la Chiesa. Sotto Alfonso II, la situazione economica si fece difficile provocando il malcontento della popolazione ed il suo successore, Cesare d'Este, data la personale inettitudine e l'ostilità popolare, abbandonò, nel 1598, F., seguito da qualche migliaio di cittadini, mentre il Ducato veniva devoluto alla Santa Sede con la convenzione di Faenza del 1598, secondo le disposizioni contenute nella bolla De non alienandis di Pio V, confermata da Gregorio XIII e da Sisto V e secondo l'accordo tra Ercole II e papa Paolo III. Il governo dei cardinali legati (dal 1598 al 1796) contraddistinse un periodo di decadenza intellettuale, politica ed economica, parzialmente attenuata dalle riforme sociali e agrarie promosse dal cardinale Carafa (1778–1786). Nel 1796 F. venne occupata dai Francesi ed entrò a far parte della Repubblica cispadana[1].

 

Si ha testimonianza della presenza ebraica in città in un documento del 1226–27, in cui tale Donfullino o Dombellino ebreo, mercante di olio di F., risulta vincitore di una causa contro il comune di Ravenna[2], mentre, in un testamento dell'anno successivo, compare come beneficiario di un legato tale Sabatinus Judeus. Inoltre, in un responso rabbinico del 1239, F. viene menzionata tra le città del nord Italia sedi ebraiche di una certa importanza. Nel corso del XIII secolo risulta che diversi ebrei acquistassero terreno nel eerrarese e vi sono anche testimonianze documentate di affari bancari e commerciali dal 1270 al 1292. Un ulteriore documento risale al 1275 e tratta de absolutione, liberatione, immunitate, factis Iudaeis Ferrariae per Iacobinum Guadoli Vicarium D. Guilielmi de Lambertinus Potestatis Ferrariae etc.[3].

Nella seconda meta del XIII secolo, troviamo una serie di casi di riconversione all'ebraismo di israeliti di svariate città, tra cui F., passati in precedenza al cattolicesimo[4]. Ma una prova della consistenza raggiunta dal nucleo ebraico a F. è data una disposizione, contenuta negli Statuti ferraresi del 1287, in base alla quale, in data 1275, il governo della città si impegnava ad osservare i capitula quae continentur in instrumento absolutionis et seu immunitatis facte Judeis ferrariensibus[5].

Tra il 1300 e il 1316 piu ebrei, tra cui il medico Bonaventura, furono puniti con multe pecuniarie dall'Inquisizione. La consistenza del gruppo ebraico ferrarese del XIV secolo, trova risonanza in due sonetti del poeta Francesco di Vannozzo (vissuto nella città nel 1376), in cui veniva deprecato il peso assunto dall'ebraismo locale.

Nel secolo XV la comunità ebbe un forte incremento sotto la Casa d'Este, che, basandosi su una concessione papale, riteneva proprio diritto concedere o meno agli ebrei l'esercizio dell'attivita feneratizia, permettendo l'ingerenza del Comune solo per regolare i particolari della condotta, e garantiva anche l'esercizio del culto e l'autonomia legislativa.

Nel 1432 il vescovo di F. ricevette ordine di imporre l'uso del segno agli ebrei della sua diocesi[6], mentre un documento del 1449 allude all'uso degli anelli alle orecchie come segno distintivo delle donne ebree[7].

Nel 1444 un Magister Salomone ricevette da Lionello d'Este l'incarico di Inzignero[8].

Alla presenza ebraica, tuttavia, reagivano i frati predicatori, provocando l'intervento del governo in favore degli ebrei che, nel 1448, ottennero che le prediche contro di loro fossero vietate da Papa Niccolò V[9]. Nello stesso anno, a Lionello d'Este (ed ai suoi predecessori) veniva permesso di avere ebrei nelle proprie terre e veniva concessa l'assoluzione per aver permesso l'insediamento ebraico in passato[10]. Qualche anno dopo, il vicario del vescovo di F. ricevette l'incarico di vigilare affinché i privilegi degli israeliti italiani fossero osservati e, in particolare, fosse applicata la bolla di Martino V contro le prediche forzate.

Borso d'Este continuò la politica di apertura nei confronti degli ebrei, data l'importanza dei banchi feneratizi, ed il suo successore, Ercole I, estese la protezione accordata ai feneratori, decretando che, nell'interesse dello Stato, non intendeva privarsi dei banchieri ebrei e che, per impedirne la partenza, intendeva adoperarsi per diminuire i contributi richiesti loro dai commissari papali.

In certi casi, i rapporti tra il duca e gli Ebrei esularono dalla sola sfera dell'interesse, per assumere un carattere pressoché confidenziale: si puo menzionare a tal proposito un ebreo che, nel 1479, perdette in una sola partita a carte con Ercole I l'ingente cifra di 3.000 ducati.[11]

Nel periodo tra il 1487 e il 1490 circa, ebbero luogo a F. delle dispute teologiche ebraico-cattoliche, cui partecipò anche Abraham ben Mordecai Farisssol che ne diede il resoconto nell'opera Magen Avraham, ultimata tra il 1500 e il 1512[12].

La comunità locale venne intanto accresciuta dagli ebrei d'origine spagnola a partire dal 1492, quando Ercole I d'Este concesse di stabilirsi nel suo territorio ad alcune famiglie[13] in fuga dalla penisola iberica. Il duca, scrivendo, sempre nel 1492, al corrispondente degli Estensi a Genova, Corrado Stanga, oltre ad offrire in termini molto calorosi la propria ospitalità agli esuli spagnoli che temporaneamente si trovavano nella citta ligure, rispose alle richieste da loro avanzate, elencando le agevolazioni che era disposto a concedere, suddivise in sette punti: 1) assicurazione di un anno di tempo per andarsene, nell'ipotesi di essere costretti a partire; 2) concessione del diritto di esercitare l'arte medica anche nei confronti dei pazienti cristiani e, dovendo chiedere allo scopo licenza papale, assicurazione di massimo appoggio; 3) concessione dell'appalto dell'esazione di tasse e gabelle; 4) concessione del diritto di esercitare la farmacia; 5) esenzione da dazi e gabelle per chi si fosse insediato con le famiglie e gli averi nello stato estense; quanto alle merci che eventualmente avessero portato, sarebbero stati esentati dal pagamento dei dazi che non erano stati dati in appalto ( in questo secondo caso, decideva chi aveva l'appalto); 6) promessa di compiacerli nelle loro richieste; 7) concessione di tutti i privilegi e immunita concessi agli altri Ebrei, eccetto l'usura e i contratti usurari[14].

Nel 1493 Bernardino da Feltre andò a predicare a F., esortando alla fondazione del Monte di Pietà, ma incontrò una forte opposizione. Tre anni dopo, le profezie catastrofiche di alcuni frati indussero il duca ad imporre il segno distintivo a ebrei e a "marani"[15] e nel 1498 Ercole I ordinò a tutti gli israeliti del ducato di portare il cappello giallo, pena quattro colpi di frusta e 200 ducati di multa[16].

Per opera di un frate, Jacopo Ungarelli, fu promossa nel 1507 la fondazione del Monte, realizzata l'anno seguente.

Nei primi anni del XVI secolo, ebbe luogo una delle controversie più note nella storia degli ebrei d'Italia, quella tra il eerrarese Emanuel Norsa, considerato il secondo per ricchezza tra i correligionari della Penisola e Abraham Rafael Finzi di Bologna, suo socio nella gestione di un banco di prestito. Sorto per motivi d'interesse, il conflitto si prolungò negli anni, con l'intervento di rabbini di chiara fama, sia di F. che di tutta l’Italia, e sfociò nella scomunica[17] del rabbino ferrarese Abraham Minz, che parteggiava per il Norsa, e di Jakob Polack, rabbino capo di Polonia per decreto reale, che parteggiava per il Finzi[18].

Il primo documento che attesta l'insediamento degli ebrei d'origine portoghese a F. è la tolleranza pontificia, concessa nel 1529 a Leone Gedelia (alias Juda Nigri)[19] di soggiornare in città, esercitarvi l'attività feneratizia e condurre aziende agricole, con facoltà di assumere servitù cristiana e senza avere l'obbligo del segno. Poco dopo, la tolleranza gli fu rinnovata ed estesa per ulteriori venti anni: nonostante l'origine portoghese fosse menzionata esplicitamente, egli veniva assimilato agli ebrei d'origine italiana e, pertanto, gli era concesso di fenerare, sia pure in un borgo della provincia[20]. Prima di giungere a F., il Nigri era stato attivo ad Anversa e si presume che sia da identificarsi con il judeo el qual, essendo in Fiandra et fingendo esser christiano et bon mercante aveva truffato i mercanti fiamminghi, riparando a F. con un salvacondotto ducale[21]. Con l'espediente di spacciarsi per cristiano, cui era ricorso il Nigri, si faceva strada il problema della liceità di accogliere i marrani nello stato estense[22].

