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Castro (קאסטרו)
Provincia di Viterbo. C. era un'antica città della Maremma laziale, capitale dell’omonimo Ducato situata su di un costone tufaceo tra il fiume Olpeta e il fosso del Filonica, a 12 km dall'odierna Farnese. Nel Medioevo il centro faceva parte del Patrimonio di S. Pietro: Alessandro Farnese, divenuto papa nel 1534 con il nome di Paolo III, istituì nel 1537 il Ducato di Castro e Ronciglione, che si estendeva dal Lago di Bolsena al Tirreno, e ne investì il figlio Pier Luigi. Antonio da Sangallo il Giovane, al quale fu affidata la ristrutturazione della città, la trasformò in una splendida perla rinascimentale, simbolo della potenza e del prestigio dei Farnese[1].
La presenza ebraica a C. è attestata già nel 1459: in quell’anno, infatti, papa Pio II concesse a Daniel di Abramo, medico e chirurgo ebreo, la licenza di curare anche i cristiani in tutti i domini pontifici, avendo egli dato ottima prova di sé e della sua arte nelle città di Narni, Bagnoregio e in altri luoghi ed esentò lui stesso, ed il suo aiutante o familiare, dal portare il contrassegno per non esporlo a violenze o vessazioni[2].
Gli israeliti locali, suddivisi in 2 nuclei familiari, sono poi nuovamente ricordati nel 1470, in un registro di collettorie della Camera Apostolica, in cui compare il medico Daniele di C. che versa un tributo di 30 ducati[3].
Nel 1548 era attivo nel centro, ed in altre località del Ducato (Ischia, Montemerano, Valentano), il medico Gabriel b. Iudah di Viterbo, che nel 1551 si vide rinnovare dal Consiglio cittadino l’incarico, con il salario di 100 scudi annui, ma con l’obbligo di non uscire dal territorio di Castro senza licenza dei Priori, i quali, comunque, non avrebbero potuto concedergli di pernottare fuori del detto territorio: Gabriele rifiutò la clausola e rinunciò all’incarico[4].
Le consistenti attività degli ebrei nella capitale del Ducato - anche per il fatto che essa si trovava in un’area di confine, dove meno si sentiva il rigore dell’autorità pontificia - attrassero correligionari sia dai centri vicini e del Patrimonio – tra cui Viterbo, Acquapendente, Caprarica, Soriano, Vitorchiano - e da Roma, sia dalla contigua Toscana (Sorano, Sovana). Tra i privilegi di cui gli ebrei godevano, pur nella precarietà delle bolle papali, vi era quello di possedere beni immobili, condizione che facilitava la loro permanenza nella città. I nuovi venuti dovevano pagare un’ imposta di “bene entrata”e, dagli atti testamentari, risulta che fin dai primi decenni del XVI secolo gli ebrei residenti in città erano tenuti a lasciare al vescovo una quota di 10 soldi per ogni sua canonica porzione ed un’ulteriore somma di 5 soldi per i canonici, anche se pare che quest’ultimo obbligo fosse applicato solo ai banchieri ed ai mercanti più facoltosi[5].
