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Oria (אוירי,אורן,אורס,אוריס)
Provincia di Brindisi. Posta sul percorso della Via Appia, a metà strada fra Taranto e Brindisi, l’antica O. messapica fu municipio in età romana, durante l’alto Medioevo fu contesa da longobardi e bizantini e nell’XI secolo cadde in potere dei normanni. Appartenne al principato di Taranto sino al 1463, quando divenne demaniale. Sede vescovile già nel secolo IX, nel 1443 era tassata per 277 fuochi e nel 1521 per 304[1].
Il più antico documento sulla presenza di ebrei a O. è finora costituito da un frammento di epitaffio in latino e in ebraico, databile ai secoli VI-VII. Un’altra iscrizione funebre bilingue dedicata ad una Anna, figlia di R. Giuliu e databile al secolo VIII, ha il testo ebraico rimato e reca in acrostico il nome Shemuel, certamente l’autore[2]. I primi ebrei sarebbero giunti qui con i prigionieri che Tito aveva deportato da Gerusalemme in Puglia nel 70 d. C.: essi salirono a Oria – dice la cronaca medievale di Achimaaz da Capua - vi si stabilirono, ebbero fortuna, crebbero e si moltiplicarono, si consolidarono e divennero potenti. Tra loro sorsero scuole, che nel secolo IX si erano innalzate in fama di sapienza “come cedri dalle profonde radici posti vicini alle acque, lungo ruscelli di fonte”[3].
Tra le personalità più insigni sono da ricordare Amittai il Vecchio, suo figlio Shefatyah e il figlio di questi, Amittai. Essi furono esperti compositori di inni sinagogali, alcuni dei quali sono ancora in uso nella liturgia di rito ashkenazita. Il poeta più fecondo fu Amittai: alcuni dei suoi inni sono detti angelici per il suo associarsi nel canto agli angeli, che custodiscono i sette cieli e proclamano la santità di Dio, secondo la mistica delle “Dimore” celesti (Hekhalot) di cui Amittai era cultore. Un apporto alla cultura locale sarebbe poi stato fornito nella seconda metà del secolo IX dal maestro e mistico Abu Aron, giunto ad O. da Bagdad. Egli aprì qui una scuola e si distinse per l’estremo rigore nel reprimere le deviazioni sessuali. Dopo qualche anno lasciò questa località e si recò a Bari, dove fu ospite e consigliere del berbero Sawdan, emiro di quella città (857-871), ma in capo a sei mesi, preso da nostalgia per la patria, s’imbarcò su una nave che faceva vela per l’Egitto. Tra l’863-865 Sawdan aveva cercato di impadronirsi di O. per saccheggiarla, ma il suo intento fu sventato da Shefatyah, che gli era stato mandato incontro in missione ufficiale dalla città per dissuaderlo.
Di li a qualche anno, la comunità oritana fu coinvolta in una violenta azione ordinata da Basilio I il Macedone (867-886) per la conversione dei giudei dell’impero. Secondo Ahimaaz da Capua, Shefatiyah, fu allora convocato a Costantinopoli dall’imperatore e gli guarì la figlia, ottenendo in compenso l’esenzione della sua comunità dal decreto di conversione. Ma ciò è leggenda, forgiata su un antico racconto del Talmud (bMei’lah 17b) con protagonista il grande maestro e mistico Simeon b. Yohai (sec. II e.v.). Gli inni di Amittai b. Shefatiyah attestano, invece, che grandi e piccoli furono costretti ad immergersi nelle “acque impure” del battesimo e a proclamare la Trinità invece dell’Uno[4].
Passata la bufera, la vita ebraica riprese e rifiorirono le sue scuole. In esse, insieme alle scienze sacre ed esoteriche, si coltivavano anche la cosmologia, l’astronomia, l’astrologia e la medicina. Germogli di questi vivai furono Musa ben El’azar e Shabbetai b. Abraham detto Donnolo. La loro storia inizia però con la fine della loro comunità. Il 4 luglio 925, infatti, la città di O. fu espugnata nel corso di una scorreria musulmana: l’eccidio e la deportazione si abbatterono sugli abitanti e solo un piccolo numero riuscì a salvarsi con la fuga. Tra i deportati c’erano il giovane Musa ben El’azar, che sarebbe divenuto astrologo e medico del califfo di Tunisia Al-Muizz, e il suo congiunto Shabbetai Donnolo. Questi, che al momento della cattura era dodicenne, fu riscattato a Taranto con denaro dei suoi parenti, mentre il resto della famiglia fu deportato a Palermo e in Africa. Donnolo crebbe nelle terre bizantine, in prevalenza a Rossano, in Calabria, trovando nello studio il sollievo alle afflizioni della vita. Ricercò e copiò libri di medicina e di astronomia composti da ebrei, greci, arabi, babilonesi. Di questi saperi egli si servì per scrivere libri di medicina e il Sefer hakhmoni, “Libro sapiente”, un commento al Libro della creazione, un antico testo giudaico-neoplatonico.