Nel 1532 Ercole II promosse l'insediamento a F. di ebrei di provenienza boema e centro-europea che si aggiungessero a quegli ashkenaziti, menzionati nei documenti già nel 1520[23]. Dal 1534 al 1538 nuovi immigrati iberici ricevettero il permesso di stabilirsi nel ducato ed in una lettera del 1538 Ercole II delegò Girolamo Maretto di giungere ad un accordo su dazi e franchige per tutti gli ebrei di lingua spagnola e portoghese che fossero venuti a stabilirsi nelle sue terre[24], intendendo con cio alludere a quei conversos che, pur continuando a conservare la lingua del Paese d'origine, avrebbero potuto averne persa la cittadinanza.

Un secondo intermediario ducale fu affiancato al Maretto, il rabbino Yomtov Almale (Bondia), che, dietro promessa di un compenso economico, venne incitato a promuovere lo stanziamento di mercanti iberici nel dominio estense[25].

Nel 1535 Paolo III confermò con un motu proprio la validità anche per l'Italia dell'indulgenza plenaria ai "Cristiani nuovi" portoghesi, accusati di eresia e apostasia, e concesse ai confessori l'autorità di assolvere i penitenti[26]. Un paio d'anni dopo, Salomone da Ripa, definito "familiare" di Ercole II, fu inviato in soccorso dei numerosi conversos, provenienti da Anversa arrestati a Milano e li difese come sudditi estensi in potenza[27].

Anche agli ebrei cacciati dal Regno di Napoli, nel 1541, fu offerta ospitalità nello Stato estense: tra coloro che vennero a stabilirsi a F. vi furono Shemuel Abravanel e la sua famiglia[28].

Nel 1550 Ercole II emise un decreto in forma di salvacondotto a favore degli israeliti di origine portoghese e spagnola che si fossero trasferiti a F.[29] per esercitarvi liberamente ogni tipo di arti e commerci, esclusa l'attività feneratizia, godendo degli stessi diritti concessi agli altri cittadini originari[30].

Ercole II ritenne di dover giustificare l'appoggio dato ai conversos, inserendo nel salvacondotto l'affermazione che i portoghesi e gli spagnoli che intendeva ospitare avevano dichiarato di non essere mai stati battezzati. Ciò facilitò l'approvazione del salvacondotto da parte dell'Inquisitore di F., ma sollevò i dubbi di Beatrice de Luna, alias Dona Gracia Mendes, che, avendo vissuto da cristiana in Portogallo, richiese per sè e per la famiglia uno speciale salvacondotto, in cui venisse assicurata loro la libertà di professare l'ebraismo, indipendentemente dall'essersi, in determinate circostanze, dichiarati cristiani[31].

Il Decreto del 12 febbraio 1550, emesso alla vigilia dell'espulsione dei conversos da Venezia, consentì a questi ultimi di trovare rifugio a F., dopo la fine dell'epidemia di peste, che, attribuita ai portoghesi, aveva provocato la loro temporanea espulsione dal territorio estense[32].

A parte questa breve parentesi causata dalla peste, la promozione dell'insediamento ebraico da parte ducale continò, prendendo, talvolta, la forma di una garanzia pecuniaria, richiesta agli israeliti recentemente accolti, per assicurare che non avessero intenzione di lasciare lo Stato estense, come attesta, nello stesso 1550, il caso di tale Mose Halafe che depositò cento scudi d'oro al banchiere ducale con obbligo di habitare in Ferrara tutta la vita[33].

Nel 1552 un breve di Giulio III confermò il salvacondotto concesso dal suo predecessore ai conversos di Ancona, la cui validità Ercole II chiedeva di estendere anche a quelli di F. che, all'epoca, era ancora, almeno formalmente, feudo pontificio[34].

Nonostante l'atteggiamento favorevole dimostrato in queste circostanze, va rilevato che il duca non si oppose al rogo del Talmud a F. nel 1553 ed inoltre fece arrestare per alto tradimento Yosef Abravanel[35], la cui innocenza venne dimostrata da due studiosi cristiani.

Nel 1554 si tenne in città un’assemblea generale dei rabbini italiani, presieduta da R. Meir Katzenellenbogen di Padova e composta da 14 membri rappresentanti le comunità ebraiche della repubblica veneta, della città di Roma, di Bologna, di Modena e Reggio, di Mantova, nonchè di F., per giudicare di diversi argomenti di interesse comune, tra cui il divieto di esercitare clandestinamente il prestito nelle città dove l'attività feneratizia era stata concessa in monopolio ad un altro ebreo[36].

Nel 1556 venne accordato a Salomone di Ripa il permesso di istituire a F. un’accademia di studi ebraici, con la facoltà di scegliere e, se del caso, di sostituire il direttore[37].

Dato che l'Inquisizione aveva avanzato il diritto di rivedere e approvare sia i libri d'uso liturgico sinagogale che quelli di preghiera ad uso domestico, per fronteggiarne tale iniziativa, nel 1563 venne inviata al concilio di Trento una deputazione ebraica, di cui facevano parte anche due ferraresi[38].

Nel 1569, dopo l'espulsione dai territori papali, molti ebrei da Bologna si trapiantarono a F. L'anno seguente, la città fu duramente provata dal terremoto ed Azaryah de' Rossi, descrivendo il cataclisma nella sua opera Me'or ha-enayim, attesta che, mentre nessuno osava trattenersi nelle case, i dieci oratorii che erano all'epoca a F., erano sempre pieni di fedeli in preghiera[39].

Riflettendo sul terremoto, il de' Rossi prendeva in considerazione il fatto che potesse essere espressione di eventi d'origine naturale e non solo segno della collera Divina per i peccati unani: Pio V, invece, lo ritenne originato dalla presenza nella città di giudei e marrani, provocando l'obiezione dell'internunzio ferrarese: [..] ne giudei ne marrani han causato il terremoto, essendo cosa naturale[40].

Tuttavia, in quello stesso 1570, il duca Alfonso II, cedendo alle pressioni della Chiesa, impose agli ebrei l'uso del segno distintivo e in contrasto con la linea tenuta dal suo predecessore nei confronti dei conversos fece consegnare all'Inquisizione di Venezia Abraam Righetto, presunto giudaizzante che aveva domicilio a F.[41].

L'anno dopo, tuttavia, il duca concesse asilo a F. ai superstiti di un gruppo di trecento Ebrei che si recavano per nave a Salonicco, ed erano stati depredati dai Veneziani. Nel 1581 Alfonso II cedette ancora una volta all'Inquisizione, facendo arrestare un gran numero di conversos portoghesi, di cui tre finirono sul rogo a Roma[42].

Nel 1597 F. passò al dominio della Chiesa e numerosi ebrei decisero di seguire il duca Cesare a Modena e a Reggio. L'anno seguente, il cardinale Aldobrandini, nominato Legato e Vicario pontificio, prendendo il governo della città, promulgò la cosiddetta Costituzione Aldobrandini, che consentiva agli israeliti di vivere a F. (a patto che portassero il segno), di esercitare tutte le attività, ma non di acquistare immobili (e di vendere, entro cinque anni gli immobili che gia possedevano), di gestire dazi o gabelle, di riscuotere affitti e di dare animali a giornata. Inoltre, le sinagoghe dovevano essere tutte in un solo luogo, da assegnarsi da parte del Delegato o del giudice dei Savi, pagando annualmente per ogni sinagoga una cifra alla Casa dei Catecumeni, istituita a F. nel 1584. Veniva permesso, inoltre, l'uso dell'antico cimitero e l'uso dei libri ebraici consentiti dal Santo Uffizio a Roma, Ancona e Venezia. Infine, ogni ebreo che fosse venuto a stabilirsi a F. doveva denunciare nome, cognome e patria al Vice-Legato e Inquisitore ferrarese.

Nel 1599 il Monte di Pietà fallì per cattiva amministrazione e gli ebrei ripresero ufficialmente l'attività feneratizia (sino al 1683).