In forza dello Statuto cittadino del 1558, inoltre, gli ebrei che abitavano a C. versavano ogni anno al Podestà 12 fiorini per il palio che si correva nella festa del patrono San Savino. L’acquisto del panno per il palio nel decennio 1577-1586 fu per lo più eseguito nella bottega di Rafael Spagnoletti, uno dei banchieri e mercanti più attivi della città. In occasione della morte del duca Ottavio Farnese (18 settembre 1586) la comunità pagò, poi, allo Spagnoletti 61,60 scudi per l’acquisto di raso e seta e 25 bracci di roversio per fare quattro mantelli per i Consoli e i Priori della città e per 71 berretti per i cittadini consiglieri, provisionati e camerlenghi che si sarebbero dovuti recare alle esequie. Lo Spagnoletti commerciava anche in grano. Nel 1582 vendette 52 salme di grano e 43 braccia di tela bianca di lino a fra Giovanni Buratti, cavaliere gerosolomitano nell’isola Martana (lago di Bolsena), per 248 scudi d’oro. Nell’estate del 1580, a seguito di un’epidemia di orchite (detta mal del castrone) che colpì C. e altri centri della Tuscia, lo Spagnoletti ed altri ebrei vendettero alla città carne vaccina seccaticcia per distribuirla in elemosina alli poveri amalati che in quel tempo erano in questa città. Benigno, fratello di Rafael e abitante anch’egli a Castro, nel 1578 aveva acquistato da Prospero di Benedetto di Orte un Sefer Torah in pergamena, manoscritto, cum cupertina broccatelli et rasi giallii et aliis finimentis al prezzo di sette scudi. Nel 1599 un figlio di Rafael, Lutio, venne a trovarsi in difficoltà: per non avere pagato un debito di 160 scudi, che aveva contratto col mercante Giovanni Martino Roncalli di Bergamo, fu rinchiuso in prigione a Viterbo e scarcerato solo dopo che Rutilio Bubulari di Castro s’impegnò a pagare entro quattro anni la somma in rate semestrali di 25 scudi[6].
L’attività creditizia era regolata dagli ufficiali locali su licenza dei Farnese: in un capitolare del 1566, tra i priori e i gonfalonieri e i banchieri Crescenzio de Meluccio da Proceno, i fratelli Simone e Rubino e i loro nipoti Meneseo e Flaminio figli di Bonaventura de Consulo, fu stabilito che a nessun altro ebreo fosse lecito prestare a interesse senza licenza scritta dei suddetti ebrei o dei loro agenti. Il capitolare aveva la durata di dieci anni e in esso si faceva divieto, tra l’altro, di prendere in pegno oggetti di chiesa (calici, patene, croci, paramenti) e di uscire dalle abitazioni dal giovedì al Sabato Santo. La richiesta per l’apertura del banco era stata presentata, nel 1564, a Gerolama Orsini, vedova di Pier Luigi Farnese, che concesse la licenza e si affidò ai propri ufficiali per definirne le clausole, ma non volle porre la sua firma sotto i capitoli, affermando non voglio mettermi in cose de hebrei[7].
La convivenza di questi ultimi con la popolazione cristiana era buona, al punto da impensierire il vescovo di Castro, Girolamo Maccabei, che, nel 1567, emanò un monito contro gli ebrei e un bando per i cristiani, affinché fosse posto un limite alla loro domestica e familiare conversazione. Vietò, inoltre, ai cristiani di aiutare gli ebrei nella preparazione delle azzime, di partecipare a veglie, balli, pasti o feste comuni e agli ebrei di tenere a servizio garzoni e balie cristiane e di dare loro carne sciattata, ossia macellata secondo le regole ebraiche[8]. Le interdizioni furono confermate nel 1581 dal nuovo prelato e, nello stesso anno, fu avanzata in Consiglio la proposta di convogliare gli ebrei in un solo luogo, per meno scomodo et disagio de’ cittadini et di loro stessi ancora. Non sembra, però, che la limitazione sia stata realmente imposta, perché nel 1613 essi abitavano ancora in diverse contrade della città, spesso accanto a dimore di notabili e in abitazioni di proprietà delle monache cistercensi. A restare elusa fu anche la richiesta, avanzata nel 1587 dal priore della confraternita della Misericordia, di allontanare gli ebrei (cinque famiglie circa) dalle abitazioni vicine alla chiesa di San Pancrazio perché detta gente sogliono di continuo gridare et fare altro inconveniente. Svariati bandi (1566, 1608, 1613) confermarono, poi, il divieto ai cristiani di arrecare danni con sassi alle case degli ebrei durante la Settimana Santa ed ai secondi di uscire di casa anche il Sabato Santo e la domenica di Pasqua. La sinagoga di C. era posta in contrada Capitoni e, nel 1629, ne era rabbino Simone Narni. Nel 1592 Armellima Spagnoletti, vedova di Amadei da Soriano, lasciò alle sinagoghe di C. e di Pitigliano 30 scudi ciascuna, più altri 30 scudi per dotare due fanciulle ebree povere della prima località. Con un successivo testamento (1602) dispose, inoltre, di lasciare 100 scudi d’oro alla sinagoga di C. per l’acquisto di una lampada d’argento con dui granati per servitio di detta scuola valente scudi ottanta, e 30 scudi per la sinagoga di Roma[9].
