Rieti

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Rieti (ריאטי)

Capoluogo di provincia. A circa 400 m. sul livello del mare, occupa entrambe le rive del fiume Velino, ai piedi delle alture e dominata dalla vetta del monte Terminillo. Anticamente chiamata Reate, fu una delle prime città dei Sabini, poi conquistata da Roma. Nel 1198 R. fece omaggio a Innocenzo III e da allora restò fedele alla Chiesa. Dopo varie vicende, si diede in signoria a Cecco Alfani, la cui famiglia ebbe per vari decenni il predominio in città, sino a quando non ne fu bandita, nel 1425. R. fu in seguito in contesa con i vicini centri abruzzesi e con Terni.

 

La prima attestazione della presenza ebraica a R. risale al 1311, quando Abramo di Samuele da Padova portava qui a termine il Codice n. 1284 della Biblioteca di Parigi[1].

Sebbene vi siano sporadiche menzioni di ebrei nella documentazione trecentesca, l’attestazione di un insediamento ben definito si ritiene  risalire al 1394.[2] Tuttavia, un atto notarile del 1341, mostra che gli israeliti erano già presenti nella vita economica reatina: infatti, il documento tratta di un patto, stipulato a R., tra due gruppi di ebrei, di cui l’uno si impegnava a rinunciare a fare affari con il Comune, con i suoi cittadini e con gli abitanti del contado, mentre l’altro (capeggiato da Manuele di Consiglio) avrebbe esercitato il prestito nella città, assumendo il controllo su tale attività. Nonostante questa sorta di monopolio feneratizio da parte di Manuele, il primo documento attestante il prestito ebraico in città è relativo al debito contratto, nel 1344, da un abitante di R. con  Leuccio di Sabato, che non sembrava essere parte del gruppo di Manuele[3].

Nel 1396, inoltre, il Comune si rivolgeva agli ebrei fenerantes in civitate Reate per un prestito per pagare una parte della somma dovuta al Podestà[4]

La prima condotta di cui sia rimasta documentazione risale però al 1408: presumibilmente furono in quell’occasione le travagliate vicende interne e le lotte con le città vicine a indurre il Comune a ricorrere al prestito ebraico[5].

Dall’inizio degli anni Venti del secolo in poi, la condotta feneratizia risultava nelle mani di Magister Dattilo, insieme a Ventura di Angelo e a Mosè di Gaio ( o di Isacco)  della  famiglia Da Rieti, che divenne in seguito una delle più ragguardevoli del panorama italiano[6].    

Per due volte (nel 1437 e nel 1440), Mosè di Gaio (Isacco) ottenne la condotta medica a R.[7] e nel 1443 , gli ebrei di una serie di comunità, tra cui R. e la comunità romana, si accordarono con la Camera Apostolica per ripartire le tasse di cui erano stati gravati: Mosè di Gaio venne allora inviato come rappresentante della comunità ebraica romana presso le altre comunità italiane per raccogliere i contributi finanziari previsti dall’accordo stesso[8].

Nel 1446 le autorità locali presero provvedimenti per limitare la familiarità tra ebrei e cristiani, imposero l’obbligo del segno distintivo (rotella gialla per gli uomini, orecchini  per le donne), vietarono agli ebrei di servirsi di nutrici cristiane e di farsi accendere il fuoco da cristiani di sabato e proibirono l’acquisto di vino e carne (macellata ritualmente) dagli ebrei. Contro tali riforme questi ultimi si appellarono  al legato pontificio, che confermò solo l’obbligo del segno distintivo, mentre ordinò la sospensione degli altri provvedimenti sino a che lui stesso, o il pontefice, non avessero deciso in merito[9].   

L’attività feneratizia, pur proibita nel 1451, risultava intanto continuare: nel 1466 venivano rinnovati i capitoli della condotta del 1422 e agli eredi di Mosè di Gaio veniva confermato il monopolio feneratizio[10] e nello stesso anno Paolo II si rivolgeva con un Breve al vicario del vescovo di R. per far restituire a Samuele e Mosè di Angelo di Dattilo i beni che erano stati loro tolti[11].