Nel 1617, per ordine del cardinale Legato Orazio Spinola, ebbe luogo nel convento dei gesuiti di F. una controversia religiosa tra un rabbino e il Padre gesuita Don Alfonso Caracciolo, alla quale assistettero 2.000 persone, tra cui i piu ragguardevoli personaggi locali[43].

Nel 1624 venne progettato il ghetto, che fu istituito de facto nel 1626–27. Dopo l'avvento del potere papale, furono segnalate manifestazioni di ostilita nei confronti della popolazione ebraica nel 1598, 1626, 1665, 1686, 1705.

Nel 1629 venivano prese, intanto, con editto vescovile, svariate misure anti-ebraiche, culminanti nell'obbligo di assistere, ogni domenica, alle prediche a scopo conversionistico, nella Cappella ducale. Date le molestie che dovevano subire gli ebrei lungo il tragitto dal ghetto alla chiesa, nel 1695 il luogo delle prediche forzate fu spostato all'oratorio di S. Crispino, contiguo al ghetto, mentre il giorno deputato  passò dalla domenica al sabato.

In questo periodo sono attestate due accuse di rilievo mosse contro ebrei ferraresi: una, nel 1600, per sfregio di un'immagine sacra al culto cristiano, posta in una casa di via Sabbioni, abitata da ebrei (che furono assolti) e un'altra, nel 1648, per l'assassinio a scopo di rapina di un mercante cristiano. Mentre uno dei due colpevoli riuscì a fuggire, l'altro, reo confesso, subì una punizione esemplare e il suo capo mozzato, messo in una gabbia di ferro, fu murato sul portone del ghetto, per venirne rimosso solo qualche mese dopo, previo pagamento da parte ebraica.

Un'accusa di omicidio rituale si ebbe nel 1721, ma sia il Vicario generale che il cardinal Ruffo presero con decisione le difese degli ebrei, ingiungendo ai ferraresi di desistere dagli atti di ostilità intrapresi a causa di questa accusa infondata.[44]

Nel 1733 l'Editto del cardinal Ruffo vietò l'uso dei libri sacri che non fossero stati sottoposti alla censura, proibì di onorare i defunti ebrei con pompe funebri e lapidi sepolcrali, annullò tutte le eccezioni precedentemente concesse rispetto all'obbligo del segno[45], vietò balie e servi cristiani[46], proibì la vendita di generi alimentari ai cattolici e, infine, vietò ogni contatto, sia da parte ebraica che cattolica, con i catecumeni. Tuttavia, due anni dopo questo Editto, risultava che, data l'assenza di neofiti nella Casa dei Catecumeni, gli ebrei circolavano liberamente nei pressi dell'edificio e nelle vie adiacenti, che facevano parte del quartiere piu bello della citta.

Trent'anni dopo, la comunità ferrarese fu condannata ad un’ammenda in base alla bolla papale Apostolici ministerii di Benedetto XIV, in quanto un membro di essa, tale Samuele Scandiani, aveva offerto una somma di denaro al neofita ferrarese Giovanni Battista Torcolgialdi, perché si recasse nel ghetto di Rovigo a consegnare l'atto di divorzio alla moglie, Consola Scandiani, sposata prima della conversione. Gli Ebrei ferraresi, rivoltisi all'Inquisizione romana, ottennero che l'ammenda venisse revocata, dato che era stato provato che l'accaduto non era stato avallato dai massari dell'Università.

Inoltre, l'ebreo ferrarese Mosè Vita Coen si guadagnò la riconoscenza della Santa Sede, rifornendola, nel 1764 e nel 1773, di granaglie[47].

Nel 1796 le truppe francesi occupavano F.[48]

 

Attività economiche

Gli ebrei d'origine italiana e, in seguito, quelli di origine tedesca erano dediti all'attività feneratizia ed i secondi, inoltre, erano attivi sin dal 1514 nella strazzaria[49].

Nel 1529 vennero fatte, per conto della Santa Sede, indagini circa il prestito ebraico abusivo in diverse località, tra cui F.[50].

Per quanto concerne gli ebrei iberici, dall'elenco dei 21 capo-famiglia accolti a F. nel 1492, risulta che vi erano 6 commercianti a tempo pieno e 2 che esercitavano il commercio come seconda professione, in aggiunta a quella di appaltatore della riscossione di dazii e imposte, l'uno, e di medico, l'altro; inoltre, 7 erano definiti artesani, senza ulteriore specificazione, tuttavia vi è ragione di supporre che, tra di essi, vi fossero orafi e argentieri.[51] L'attività feneratizia era preclusa agli ebrei d'origine spagnola e portoghese: tuttavia, in data precedente al 1555, troviamo esempio di feneratore ebreo d'origine portoghese[52].

Al principio del Settecento diventarono numerose le assoluzioni papali da ogni delitto perpetrato dai diversi ebrei ferraresi, nonché alcune tolleranze di poter prestare a F.[53].

 

Dopo l'istituzione del ghetto, tra le centinaia di ebrei che lasciarono F. vi furono, secondo una fonte locale ottocentesca, anche diverse ricche famiglie che, andandosene, portarono con loro una somma di denaro superiore alla metà di tutto il capitale posseduto, in beni mobili e immobili, dall'intera comunità, danneggiando l'economia cittadina e abbassando, presumibilmente, il tenore economico della comunita stessa[54].

Da un rapporto sulla situazione finanziaria degli ebrei ferraresi, redatto per ordine della Curia romana nel 1703, risulta che, su 328 famiglie, 41 possedevano capitali, 67 si guadagnavano da vivere con l'industria ed erano in grado di pagare le tasse, 148, pur avendo un'attività, non raggiungevano il minimo imponibile e 72 vivevano di elemosine[55].

 

Vita comunitaria

La prima testimonianza dettagliata di una specie di Corporazione israelitica con Presidenti e Deputati risale al 1469.[56]

Alfonso I oltre a confermare l'appoggio dato dal padre ai banchieri, venne incontro alle richieste che provenivano da F., come da Modena e da Reggio, ordinando nel 1505, che anche gli ebrei dei centri minori contribuissero alle imposte speciali e personali[57].

Nel 1520 Leone X aveva concesso ad un gruppo di ashkenaziti, stabilitosi a F., di osservare il rito tedesco nei loro luoghi di culto[58] e, dopo essersi accresciuto, nel 1532 il gruppo ashkenazita decise di separarsi dagli ebrei di rito italiano e ricorse al delegato apostolico, residente a F., per poter aprire un oratorio di rito tedesco, concesso con speciale Patente a patto che venisse usato un locale già esistente a questo scopo e non venisse eretta una nuova sinagoga[59].

Per quanto riguarda gli ebrei portoghesi e spagnoli, va rilevato che l'appoggio concesso loro dagli Estensi, ne incrementò il numero tanto da farli riunire in una scuola a parte, con propri organi di autogestione. La Nation Portughesa, secondo il termine con cui venivano designati gli ebrei d'origine iberica, vide confermare i propri privilegi a F. nel 1559 dal duca Alfonso II e, nel 1597, dal duca Cesare[60].

Nel 1573 la Corporazione italiana e quella tedesca si fusero, dando luogo alla cosiddetta Università degli ebrei di F., che si diede le seguenti norme: la sua Amministrazione, di durata triennale, sarebbe stata affidata a 18 membri da estrarsi a sorte tra i partecipanti delle due Corporazioni, radunatisi a tale scopo nel 1573; ogni anno, per la durata del triennio, vi sarebbero stati speciali Presidenti e Cassieri; sarebbe stato considerato contribuente alle spese dell'Università chi avesse avuto un reddito da cinquanta scudi in su. Inoltre, venne fissata percentualmente la quota dei contributi da pagare all'Università stessa, si definì il criterio con cui valutare i beni mobili e immobili dei contribuenti e venne formata una commissione di 8 membri, 3 dei quali rabbini, per l'esazione delle tasse in giorni prefissati, secondo la modalità stabilita che ogni contribuente ponesse la propria quota in una cassetta chiusa, dopo solenne giuramento che essa era conforme al proprio patrimonio e alle norme convenute per la sua valutazione[61].

Dal limite minimo dei redditi tassabili è stato dedotto che anche i meno abbienti dovevano partecipare alle tasse, mentre, d'altro canto, si faceva affidamento sull'autodichiarazione giurata dei contribuenti[62].

