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Amalfi (אמלפי)
Sorge allo sbocco nel Golfo di Salerno dell’angusta Valle dei Mulini, incisa tra le propaggini meridionali dei Monti Lattari. Nel IX secolo la città si costituì in repubblica indipendente, con a capo dapprima un Comes e poi un Doge. Raggiunse verso l’XI secolo l’apice della propria potenza, intrattenendo traffici attivissimi con i mercati del Mediterraneo. Fu conquistata nell’XI secolo dai normanni e nel 1398 divenne feudo dei Sanseverino, a cui seguirono i Colonna, i Del Balzo Orsini e infine i Piccolomini, ai quali la città rimase fino al 1598. Nel 1443 era tassata, insieme con i suoi casali, per 226 fuochi, nel 1521 per 433. Fu sede vescovile nel VI secolo e arcivescovile nel X[1].
Gli ebrei erano ad A. quando la città dispiegò la propria fioritura politica e mercantile. Ahima‘az da Capua narra nella sua cronaca, completata nel 1054, che sul finire del decimo secolo due suoi prozii, Shabbetai e Papoleon, furono incaricati dal “principe” di A. di una missione diplomatica presso la corte dei Fatimidi, in Africa, dove il loro cugino Paltiel di Oria era diventato un’ altolocata personalità. Secondo Ahima‘az, la missione non fu portata a termine per un'azione imprudente dei due emissari. Egli racconta, infatti, che per accelerare il viaggio essi scrissero il nome di Dio su un foglio di carta e lo gettarono nelle acque del mare. All'istante si scatenò una tempesta terribile, che squassò la nave e la sballottò fino alle coste della Spagna, poi a Narbona e a Costantinopoli, e da qui nell'Adriatico sino ad Ancona e poi di nuovo ad A., dove finalmente l'imbarcazione sotto i colpi delle onde andò in pezzi[2]. Secondo gli studiosi, il racconto, pur nella sua trasfigurazione fantastica, attesta non solo il ruolo degli ebrei amalfitani nei collegamenti politico-commerciali della città con l'Egitto e l'Africa del Nord, ma anche i loro percorsi marittimi: i porti della Spagna, quelli della Francia meridionale, Ancona e le città vicine dell'Adriatico, Costantinopoli.[3]
Da A. - siamo ora agli inizi dell'XI secolo- s'imbarcò per la Palestina, via Palermo-Alessandria, un giovane studioso ebreo originario, sembra, di Benevento. Il giovane, che portava con sé delle mercanzie, fu assistito in A. da due correligionari locali, Chanan'el e Menachem, che lo presentarono ai mercanti della città, dai quali ebbe istruzioni sull'imbarco delle merci e sul pagamento della dogana[4]. Le lettere conservate nella Genizà del Cairo riferiscono di seta esportata da qui ad Alessandria nel 1046 e di tessuti e miele nel 1056.[5]
Di un mercante ebreo di Alessandria - siamo in pieno XI secolo - ci è nota una disavventura, che egli narra in una lettera rinvenuta anch’essa nella sinagoga del Cairo. Egli era partito con un carico di pepe, incenso ed altri prodotti dell'Oriente per venderli tutti o in parte ad A., prima di proseguire il suo viaggio dall'Egitto alla Tunisia. La nave su cui navigava s'imbatté però nei pirati e fu costretta a rifugiarsi a Costantinopoli e poi a Creta. Così, invece dei 15-25 giorni ch'erano d'ordinario sufficienti per il viaggio da Alessandria ad A,, questa volta furono necessari oltre settanta giorni. Quando il mercante arrivò a destinazione trovò che il commercio era fermo per una grave crisi politica. Depositò le merci nel fondaco e inviò sue notizie e istruzioni a un socio d'affari di al-Mahdyya, in Tunisia. Nel postscritto gli riferì di essere andato insieme al proprio compagno, il vecchio Abu Sahl, dal mercante Yuhanna - certamente un cristiano di A. - che era in rapporti d'affari con il suo socio tunisino, e di avergli inviato tramite quello una lettera, alla quale però non aveva ancora ricevuto risposta[6].
Una descrizione della comunità locale tra il 1160 e il 1167 ci è tramandata dall'ebreo navarrino Beniamino da Tudela nel suo Sefer Massa‘ot, ossia “Libro dei viaggi”. Riprendendo il suo viaggio da Salerno, egli scrive: «Di qui ad Amalfi vi è mezza giornata di cammino. Vi risiedono una ventina di ebrei, tra cui rabbi Chanan'el il Medico, rabbi Elisha' e il nobile Abu 'al-Giud.[7] Le genti che abitano questo luogo sono dedite alla mercatura. Poiché risiedono su alte colline e sulla sommità di rilievi rocciosi, non seminano né mietono, ma acquistano tutto col denaro. Hanno tuttavia frutta in abbondanza, poiché la terra è ricca di vigneti e di uliveti, di giardini e di orti. Nessuno è in grado di muovere loro guerra»[8].
Circa un secolo dopo, nel 1271, nella lista dei mercanti amalfitani che diedero in mutuo alla Regia Camera 182 once d'oro c'erano anche alcuni ebrei: Gaudio e Mosè di Sulino, che contribuirono ciascuno con un'oncia, Datan e i suoi fratelli con sette once, Giuseppe di Zau con tre once, Lia calabrese con due augustali e Racho con un augustale.[9] Nel 1276 e nel 1277 essi espletavano i propri doveri fiscali insieme con la popolazione cristiana, con la quale erano conteggiati sotto un’unica voce: Amalfia cum Iudeis[10].
