Titolo
Testo
Este (אסטה )
Provincia di Padova. Chiamata in epoca pre-romana Ateste, dopo il trasferimento degli Estensi a Ferrara, fu compresa entro il dominio della Repubblica padovana. Da questa passò ai Carraresi e, successivamente, a Venezia.
Il documento più antico che attesta la presenza ebraica ad E. risale al 1389, quando era stata costituita una società per aprire un banco di pegni in loco, gestito da Bonaventura del fu Museto da Foligno, che amministrava il capitale sociale di 6.000 lire di piccoli[1]. È da presumere, tuttavia, che gli ebrei fossero giunti ad E. qualche anno prima (secondo alcuni, giunsero, infatti, nel 1378)[2].
Secondo una fonte locale, nel 1406, la Magnifica Comunità di Este ebbe “la mira di chiamare gli ebrei di Padova per erigervi un banco di pegni per fenerare”[3] e, vent'anni più tardi, venne stipulata tra il Comune e Giuseppe di Abramo, ebreo padovano, una condotta, che fissava il tasso di interesse a 4 denari per lira al mese per gli abitanti di E. e della podesteria e di 6 denari per i forestieri. Insieme a Giuseppe erano venuti altri suoi correligionari, che dovevano essere trattati come i cittadini estensi, e a cui i macellai dovevano vendere la carne “secondo le usanze loro”[4]. La Comunità era tenuta a chiedere 100 ducati d’oro senza pegno e senza interesse, per otto mesi, allo scadere dei quali, se non aveva restituito il debito, era tenuta a pagare l’interesse, come i cittadini estensi. Si doveva prestar fede ai libri del banco, anche se non vi fossero state le firme dei testimoni del prestito. Agli ebrei era concesso di fenerare tutti i giorni, escluse le feste ebraiche e le feste natalizie e pasquali cristiane[5].
Nel dicembre del 1507, in vista della condotta del 1508, il massaro del Comune, i cattaveri e i deputati presentarono al Consiglio, presieduto dal podestà, trentotto capitoli per regolare le condizioni dei feneratori: scorrendoli vediamo come essi, e le famiglie, erano difesi dalle autorità locali e dalla popolazione di E. Se gli ebrei fossero stati derubati di oggetti di loro proprietà o dei pegni, infatti, avrebbero dovuto essere risarciti dalla città del danno e dell’interesse ed erano contemporaneamente esentati da pagare tasse, dazi e balzelli vari. Era loro garantita la libertà di culto, compresa la possibilità di avere una sinagoga ed erano immuni dall’essere chiamati in giudizio di sabato, per qualsivoglia ragione. Il Venerdì Santo dovevano, però, stare chiusi in casa, senza essere, tuttavia, molestati in alcun modo.
I figli degli israeliti non erano ammessi a frequentare la “pubblica scuola di grammatica”, ma dovevano avere dei maestri ebrei.
Gli Ebrei potevano prendere in affitto case e quanto fosse necessario per l’esercizio della loro attività e nelle loro abitazioni non poteva essere alloggiato alcun soldato né in tempo di pace, né in tempo di guerra.
Il segno era obbligatorio, ma era concesso un cimitero fuori delle mura di E.
In tempo di guerra, gli ebrei potevano rifugiarsi a Padova, Venezia o in qualche altro luogo sicuro della Repubblica, portando i pegni fuori del territorio di E. e per il diritto di fenerare, dovevano pagare alla Repubblica 12 ducati all’anno. L’interesse era lo stesso della condotta precedente: se i banchieri lo avessero aumentato, avrebbero dovuto restituire la cifra in eccedenza e pagare una multa. Essi potevano, inoltre, prestare ricevendo in pegno anche panni forestieri, ma non oggetti legati al culto cristiano.
I feneratori dovevano tenere i pegni per 17 mesi, trascorsi i quali potevano venderli all’incanto, tramite i massari del Comune, in tre sabati (a distanza di quindici giorni uno dall’altro): se gli oggetti risultavano invenduti entro il terzo sabato, diventavano di loro proprietà.