Poco dopo la costituzione dell'Università vi si aggregarono gli ebrei esuli da Bologna e, in seguito, dal Regno di Napoli. Stando alla testimonianza di Azaryah de' Rossi, ai suoi tempi venne fondata a F. un’Accademia rabbinica ad opera della Corporazione spagnola, che, nel XVII secolo, prese notevole impulso, sino a divenire una sorta di "Curia Giudaica", come la definisce il Pesaro, che, con il tempo, finì per ingelosire i notai cristiani, timorosi della concorrenza[63]. L'Accademia era composta di membri effettivi, cioè addetti al ministero religioso della comunità, di uditori, cioè di giovani che intendevano accedere alla carriera rabbinica, e di amatori, cioè di coloro che intendevano dedicarsi agli studi teologici, senza aspirare alla carica rabbinica, tra cui vi erano i maggiorenti della comunità e capifamiglia di stimata reputazione. I Capi dell'Accademia erano nominati dalla comunità, mentre erano lettori a turno i membri del consesso o i maggiorenti o qualcuno scelto per la sua abilità nella lettura dei testi del Talmud e dei commenti. L'Accademia era attiva tutti i giorni, salvo i festivi, e aveva l'autorità di conferire i titoli di Maskil (dotto), Haver (aspirante alla carriera rabbinica), Kakam (rabbino atto ad esercitare il culto) e Morenu (capo dell'Accademia). Il conferimento dei titoli era formalmente sottomesso all'approvazione della Commissione Amministrativa, che dirigeva la comunità. L'Accademia si costituiva in tribunale nei casi di divorzio o "scalzamento", quando occorreva richiamare al dovere chi avesse violato publicamente le leggi della comunità e della morale, quando doveva deliberare intorno a nuovi e gravi casi e per dirimere le contese civili tra privati, con l'autorizzazione governativa, sia pure concessa con delle limitazioni. Per le cause tra civili la decisione era inappellabile quando la somma in questione era limitata a 5 scudi, per somme maggiori era previsto l'appello. Sembra che questo "tribunale" decidesse non solo le cause tra i membri della comunità ebraica, ma anche quelle tra ferraresi ebrei e e cristiani: tuttavia, dopo un ricorso di notai cristiani al cardinale Casoni, Legato di F., nel 1708, le funzioni di questo tribunale vennero limitate ai soli ebrei[64].

Nel corso del XVII secolo sorsero in seno all'Università alcune associazioni caritatevoli (che, tra l'altro, furono di grande aiuto per far fronte alla peste del 1630)[65], tra cui le principali risultavano essere: la Ghemilud Hassadim (o Confraternita della Misericordia) che somministrava aiuti ai malati, la Bicur Holim che assisteva i malati, la Marpe la Nefesh o confraternita avente come scopo l'assistenza ai malati nell'ultima fase della vita e la Chebarim che provvedeva alla sepoltura dei morti[66].

Datava al 1747, invece, la decisione dell'Università di sovvenzionare i poveri tramite elemosine, che avrebbero dovuto, tra l'altro, far fronte al pagamento dei fitti che, poco dopo l'istituzione del ghetto, erano stati regolati secondo lo jus hazaqah (una sorta di contratto di subaffitto perpetuo). L'anno seguente venne fondato un Ospizio per gli ebrei Forastieri, Vagabondi, Birbanti e Calcanti, al cui vitto avrebbero dovuto provvedere a turno quegli ebrei che ne avessero avuta la possibilità economica[67].

Con decreto del 1555 Ercole II concesse ai sefarditi di eliger li propri massari et officiali ... cum autorita di poner pena d'escomunicatione alli desobedienti e delinquenti[68]. Con ciò fu riconosciuta una certa autonomia governativa in base alla quale venivano emesse le Ascamot[69]. Come in altri centri della diaspora sefardita, anche a F. i Massari svilupparono la tendenza ad emettere disposizioni, senza l'avallo delle autorità rabbiniche competenti. Ogni Ascamà era accompagnata dalla minaccia di Kherem ("scomunica") per gli inadempienti, minaccia che, nel corso del XVI secolo, era divenuta tanto frequente da perdere la propria efficacia[70].

 

Demografia

Dal conteggio della popolazione ebraica, fatto per distribuire viveri durante la carestia del 1590, dietro ordine di Alfonso II, risultavano vivere a F. 2000 ebrei, con 200 Marrani tra spagnoli e portoghesi[71].

Dal censimento del 1601, risulta che il numero degli ebrei era calato a 1530 e buona parte di coloro che avevano lasciato la città, dopo il passaggio di F. alla Chiesa, avevano seguito il duca Cesare a Modena: diversi ebrei d'origine spagnola erano riparati, invece, a Venezia. Da una fonte ottocentesca si apprende che, nel corso degli anni, dopo l'istituzione del ghetto, di duemila israeliti che prima conteneva questa città, ne emigrarono in breve oltre quattrocento[72], il che puo esssere interpretato come conferma dei dati del censimento del 1601 o come indicazione di un aumento della popolazione, successivo a questa data, seguito da un ulteriore spopolamento[73].

Da un documento del 1703, si apprende che, all'epoca, vivevano nel ghetto ferrarese 328 famiglie (senza che ne venga fornito il numero complessivo dei membri)[74].

 

Sinagoghe

Il primo documento attestante l'esistenza di un edificio intero da adibire ad uso sinagogale risale al al 1485, quando, come risulta da una lapide posta nell'aula in cui vi era l'oratorio di rito italiano, Samuele Melli lasciò la casa alla comunità perché ospitasse una sinagoga, impegnando la comunità stessa a non vendere l'edificio, sin tanto che vi si recitassero preghiere. Lo stabile, nell'antica via dei Sabbioni, ospitò l'oratorio Fanese e quello tedesco, precedentemente sito altrove, a partire dal 1603, quando il governo pontificio prescrisse agli ebrei di rito tedesco di spostare la loro sinagoga nell'edificio in cui vi era quella italiana[75]. La sinagoga spagnola, ubicata a suo tempo in via della Vittoria, fu eretta presumibilmente all'inizio del Seicento, quando, dopo il passaggio di F. al dominio della Chiesa, fu imposta la limitazione di tre sole sinagoghe per tutta la popolazione ebraica. Per quanto riguarda il numero delle sinagoghe, nel periodo precedente, Azaryah de' Rossi, descrivendo gli effetti del terremoto del 1570, ci fornisce la notizia che, all'epoca, le sinagoghe erano dieci[76].

 

Cimiteri

Il cimitero è posto nella zona della Certosa Comunale e, quindi, entro l'antica cinta muraria della città, in un punto tra la Certosa e la cosiddetta Montagnola. Ampio e chiuso da un muro di cinta, dà sulla via delle Vigne. Fino al 1452 gli ebrei di F. ebbero il cimitero vicino a S. Gerolamo, come risulta dal Repertorio cronologico del 1492, in cui veniva riferito l'ordine di acquistare da tale Bartolomeo Tealdi un appezzamento di terreno da consegnarsi agli Ebrei per seppellire i loro morti, in luogo del loro cemeterio donato dalla comunità ai P.P. Gesuati per ampliare al loro convento[77]. Questo secondo cimitero, in località Santa Maria Nuova, nel 1626 risultava insufficiente, per cui gli Ebrei di F. si rivolgevano a Urbano VIII per acquistare un nuovo terreno per uso cimiteriale, ottenendolo, purché fosse in localita indicata dal Vicario o dal Vescovo locale e non avesse un'area superiore alle venti staja ferraresi. Nel 1755 l'Inquisizione diede ordine di atterrare tutte le lapidi del cimitero ebraico, proibendo di porne altre in futuro: pertanto, non potè essere contrassegnata con una lapide la tomba del famoso Isacco Lampronti, deceduto un anno dopo questa disposizione.

Inoltre, dal tempo dell’immigrazione dal Portogallo e dalla Spagna, esisteva, nei pressi dell'Ospedale di Santa Giustina, un cimitero sefardita o lusitano: circa questo luogo di sepoltura separato per gli ebrei iberici è stata fatta l'ipotesi che fosse stato concesso, in quanto essi erano conversos[78]. Tale cimitero, in funzione per i lusitani dal 1551 circa, esisteva già prima, come attesta la lapide funeraria dedicata alla memoria di Rabbi David Franco, defunto nel 1549. Nel 1570 fu acquistato da Salomon Dardero e Abram Verdai, rappresentanti della comunità portoghese, un altro terreno da adibire a cimitero, tra le vie Santa Caterina da Siena (in seguito via Aria Nuova) e via del Pavone. Successivamente, il cimitero fu ampliato, nel 1739, con l'acquisto di un terreno adiacente, da parte della Scuola Spagnola Levantina[79].