Sebbene, poi, la condotta fosse prerogativa dei Da Rieti, nella seconda metà del secolo, alcuni ebrei figuravano esercitare il prestito, senza aver stipulato i relativi  patti vincolanti con le autorità.[12] L’aumento del numero di prestatori è presumibilmente da collegarsi con l’accrescersi dei prelievi monetari della Camera Apostolica e con le spese, soprattutto militari, che gravavano sul Comune. In concomitanza con le aumentate necessità economiche e dietro le pressioni dei frati, cresceva il controllo delle autorità reatine sui feneratori, che portava, nel 1472, all’elezione di due cittadini per controllare che i essi bandissero pubblicamente tutti i pegni scaduti in deposito presso di loro, secondo le disposizioni degli Statuti cittadini[13]

Nel 1470 era stata rinnovata comunque la condotta ai figli di Angelo di Magister Dattilo (e cioè Magister Dattilo, Samuele e Mosè), per 32 anni, con nuovi capitoli, sottoscritti da 14 maggiorenti reatini e sottoposti all’approvazione pontificia. Essi avrebbero potuto fenerari publice ad banchum et occulte sine bancho, previo pagamento annuale di 50 ducati d’oro come tassa d’esercizio e, in aggiunta, corrispondendo tutti gli altri oneri finanziari cui erano tenuti i cittadini di R. Inoltre, la condotta stabiliva che gli ebrei dovessero versare una tantum una cifra al Comune per spese arretrate cui non poteva fare altrimenti fronte e rinunciassero a farsi restituire una somma, prestata allo stesso, da quei cittadini che se ne erano dichiarati garanti. Infine, gli ebrei dovevano promettere di prestare al Comune sino a 25 ducati senza pegno o interesse per sei mesi vedendosi garantita, in cambio, la libertà di culto[14].

Nel 1473 venne approvata l’istituzione di un Monte di Pietà promossa dal Minore Osservante Paolo da Brescia: il Monte, tuttavia, iniziò la propria attività solo nel 1489, in seguito all’intervento di Bernardino da Feltre[15]. Intanto, nel corso del XV secolo, risultava essersi convertito qui il medico Abramo con la moglie e la figlia (1452), mentre dieci anni più tardi, si era convertiva una donna, che prese il nome di Agnese Sebastiani[16].

 

Durante gli ultimi anni del 400, in concomitanza con il riacutizzarsi delle tensioni tra R. e i confinanti ternani e con il passaggio delle truppe di Carlo VIII in cammino per Napoli, i prestatori ebrei furono costretti a intervenire con appoggi finanziari, ma contemporaneamente vennero prese disposizioni contro di loro, soprattutto in materia di acquisto di cibi, ivi compreso il divieto di toccare con le mani i generi alimentari[17], che sarebbe stato rinnovato, insieme agli altri, nel 1513 e nel 1536[18].

All’inizio del Cinquecento, poi, avevano preso avvio le iniziative per segregare gli ebrei in un “luogo umile”, lontano dal passaggio delle processioni del Santo Sacramento: i provvedimenti antiebraici seguivano un iter che andava dall’intervento nel consiglio cittadino di un frate predicatore (generalmente un minorita) alla emanazione di decreti restrittivi per sfociare nell’applicazione parziale o nell’inosservanza dei decreti stessi[19].

 

In seguito alla guerra tra l’imperatore Carlo V e gli alleati della Lega di Cognac, tra cui il papa, i lanzichenecchi saccheggiarono il Monte di Pietà di R. e, presumibilmente, anche i banchi ebraici. La presenza ebraica torna ad essere menzionata nel 1533, quando Clemente V confermò per 10 anni la condotta stipulata tra Dattilo di Raffaele di R., insieme a Servadio da Sulmona, e il Comune: nel 1539 lo stesso Servadio risultava aver sottoscritto i capitoli insieme a Magister Mosè di Leuccio da L’Aquila, ricevendo la relativa tolleranza papale per gestire il banco feneratizio. Qualche anno dopo (1541), la stessa concessione venne data per 5 anni a Zaccaria di Leuccio da Pisa e ad Abramo di Lazzaro da Viterbo[20].

