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Padova (פאדובה)
Capoluogo di provincia. Sita nella pianura alluvionale a occidente della Laguna, tra la Brenta e il Bacchiglione, all'epoca della Roma repubblicana, P., con il nome di Patavium, fu la più importante città del Veneto. Dopo un periodo di dominio comitale, instaurato dagli Ottoni dal secolo X al XII, i consoli del Comune iniziarono a rafforzare l'autonomia del governo locale, che resistette al tentativo di Federico Barbarossa di costringerla a rientrare nel quadro dell'amministrazione imperiale.
Nei secolo XIII e XIV il Comune padovano sviluppò gli ordinamenti interni e unificò sotto il proprio controllo la giurisdizione del contado, sottomettendo le città vicine (Vicenza, Bassano, Feltre). Nel 1222 fu fondata l'Università di P., ingrandita sotto Federico II nel 1238, che avrebbe raggiunto il suo massimo fulgore nel XV e XVI secolo.
Dopo un trentennio in cui dominò Ezzelino da Romano, il Comune dovette contrastare il passo a Enrico VII ed al suo alleato Cangrande della Scala e, in seguito ad un periodo di lotte intestine, la famiglia dei signori da Carrara, con il pretesto di difendere la città dall'oppressione scaligera, instaurò a P. il proprio dominio, che si protrasse per quasi un secolo.
Nel 1373 scoppiò la prima guerra tra i da Carrara e la Repubblica di Venezia, vinta da quest’ultima. Francesco I da Carrara riuscì a mantenere il potere a prezzo del pagamento di un’ingente somma alla Serenissima. Sopraffatti, poi, da Gian Galeazzo nel 1389, i da Carrara vennero spodestati definitivamente da Venezia nel 1405.
Nel tentativo di riprendere il potere, i da Carrara ordirono una congiura nel 1439 e nel 1509 parteciparono alla Lega di Cambrai contro Venezia. Dopo che P. resistette all’assedio delle truppe imperiali, queste si ritirarono, ma la guerra continuò per altri otto anni , portando al nuovo, sia pur breve, assedio della città, nel 1513. Tuttavia, sino al 1797, P. rimase sotto il governo di S. Marco.
La prima attestazione di una presenza ebraica a P., nel XIII secolo, è limitata a Bonacosa che, nel 1255, tradusse in latino l'opera di Averroè sulle regole generali della medicina Kitab Kullijat Fi al-Tibb, stampata per la prima volta a Venezia nel 1482, con il titolo di Colliget[1]. Dopo la metà del XIV secolo, cominciarono ad affluire a P. ebrei da Pisa, Bologna, Roma e dalle terre dell' antica Marca d'Ancona e, all’inizio del XV secolo, ne giunsero anche dalla Germania, dalla Spagna e dal Levante[2].
Dalla seconda metà del XIV secolo sono segnalate presenze ebraiche nella contrada del Ponte dei mulini e, più tardi, nel centro della città o nelle immediate vicinanze, come al Ponte Altinate, a S. Giuliana, nella piazza delle legne e, soprattutto, nella contra' del Volto dei Negri, poi divenuta Volto degli ebrei, e nella via S. Canziano[3].
Nel 1369 erano attive nel prestito due famiglie, i da Fabriano e i da Recanati. Il medico Shemuel di Daniel da Recanati e il figlio Daniel si unirono in società per tre anni con il noto banchiere Mosheh di Mosheh Finzi, residente ad Ancona, e il nipote Mosheh di Benyamin Finzi, residente a Recanati, che misero un capitale di 1.500 ducati da impiegare nel prestito a P.: ad attestare il successo dell’iniziativa sta il fatto che Shemuel e Daniel da Recanati, meno di un anno più tardi, dovettero ricorrere all’aiuto di due agenti[4]. Sempre nel 1369 si costituì un’altra società a scopo feneratizio, di durata triennale, quella tra Menahem di Yehonatan Norsa da Roma, residente a Rimini, i fratelli Yehonatan e Yoav di Yehudah da Rimini, residenti a Rimini, e Mosheh di Mosheh Finzi di Ancona, con un capitale di 6.500 ducati. Direttore stipendiato del banco, sito nella contrada del Ponte dei mulini, era Daniel di Shemuel da Recanati[5]. All’incirca nello stesso periodo e nella stessa contrada operava anche la società tra Yehudah di Yehudah di Camerino,Yehiel di Yequtiel di Camerino e i fratelli da Fabriano. Questi ultimi lasciarono P. dopo lo scioglimento della società, all’inizio del 1372. Nello stesso anno si scioglieva anche la società diretta dai da Recanati[6].