 

Ghetto e quartiere ebraico

Da un atto del 1295, con cui i rappresentanti del vescovo rinnovavano a Bonavita ebreo l'enfiteusi di un edificio, risulta che la contrata Centum Vasurarum (oggi via Centoversuri), dove l'edificio in questione si trovava, era stata la piccola strada in cui, all'epoca, erano situate tutte le abitazioni degli ebrei di F.[80].

Nel 1624 un editto del cardinal Cennini istituì il ghetto che venne realizzato solo tre anni piu tardi, ad onta dei tentativi di opporsi al provvedimento, da parte della comunità ebraica. L'area in cui sorse il ghetto comprendeva le seguenti vie: via dei Sabbioni (ora via Mazzini), via Vignatagliata, via Gattamarcia (ora via Vittoria), vicolo Mozzo della Vittoria, vicolo di Gattamarcia (ora vicolo Mozzo Torcicoda) e vicolo del Cucco (poi, piazzetta Vittoria e, quindi, piazzetta Lampronti). Tale area rientrava, grosso modo, nella zona in cui gli ebrei, nei secoli precedenti, avevano posto la sede dei propri negozi e attività e corrispondeva ad una parte importante del centro storico: a questo proposito insorsero i contemporanei che avrebbero preferito un altro luogo più rimoto dalla Piazza, piu dimesso nel sito e piu umile, che non e questo asegnato loro, il quale occupando la via de'Sabbioni, cominciando a li Saracino alla Piazza in S. Romano, et alle piu belle strade frequentate di Ferrara[81].

I due portoni principali, innalzati nel 1627, avevano nobili prospettive tutte di marmo di soda e bella architettura e sono stati attribuiti agli architetti ferraresi Alberto e Bartolomeo Gnoli. Accanto ad essi vi erano anche due porticine laterali, per consentire l'ingresso a chi avese avuto il permesso di entrare o uscire oltre l'orario stabilito. In seguito agli editti dell'agosto e del settembre 1624, le porte e le finestre che si aprivano sulla zona esterna al ghetto furono, rispettivamente, murate e cinte da inferriate[82].

 

Dotti, rabbini e personaggi di rilievo.

Tra i personaggi di rilievo che vissero a F. nel secolo XIII, abbiamo: il tossafista Rabbi Mosheh b. Meir (probabilmente allievo di Rav Yehudah b. Yizhaq di Parigi) e l'omonimo, Rabbi Mosheh b. Meir di F., autore di alcune opere [ms. D Rossi 918], padre o figlio del tossafista menzionato prima, forse di quel Meir b. Mosheh che era rabbino in Roma, e Yonatan b. Abieser F. che, nel 1294, trascrisse il ms. Torino 76. Shlomoh b. Shemuel Petit, durante il viaggio intrapreso per diffondere la propria posizione anti-maimonidea, giunse anche a F e, forse, venne nella città anche il difensore di Maimonide e della filosofia, Hillel b. Shemuel di Verona.

Nella prima metà del XV secolo, troviamo il talmudista e medico Eliyahu da F., noto per il suo viaggio in Palestina, in cui divenne rabbino capo di Gerusalemmme. Fu interpellato, in materia di Legge ebraica, anche da Alessandria e da Damasco e da una delle lettere inviate ai parenti a F. (che ci è rimasta ed è stata stampata nel Divre' Hakhamim di Eliezer Ashkenazi), si rilevano varie notizie sulla vita degli ebrei di Gerusalemme e su diversi argomenti pertinenti alla realtà ebraica[83].

Tra i rabbini e dotti dell'epoca, vanno menzionati: Avraham ben Mordekhay Farissol (1452- ca.1528), d'origine avignonese, geografo (Iggeret Orhot Olam), autore di commenti alla Bibbia e dell'apologia dell'ebraismo Magen Avraham; Avraham Sarfati, che insegnò la lingua ebraica all'università di F. ed il rabbino Menahem b. Peres Trabot. Avraham b. Gayyim di Pesaro fondò una tipografia ebraica a F., stampandovi il Yorè Dea, nel 1477, e, presumibilmente, anche il commento al libro di Giobbe di R. Levi b. Gershom (stampato, tuttavia, senza indicazione del luogo).

Nel XVI secolo giunse a F. per prendervi la laurea in medicina, nel 1501, Servadio (Obadià) Sforno, noto commentatore biblico, oltre che medico[84].

A F. soggiornò per qualche anno il famoso medico e scienziato Amatus Lusitanus (João Rodrigues de Castro Branco), proveniente da una famiglia di conversos portoghesi rimasta fedele, in privato, all'ebraismo, chiamato a F. nel 1540 da Ercole II per la sua perizia nell'arte medica.

Nella città risiedettero, all'epoca, altri medici di una certa fama: Sebastian Pinto, Aloisio Albrici Lusitano e Diogo Pyres, noto soprattutto per la sua attività letteraria. Alcuni anni dopo visse anche a F. Duarte da Paz, il primo "Ambasciatore dei Marrani" presso la Santa Sede, prima di lasciare l'Italia per la Turchia. Inoltre, troviamo lo stampatore di libri ebraici Shemuel Ibn Ashkara Zarfati[85] e Abraham Usque, anch'egli stampatore, che, insieme a Yomtob Atias, pubblicò la famosa traduzione della Bibbia in lingua spagnola, mentre l'Atias curava la traduzione in spagnolo del Sidur (libro delle orazioni), con il titolo Lybro de Oraciones de Todo el Aňo; Shemuel Usque autore dell'opera Consolaçam as Tribolaçoens de Israel, importante testimonianza della storia e degli usi e costumi del tempo[86]; Shlomoh Usque, detto Salusque Lusitano, autore, tra l'altro, insieme a Graziano Levi, della prima commedia di Purim, Ester[87].

Il personaggio forse piu illustre che visse, in questo periodo, a F. fu il rinomato finanziere Don Shemuel Abravanel, figlio del celebre uomo politico, filosofo ed esegeta biblico, Yizhaq, stabilitosi nella città, dopo il bando degli ebrei dal Regno di Napoli, insieme alla moglie Benvenida (che, quando ancora la famiglia viveva a Napoli, era stata scelta per il suo talento come insegnante della figlia del viceré spagnolo), il figlio Yaaqov e il nipote e genero Yizhaq II, che, dopo la morte di Shemuel ne prese il posto di capo della comunità sefardita locale. Dagli Abravanel visse anche, per un periodo, come tutore dei figli di Don Yizhaq II, il noto rabbino Yizhaq Yehoshua Lattes, autore di numerosi responsa, del commento (rimasto inedito) al Behinat Olam di Yehudah da Bezier, e stampatore, implicato nella pubblicazione dello Zohar di Mantova (1558–1560)[88]. Altro personaggio di spicco d'origine marrana, fu Gracia Nassi, donna d'affari e d'azione, che, prima di stabilirsi a F., aveva in parte finanziato, assieme al cognato Diego Mendes, la battaglia dei conversos contro l'istituzione dell'Inquisizione in Portogallo e aveva organizzato e finanziato la fuga dei conversos dal Portogallo per farli giungere nelle Fiandre e di lì in Italia e in Turchia. Dona Gracia si distinse, durante il soggiorno ferrarese, non solo per l'aiuto ai conversos, ma anche per l'appoggio dato alla stampa di testi ebraici in spagnolo, ad uso degli emigrati dalla penisola iberica.

Nel 1548 giunse a F. Yosef Saralvo (alias Gabriel Enriques), d'origine portoghese, argentiere e mohel (circoncisore), che fece intensa propaganda tra i conversos per farli tornare all'ebraismo, ma, arrestato dietro ordine dell'Inquisizione nel 1581, venne tradotto a Roma, dove fu miseramente abbruciato vivo[89], acquistando fama di santità per il coraggio con cui aveva testimoniato con la morte la propria fedeltà all'ebraismo[90].