Da un documento del 1541 si apprende che gli ebrei di R. erano stati depredati e che la loro sinagoga era stata  quasi distrutta[21].

Poco prima della metà del secolo (1544), gli ebrei di R. risultavano dover pagare la decima e la vigesima, ma due anni più tardi, veniva proibito alle autorità reatine di tassarli, dato che pagavano direttamente il loro tributo alla Camera Apostolica[22].

 

Verso la metà del 500, il Consiglio cittadino decise di espellere il prestatore locale (Dattilo di Raffaele) e di ribadire l’obbligo del segno per tutti gli ebrei reatini. Dattilo, che si distingueva per il giro di affari e per la sua spregiudicatezza in materia,  tentò con tutti i mezzi il proseguimento della propria attività, giovandosi, tra l’altro, delle sue relazioni altolocate (in particolare col cardinale Guido Ascanio Sforza), ma un tumulto popolare, nel 1555, e la conseguente repressione da parte delle truppe pontificie, segnarono la fine della sua carriera feneratizia e delle sue ricchezze[23].

Dopo il 1555 il prestatore che ricorre nella documentazione è David di Isacco di Salomone, che risultava mutuare soprattutto ad altri correligionari per l’acquisto di stoffe e, talvolta, anche di quelle merci che, proibite da Paolo IV, erano state riammesse provvisoriamente da Pio IV[24].

In seguito al rogo del Talmud ordinato da Giulio III nel 1553, intanto, anche la sinagoga e le case degli ebrei reatini vennero ispezionate, senza che vi fosse trovata traccia del testo proibito[25].

Nell’elenco delle sinagoghe che, dal 1560 sino alla Bolla di espulsione del 1569, corrispondevano la tassa alla Casa dei Catecumeni di Roma, figurava anche quella di R. prima con 10  poi con 12 scudi[26].

 

Dal 1506 in poi risultavano essersi convertiti qui tre ebrei (due uomini e una donna); negli anni 1555-1556 due donne, nel 1560 sette ebrei (padre, madre e cinque figli) e dal 1561 in poi si registrano altre cinque conversioni[27].

Nell’ultimo documento relativo alla comunità ebraica reatina figurano Angelo di Elia, David di Reguardato, David di Isac, Elia di Isac, Isaia di Mosè, Leone di Angelo. Angelo di David, Abramo di Sabato e Mosè di Elia, omnes hebrei de sinagoga Reatina, che, sul punto di abbandonare la località dopo il decreto espulsivo, eleggevano un procuratore generale per la vendita dei beni e dell’edificio sinagogale[28].

Il cognome “Rieti” o “Da Rieti”, rimase in ricordo della provenienza da tale località; la famiglia Da Rieti, i cui membri si sparsero in varie località italiane, fu una delle più note nel campo dell’economia e dell’attività culturale italiane, soprattutto nel XVI secolo.[29] 

 

Vita comunitaria

Negli anni Settanta del XV secolo il gruppo ebraico cominciò ad essere chiamato nei documenti reatini universitas hebreorumsinagoga o respublica hebreorum[30].

 

Attività economiche

Sin dall’inizio della loro presenza a R. gli ebrei  furono attivi nel prestito. Nel 1396, il tasso di interesse consentito era stabilito al 24% annuo, mentre, prima, risulta essere stato ad arbitrio dei feneratori[31]. Nel 1470, il tasso autorizzato era del 25% annuo, sia per i cittadini che per i forestieri (ma i pegni dei forestieri potevano essere venduti dopo un anno, quelli dei cittadini dopo due)[32].

