Carpi

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Carpi

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Carpi (קרפי)

Provincia di Modena. Posta in un territorio pianeggiante, verso la metà del XIII secolo fu data al Comune di Modena. Sul principio del XIV secolo si contesero il primato a C. le famiglie Dei Tosabecchi e dei Brocchi e ne approfittò il cavaliere modenese Manfredo Pio che, nel 1319, riuscì a farsi signore della città con dipendenza nominale dagli Estensi di Modena.Nel 1522 C. fu occupata dalle truppe spagnole di Carlo V e Alberto Pio fu costretto a fuggire. I Pio tennero C. fino al 1525, quando Carlo V la tolse all’ultimo e più famoso di loro, Alberto III, per darla al Duca di Modena, facendole seguire così le sorti del ducato modenese.

 

La prima testimonianza di una presenza ebraica a C. risale al 1420, quando Ser Elia del fu Manuele di Portaleone acquistò un pezzo di terra chiusurativa (cioè cinta di siepi e con alberi da frutto) in località Gargallo e uno di terra arativa e chiusurativa a Giandegola[1].

L’esistenza di un gruppo ebraico doveva, però, risalire ad alcuni anni prima, come si evince da documenti bolognesi del 1412, in cui Manuele di Sabatuccio da Spoleto era indicato come de Carpo[2], mentre l’atto del 1420 appena ricordato si riferiva ad Elia definendolo diu et nunc habitator terre Carpi[3]. Il padre di Elia, Manuele di salomone da Cagli, abitante a Rimini, dalla città d’origine si era trasferito a Modena, dove era in società nel banco sin dal 1393[4]: si ritiene pertanto che Elia di Portaleone provenisse da Modena o da Ferrara e che fosse il primo prestatore ebreo di C. Con lui si trasferirono qui anche la moglie Stella di Sabatuccio da Spoleto ed altri parenti[5].

Dopo la morte di Elia nel 1421, Stella, che sarebbe morta a sua volta qualche anno dopo, chiamò i propri fratelli da Spoleto, e questa famiglia sarebbe rimasta per oltre un secolo la più importante della città. Tra i congiunti di Stella stabilitisi a C. vi erano Emanuele con la moglie Rosa di Moisetto da Roma ed i loro figli Sabatuccio, Moisetto, Consola e Davide[6].

All’inizio della seconda metà del Quattrocento vi furono qui anche sporadiche presenza di ebrei francesi o tedeschi, da tempo attestati in Veneto e in Lombardia. In questo periodo vissero a C. Magister Vitale ed il figlio Magister Giacobbe[7], al quale nel 1464 Francesco I Sforza concesse il permesso di trasferire famiglia ed averi a Cremona, con l’aiuto di Galassio Pio[8].

Negli statuti di C. del 1447, pur non trovandosi disposizioni precise riguardo gli ebrei o i banchi, nella rubrica sui beccai si impone il divieto a vendere a carne macellata ritualmente, salvo che ciò non fosse la volontà del macellatore[9].

Le condizioni ottenute da Alberto II Pio presso il banco di Moisetto furono particolarmente favorevoli e, richiamandosi ad esse, nel 1462 furono concessi certi capitoli validi per 17 anni, il cui testo non ci è rimasto. Presumibilmente un anno dopo Moisetto, anche il gestore anche dell’altro banco Davide ottenne una convenzione per 16 anni. Moisetto ebbe come soci per un quinquennio Giacobbe e Vitale da Bologna, mentre Davide fece società con Beniamino di Aliuccio da Fano, prestatore a Montagnana[10].

Dopo la morte di Davide nel 1468, il banco passò al figlio Daniele, che, deceduto anche Moisetto senza eredi maschi nel 1474, restò l’unico a gestire il prestito.

Presumibilmente in seguito alle prediche contro le usure ebraiche del 1487, poco prima dello scadere della condotta,  Marco Pio proibì l’attività feneratizia, ma data la situazione economica e su richiesta del podestà, furono presto ripresi accordi con Daniele, che sfociarono nei Capitula hebreorum Carpi del 1488, con i quali, su richiesta di Daniele, non solo si regolavano i rapporti tra gli ebrei ed il signore, ma anche con la popolazione carpigiana. Nei 32 capitoli della condotta Daniele otteneva di prestare qui, a Novi , a Budrione e Soliera per 16 anni: il banco sarebbe rimasto a C. e sarebbe stato spostato nelle altre località solo in caso di peste. Mancava in tali pattuizioni la deroga pontificia per l’istituzione del banco e la somma richiesta per la licenza di prestito, sostituita da donativi da fare al signore. Il feneratore era, inoltre, libero di rifiutare il prestito e di accettare o meno oggetti sacri in pegno[11]. In caso di contenzioso doveva essere assicurata al banchiere giustizia anche contro un ecclesiastico[12] e scaduto il termine della condotta l’ebreo aveva diritto a restare a C. ancora 3 anni per concludere i propri affari e poi andarsene liber et impune[13]. Per quanto riguarda il periodo di residenza a C., agli ebrei era consentito di rispettare le proprie festività, di celebrare il culto (purché in oratori privati) e di rifornirsi di carne macellata ritualmente ai prezzi calmierati previsti per i carpigiani[14]. Il monopolio del prestito era concesso a Daniele ed ai suoi eredi ed alla sua morte nel 1489 gli subentrarono così i figli Raffaele, Isacco e Simone: mentre il secondo si occupava del banco di C., il primo pensava a quello di Viadana, nel mantovano, concesso a Daniele da Francesco II Gonzaga. Simone, rimasto in società con i fratelli, era divenuto però doctor ac medicus cerusicus excellens[15]. Isacco, le cui sorti furono strettamente legate all’ascesa e alla decadenza di Alberto III Pio, allargò molto l’attività di prestito e si diede anche a quella commerciale, ricorrendo ai prestiti dei correligionari e dei carpigiani. Egli fu, però, costretto a compromettere le proprie finanze per dare alla Comunità la cifra necessari al pagamento della guarnigione spagnola nel 1522.