Degli ebrei di O. scampati all’eccidio e alla schiavitù, alcuni si rifugiarono a Bari, altri a Otranto. Una sparuta presenza ebraica si sarà riformata con tempo anche qui, quando la città riprese novella vita. Un privilegio con cui nel 1219 Federico II di Svevia conferma all’arcivescovo di Brindisi le prerogative patrimoniali e giurisdizionali di cui godeva, stabilisce, tra l’altro, che “gli affidati e gli uomini appartenenti alla Chiesa brindisina e oritana, sia cristiani che giudei, e i figli dei preti greci, abbiano quella libertà che avevano avuto fino a quel momento, secondo gli statuti del re Guglielmo II” (1166-1189)[5].
Come a Lecce ed in altre località del principato di Taranto, nel 1463 anche i pochi ebrei residenti ad O. subirono soprusi alla morte del principe Giovan Antonio del Balzo. Due di essi, Mata e Menaca de Muscato, furono derubati da alcuni cristiani, i quali poi presentarono al luogotenente della città una falsa lettera regia che li esimeva dal restituire gli oggetti di cui si erano appropriati. I due derubati presentarono però ricorso presso la Cancelleria Aragonese[6].
Lo sviluppo di O. sotto gli Aragonesi convinse gli amministratori locali del vantaggio di avere in città una forte comunità ebraica e nel 1482 essi supplicarono il re, Ferrante I, di far venire quindici casate di ebrei, franchi di pagamenti fiscali, come erano quelli che abitavano a Brindisi, perché, scrissero, dall’habbitare de le dette casate de giudei ne risulterà utilità et acconcio gradissimo all’università et homini predetti de Oyra[7]. Il re accolse la supplica, ma nel 1491 essa non era stata ancora esaudita, a causa delle guerre ed altri inconvenienti. Gli amministratori chiesero allora la riconferma del privilegio e di adoperarsi affinché le quindici casate di ebrei richiesti andassero ad abitare ad O. Il re rispose che si sarebbe informato e avrebbe provveduto. La qual cosa di certo avvenne, ma non tutto andò come gli oritani si aspettavano, perché nel 1495 i francesi invasero il Regno, e all’invasione si accompagnò la peste. Molti abitanti si ridussero in povertà e non furono in grado di far fronte ai debiti contratti con i giudei. Gli amministratori si rivolsero allora al nuovo re, Ferrante II, lamentando che i cittadini erano stati spogliati dai giudei con usure e mangiarie, talché tutti loro beni erano in potere di essi giudei, ed alcuni li son remasti debitori et obbligatisi per via d’obbliganze et etiam per publici contratti. Chiesero quindi che ai debitori fosse fatta la grazia di esentarli dai pagamenti, ma il sovrano non accolse la richiesta, concedendo solo che i debitori pagassero quando avessero potuto farlo comodamente[8].
È questo l’ultimo documento finora noto sugli ebrei a O. nel secolo XV. Della presenza ebraica nella città - varia e diversa attraverso i secoli - resta memoria nel nome Giudea (Judea) con cui è indicato uno dei quattro rioni del centro antico, in corrispondenza del quale si apre la Porta degli Ebrei, detta anche Porta di Taranto. Sembra che il cimitero altomediavale sia da identificarsi con una necropoli posta sul pendio orientale del colle degli “Impisi”. Comproverebbero la giudaicità del sito alcuni frammenti di iscrizione ebraica trovati nel terreno che riempiva una tomba.
Bibliografia
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Trinchera, F. (a cura di), Codice aragonese o sia lettere regie, ordinamenti ed altri atti governativi de' sovrani aragonesi di Napoli, 3 voll., Napoli 1866-1874.
[1]Cfr. Mattarelli Pagano, M., Raccolta di notizie patrie dell’antica città di Oria nella Messapia, a cura di Travaglini, E., Oria 1976.
[2] CIIud 635, 634; JIWE 137, 195.
[3] Ahima’az ben Paltiel, Sefer Yuhasin. Libro delle discendenze, pp. 58-59.
[4] Cfr. Sonne, I., Note sur une Keroba d’Amittai publiée par Davidson, pp. 80-84.
[5] De Robertis, A.N., La politica liberalizzatrice di Federico II nei confronti degli ebrei e i suoi precedenti storici nelle consuetudini locali delle diocesi brindisina e oritana, in Archivio Storico Pugliese 28(1975), pp. 101-112.
[6] Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, pp. 182-183.
[7] Mattarelli Pagano, M, Raccolta di notizie patrie, pp. 183-185.
[8]Trinchera, F., Codice aragonese, III, p. 64, doc. XX; Mattarelli Pagano, M., Raccolta di notizie patrie, pp. 187-195.