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Provincia di Roma. Adagiato sul crinale del monte La Foresta, nel cuore dei Lepini, C. faceva parte della provincia pontificia di Campagna e Marittima e fu sotto la signoria dei De Ceccano, dei Conti di Segni e degli Aldobrandini, che acquistarono il feudo nel 1597. Nel 1872 assunse la denominazione Carpineto Romano[1].
La presenza degli ebrei a C. è segnata da una triade di prestatori emigrati dal Regno di Napoli nella prima metà del XVI secolo: Moise Alineta, o de Vugnet, suo fratello Santoro di Maymon e Fraim di Nola. Santoro è denominato in vari documenti Apulo, ed è quindi identificabile con il Santoro di Maymon attivo in Puglia, a Molfetta, negli anni trenta del XVI secolo[2]. I tre, che erano soci, ottennero nel 1542 la licenza, valida per tre anni, di gestire in C. un banco di prestito su pegno. Nello stesso anno, insieme a Ventura di Sabato di Terracina, essi versarono 14 scudi per la speciale tassa imposta contro i Turchi. Uguale somma pagarono nel 1543, con Isach Greco di Terracina, per la vigesima, mentre nel 1544 essi diedero 7 scudi. Nel 1550 l’esattore della vigesima registrò il pagamento da parte di Santoro et Mosce hebrei in Carpineta di 8 ducati[3].
Nel 1551 Santoro de Maymon fu incaricato di raccogliere, insieme a Simone di Benedetto di Lavinia, Salamonetto di Maestro Gaio e Vitale di Manasse di Anagni i contributi dovuti dai giudei del Lazio centrale e meridionale. Questi ultimi ammontavano a 1700 ducati, dei quali 1000 dovuti per la vigesima e 700 per una multa inflitta per gli interessi eccessivi richiesti in passato: avendo gli ebrei promesso per mezzo dei loro procuratori, tra cui Santoro Apulo, di raccogliere e versare la somma dovuta da ciascuno di loro, papa Giulio III confermò i privilegi e concesse un perdono generale[4].
Nel 1555, quando Paolo IV emanò la bolla Cum nimis absurdum che poneva severe limitazioni agli ebrei, Santoro e suo fratello Moise si erano ormai trasferiti da C. a Segni, e qui, nel gennaio 1556, furono inquisiti per violazioni nei confronti della bolla. Santoro di Maymon fu riconosciuto innocente, mentre suo fratello Moise fu condannato a una multa di 25 ducati, poi ridotta a 20, perché colpevole di avere riscosso denaro dai cristiani nei giorni festivi e di avere permesso e tollerato che sua moglie Regina tenesse in casa, a scuola, fanciulle cristiane e conversasse con loro[5].
Bibliografia
Colafemmina, C. - Dibenedetto, G., Gli Ebrei in Terra di Bari durante il Viceregno spagnolo, Bari 2003.
Fedeli Bernardini, F. ( a cura di), Carpineto. La Reggia dei Volsci, Roma 2006.
Pavoncello, N., Ricordi di ebrei a Carpineto Romano e a Formello, in Lazio ieri e oggi 22 (1986), pp. 207-207.
Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.
Stirpe, M., Gli ebrei di Campagna e Marittima e l’editto di Paolo IV, in Scritti in memoria di Giuseppe Marchetti Longo, Anagni 1990, vol. II, pp. 291-329.
Stow, K. R., Taxation, Community and State: the Jews and the Fiscal Foundations of the Early Modern Papal State, Stuttgart 1982.
[1] Fedeli Bernardini, F. ( a cura di), Carpineto. La Reggia dei Volsci, Roma 2006.
[2] Cfr. Colafemmina, C. - Dibenedetto, G., Gli Ebrei in Terra di Bari durante il Viceregno spagnolo, pp. 171-174.
[3] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 2101, 2187, 2317; Stirpe, M., Presenza ebraica nel Lazio meridionale, p. 29.
[4] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 2987,2988, 3003; Stow, K. R., Taxation, Community and State, p. 154.
[5]Stirpe, M., Gli ebrei di Campagna e Marittima, pp. 315-319.