Altri organismi, analoghi a questi, furono istituiti negli anni Settanta e Ottanta del XIV secolo[7].
Nel 1373, in virtù della facoltà di acquistare immobili conferitagli dal suo status di Civis Padue ex decreto, Daniel di Shemuel da Recanati comprò un edificio ad uso del banco, nella contrada di S. Canziano, dove esso rimase ubicato per lungo tempo[8]. Da documenti notarili dell’epoca del dominio dei da Carrara, risulta, infatti, che i banchieri ebrei, stabilendosi a P., godettero di una sorta di diritto di cittadinanza per il periodo della condotta, venendo denominati Cives Padue ex decreto Magnifici Domini nostri, un privilegio da distinguersi dallo Jus Civilitatis permanente, di cui godevano invece gli altri cittadini all’epoca. Il diritto di cittadinanza sui generis, concesso ai banchieri, ai loro familiari e dipendenti, implicava anche il diritto di acquistare e possedere immobili. Il privilegio accordato ai banchieri era personale e non includeva il diritto al monopolio dell’attività feneratizia in città. Essi, inoltre, erano tenuti a pagare al duca direttamente un’imposta annuale globale in cambio, ma erano liberi di esercitare il culto e di osservare le feste ebraiche, tenendo chiusi i banchi. Il diritto di cittadinanza limitato non ha precedenti nell’Italia centrale e deriva, probabilmente, dalla presenza precedente dei feneratori cristiani, regolata negli statuti cittadini[9].
I duchi da Carrara erano stati indotti a favorire lo stanziamento israelitico in città e nei dintorni presumibilmente per far fronte alle ingenti cifre dovute a Venezia, dopo la sfortunata guerra del 1373. Risale, infatti, a tale periodo il privilegio concesso ad Abramo[10] e soci per aprire un banco a Piove di Sacco, che è il primo documento del genere rimastoci per il periodo del dominio dei da Carrara. I punti principali dell’atto sono: il diritto di monopolio del feneratore, nel luogo in cui aveva ottenuto la concessione di fenerare, per la durata di dieci anni, l’obbligo di prestare al massimo al 30%, su pegno o cambiale, il diritto di essere protetto dalle autorità, in caso di violenza, quello di osservare pienamente il riposo sabbatico e le feste ebraiche e di essere considerato come abitante del luogo, inclusa la possibilità di acquisto e possesso di beni immobili (proibito agli stranieri, secondo gli statuti padovani), nonché il diritto di essere sgravati da ogni tassa. Inoltre si faceva cenno alle norme relative ai pegni non riscattati e si conferiva validità probatoria ai libri contabili dei feneratori rispetto all’ammontare dei debiti dovuti al banco. In caso sorgessero conflitti di carattere giudiziario, la giustizia avrebbe dovuto essere assicurata in tempi brevi. In cambio di questi diritti, il prestatore si impegnava a pagare all’autorità una cifra annuale di 100 libre, per tutto il decennio della condotta[11].
Per poter aprire un banco il feneratore era tenuto all’acquisto di beni immobili, sui quali doveva pagare un’imposta[12].
La Comunità ebraica iniziò a ingrandirsi, dopo l’arrivo dei facoltosi della Marca d’Ancona, che acquistarono case e terreni, come attesta un documento del 1380, che riferisce che Museto del fu Alincio da Bologna, i fratelli Emanuele, Salomone e Caio del fu Muselino de' Finzi da Ancona, Emanuele del fu Gionathan da Rimini e Musettino del fu Bonaventura da Ancona comprarono insieme due tratti di terreno, con due case, un cortile e una tettoia nella contrada di S. Canziano dal correligionario Bonaventura del fu Simonetto da Rimini. Quest’ultimo vendette anche un appezzamento di terra arativa, piantata ad alberi e a viti, sito nella campagna vicino a P., abbandonando presumibilmente la città, come si inferisce dall’assenza del suo nome dai documenti padovani posteriori[13].
