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Viterbo (ויטרבו)
Capoluogo di provincia. Sorta nell’area occupata dal vico etrusco chiamato Surrena e, poi, dal piccolo centro romano chiamato Vicus Elbii, dalla metà del XIII secolo la città fu guelfa e sotto il controllo della Chiesa. Sino al 1281 i papi soggiornarono quasi sempre a V., dove si tennero molti conclavi, ma, dopo le intemperanze dei Viterbesi del 1281, il papato la abbandonò, innescandone un lento decadimento.
Nel secolo XIV, V., dilaniata dalle fazioni, ebbe un governo signorile, ma nel 1357, l’Albornoz restaurò il governo della Chiesa sulla città e Urbano V vi soggiornò alcuni mesi nel 1367. Signoreggiata dalla famiglia Vico sino al primo trentennio del XV secolo, tornò sotto la Chiesa nel 1435. Sempre turbata da lotte interne, fu pacificata definitivamente dal papa nel 1536.
Risale al 1272 il primo cenno ad una presenza ebraica a V., legata all’attività di uno scriba, mentre dodici anni più tardi fu venduta a V. un’opera di Abraham ibn Ezra[1].
Da un documento del 1294 risulta che l’ebreo Elia prestò in quell’anno una somma di denaro a un uomo che intendeva acquistare terreno a V., fatto che induce a porre la città tra le più antiche sedi di prestatori ebrei in Italia[2].
Cinque anni più tardi (1299), Moysetto di Daniele, a nome proprio e dei soci Manuele e Consilio di Salomone, prestava una somma a un mutuatario cristiano che a garanzia ipotecava tutti i propri beni e si dichiarava disposto a pagare una penalità del doppio, restando, tuttavia, insolvente ancora svariati anni dopo aver contratto il debito[3].
Nel 1313 il notaio Fardo di Ugolino fondò a V. un’istituzione per alloggiarvi gli ebrei convertiti: papa Giovanni XXII dette il proprio assenso al progetto attraverso due bolle, con le quali pose come condizione che uomini e donne vi fossero alloggiati separatamente e concesse speciali indulgenze a chi avesse sostenuto l’istituzione. Tuttavia, l’iniziativa non sembra aver avuto il successo sperato e l’istituto venne in seguito trasformato in ospedale per i pellegrini[4].
Nei primi decenni del XIV secolo un Magister Daniele si trasferì a Urbino, aprendovi un banco feneratizio[5], mentre nel 1396 un gruppo di ebrei viterbesi si trasferì a Orvieto[6].
Tra le altre poche notizie relative agli israeliti di V. in questo periodo troviamo, alla fine del secolo, l’attestazione di un prestito contratto da Musetto di Dattilo di Salomone di V. con un correligionario di Tarquinia, per il tramite di un altro di Perugia[7]. In un documento del 1400, invece, Consola di Dattilo di Salomone, vedova di Magister Elia di V., agendo come tutrice dei figli, nominava suo procuratore il padre Dattilo, residente a Perugia, suo procuratore[8] e risale al 1401 la lapide che ricorda con toccanti accenti la morte del bambino Reuben, figlio di un non meglio identificato Netanel Hayyim[9].
Papa Martino V confermò nel 1422 i privilegi degli ebrei di V. insieme ad un’ ennesima pubblicazione della bolla Sicut Judeis.
Nel 1430, il feneratore Sabato di Angelo di Mele di V. si trasferiva con la famiglia ad Amelia per esercitarvi il prestito[10].
Quattro anni prima (nel 1426), il minorita Bernardino da Siena aveva predicato a V., durante la Quaresima e, tre anni più tardi (1429), era giunto a predicare in città, nella stessa occasione, un altro minorita, Guglielmo da Venosa, che aveva aizzato la popolazione contro gli ebrei, portandola ad aggredirne alcuni e ad accusarne altri di malefatte, confermate poi dalla magistratura locale, che condannò i presunti colpevoli. I frati domenicani, in contrasto coi minoriti, intervennero a favore degli ebrei, ottenendo dal rettore del Patrimonio della Chiesa la sospensione delle condanne. L’atteggiamento accondiscendente del Rettore, però, suscitò l’ostilità del popolo che lo espulse e papa Martino V, indignato per le offese arrecate al proprio legato, scomunicò e interdisse la città, assolta, in seguito, grazie alla mediazione del vescovo di Teramo. La condizione degli ebrei locali rimase, tuttavia, precaria: nel 1437 essi furono accusati di percepire un interesse esorbitante (65% annuo) e furono obbligati a diminuirlo a circa il 33% [11].