 

Gli ebrei di R., durante i secoli XV e XVI furono anche attivi nella lavorazione e nel commercio dei tessuti, trattando panni nuovi e vecchi di ogni genere e confezionando in proprio capi d’abbigliamento ed  il commercio dei tessuti fu particolarmente fiorente all’inizio degli anni Quaranta del XVI secolo. Dopo la Cum nimis absurdum, gli israeliti furono impegnati principalmente nel trattamento della bambagia, ma, nel 1563, il commercio delle stoffe fu loro proibito[33]

Dalla fine del XV secolo in poi, vi furono alcuni ebrei attivi come bastai, che fabbricavano basti per gli animali da soma e il necessario per ripararli e se un bastaio fu anche apprezzato sarto verso la metà del XVI secolo, non bisogna dimenticare che qui vi fu anche qualche berrettaio[34]

Da un documento di poco posteriore alla Cum nimis absurdum risulta che gli ebrei di R. potevano commerciare in tutto, salvo che nei commestibili[35].

Nel XVI secolo sono attestate svariate presenze ebraiche nella gestione e appalto delle gabelle minori, soprattutto della gabella stracciarie sive cinciorum[36].

Risultavano esservi stati a R. svariati medici e chirurghi ebrei, che svolgevano anche altre attività, ad esempio, il prestito[37].

 

Demografia

Da un’indagine condotta per gli anni 1516-1517 si desume che gli ebrei erano circa 200 e negli anni 1535-1544 erano leggermente aumentati ( per l’afflusso degli espulsi dal regno di Napoli); pertanto, dato che la popolazione all’epoca arrivava ai 10.000 abitanti,  risulta che essi ne costituivano all’incirca il 2% [38].

 

Quartiere ebraico e residenza coatta

La grande maggioranza degli ebrei abitava nel quartiere di Porta Carceraria dentro e Porta Carceraria fuori, nel triangolo che ha per vertice l’attuale Porta d’Arci e per base la linea che congiunge le attuali Piazza S. Rufo e Piazza Oberdan. Nella prima metà del XVI secolo le famiglie ebraiche che abitavano nel quartiere di Porta Carceraria erano una quarantina. Altre, invece, risultavano abitare, nel XV e XVI secolo, anche nel quartiere di Porta Romana. In quest’ultimo si trovava la Strata Hebreorum, dove il Consiglio cittadino, nel 1513, decise che avrebbero dovuto risiedere  gli ebrei, venendo espulsi dalle altre zone della città. Pare, tuttavia, che il provvedimento della residenza coatta non fosse  stato applicato rigorosamente[39]

Un ghetto vero e proprio non risulta essere stato istituito a R., come attesta un documento posteriore di dieci anni alla Bolla Cum nimis absurdum, da cui il ghetto risultava un progetto approvato ma ancora da attuare nella città[40].

 

Sinagoga

Già dal 1408 gli Ebrei avevano ottenuto la licenza di tenere un oratorio, ma una sinagoga compare solo nei documenti del 1470 ed è ubicata nella zona di Porta Carceraria.[41]  Nel 1541, la sinagoga ( che era stata gravemente danneggiata dalla popolazione locale) venne ristrutturata[42].

 

Cimitero

Dai documenti dell’inizio del XVI secolo il cimitero ebraico risultava essere in Porta Romana de super, presso la chiesa di S. Agostino e la chiesa di S. Maria della Misericordia [43].

 

Rabbini, dotti

Nel XV secolo troviamo a R. Yehiel Gay di Yaaqov, noto come “l’amanuense”, della famiglia Bet-El o de Synagoga che portava a termine, nel 1421, il Codice n. 50 del British Museum, su richiesta di Mosheh Rofé Bet-El (de Synagoga). Yoav di Yehiel Rofé Bet-El (de Synagoga ), insieme al figlio Yehiel,  terminava nella località il Codice de Rossi n. 197; mentre Avraham di Yitzhaq, dimorante a R., era il commissionario del Codice 193 della Biblioteca Casanatense di Roma ( scritto, nel 1414, da Avraham di Yitzhaq Tzarfatì a S. Severino Marche). Yoav di Yehiel il giovane scriveva codici a R. durante gli anni 1399-1404, e Yehiel Gay di Yoav scriveva codici a R. e a Sulmona durante gli anni 1445-1449[44]

Nacque a R., il rabbino, medico, filosofo e poeta Mosè da R. (1388-1460), che durante l’età matura si trasferì a Roma ed in Umbria. Mosè da R. raggiunse notevole fama come autore dell’opera  in terzine Miqdash Meat  (Il Piccolo Santuario ) che si rifà alla Divina Commedia dantesca[45].