Da rogiti notarili del 1390 risultano attivi nello stesso lasso di tempo due banchieri: Guglielmo del fu Leone e Musetto di Manuele[14], ai quali facevano ricorso, oltre ai cittadini, agli studenti e ai soldati, anche gli abitanti dei colli e dei piccoli centri del territorio[15].
Subentrata l’autorità veneziana, la condizione degli ebrei prestatori rimase all’incirca la stessa, come attestano i rinnovi delle condotte del 1406[16].
Un contenzioso si aprì, però, con le autorità cittadine a proposito del tasso di interesse troppo alto, già nel 1408[17] e nel 1415 i veneziani, dietro sollecitazione del Consiglio di P., imposero l’abbasssamento del tasso di interesse, portandolo al 12% sui prestiti che superavano le 25 lire e al 15% su quelli inferiori a tale somma. I feneratori, paventando la propria rovina economica, cercarono di opporsi al provvedimento e, non riuscendo nell’intento, chiusero i banchi per ritorsione[18]. Tuttavia, in seguito alle pressioni sui Rettori da parte degli studenti dello Studio patavino e delle altre fasce della popolazione maggiormernte colpite dalla mancanza della fonte di credito, il Senato veneziano permise nuovamente il prestito all’interesse precedente[19].
Quattro anni dopo, in seguito al mancato incanto dei pegni non riscossi, il Consiglio di P. chiese invano al Senato di poter espellere gli ebrei.
Nel 1420 vennero presi per la prima volta provvedimenti punitivi nei confronti degli israeliti che avevano avuto rapporti sessuali con donne cristiane[20] e, tre anni più tardi, in seguito alla visita a P. del frate Bernardino da Siena e alle sue prediche anti-ebraiche, Venezia decise di proibire a tutti gli ebrei della Repubblica l’acquisto e il possesso di beni immobili[21]. Pertanto, coloro che fossero stati in possesso di immobili avrebbero dovuto venderli nell’arco di due anni, pena la confisca. Successivamente, fu proibito agli ebrei anche il possesso di immobili anche a titolo di pegno o sotto qualsiasi altra forma, fatta salva la proprietà degli edifici adibiti al culto e del terreno ad uso cimiteriale[22].
Nel 1430, dietro richiesta del Consiglio padovano, il Senato di Venezia proclamò l’obbligo della rotella gialla come segno distintivo[23]: così, al momento di rinnovare la condotta quinquennale, nel 1431, gli ebrei avanzarono la richiesta dell’esenzione dal segno e la conferma di poter fenerare al 20% e al 25%, provocando la reazione della Città e il conseguente decreto di espulsione, poi revocato[24]. L’anno successivo, intanto, dopo lunghe trattative, la condotta venne rinnovata, ma ulteriori conflitti d’origine finanziaria, compromisero i rapporti con il Consiglio di P.[25], conducendo, nel 1454, alla decisione del Senato veneziano di aderire alle richieste dei padovani, permettendo di non rinnovare le condotte ai feneratori locali, a patto che non venissero espulsi anche quelli del territorio ed il resto della popolazione ebraica stanziata a P. Dopo aver inviato emissari al nuovo Papa, Callisto III, chiedendo il perdono per aver tollerato la presenza dei feneratori ebrei e aver loro affittato case nella città, il Consiglio vide esaudito da Venezia il desiderio di affrettare l’esplulsione dei banchieri, che avvenne di fatto nel 1456, come si evince dai documenti notarili[26].
Il resto della Comunità ebraica, dedita al commercio e ormai solidamente inserita nell’economia cittadina, tuttavia, non fu toccata dal provvedimento. Anzi, la corporazione degli strazzaroli ebrei giunse, nel 1448, ad un accordo con la corrispondente corporazione cristiana, consolidando la propria posizione e autonomia dai feneratori. Questi ultimi, tuttavia, continuarono nella loro attività, mentre la popolazione ebraica cresceva, grazie all’afflusso dei correligionari cacciati da altri centri, tra cui Vicenza, Modena e Milano[27].