Qualche anno dopo, subentrati gli Este, Isacco, indebitatosi con alcune delle principali famiglie di C. finì in prigione per debiti nel 1528 e, dopo essere stato liberato su malleveria, fu nuovamente incarcerato per debiti a Novi. I suoi debiti furono in parte estinti dal gestore del banco di Rubiera, Emanuele (Bonaventura) del fu Giuseppe, cui Isacco affittò la condotta e la casa, peraltro già ipotecata ad un nipote.

Nel 1529 Vincenzo Cavina (Canina) ebbe ordine dal Papa di punire gli ebrei che prestavano senza licenza in una serie di luoghi, tra cui C.[16].

Con il dominio estense anche il banco ebraico riprese vigore e solidità: nel 1539 la condotta fu assegnata ad Emanuele del fu Giuseppe di Rubiera[17], anziché all’erede della casa dei prestatori di C., Daniele di Salomone, in base alla motivazione che questi non disponeva del denaro necessario. Alla morte di Emanuele, senza eredi, il banco passò a Giacobbe di Lucca e poi a Giacobbe Foà[18].

Quanto alle tasse, il protonotaro papale, Jacopo Cortesio fu incaricato dell’esazione della speciale imposta per le spese turche tra gli ebrei di C. e degli altri territori del Ducato di Ferrara, mentre nel 1544 e 1545 Ippolito Pagano fu incaricato dell’esazione della vigesima qui ed in altri luoghi[19].

Attività economiche

Si ritiene che già il primo ebreo registrato come abitante a C., Ser Elia Portaleone, fosse un feneratore[20], tuttavia il primo accenno esplicito ad un baco risale ad un documento del 1448, relativo allo scioglimento della società dei fratelli Moisetto e Davide (costituita nel 1435) e all’apertura di due banchi separati nella stessa C. Secondo un atto del 1462 il donativo cui erano tenuti i banchieri per poter prestare consisteva allora in una tazza di argento fino[21]. Nei capitoli del 1488, in cambio del monopolio del banco seu locum mutui aut prestiti ad usura ad tendam[22], veniva stabilito che il feneratore abbassasse il precedente tasso del 30%, portandolo al 25%, mentre per cifre considerate basse (inferiori a 10 soldi) il tasso scendeva al 15%. Il prestito durava un anno, spirato il quale, il feneratore, un mese dopo aver dato pubblica notizia del nome del debitore e dei pegni non riscattati, ne diveniva proprietario. Il prestito chirografario era previsto, ma non molto praticato, dato che, in caso di insolvenza, il credito era di fatto inesigibile.

In un periodo successivo, Isacco di Daniele, detentore del monopolio, incrementò di molto l’attività di deposito e delle partite di giro, portando avanti anche il commercio nel ramo della strazzaria, dei tessuti e dei preziosi[23].

Il banco di C. era ancora attivo nel 1661[24].

Quartiere ebraico e ghetto

Il gruppo degli spoletini giunto a C. nel 1421 andò a stabilirsi in borgo S. Francesco, nella contrada che ben presto comincio a chiamarsi Contrata Ebreorum[25]. L’attuale via Rovighi, nel centro di C.,  fu per secoli il luogo di residenza degli ebrei e per 70 anni circa divenne il ghetto, chiuso da due portoni. Nel 1719 giunse poi l’ordine ducale di fare il ghetto nella contrada detta Roma (attuale via Meloni): in seguito ad un esborso di denaro gli israeliti ottennero di non lasciare le residenze abituali, trasformandole però in ghetto con portoni ed archi (rimasti in loco sino al 1796) da costruire a loro spese[26].