Nel 1450, il Comune impose l’obbligo del segno distintivo, che, sebbene istituito da tempo, non sembra fosse stato osservato sino a quel momento. Il segno consisteva, per gli uomini, in un cerchio di panno rosso da esibire sugli abiti e, per le donne, in un velo giallo, che doveva coprire la testa: la pena minacciata per la donna sprovvista di velo giallo non sembra avere l’uguale altrove in Italia, consistendo nella licenza data a chiunque di spogliarla (ab unoquoque spoliari)[12]. Il Comune, inoltre, obbligò gli israeliti a versare l’equivalente di 24 ducati per le feste carnevalesche e si assicurò che essi vivessero solo in determinati luoghi e portassero con sé appositi panni contrassegnati quando si fossero serviti del barbiere[13]. Una delle svariate fonti di acque medicamentose della città, ubicata fuori Porta Faul, inoltre, era riservata agli ebrei ed era perciò denominata il “Bagno de’ Giudei”[14].
Nel 1471 (o 1472 ) venne istituito a V. il Monte di Pietà, ma la comunità ebraica continuò a prosperare[15]. Nello stesso periodo, infatti, furono attivi qui dei prestatori, tra cui i fratelli Mele, Manuele e Abramo di Leutio, Angelo di Mele, Salamone, Isaia e Servidio di Manuele. In seguito vi fu banchieri anche Moyse dall'Aquila (1492), Abramo, Moyse e Giacobbe di Lazaro Sacerdoti (1532-3) e Salamone di Moyse Alfandri dalla Spagna (1533)[16].
Nel 1524, il presunto Messia David Reubeni (Reuvenì) visitò V., ospite di Yosef Cohen, vantandosi di aver riportato la pace tra i membri della comunità. Alla medesima famiglia Cohen apparteneva il medico Theodoro de Sacerdotibus (Eleazar ha-Cohen), divenuto medico del papa nel 1550[17].
Nel 1538 il cardinale legato e vescovo di V. abrogò la convenzione feneratizia, mantenuta in vigore dal comune per circa due secoli e mezzo.
In seguito alla bolla Cum nimis absurdum (1555), gli Ebrei furono espulsi dalla contrada S. Biagio e segregati in un ghetto.
Nel 1556 quando iniziò nei domini della Chiesa la reazione antiebraica, le personalità più in vista della comunità locale furono incarcerate[18].
In seguito alla bolla di Pio IV del 1562, che mitigava i provvedimenti di Paolo IV, i Priori di V. ottennero dal legato pontificio di far rientrare gli ebrei nella contrada S. Biagio per l’ornamento e l’utile di molti cittadini per le case e botteghe che vi hanno[19]. Ma qualche anno più tardi essi, costretti dalla bolla del1567 a vendere gli immobili, vennero privati di metà dell’introito di tali vendite, devoluto, per volere papale, allo stipendio del castellano e dei custodi e poco dopo (1569), i crediti ebraici, risalenti a più di sei anni prima, furono dichiarati estinti.
Dopo il decreto di espulsione dal territorio pontificio del 1569, i Priori di V. cercarono di intervenire a favore degli ebrei della città, ma, minacciati di scomunica, dovettero recedere, mentre a chi si fosse convertito veniva promesso un premio, che andava dai 15 ai 25 scudi per gli uomini e raggiungeva i 100 scudi per le donne.
Dopo il motu proprio di Sisto V (1586), dodici famiglie ebraiche tornarono a V., riaprendo tre banchi feneratizi e alcune botteghe a S. Biagio e nei dintorni[20].