 

Bibliografia

 

Brentano, R., A New World in a Small Place. Church and Religion in the Diocese of Rieti 1188-1378, University of California Press 1994.

Di Flavio, V.- Papo, A., Respublica Hebreorum de Reate, Santa Rufina di Cittaducale (Rieti) 1999.

 Esposito, A., Prestito ebrico e Monti di Pietà nei territori pontifici nel tardo Quattrocento: il caso di Rieti, in Credito e sviluppo economico in Italia dal Medio Evo all’età contemporanea (Atti del primo convegno nazionale 4-6 giugno 1987) , Verona 1988, pp. 97-111.

Freimann, A., Jewish Scribes in Medieval Italy, in Alexander Marx Jubilee Volume, New York 1950, pp. 231-342.

Guetta, A., Mosheh de Rieti (XIVe – XVe siècle), philosophe scientifique et poète, REJ 158 (1999), pp. 577-586.

Milano, A., Storia degli ebrei in Italia,  Torino 1963.

Pavoncello, N., Le comunità ebraiche laziali prima del bando di Pio V, in Lunario Romano 1980: Rinascimento nel Lazio, Roma 1980, pp. 47-77.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.

Simonsohn, S., I banchieri Da Rieti in Toscana, in RMI, XXXVIII (1972), pp. 406-423; 487-499. 

Vogelstein, H. –Rieger, P., Geschichte der Juden in Rom, II, Berlin 1895.

        


[1] Freimann, A., Jewish Scribes in Medieval Italy, p. 244.

[2] Archivio di Stato di Rieti ( d’ora innanzi ASRi), Archivio comunale Antico di Rieti (d’ora innanzi ACARi ), Riformanze, 15, c. 24r (17 maggio 1394), cit. in Esposito, A., Prestito ebraico e Monte di Pietà nei territori pontifici nel  tardo Quattrocento: il caso di Rieti, p. 99, n. 8. Un documento del 1391 attesta che dimorava a R. un ebreo d’origine romana, Manuele di Daniele, cui  papa Bonifacio IX concedeva protezione e lo status di  familiare, riconfermati in seguito. Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 477, 574. Per informazioni sugli ebrei menzionati nei documenti del 1391 e del 1394, si veda  Di Flavio-Papò, Respublica Hebreorum de Reate, pp. 45-47.

[3] Archivio Capitolare della cattedrale di Rieti ( d’ora innanzi ACR), Liber instrumentorum tertius, 1336-51, cc. 76-81, citato in Brentano, R., A New World in a Small Place. Church and Religion in the Diocese of Rieti 1188-1378, University of California Press 1994, pp. 26-27, cit. in Di Flavio- Papò, op. cit., p. 44, n. 22; ASRi, Pergamena 185/133 , 21 giugno 1344, cit. in ivi, p. 44, n. 24.

[4] ASRi, Rif. 1395-96, 12, cc. 108v-109 (24 luglio 1396), cit. in  Di Flavio-Papò, op. cit., p. 48, n. 33.

[5] ASRi, ACARi, Riformanze , 20, cc. 49v-50v (20 agosto 1408), cit. in Esposito, A., op. cit., p. 99, n. 9. Dal contesto si inferisce che tale condotta non era la prima; tuttavia, in mancanza dei libri delle Riformanze dal febbraio 1398 all’agosto 1403, non è possibile trovare riferimenti precisi circa la prima condotta, che presumibilmente risaliva al decennio precedente. Per I prestiti concessi dagli Ebrei nel 1397, v. Di Flavio-Papò, op. cit.,pp. 48-49. Il testo della condotta del 1408 è stato pubblicato in ivi, Appendice, pp. 257-261.