Nel XVI secolo, inoltre, emerge la figura di Azaryah de' Rossi, considerato il più grande letterato ed erudito ebreo italiano dell'epoca, autore del Me'or Enayim (1573–1575), una ponderosa trattazione dei fondamenti della cronologia, della storia e della tradizione ebraica, con ampio ricorso alle fonti classiche, talvolta anche cristiane, che provocò l'ostilita degli ambienti ebraici piu conservatori[91]. Sempre in questo secolo, vissero a F. i medici Mosheh e Azriel Alatini, i rabbini Yaaqov Fano, Abraham Yagel Gallico, Shlomoh Modena, Yizhaq Monselice e Pinhas b. Menahem Trabot. Verso la fine degli anni Settanta del XVI secolo, fu attivo a F. come architetto ducale l'Ebreo mantovano Abramo Colorni, che forse avrebbe costruito il Palazzo della Mesola fra il Po di Goro e il Volano e avrebbe eseguito per Alfonso II la commissione di duemila archibugi che fornivano prestazioni notevolmente avanzate rispetto ai tempi. Tra il XVI e il XVII secolo, va menzionata anche la figura dell'architetto Refael Mirami, autore di un Trattato degli specchi, considerato di un certo valore[92]. Visse inoltre a F. in questo periodo anche Avtalyon da Modena, studioso e talmudista, menzionato con stima nel Me'or Enayim, che si recò a Roma come delegato delle comunità ebraiche italiane per perorare, con successo, la causa ebraica di fronte al Papa che, nel 1581, aveva sferrato un attacco contro gli scritti ebraici[93].

Nel XVII secolo è da segnalare anche Leone Del Bene, autore di Kisot le-vet David (Troni della casa di Davide), opera filosofico-teologica sulla creazione, sull'esistenza di Dio e sulla religione ebraica, stampata a Verona, nel 1646, e di Yehudah mehoqeq (Giuda mio legislatore), opera poetico letteraria, rimasta manoscritta[94]. Durante il dominio papale, venne stampato a F. un solo libro ebraico, Seder mi-Berakhah, nel 1693[95].

Tra l'ultimo trentennio del XVII e la metà del XVIII secolo spicca la figura di Isacco Lampronti (1679–1756): nativo di F., studiò con i rabbini piu prestigiosi della sua generazione, tra cui, a F., Shabbetay Elhanan Recanati e Shabbetay Elhanan Sanguinetti e, a Padova, con Yizhaq Gayyim Kohen Cantarini[96] mentre, alla locale università, studiava filosofia e medicina. Completata la sua istruzione ebraica a Mantova con R. Yehudah Briel, R. Avraham Segrè e R. Yosef Cases e ottenuto nel 1718 il titolo di rabbino, divenne nel 1743 capo della Accademia rabbinica di F. Dal 1715 cominciò a pubblicare le raccolte di studi rabbinico-talmudici Bikhurei Qetzir Talmud Torah shel Qehillah Qedoshah Ferrara e fu autore del vastissimo compendio talmudico Pahad Yizhaq, di notevole importanza non solo per la letteratura rabbinica, ma, anche, come fonte per la storia e per la cultura dell'ebraismo della sua epoca[97]. D'origine ferrarese fu anche il cabbalista Refael Immanuel Gay Ricchi.

 

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[1]Traslitterazioni usate rispettivamente nelle Takkanot di F. del 1554, contenute nel manoscritto della collezione di responsi di R. Yehiel Traboto, in Finkelstein, L., Jewish Self-Government in the Middle Ages, p. 301 e in  De Rossi, A., Meor Enayim, I parte, Qol Elohim, Vilna 1865.

[2] Cfr. Colorni, V., Gli ebrei dell'alto medioevo, p. 99, n. 133.

[3] Citazione dal Frizzi, vol. III, p. 200 (Ediz. Servadio), in Pesaro, A., Memorie storiche sulla comunita israelitica ferrarese, p. 11.

[4] Cfr. Colorni, V., Gli ebrei nei territori italiani, p. 269, n. 111; idem, Nuovi dati sugli ebrei a Ferrara, pp. 194-195; idem, Ebrei in Ferrara nei secoli XIII e XIV, pp. 184-188; Franceschini, A., Ferrara, p. 15 e segg.

[5] Colorni, V., Ebrei in Ferrara nel XIII secolo, in Judaica Minora, p. 154; Franceschini, A., ivi.

[6] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 689.

[7] Balletti, A., Gli Ebrei e gli Estensi, p, 55, n. 1.

[8] Ivi, p. 54, n. 3; cfr. anche, ivi, p. 88.

[9] Simonsohn, S., op. cit., doc. 771. Questo documento è una bolla papale di protezione degli ebrei dimoranti nei territori del marchese Lionello di F., in cui viene inclusa la protezione contro gli attacchi dei predicatori cristiani, la limitazione della giurisdizione dell'Inquisizione sopra gli ebrei, il divieto di battezzare bambini ebrei al di sotto dei dodici anni, senza il consenso dei genitori e la libertà di culto e di entrare in rapporti d'affari con la popolazione cristiana.

[10] Simonsohn, S., op. cit., doc. 772. Analoga assoluzione veniva concessa, nel 1451, a Borso d'Este, includendovi il permesso di far continuare agli ebrei l'attività feneratizia (Simonsohn, S., op. cit., doc. 789).

[11] Roth. C., I giocatori pentiti di F., pp. 248-251.

[12] Sulla disputa e sull'opera del Farissol, cfr. Ruderman, D., The World of a Renaissance Jew: The Life and Thought of Abraham ben Mordecai Farissol, cap. V.; per la datazione della disputa, vedi ivi, p. 63; per la datazione della composizione del Magen Avraham, vedi ivi, p. 64.

[13] L'elenco dei 21 ebrei spagnoli autorizzati da Ercole I a stabilirsi a F. con le loro famiglie, nel 1492, si trova in Di Leone Leoni, A., Gli Ebrei sefarditi a Ferrara, Appendice, p. 444.

[14] Ivi, pp. 408-409; Idem, Documents inédits sur la "nation portugaise" de Ferrare, pp. 137-139.

[15] L'obbligo del segno esteso ai marrani sembrerebbe attestato qui per la prima e ultima volta nei documenti ferraresi, ma è probabile che l'appellativo "Marani" sia stato usato impropriamente per designare gli ebrei spagnoli (cfr. Frizzi, A., Memorie sulla storia di Ferrara, Ferrara 1848, p. 182, citato da Di Leone Leoni, A., Gli ebrei sefarditi a Ferrara, p. 412, n. 14.

[16] Nell'editto relativo a questa imposizione del segno le donne non risultavano menzionate (Kaufmann, D., op. cit., p. 45).

[17]A proposito di scomuniche è da rilevare che, nel 1518, il Norsa aveva ricevuto l'autorizzazione a procedere con un kherem contro degli ebrei ferraresi che lo avevano danneggiato, mentre i prelati della Chiesa ricevevano ordine di non interferire (Simonsohn, S., op. cit., 1464-1521, doc. 1268).

[18] La controversia si chiuse con l'obbligo per il Norsa di comparire di fronte a una corte imparziale, abbandonando gli appoggi di cui godeva a F.: l'esito della causa non ci è, tuttavia, rimasto. Sulla vicenda, si veda Rothkoff, A., J.E. alla voce "Finzi-Norsa Controversy"; Simonsohn, S., op. cit., 1464-1521, doc. 1268.

[19] Simonsohn, S., op. cit., doc. 1423, 1492. Segre, R., La formazione di una comunita marrana: i portoghesi a Ferrara, p. 785.

[20] La località del ferrarese in cui si recò a fenerare il Nigri è Massa Fiscaglia: si rimanda, pertanto, alla voce relativa per ulteriori dettagli sulla sua figura.

[21] Segre, R., Una comunità marrana, p. 785.

[22] Ivi, p. 786.

[23] Leone X , nel 1520, aveva concesso ad un gruppo di ebrei ashkenaziti, residenti a F., di osservare il rito tedesco nel luogo dove celebravano il culto; inoltre, concesse loro di godere degli stessi previlegi dati agli altri ebrei di F. (Simonsohn, S., op.cit., 1464-1521 doc. 1287). Secondo il Di Leone Leoni, il duca avrebbe inteso invitare, per il tramite di Salomone di Ripa suo familiare, non tanto gli ebrei boemi, quanto i marrani di Anversa; la Segre, invece, ritiene che l'invito fosse realmente volto ai Boemi, sebbene senza gran risultato (cfr. Di Leone Leoni, A., Documents inédits, p. 141, n. 23a; Segre, R., op. cit., p. 795).

[24] Segre, op. cit., p. 787; cfr. Di Leone Leoni, op. cit., p. 413.

[25] Il "reclutamento" degli Iberici era operato soprattutto ad Anversa; per una descrizione particolareggiata degli sforzi intrapresi dalla Casa d'Este per favorire l'insediamento iberico, vedi Segre, R., op. cit., p.788 e segg. In questo contesto, occorre precisare che i cosiddetti iberici erano, per la maggior parte, marrani e, pertanto, il loro insediamento presentava ovvie difficoltà rispetto alla Chiesa (cfr. ivi, p. 796 e segg).