Mentre la Comunità ebraica padovana continuava ad essere legata ai prestatori del territorio circostante e, al tempo stesso, si espandeva in altre attività, la popolazione doveva ricorrere per il prestito ai banchieri fuori città e, pertanto, doveva sottostare al tasso del 30 %, richiesto ai forestieri. Venezia, dal canto suo, preferiva godere degli introiti fiscali derivatile dai feneratori del territorio, non sottoposti a P., anziché venire incontro ai padovani, limitando il tasso d’interesse loro richiesto dai prestatori[28]. Pertanto, la Serenissima non accolse le richieste di soccorso in tal senso, rivoltele dal Consiglio padovano nel 1459 e nel 1461. In particolare, il senato di Venezia non prestò orecchio alle lamentele contro l’attività feneratizia che continuava clandestinamente a P., al tasso del 40%, e fece restituire agli ebrei le casse contenenti i libri, i pegni e le note, sequestrate dal Consiglio cittadino. Tale politica della rRpubblica nei confronti fu rinforzata dal consulto emesso dal legato pontificio, il cardinal Bessarione, che permise l’attività feneratizia ebraica nelle città della Terraferma: pertanto, nel 1467, il Senato decise di consentire ai prestatori del territorio di recarsi a P. tre giorni alla settimana, mutuando ad un tasso non superiore al 20%[29].
L’anno successivo tornò a P. il rabbino e feneratore d’origine ashkenazita Eliyahu di Shemuel, che, pur facendo parte del tribunale rabbinico locale, risiedette nella città solo temporaneamente. Già tre anni dopo, tuttavia, vi era una banca stabile, che il proprietario, l’ashkenazita Aharon di Yaaqov, vendette nel 1476 ad Avraham di Meshullam, che ricevette allo scopo uno speciale privilegio da Venezia, divenendo uno dei principali banchieri della città[30].
Nel 1469, per far fronte al fabbisogno della popolazione e contrastare il prestito ebraico, fu decisa l’apertura di un Monte di Pietà a P., vivamente caldeggiata dai francescani: il progetto, tuttavia, fu realizzato solo nel 1491, per motivi non ancora sufficientemente chiariti[31].
Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del XV secolo il Consiglio cittadino cercò invano di impedire il prestito ebraico o, almeno, di ridurre l’interesse dal 20% al 15 %, ma, poiché i feneratori si dichiararono disposti a tale richiesta solo a patto di poter tornare stabilmente in città, la situazione restò immutata[32].
Negli stessi anni, i rabbini, in massima parte di provenienza ashkenazita, assunsero un ruolo dominante nella vita della Comunità ebraica padovana e, in particolare, nell’ambito legale, sostituendosi all’autorità dei feneratori espulsi. Oltre a questo apporto alla struttura interna della Comunità, la presenza della popolazione d’origine ashkenazita incrementò numericamente gli ebrei padovani.
La decisione di non rinnovare la condotta dei banchieri aveva posto il Consiglio cittadino in una situazione difficilmente sostenibile: una popolazione ebraica aumentata e vivacemente attiva era lasciata alle proprie iniziative, provocando l’opposizione di quanti, come i membri della corporazione dell’Arte della lana, avrebbero preferito che fosse ufficialmente permesso l’insediamento ebraico in città, a patto che fosse regolamentato e sorvegliato dalle autorità. Nel 1483, pertanto, il Consiglio fu costretto a proporre al Senato veneziano l’alternativa di espellere definitivamente tutti i feneratori ebrei della città e del territorio limitrofo o di dare nuovamente la facoltà di stipulare con loro patti che ne regolamentassero la presenza. Nonostante non ci resti la risposta di Venezia, è evidente dai fatti che i banchieri tornarono a risiedere stabilmente a P.[33].
Nel 1475, in seguito all'accusa di omicidio rituale che aveva colpito gli ebrei di Trento, quelli padovani furono perseguitati dalla plebaglia, ad onta degli appelli del Senato ai Rettori di P., per far cessare le vessazioni e impedire ai predicatori di aizzare il popolo[34].
Nel 1491 cominciò ad operare a P. il Monte di Pietà, la cui istituzione era stata già decisa nel 1469, in seguito alla insistente campagna dei frati[35], nel 1504 una gravissima carestia travagliò la popolazione della città e della campagna e nel 1506 alla fame si aggiunse la peste (e lo stesso si verificò due anni dopo)[36] .