All’inizio del 1600, su una popolazione di 900 individui, C. annoverava 67 ebrei. Il loro numero crebbe con l’ordine (1613) di Ranuccio Farnese che li obbligava a restare nella capitale del Ducato e che rispondeva alla necessità di risollevare demograficamente ed economicamente il centro, la cui crisi al volgere del XVI secolo appariva inarrestabile.
La fine della città fu segnata dalla famiglia Barberini, nemica dei Farnese: nel 1649, papa Innocenzo X, prendendo a pretesto l’assassinio del nuovo vescovo di C., imputato a Ranuccio II, dichiarò guerra al Ducato e nel settembre le milizie pontificie espugnarono C., ne espulsero gli abitanti e rasero tutto al suolo, compresi la cattedrale, le chiese ed i conventi. Gli ebrei salvarono gli aronot (armadi sacri) e gli argenti della sinagoga e li trasferirono, secondo la tradizione, in quella di Pitigliano. Sul luogo dove sorgeva la bella città disegnata da Sangallo il Giovane, fu posta una lapide con la scritta Qui fu Castro.
Bibliografia
Biondi, A., Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, in I Farnese dalla Tuscia Romana alle corti d’Europa (Palazzo Farnese di Caprarola, 25-26 marzo 1983), Viterbo 1985, pp. 105-120.
Biondi, A., Banchieri e mercanti ebrei a Castro nel periodo del ducato Farnesiano, in Bullettin de l’Institut Historique Belge de Rome 63 (1993), pp. 79-114.
Esposito, A., La presenza ebraica in una regione pontificia nel tardo medioevo: il patrimonio di S. Pietro in Tuscia e Viterbo, in Gli ebrei nello Stato Pontificio fino al Ghetto, Atti Italia Judaica VI (1995), Roma 1998, pp. 187-203.
Mancini, B., Banchieri e mercanti ebrei nell’Alta Tuscia tra XV e XVII secolo, in Tracce. Percorsi storici, culturali e ambientali per Santa Flora 7(2002), pp. 127-141.
Mancini, B., Le comunità ebraiche nelle terre di rifugio del Patrimonio tra XVI e XVII secolo, in Biblioteca e Società 22 (2003), pp. 4-13.
Richler, B., Hebrew Manuscripts in the Vatican Library, (Studi e Testi 438), Vaticano 2008.
Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.
[1] Cfr. I Farnese: dalla Tuscia Romana alle corti d’Europa (Palazzo Farnese di Caprarola, 25-26 marzo 1983), Viterbo 1985.
[2] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 851.
[3] Esposito, A., La presenza ebraica in una regione pontificia nel tardo Medioevo, pp. 190-191.
[4] Richler, B., Hebrew Manuscripts in the Vatican Library, Vat. ebr. 572; Mancini, B., Le comunità ebraiche nelle terre di rifugio del Patrimonio, p. 10.
[5] Mancini, B., Le comunità ebraiche nelle terre di rifugio del Patrimonio, p. 7.
[6] Ivi, pp. 8-9.
[7] Ivi, p. 8.
[8] Biondi, A., Banchieri e mercanti ebrei a Castro, p. 100.
[9] Mancini, Le comunità ebraiche nelle terre di rifugio del Patrimonio, pp. 5-7, 11.