[6] Per la condotta a Magister Dattilo e soci si veda ASRi, ACARi, Riformanze , 22, cc. 73r-76v (12 maggio 1422), cit. in Esposito, op. cit., p. 99, n. 14.  Il testo della condotta del 1422 è stato pubblicato in Di Flavio-Papò, op. cit., Appendice, pp. 261-267. Il tasso di interesse risultava del 40% annuo; nessun altro ebreo ( salvo Sabato di Magister Reguardato di Terni) poteva fenerare a R. senza il consenso di Mosè di Gaio (Isacco). Ivi, pp. 69-70.

[7] Di Flavio-Papò, op. cit., p. 54.

[8] Vogelstein, H. –Rieger, P., Geschichte der Juden in Rom, II, Berlin 1895, p. 12; sul retroscena di tale accordo, si veda la voce “Roma”.

[9] Esposito, A.,  op. cit., p. 101, n. 23. Il segno distintivo era stato introdotto a R. nel 1434; nel 1446, venivano imposti i circelli (orecchini a cerchio) alle ebree, che, tuttavia, non pare siano stati effettivamente adottati. Nel 1458, venne prescritto l’obbligo del segno in fascia ai neonati ebrei di ambo i sessi; anche tale prescrizione sembra non essere stata rispettata.  Di Flavio-Papò, op. cit., p. 72; p. 84; p. 90.  Sui provvedimenti contro gli Ebrei del 1446, attivati nel 1448, v. ivi, pp. 80-82; per il testo dei provvedimenti del 1446, v. ivi, Appendice, pp. 267-271. Da un documento del 1458 risulta che due Ebrei di R., Dattilo di Angelo e la madre Domizia, godevano dei privilegi papali , già dal tempo di Eugenio IV. Nello stesso anno, il medico Mosè da R. riceveva l’autorizzazione papale per curare pazienti cristiani.  Simonsohn, S., op. cit., doc. 846, 848.  

[10] Di Flavio-Papò, op. cit. , pp. 91-92.

[11] Tale informazione  è desunta  da una pergamena, sulla quale si trovava scritto il Breve di Paolo II  del 14 giugno 1466, usata poi come copertura di un libro. Mazzatinti, A., Gli archivi della storia d’Italia, vol. IV, 1904, p. 258, cit. in Pavoncello, N., op. cit., p. 62, n. 31. Qualche anno prima (1462), Samuele di Angelo, il fratello Dattilo e il nipote Dattilo di Bonaventura avevano ricevuto conferma dei privilegi concessi loro da Giorgio di Saluzzo, vide-camerlengo papale, incluso il diritto di praticare la medicina. Simonsohn, S., op. cit.,doc. 884. Cfr. Di Flavio-Papò, op. cit., p. 92.

[12]   Esposito, A., op. cit., p. 99.

[13] Ivi, p. 100; cfr. Di Flavio-Papò, op. cit., pp. 97-99.

 [14] Esposito, op.cit, pp. 101-102. Nel 1472 Sisto IV confermava la condotta ai fratelli Dattilo e Mosè di Angelo. Simonsohn, S., op. cit., doc. 957.

[15]  Esposito, A., op. cit., p. 102.

[16] Di Flavio-Papò, op. cit., p. 199, p. 248.

[17] Di Flavio-Papò, op. cit., pp. 103-108.

[18] Michaeli, M., Memorie storiche della citta di Rieti e dei paesi circostanti, Rieti 1897-1899, pp. 51-52, cit. in Pavoncello, N., op. cit., p. 62, n. 32. Nel 1514 Leone X approvava e confermava i privilegi concessi agli Ebrei di una serie di località , tra cui R. e veniva loro in aiuto contro le eccessive richieste del commissario pontificio, incaricato di combattere l’usura (Simonsohn, S., op. cit., doc. 1215, 1217, 1219). L’anno successivo, Leone X dava disposizioni per obbligare al pagamento della tassa per i Ludi di Agone e Testaccio gli ebrei di una serie di località, tra cui R. (Ivi, doc. 1239).   

[19] Di Flavio-Papò, op. cit., pp. 112-114.