In seguito alla guerra scoppiata dopo la lega di Cambrai, gli ebrei, temendo l’invasione di P., chiesero – e ottennero – di potersi rifugiare a Venezia, nonostante il divieto che vi vigeva circa la loro residenza: tuttavia, soprattutto a causa dei briganti che infestavano le strade, pochi giunsero alla meta. Coloro che erano rimasti a P., invece, avevano chiuso i banchi, per paura delle conseguenze del conflitto che si avvicinava. Dopo che, con il concorso dei nobili, la città era stata consegnata ai rappresentanti di Massimiliano d’Asburgo, anche gli ebrei decisero di onorare i vincitori con un prezioso omaggio, offerto da Avraham Minz, a nome della Comunità[37]. Intanto, gli ebrei rifugiatisi a Venezia, vedendo che gli imperiali, conquistata Mestre, vi avevano appiccato il fuoco, preferirono abbandonare Venezia per P. Quelli che riuscirono a raggiungere P. dovettero, in seguito, render conto alle autorità del loro comportamento[38].
Il 17 luglio, tuttavia, le truppe veneziane riconquistarono con un attacco a sorpresa la città, giovandosi anche dei rinforzi reclutati tra la plebaglia, attirata con la prospettiva del saccheggio delle case dei nobili e degli ebrei, che non avevano mantenuto fedeltà alla Serenissima. Le dimore ed i banchi vennero, così, saccheggiati, ma tra coloro che erano stati reclutati da Venezia vi erano anche degli israeliti, che si comportarono con notevole crudeltà nei confronti dei correligionari. Il danno economico subito dagli ebrei padovani, in quel frangente, fu di 150.000 ducati, senza contare i libri e i manoscritti distrutti o rubati[39]. Il giorno dopo il sacco, si presentarono alle autorità, alcuni capeggiati da Rav Meshullam, fratello di Rav Chayyim, il cui banco era stato saccheggiato, come quello di Rav Hirsch (Hirtz) o Cervo Wertheim, chiedendo l’aiuto della Repubblica per recuparare le perdite. Tuttavia, le disposizioni in tal senso non ebbero gran seguito, secondo quanto attesta il Sanudo. Ben presto, vennero processati quanti avevano tradito la Repubblica, finendo giustiziati o tradotti nelle carceri veneziane. Anche 23 notabili ebrei vennero imprigionati a Venezia, tra cui Rav Chayyim Meshullam e Rav Hirsch Wertheim, a causa dell’omaggio presentato ai rappresentati dell’Imperatore. Dopo un periodo di dura prigionia, vennero rilasciati, ma Rav Wertheim morì poco dopo, in seguito alle torture subite. Altri, come il rabbino Menahem Delmedigo, vennero incarcerati e torturati, sebbene innocenti, per ottenere dai familiari denaro per il loro riscatto. Il rabbino Avraham Minz riuscì a scampare, rifugiandosi a Ferrara dal rabbino Menahem Norsa, venendo condannato, pertanto, all’espulsione in contumacia[40].
Cessati i combattimenti, la situazione degli ebrei di P. migliorò e, in vista del Capodanno ebraico, fu loro permesso di aprire degli oratori. La dolorosa situazione della Comunità padovana favorì l’abbandono della città in favore di Ferrara e Mantova, dove, di conseguenza, vennero incrementati gli studi ebraici. Altri, tuttavia, preferirono tornare in Germania, mentre coloro che restarono furono, in parte, reclutati per i lavori di fortificazione della città.
Nel 1513 venne, intanto, rinnovata la condotta del 1508 e, secondo una fonte siecentesca, iniziò a P. nel 1517 l’uso della corsa delle meretrici, degli asini e degli ebrei, che sarebbe rimasto in voga per circa un quarantennio[41].
Nel 1541 gli ebrei, oltre ad essere tacciati di eccessiva esosità, furono accusati di non limitarsi a vivere nel loco solito, ma di avere casa ne i più belli locj della cita fra cristiani[42]: il Consiglio civico decise, pertanto, di chiedere alla signoria l’autorizzazione ad assegnare agli ebrei un loco stabile et separato in questa tera dove tra loro stantiar debbano ne alcuno cristiano in quello possi star, over tegnir bottega, recordando quelli loci che a tal effetto sono al presente[43].
Nel 1543 e nel 1547, l’assemblea cittadina rinnovò la richiesta, che non fu presa in considerazione dalla signoria.
Nel 1553 Venezia aveva deciso di procedere alla confisca e al rogo del Talmud e degli altri libri ebraici considerati lesivi per la cristianità, conformandosi alla bolla papale dello stesso anno. P., pur continuando ad essere un polo d’attrazione per gli ebrei interessati allo studio della medicina, aveva già cominciato a perdere smalto come centro di studi ebraici[44].