Sinagoga

Nel XV secolo agli ebrei fu permesso di esercitare il culto privatamente e una sinagoga fu menzionata nel 1529, nel lascito di 100 libbre di olio buono e 2 ceri da parte di una “signora virtuosa” pro anima sua. Nel 1541 il Papa permise a Daniele di restaurare e ampliare una sinagoga ubicata nella sua casa e di continuare ad adibirla a luogo di culto. Nel 1619 Leon Angelo di Ravenna supplicò il Duca di concedergli licenza di ingrandire la sinagoga a suo piacimento ed era forse questa l’edificio, sito nell’attuale via Rovighi, che fu usato sino al secolo scorso come oratorio minore ed il cui piccolo Aron (arca santa) è stato trasferito a Gerusalemme presso la scuola di Neveh Ilan. Un’altra sinagoga, la cui costruzione fu iniziata nel 1722 su commissione di Isacco Beneroi e sotto la direzione dell’architetto Giacomo Lucenti, si trovava sopra la prima casa degli ebrei, come risulta dal diario manoscritto di tale Alfonso Piccoli[27].

Cimitero

La prima attestazione del cimitero ebraico di C. risale al 1421, quando Stella di Sabatuccio acquistò un terreno sito a Cibeno, in località “Casa dei Papini”, da adibire ad uso cimiteriale. Nel 1449 vi furono sepolti Sabato ebreo, Ser Venturello e Ser Manuele di Montepulciano, abitanti a C.

Un documento del 1457 conferma la sua ubicazione in Quartierio Zibeni (Cibeno), all’epoca periferia della città.

Nel 1624 il cimitero era posto dietro i “terragli” (le fortificazioni) di C. e nel 1790 veniva indicato con più precisione presso la chiesa di S. Niccolò, al confine con il convento delle Cappuccine. Nel cimitero di C. furono sepolti anche gli ebrei di Fabbrico, secondo quanto attesta una lettera del Vicario del S. Uffizio del 1693[28].

 

Bibliografia

AA.VV., Cultura ebraica in Emilia-Romagna, Rimini 1987.

Colorni, V.,  Judaica Minora,  Milano 1983.

Nahon, U., Angoli dell'Italia ebraica  in terra  d'Israele, in RMI  XXV, 3-4 (1959), pp. 99-109.

Pini, A.I., Commercio, artigianato e credito nella Carpi di Alberto Pio III e l’istituzione del Monte di Pietà, in Società, politica e cultura a Carpi ai tempi di Alberto III (Atti del Convegno Internazionale, Carpi 19-21 maggio 1978), Padova 1981, pp. 561-636.

Simonsohn, S., The Apostolic  See and  the Jews,  8 voll., Toronto 1988-1991.

Simonsohn, S., History of the Jews in the Duchy of Milan, Jerusalem 1982-1986.

 


[1] Pini, A.I., Commercio artigianato e credito, p. 602.

[2] Ivi, pp. 602-603, n. 137.

[3] Ivi, p. 603.

[4] Colorni, V., Judaica Minora, p. 249.

[5] Pini, A.I., op. cit., p. 603.

[6] Di Davide sappiamo che nel 1459 ebbe un lasciapassare per recarsi con il figlio Daniele a Mantova, per fare da arbitro in un contenzioso finanziario (Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 861.

[7] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy, I, doc. 126.

[8] Ivi, doc. 875, 877.

[9] Statuti 1447, 348-348, citato in Pini, A.I., op. cit., p. 604.

[10] AG, 7, 9, 15, 16, 18, citati in Pini, A.I., op. cit., p. 605.

[11] Ivi, p.611.

[12] Cap. 23, citato  ivi, p. 612.

[13] Cap. 31, citato  ivi, p. 609.

[14] Cap. 31, 27, 25, 12, citati  ivi, p. 609.

[15] AG, 30, 3a, 40, 3b, 10,  citati  ivi, p. 614.

[16] Simonsohn, S., The Apostolic See, History p. 439, doc. 1415, 1440.

[17] Emanuele di Rubiera, residente a C., lasciò 2.000 scudi da ripartire tra gli ebrei poveri di Modena e Gerusalemme, confiscata poi da Ercole II d’Este; nel 1547 il Papa avocò a sé la somma per beneficiare i cristiani bisognosi (Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 2727).

[18] Pini, A.I., op. cit., p. 616.

[19] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 2189, 2377, 2474.

[20] Pini, A.I., op. cit., p. 603.

[21] AG, 30, 3a, p. 12, citato in Pini, A.I., op. cit., p. 605, n. 147.

[22] Ibidem.

[23] Ivi, p. 614.

[24] Ivi, p. 616.

[25] Ivi, p. 604.

[26] AA.VV., Cultura ebraica in Emilia-Romagna, p. 30. Per le disposizioni relative al progetto di istituire un ghetto nella contrada Roma, cfr. ivi, p. 508.

[27] Ivi, p. 27; Nahon, U., Angoli dell’Italia ebraica in terra d’Israele, p. 109.; Simonsoh, S., Apostolic See., History p. 130, doc. 2050.

[28] Pini, A.I., op. cit., p. 603; AA.VV., op. cit., p. 101.

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