Nel 1593, tuttavia, gli ebrei abbandonarono la città, in seguito alla bolla di Clemente VIII. Nei decenni che seguirono, essi poterono venire a V. solo in occasione delle fiere: nel 1705, alcuni di loro, provenienti da Roma e da altre località e giunti in città in occasione della fiera della Madonna della Cerqua, furono accusati di tentato omicidio rituale, di cui la presunta vittima avrebbe dovuto essere il ragazzo cristiano Gerolamo Antonio. Subito furono arrestati un’ottantina di ebrei (“riconosciuti” poi come presunti esecutori del tentato omicidio di due ragazzi, Gioiello da Cori e Josef Sarmen), mentre altri undici vennero trattenuti in carcere per indagini più approfondite e sessantacinque liberati. Per intercessione della comunità romana, la causa fu sottratta a V., dove la animosità contro gli ebrei si era fatta grande, e portata a Roma. La difesa degli accusati fu assunta dal celebre rabbino Tranquillo Vita Corcos e le spese processuali furono divise tra la comunità romana ed altre comunità. Nel 1706, la giustizia pontificia assolse gli imputati e definì simulazione mendace l’episodio dell’omicidio rituale inscenato a V.[21].
Quartiere ebraico e ghetto
Verso la metà del XV secolo, gli ebrei di V. abitavano nella contrada S. Biagio, posta nella zona centrale della città, su cui si affacciava il Palazzo dei Priori del Comune, divenuto nel 1510 sede del Legato Apostolico. Nella medesima area si trovavano pure le botteghe ebraiche, ubicate lungo la via S. Lorenzo, che dalla Piazza del Comune conduceva alla cattedrale[22]. In seguito alla bolla di Paolo IV del 1555, gli ebrei furono segregati nella contrada di Valle Piatta, malfamata per la presenza del bordello, prospiciente sull’interno di Porta Faul ed il ghetto così creato fu chiuso da due portoni[23].
Sinagoga
La sinagoga di cui si conosce l’ubicazione, nel 1492, era nella contrada di S. Biagio.[24] Quando fu istituito il ghetto, una sinagoga fu aperta nella contrada di Valle Piatta: essa fu venduta dagli ebrei, quando dovettero lasciare V., nel 1569. Anche Signorotto di Leutio, però, ottenne nel 1538 il permesso dal camerlengo papale di poter costruire una sinagoga privata in casa propria, a condizione che fosse lontano dal centro e di aspetto discreto: tale autorizzazione fu prorogata nel 1539 in seguito alla distruzione dell'edificio a causa di un incendio[25].
Cimitero
Il cimitero ebraico si trovava sull’altura denominata “Poggio Giudio”, fuori della Porta Faul e venne venduto al momento di abbandonare V. nel 1569[26].
Vita culturale
Nel 1272 dimorava a V. il copista Shlomoh Yedidiah di Mosheh di Yosef da Roma, che vi copiava La guida dei perplessi di Mamonide (codice 904 del British Museum). Nel 1284, il Commento al Pentateuco di Abraham Ibn Ezra, copiato da Beniamin di Yoav Anav di Roma (codice 176 della Biblioteca Nazionale di Parigi), veniva venduto a V. a Shlomoh di Mosheh di Yequtiel da Roma e a suo nipote Yehudah.
Un secolo e mezzo dopo, un codice miniato contenente il testo biblico con annotazioni masoretiche e critiche (oggi alla Biblioteca Estense di Modena) veniva venduto a Mordekhai, figlio del rabbino Yequtiel da V., che, tuttavia, si era trasferito altrove[27].
Agli inizi del XIII secolo nasceva a V. Mosheh di Shabbetay, poeta liturgico, poi trasferitosi a Roma. Angelo di Dattolo, medico d’origine grossetana, si trasferì a V. , ottenendo, nel 1437, il permesso di esercitarvi la professione e di essere dispensato dal segno.
Angelillo Gentile di Mosè, medico “esimio”, lasciò con testamento aperto nel 1478 legati per la sinagoga e cimitero di V.
Mastro Gabriele da Palestrina, medico a V. (assieme a Benedetto da Orte) venne nominato dal camerlengo papale nel 1543 collettore della vigesima e della tassa Turca dagli ebrei nel Patrimonio Petri e ad Orvieto[28].