Agli ebrei, inoltre, era concesso di tenere bottega di strazaria (o di rigattiere), senza dover pagare nulla alla fraglia degli strazaroli. All’infuori di coloro con i quali era stata stipulata la condotta, nessun altro poteva fenerare o esercitare la strazaria, sotto pena di una forte multa e della perdita del denaro prestato. Il giuramento ebraico faceva fede per i libri contabili e per quanto connesso all’attività feneratizia[6].
Il vescovo di Padova, Pietro Dandolo, contrario all’usura ebraica e scandalizzato per la mitezza dei capitoli concessi, scomunicò e interdisse la Comunità d’E. e i suoi consiglieri: la scomunica fu data da Fra’ Sisto Cremona, francescano, predicatore nella locale chiesa di S. Tecla. Per ottenerne la revoca, i Consiglieri deliberarono di annullare i capitoli, inserendo la ricevuta scomunica nel Registro Grande della Comunità, come memento per il futuro[7].
Le successive condotte furono, di conseguenza, meno liberali nei confronti degli israeliti.
Nel 1665 il doge Domenico Contarini scrisse al podestà una dogale, in cui, oltre a ratificare l’istituzione del ghetto, ribadiva l’obbligo del cappello rosso ed il divieto di portare armi in qualsiasi ora del giorno o della notte e in qualsiasi luogo e occasione; inoltre, vietava di prendere in affitto case o campi e di tenere persone di servizio cristiane e proibiva in modo tassativo di trattenere cristiani a pernottare in casa, sotto qualsiasi pretesto[8].
La Comunità ebraica di Este dipendeva da Padova dal punto di vista fiscale[9].
Ghetto
Nel 1665 gli ebrei vennero obbligati a risiedere tutti insieme in un solo edificio che costituì il ghetto estense, ubicato nella contra’ di S. Martino[10].
Cimitero
Si ritiene che vi fosse stato ad E. un cimitero ebraico già nel XV secolo, che si crede fosse in contrada San Pietro (ma di cui si è persa ogni traccia) .
Dal XVII al XIX secolo il cimitero ebraico era situato in via Olmo, presso la chiesa della Salute. Cintato di mura, contiene varie lapidi, alcune delle quali con emblemi di famiglia. Sono sepolti qui i membri delle famiglie Marini, Lustro, Coen e Voghera[11].
Bibliografia
Ciscato, A., Gli Ebrei in Este, Este 1892
Ciscato, A., Gli Ebrei in Padova, Padova 1901.
Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, Torino 1963.
Morpurgo, E.,Inchiesta sui monumenti e documenti del Veneto interessanti la storia religiosa, civile e letteraria degli ebrei, Udine 1912.
Roth, C., The History of the Jews of Italy, Philadelphia 1946.
[1] Ciscato, A., Gli ebrei in Padova, p. 24, n. 1; Roth, C., Italy, p. 117.
[2] Ciscato, A., op cit., p. 24; Milano, A., Italia, p. 140.
[3] Trisoli, G.B., Storia di Este, libro VIII – ms. Gabinetto di lettura- Racc. Estense, citato in Ciscato, A., op. cit., p. 12, nota 1.
[4] Ciscato, A., op. cit., p. 13.
[5] Atto del notaio Alberto de’ Galzignani (19 febbraio 1426), citato ivi, p. 14, nota 1.
[6] Per il testo dei capitoli in questione, cfr. Ciscato, A., op. cit., pp. 15-21.
[7] “Consigli” Lib. III, N. 3, Arch. Com. “Ducali” Lib. I, c. 217 bis, N. 44, Arch. Com. , citato in Ciscato, A., op. cit., p. 22, nota 1.
[8] Ciscato, , A., op. cit., pp. 23-27; il Milano dà il 1666 come data dell’istituzione del ghetto, mentre il documento, riportato dal Ciscato, è datato 21 marzo 1665. Cfr. ivi, p. 27. Cfr. Milano, A., Italia, p. 319.
[9] Roth, C., Italy, p. 336.
[10] Ciscato, A., Gli Ebrei in Este, p. 23.
[11] Morpurgo, E., Inchiesta, p. 3, note 6 e 7.