La comunità ebraica di A. si sfaldò sotto l'azione conversionistica degli Angioini, che avevano conquistato l'Italia meridionale nel 1266. Nel 1292 qui ci furono 20 cristiani novelli, alcuni nomi dei quali derivarono per certo da quelli nobili dei loro padrini di battesimo. Così Oddone de Tussiaco prese il nome dall'omonimo signore di Isernia, che era in quell'anno giustiziere del Regno, e Bartolomeo Comiteorso il nome e il casato di un ottimate amalfitano. Gli altri neofiti furono Pandolfo e Pietro figli di Bartolomeo Comiteorso, Andrea de Bulgitu, Marino suo figlio, Filippo suo nipote, Francesco figlio di Marino, Marino de Bono, Gentile de Rubeo con i figli Tommaso, Giacomo e Andrea e i suoi fratelli Martino e Giovanni, Matteo suo nipote, i fratelli Andrea e Filippo de Garofalo, Tommaso di Sant'Angelo e suo figlio Orlando. Un Andreas de Amalfia era annoverato tra i neofiti di Salerno nel 1294[11].
Con Roberto d'Angiò (1309-1343), gli Angioini presero a mostrarsi meno intolleranti sia verso i neofiti che tornavano alla fede avita sia verso i giudei di sempre. E già nel 1306 ritroviamo gli ebrei ad A., tassati insieme con la popolazione cristiana, come avveniva un trentennio prima. Due ebrei locali, Vita e Muxa Xiffuni, sono nel 1394 cittadini di Palermo, dove operano come mercanti[12].
La conquista del regno di Napoli da parte degli Aragonesi nel 1442 confermò la ripresa dell'ebraismo nell'Italia meridionale, conferendogli anche un forte dinamismo. Ciò non sembra, tuttavia, che sia avvenuto ad Amalfi. Qui l'unico dato saliente di questo periodo è l'attestazione della presenza nella città di un banco di prestito gestito da un Jodìo e compagni[13].
Bibliografia
Adler, M.N., The Itinerary of Benjamin of Tudela, New York 1907.
Ashtor, E., Gli ebrei nel commercio mediterraneo nell'Alto Medioevo (sec. X-XI), in Gli ebrei nell'Alto Medioevo. XXVI Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo (Spoleto, 30 marzo-5 aprile 1978), Spoleto 1980.
Ben-Sasson, M., The Jews of Sicily. 825-1068. Documents and sources, Jerusalem 1991.
Busi, G., Binyamin da Tudela. Itinerario (Sefer massa'ot), Rimini 1988.
Camera, M., Memorie storico-diplomatiche dell’antica città e ducato di Amalfi, Salerno 1876-1881.
Citarella, A.O., Scambi commerciali fra l'Egitto e Amalfi in un documento inedito della Geniza del Cairo, in Archivio Storico per le Province Napoletane, 88 (1970), pp. 147-149.
Colafemmina, C., Ahima‘az ben Paltiel, Sefer Yuhasin. Libro delle discendenze. Vicende di una famiglia ebraica di Oria nei secoli IX-XI, Cassano M. 2001.
Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII, 1915, riedizione a cura di Filena Patroni Griffi, Napoli 1990.
Goitein, S. D., Letters of Medieval Jewish Traders, Princeton 1973.
Simonsohn, S., The Jews in Sicily, 18 voll., Leiden-Köln-Boston 1997-2010.
[1] Cfr. Camera, M., Memorie storico-diplomatiche dell’antica città e ducato di Amalfi, Salerno 1876-1881.
[2] Ahima‘az ben Paltiel, Sefer Yuhasin, pp. 175-180
[3]Ashtor, E., Gli ebrei nel commercio mediterraneo nell'Alto Medioevo (sec. X-XI), in Gli ebrei nell'Alto Medioevo. XXVI Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo (Spoleto, 30 marzo-5 aprile 1978), Spoleto 1980, I, pp. 432-433.
[4] Ben-Sasson, M., The Jews of Sicily. 825-1068. Documents and sources, Jerusalem 1991, pp. 171-173; Goitein, S. D., Letters of Medieval Jewish Traders, Princeton 1973, pp. 39-42, n. 3.
[5] Simonshon, S., The Jews in Sicily, vol. I, doc. 66, 113.
[6] Goitein, S.Di., Appendice a Citarella, Scambi commerciali fra l'Egitto e Amalfi.
[7] Questa lettura, che evidenzia l'origine araba del notabile giudeo, è di Busi, G., Binyamin da Tudela. Itinerario (Sefer massa'ot), Rimini 1988, p. 22. Gli altri leggono Abuel, Alnir, al-Gir.
[8] Adler, M.N., The Itinerary of Benjamin of Tudela, New York 1907, p. 10 (ebr), p. 9 (ingl.).
[9] Camera, op. cit., I, p. 347. In RCA, V, p. 65, n. 282, si afferma erroneamente che gli ebrei versarono l’intera somma di 182 once d’oro.
[10] RCA, XLVI, Napoli 2002, pp. 188, 223, 293.
[11] Camera, op. cit., I, p. 348; RCA XLVI, p. 86.
[12] Ferorelli, N., Gli ebrei nell'Italia meridionale, p. 61; Simonsohn, S., The Jews in Sicily, vol. 9, pp. 5682, 5684.
[13] Ferorelli, N., Gli ebrei nell'Italia meridionale, p. 149.