[20]  Ivi, pp. 121-122; Simonsohn, S., op. cit., doc. 1629; 1918; 2061.

[21] Ivi, doc. 2042. Per i particolari dell’assalto alla sinagoga , di cui non si conosce tuttavia la causa scatenante, v. Di Flavio-Papò, op. cit., pp. 135-138.

[22] Ivi, doc. 2403, 2609. Gli ebrei di una serie di località, tra cui R., si erano riuniti, già nel 1514, a Foligno per discutere della tassazione papale (Simonsohn, S., op. cit., History, p. 443). Dalla metà degli anni Quaranta, gli ebrei risultavano obbligati  dalle autorità reatine a pagare una tassa per delle migliorie cittadine e per il palio (Di Flavio-Papò, op. cit., p. 139). Dalle fonti d’archivio risulta che gli ebrei di R. dovevano pagare le seguenti tasse : la tassa interna pro rebus hebreorum, la vigesima, la tassa per il palio e per la festa dell’Assunta, l’imposta per i ludi di Agone e Testaccio, la cosiddetta “Leonina”, l’imposta per la Casa dei Catecumeni , la tassa pro sinagogis demolitiis, la tassa per il tamburo”, la “castellina” e la tassa una tantum per le Marmore (Ivi, pp. 191-195).

[23] Per ulteriori particolari sulla figura di Dattilo e sulle sue vicende, si veda Di Flavio-Papò, op. cit., pp. 137-146.

[24] Ivi, p. 151.

[25] Ivi, pp. 146-147.

[26] Pavoncello, op. cit., p. 62.

[27] Di Flavio-Papò, op. cit., pp. 248-253.

[28] ASRi, nr. P.G. Fratta 1569, c. 240, cit. in  Di Flavio-Papò, p. 154, n. 309.

[29] Mortara, Indice, p. 54; Simonsohn, S., I banchieri Da Rieti in Toscana, in RMI, XXXVIII (1972), pp. 406-423; 487-499  ; per una bibliografia particolareggiata sulla famiglia “Da Rieti”, v. JE , s.v. “Rieti”.

[30] Di Flavio-Papò,op. cit., p. 158; tuttavia,  nel testo in questione non vengono date informazioni specifiche circa la  vita comunitaria reatina.

[31] ASRi, Rif. 1395-96, 12, cc. 108v-109 (24 luglio 1396), cit. in  Di Flavio-Papò, op. cit., p. 48, n. 33.

 [32] Esposito,A., op.cit, pp. 101-102. Nel 1472 Sisto IV confermava la condotta ai fratelli Dattilo e Mosè di Angelo (Simonsohn, S., op. cit., doc. 957).

[33] Di Flavio-Papò, op. cit., pp.  151-152; pp. 208-210.

[34] Ivi, pp. 211-215.

[35] Ivi, p. 149; per  I dettagli sul commercio di vari prodotti, che, tra l’altro, comprendevano anche prodotti caseari, prima che fossero introdotte delle severe restrizioni alla fine del XV secolo (ivi, pp.215-217).

[36] Ivi, p. 220.

[37] Per i particolari sui medici ebrei  a R., v. Di Flavio-Papò, op. cit., pp. 198-201.

[38] Di Flavio-Papò, op. cit., pp. 159-162; si veda qui per l’elenco dei maschi ebrei adulti, in base al quale  è stato fatto il conteggio.

[39] Ivi, pp. 164-168; cfr. Pavoncello, op. cit., p. 62, n. 32.

[40] Di Flavio-Papò, op. cit., p. 150.

[41] Ivi, Appendice documentaria, doc. 6, p. 276; p. 228.

[42] Ivi, p. 234.

[43] Ivi, p. 239.

[44] Freimann, op. cit., pp. 270, 279, 240.

[45]  Guetta, Moscheh de Rieti, p. 577 e segg.; Milano, A., Storia degli ebrei in Italia,  Torino 1963, pp. 657-658.Per uno sguardo panoramico sulla vita e le opere di Mosè da Rieti si veda Di Flavio-Papò, op. cit., pp. 51-59.

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