Nel 1550 Eliezer Cohen (Teodoro de’ Sacerdoti), medico e dotto, fu nominato medico personale del papa.
A V. si rifugiarono , per qualche tempo, gli antenati di Leone Modena, fuggiti dalla Francia, come ricorda nella propria autobiografia il Modena stesso[29].
Bibliografia
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Luzzatto, G., I banchieri ebrei in Urbino nell’età ducale, Padova 1903.
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Simonsohn, S., History of the Jews in the Duchy of Mantua (in ebr,), I, Jerusalem 1962.
Toaff, A., The Jews in Umbria, Leiden-New York-Köln 1993-94.
[2] Ivi, p. 139.
[3] Ibidem.
[4] Ivi, pp. 140-141. Va rilevato che Fardo di Ugolino aveva in origine progettato l’istituzione per accogliere le prostitute pentite, pensando, poi, di aggiungervi anche gli ebrei: non a caso l’ospizio fu installato in Valle Piatta, dove si trovava il postribolo.
[5] Luzzatto, G., I banchieri ebrei in Urbino nell’età ducale, Padova 1903, p. 20.
[6] Roth, C., Il primo soggiorno degli Ebrei a Viterbo, p. 369.
[7] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 490, 557.
[8] Ivi, doc. 630.
[10] Toaff, A., op. cit., doc. 824. In un documento del 1488 viene menzionato Vitale di Magister Israel di V. (ivi, doc. 1939).
[11] Milano, A., op. cit., pp. 142-143. Secondo il Milano il tasso del 65% annuo è da considerarsi particolarmente elevato e starebbe a testimoniare della disastrosa situazione finanziaria in cui si trovava la città. Anche il tasso del 33% annuo sarebbe più elevato di quello corrente altrove, che oscillava tra il 18 e il 24 %. Per prestiti inferiori al fiorino il Comune impose un interesse pari al 16 e mezzo per cento. Ivi, p. 143; cfr. Pinzi, C., Storia della città di Viterbo lungo il Medioevo,4 voll., Roma-Viterbo 1887-1913, III, pp. 557-558, cit. in ivi, p. 143, nn. 12-13.
[12] Milano, A., op. cit., p. 143.
[13] Ivi, p. 143; Pinzi, op. cit., pp. 557-558, cit. in ivi, p. 143, n. 12-13.
[14] Ivi, p. 144. Cfr. Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 961.
[15] Roth, C., op. cit., p. 371; di Flavio, V.- Papò, A., Respublica Hebreorum de Reate, Santa Rufina di Cittaducale (Rieti) 1999, p. 97, n. 150.
[16] Simonsohn, S., op. cit., doc. 964-5, 1028-9, 1140, 1558, 1605, 1627.
[17] Roth, C.,ibid.
[18] Roth, C., op. cit., p. 368.
[19] Milano, A., op. cit., p. 145.
[21] Milano, A., op. cit., p. 148. Sull’episodio si veda anche Simonsohn, S., History of the Jews in the Duchy of Mantua (in ebr,), I, Jerusalem 1962, pp. 318-320.
[22] Milano, A., op. cit., p. 144.
[23] Ivi, p. 144.
[24] Ivi, p. 144.
[25] Ivi, p. 144- 145. Il Roth afferma che V. fu una delle poche località del dominio papale (oltre a Roma e a Bologna) che mantenne due sinagoghe nel XVI secolo (Roth, C., op. cit., p. 371). Presumibilmente, si trattava della sinagoga di Valle Piatta e di quella di S. Biagio (Simonsohn, S., op. cit., doc. 1883, 1914).
[26] Milano, A., op. cit., p. 144-145.
[27] Freimann, A., Jewish Scribes in Medieval Italy, p. 320; p. 251; Milano, A., op. cit., p. 140.
[28] Simonsohn, S., op. cit., doc. 2214. Sui medici a V. si veda ivi, doc. 2335 (Isacco da Viterbo), 2579 (Laudadeo de Blanis), 3228 (Samoel di Consulo di Sabbato),
[29] Milano, A., op. cit., pp. 146-147.