[26] Simonsohn, S., op. cit., 1522-1538, doc. 1765.

[27] L'eccezionalità di questo gesto rispetto all'epoca è stata sottolineata dal Di Leone Leoni, A., op. cit., p. 414, n. 22.

[28] Mentre la Segre ritiene che l'Abravanel si recasse a F. con gli ebrei napoletani, il Di Leone Leoni afferma che la grande maggioranza di questi ultimi non accolse l'invito estense, preferendo stabilirsi nelle Marche e nel ducato di Urbino e cita il caso di Raffael Abenvantho e del figlio Gabriel, di cui e documentata, nel 1561, la società per l'esercizio della strazzaria, come uno dei pochi casi, sinora conosciuti, di ebrei napoletani recatisi a F. In ogni caso, della data di arrivo a F. dell'Abenvantho non e rimasta traccia, cosi come non si conosce la data di arrivo a F. di un altro Ebreo di provenienza meridionale, magistro Simone Pugliese, strazzarollo ( Segre, R., op. cit., p. 796 e di Leone Leoni, A., Nuove notizie sugli Abravanel p. 153, n. 4).

[29] Il salvacondotto viene citato dal Balletti (op. cit., p. 77), che, tuttavia, ne confuse il testo con quello del salvacondotto concesso alla famiglia Mendes; il documento in questione, pertanto, è citato da Leone Leoni, A., Gli ebrei sefarditi a Ferrara, Appendice, pp. 445-446.

[30] La validità del salvacondotto fu definita perpetua ed estesa alle generazioni future, ad esclusione dei poveri e degli oziosi; inoltre, non era previsto il pagamento di alcuna tassa da parte dei nuovi venuti e veniva concesso loro di vivere secondo la Legge ebraica, di avere sinagoghe, nonchè di tenere gli schiavi che avevano comprato a suo tempo (Di Leone Leoni, A., Gli ebrei sefarditi a Ferrara, pp. 415-416). Per quanto concerne il divieto dell'attività feneratizia, cfr. Idem, Due personaggi della 'Nation Portughesa' di Ferrara, p. 410; Idem, La posizione giuridica degli ebrei italiani, tedeschi, spagnoli e portoghesi negli stati estensi nel Cinquecento, p. 56.

[31] Di Leone Leoni, A., Gli ebrei sefarditi a Ferrara, pp. 416-417. Sull'atteggiamento di Ercole II nei confronti dei christianos novos, si veda Di Leone Leoni, A., Documenti e notizie sulle famiglie Benvenisti e Nassi a Ferrara, pp. 111-112, in cui, inoltre, viene rettificata l'identità della beneficiaria del salvacondotto della metà del XVI sec., relativo ai "cristiani nuovi": non si tratta di Dona Gracia Mendes e della sorella, ma di Dona Vellida (Violante) Henriques e della figlia. Secondo il Leoni, identificando Dona Vellida come la vedova di Nuno Henriques, si mette in dubbio il ritorno ufficiale di Dona Gracia all'ebraismo nel 1549–50, ipotizzato da Cecil Roth sulla base, appunto, dell'identificazione di Dona Vellida con Dona Gracia (cfr. ivi, p. 113).

[32] Ivi, p. 417. Testimonianza di questa espulsione si trova nell'opera di Samuel Usque, Consolacao as Tribulacoes de Israel, stampata a Ferrara nel 1553. Sugli avvenimenti connessi allo scoppio della peste, cfr. Segre, R., op. cit., p. 798 e segg.

[33] Balletti, A., op. cit., p. 77.

[34] Stern, M., Urkundliche Beiträge , I, p. 108 e segg.

[35] Sulla presenza degli Abravanel a F., cfr. il paragrafo Dotti, rabbini e personaggi di rilievo; quanto a Yosef, fratello di Don Shemuel e figlio di Yizhaq, visse nella città estense per un breve periodo (Di Leone Leoni, A., Gli ebrei sefarditi a Ferrara, p. 423). Sul rogo del Talmud, cfr. ivi, p. 428, n. 79.

[36] Gli argomenti dibattuti a F. furono: la pubblicazione di nuovi scritti ebraici, la giurisdizione dei rabbini nelle rispettive sedi, l'applicazione dello jus hazaqah, la limitazione alla sola mancanza di prole come giustificazione alla poligamia, la definizione delle condizioni di validita giuridica dei kiddushim e l'interdizione dei banchi feneratizi clandestini. Le decisioni prese da questa assemblea generale o Takkanot sono state pubblicate da Finkelstein, L., op. cit., pp. 300-303.

[37] Di Leone Leoni, A., La posizione giuridica degli ebrei italiani, p. 54.

[38] Balletti, A., op. cit., p. 89.

[39] Per la descrizione del terremoto di F., cfr. De Rossi, A., Meor Enayim, Vilna 1865, parte I, Qol Elohim.

[40] Tale scambio di opinioni tra il Papa e l'internunzio ferrarese compare in una lettera di Gurone Bertano al duca di Ferrara, citata da Guidoboni, E., Riti di calamità. Terremoti a Ferrara nel 1570–74, in Quaderni storici n.s. 55 (1984), pp. 107-135, p. 117, citato da Busi, G., Il terremoto di Ferrara nel Meor Enayim di Azaryah de' Rossi, We -zot le-Angelo, Bologna 1993, pp. 53-93, p. 59, n. 10.

[41] Dagli atti dell'Inquisizione di Venezia a carico di Abraam Righetto di F., si deduce che il segno non era in vigore nella capitale estense prima del 1570: infatti, interrogato se a F. vestiva in habito da christiano, Righetto rispose che: In Ferrara non si portava alcun segno, ma adesso ben si porta (Ioly Zorattini, P.C., Processi del S. Uffizio di Venezia contro ebrei e giudaizzanti (1570–1572), p. 56). Alla vicenda processuale del Righetto è dedicato tutto il volume.

[42] Sull'episodio e sui conversos portoghesi, in particolare del distretto di Coimbra, che giudaizzavano nel ducato estense, cfr. Ioly Zorattini, P.C., Processi del S. Uffizio di Venezia contro Ebrei e giudaizzanti (1548–1560), pp. 34-35.

[43] Il nome del rabbino non ci è rimasto, tuttavia, egli avrebbe discusso la sua tesi in modo tanto accorto e rispettoso delle opinioni religiose dell'avversario da guadagnarsi la stima e la protezione del governo. Cfr. Pesaro, A., op. cit., p. 37; Jare, G., Della immutabilità della legge mosaica. Pubblica controversia tenuta in Ferrara nell'aprile 1617 fra un rabino e il padre D. Alfonso Caracciolo. Capitolo XXV, sez. III dei Fondamenti del R.G. Albo Livorno, Tip. I. Costa e C., 1876, pp. 24, citato in Gabrieli, G., Italia Judaica, Roma 1924, p. 20.

[44] Sull'argomnento, cfr. Tedesco, R., Documenti storici, pp. 60-61.

[45] Nel 1730 era apparso un rescritto che esentava dall'obbligo del segno i bambini di meno di tredici anni, le donne (salvo quando uscivano dal ghetto) i forestieri durante i primi quattro giorni della loro permanenza nella città; i ferraresi, dal canto loro, durante i viaggi, erano stati esentati dal segno piu volte. Perugini, op. cit., p. 103.

[46] Nel rescritto citato alla nota precedente, si fa anche menzione del fatto che, nonostante gli ebrei non impiegassero servi cristiani, tuttavia, era loro permerso di affidare la pulizia del ghetto a un ferrarese cristiano che possedeva l'attrezzatura necessaria. Infine, ad onta del fatto che ai medici cristiani fosse ufficialmente proibito curare gli ebrei, i cardinali -arcivescovi di F. ammettevano ufficiosamente ampie deroghe al divieto, così come erano tollerate le prestazioni delle levatrici alle donne del ghetto (Perugini, op. cit., p. 103).

[47] Stern, M., Urkundliche Beiträge, pp. 184-192.

[48] Pesaro, A., Memorie storiche sulla comunità israelitica ferrarese, p. 11; p. 18; p. 36; pp. 37-39, pp. 43-44; pp. 45-46; p. 53; Cassuto, U.,  alla voce  "Ferrara", E.J.; Balletti, A., op.cit., p. 64; p. 76; p. 77; p. 78; p. 79; pp. 89-90; Di Leone Leoni, A., Gli Ebrei sefarditi a Ferrara, p. 412; pp. 413-414; pp. 421-22; p. 424; p. 428 (n. 79); p. 444; Perugini, op. cit., p. 103; p. 108; Simonsohn, S., op. cit., doc. 858, doc. 1765; Kaufmann, D., op. cit., p. 35; p. 38.

[49] Di Leone Leoni, A., Documents inédits, p. 142; Idem, La posizione giuridica degli ebrei italiani, p. 55; pp. 57-59; Franceschini, A., Ferrara , passim.

[50]Simonsohn, S., op. cit., doc. 1415, 1440; sul canonico Vincenzo Canina, incaricato dell'esazione della vigesima ebraica a F. e altrove, cfr., ivi, doc. 1427, 1433.

[51] Di Leone Leoni, A., Gli ebrei sefarditi a Ferrara, p. 409.

[52] Simonsohn, S., op. cit., doc. 1423, 1492.

[53]  Loevinson, E., Concession des banques de prêts, pp. 173s.

[54] Lettera di cittadini cristiani al Papa, Ferrara, 27.7.1847, in AA.VV., Cultura ebraica in Emilia-Romagna, p. 40.

[55] Non vengono, tuttavia, fornite, in questo rapporto, indicazioni circa le specifiche attività svolte dagli Ebrei. Bruzzone, P.L., Les Juifs des États de l'Église, p. 248.

[56] Ascoli, Cenni storici, p. 9, citato dal Balletti, A., op. cit., p. 95; il Roberti, tuttavia, sosteneva che gia dalla fine del Duecento la comunita di F. "si regolava con propri statuti: veniva retta da presidenti e deputati", Roberti. M., Previlegi forensi degli Ebrei in Ferrara, p. 157.

[57] Kaufmann, D., op. cit., pp. 35-36.

[58] Simonsohn, S., op. cit., docs. 1464-1521, doc. 1287.

[59]  Pesaro, A., op. cit., p. 19; Perugini, "L'inquisition romaine et les Israélites", p. 95.

[60] Balletti, A., op. cit., p. 79; Di Leone Leoni, op. cit., pp. 421-422.

[61] Ascoli, op. cit., p. 14, citato in Pesaro, A., op. cit., p. 31.

[62] Pesaro, A., op. cit., p. 32.

[63]   Pesaro, op. cit., p. 49                                                                                                                                       

[64] Pesaro, A., op. cit., p. 49; p. 51; Roberti, M., op. cit., p. 161.

[65] Cfr. Pesaro, A., Memorie, p. 47.

[66] È stata seguita la traslitterazione dall'ebraico usata dal Pesaro che, citando Mannini Ferranti, G., Storia sacra e politica di Ferrara, 1808, elenca le principali confraternite ferraresi: Pesaro, A., Cenni sulle confraternite della Comunita israelitica di Ferrara, pp. 109-111; Pesaro, A., Memorie storiche, p. 47.

[67] AA.VV., Cultura ebraica in Emilia-Romagna, p. 40.                                                               

[68] Di Leone Leoni, A., op. cit., p. 437.

[69] Cfr. Di Leone Leoni, A., op. cit., p. 437, n. 113.

[70] Di Leone Leoni, A., op. cit., pp. 437-440; Pesaro, A., Cenni sulle confraternite della Comunita Israelitica di Ferrara, pp. 109-110.

[71] Frizzi, op. cit., vol. IV, p. 434, citato dal Pesaro, A., op, cit., pp. 32-33.

[72] A. St. C.FE, A. di Deposito, XIX sec., 'Religione', cart. 52, Lettera di cittadini cristiani al Papa, 27.7.1847, citato in AA.VV., Cultura ebraica, p. 40.

[73]  Cfr. n. 43 (Attività economiche).

[74]  Bruzzone, P.L., op. cit., p. 248.

[75] Gli Ashkenaziti che, nel 1532, ebbero il permesso di aprire un oratorio proprio (a patto di utilizzare locali gia esistenti allo scopo) si servirono dei locali di spettanza Ronchi, come attestano le ricevute del 1555 e del 1589 dell'archivio dello stesso oratorio. Pesaro,A., op. cit.,  p. 19; cfr. anche AA.VV., Cultura ebraica, p. 75.

[76] AA.VV., op. cit., pp. 73-75; Di Leone Leoni, A., La posizione giuridica degli ebrei, p. 54.

[77] Libro G. delle Deliberazioni, c. 63, presso l'Archivio storico del Comune di Ferrara, citato in AA.VV., op. cit., p. 108.

[78] Su tale ipotesi, cfr. Ioly Zorattini, P.C., I cimiteri sefarditi di Ferrara, pp. 33-60, citato in AA.VV. op. cit., p. 110.

[79] Pesaro, A., Memorie storiche, p. 12, p. 42, p. 54; AA.VV. op. cit., pp. 107-110.

[80] Archivio Arcivescovile di F., Registri notarili della Mensa vescovile, vol. segnato A, f. 38, notaio Bonavita..

[81] Ubaldini, C., Storia di Ferrara, citato in AA.VV., Cultura ebraica, p. 38.

[82] AA. VV., op. cit, pp. 38-39.

[83] Horodezky, S.A. , E. J., alla voce "Elijahu aus F."

[84] A proposito della presenza ebraica nell' ateneo ferrarese, vanno segnalati due laureati ebrei nel periodo tra il 1402 (la fondazione dell'Università risale al 1391) e il 1559. Nell'atto di laurea dello Sforni, pubblicato dal Colorni, era inclusa la dispensa pontificia, resa necessaria dall'applicazione della legge in base alla quale gli ebrei, essendo esclusi da ogni dignitas, lo erano anche dal dottorato. Colorni, V., Spigolature su Obadia Sforno: la sua laurea a Ferrara, pp. 79-80.

[85]Steinschneider, M., Catalogus, p. 3037.

[86] Sugli Usque, cfr. Segre, R., op. cit., p. 797-98; p. 813 -819.

[87] Su di lui, cfr. Roth, C., "Salusque Lusitano", in Gleanings, 1967, pp. 179-199.

[88] Sul Lattes (o de Lattas), cfr. Steinschneider, M., op. cit., p. 2908. Per ulteriori dettagli sugli Abravanel, cfr. Di Leone Leoni, A., Nuove notizie sugli Abravanel, pp. 153-206.

[89] Ioly Zorattini, P.C., Processi del S. Uffizio di Venezia contro Ebrei e giudaizzanti (1548–1560), p. 34. Sull'episodio, cfr. anche Di Leone Leoni, A.,  Due personaggi della 'Nation Portughesa' di Ferrara, p. 411 e segg.

[90] Sulla figura del Saralvo e sulla presa che ebbero sui "Marrani" del Portogallo le sue gesta, un secolo ancora dopo la sua morte, cfr. ibidem.

[91] Tra i membri della famiglia di Azaryah de’ Rossi, implicati nella vita culturale ferrarese, va ricordato Binjamin Saul, hazan (cantore) nella citta, autore della Prefazione del Pentateuco (Tiqqun Sofrim), edita a Ferrara nel 1556. Mortara, M., Cenni sul terremoto di F. del 1570 e sulla famiglia del Rabbino Azaria de Rossi, p. 124.

[92] Il Mirami viene citato da Cassuto, U., alla voce "Ferrara", E.J. e da De Rossi, G.B.., Dizionario storico degli autori ebrei, II, p. 63.

[93] Cecil Roth, alla voce "Avtalyon da Modena", J.E.

[94] Cfr. De Rossi, G.B.,  op.cit., I, p. 98.

[95] Catalogus...bibl. bodl., p. 2818.

[96] Tra l'altro, il Cantarini scrisse un'opera sugli episodi di antisemitismo avvenuti a Padova, nel 1684, dal titolo Pahad Yizhaq, come la piu famosa opera del suo allievo Lampronti.

[97] Cassuto, U., alla voce "Ferrara", E.J.; Horodezky, S.A., alla voce "Elijahu aus F.", E.J.; Di Leone Leoni, A., op. cit., passim; Ruderman, D., The World of a Renaissance Jew:The Life and Thought of Abraham Mordecai Farissol, p. 62 e segg.; Perreau, P., Notizie bibliografiche sugli Ebrei di Ferrara, pp. 108-110; pp. 139-142; Pesaro, A., Memorie storiche, p. 29.

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