Durante la seconda metà del secolo XVI, in seguito alla politica di Venezia che favoriva l’insediamento levantino e ponentino, iniziarono a stabilirsi a P. alcune famiglie sefardite, gli Abravanel, i Coen, i Coronel , i Franco e i Salom[45].
Nel 1575 gli ebrei, vessati dalla popolazione, furono costretti a rivolgersi al podestà Giacomo Foscarini, che emise un pubblico proclama contro chi li molestava[46].
L’anno successivo, scoppiò la peste a P., che mieté numerose vittime tra gli israeliti, complici le insufficienti condizioni igieniche in cui versava il ghetto[47].
Dopo la condotta concessa da Venezia ai Levantini e ai Ponentini, nel 1589, la presenza sefardita risultò rafforzata anche a P., dove, ad esempio, si insediò, all’inizio del Seicento, il rabbino portoghese Iacob Esperiel o Isperiel, grazie all’appoggio datogli dai Cinque Savi alla mercanzia con i rettori di P. Anche dai documenti riguardanti l’assegnazione delle case nel ghetto risulta la presenza sefardita a P. [48].
Verso la fine del XVI secolo, intanto, anche la Comunità padovana, come le altre del dominio veneto, aveva dovuto contribuire al finanziamento dei “banchi dei poveri” di Venezia[49].
Studenti ebrei si laurearono in medicina dal XVI secolo: tuttavia, non potendo ricevere il titolo dal Collegio Sacro (che lo conferiva solo ai cattolici), ricevettero il titolo dai conti palatini e, in seguito, tale diritto passò al Collegio Veneto, istituito all’uopo nel 1616[50]. Sino al XVIII secolo, ogni ebreo che si laureava era tenuto a portare una regalia in confetti da distribuire alle 31 nazioni, cui appartenevano gli studenti, e ai ministri dello Studio[51].;
Solo lo studio della medicina era concesso agli ebrei padovani: a titolo di grazia, però, fu permesso all’Università ebraica di inviare quattro giovani ad esercitarsi nella giurisprudenza, ma solo per uso interno della Comunità[52].
Nel 1630-1631 si diffuse nuovamente la peste a P., provocando numerose morti anche anche tra gli ebrei[53].
Le ripetute molestie di cui erano vittime questi ultimi raggiunsero il culmine nell’agosto del 1684, in seguito agli avvenimenti d’Ungheria. Infatti, dopo il tentativo degli Ungheresi di liberarsi dal dominio austriaco, servendosi dell’aiuto turco, Venezia era scesa in campo in aiuto dell’Imperatore, assediando Buda e riuscendo a vincerne la resistenza solo dopo molto tempo. Di questa lunga resistenza vennero incolpati gli ebrei, accusati, per di più, di aver incrudelito contro la popolazione cristiana. Sulla scia di queste dicerie, che circolavano nei territori della Serenissima, il popolo padovano irruppe nel ghetto, saccheggiandolo e seminando violenza, faticosamente sedata dalle autorità cittadine e dalla forza pubblica[54].
Durante l’arco del XVII secolo, gli ebrei dovettero far fronte non solo all’ostilità della popolazione, ma anche agli assalti degli studenti di medicina che desideravano impadronirsi dei cadaveri per dissezionarli[55].
Alla fine del secolo la Comunità ebraica, gravata da imposte troppo onerose, fu costretta a indebitarsi con le Scuole e con le associazioni religiose del ghetto, mentre molte famiglie di condizioni economiche elevate ottennero dalla Signoria di sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese, chiedendo la segregazione dall’Università ebraica. Pertanto, previo pagamento di una cifra all’Università stessa, vennero considerati come non facenti più parte di essa e, quindi, furono autorizzati al pagamento delle tasse dovute dal resto dei cittadini padovani. Altre famiglie scelsero di emigrare, come i ricchi fratelli Cantarini e Da Zara, che si trasferirono a Modena[56]. Per contrastare questa prassi, che indeboliva le finanze dell’Università, le autorità padovane, con il consenso di Venezia, proibirono, nel 1736, la segregazione per cinque anni. Nonostante ciò, la situazione finanziaria dell’Università degenerò e gli ebrei divennero debitori di cifre ingenti allo Stato e ai privati: per evitare la bancarotta, le autorità condonarono quelle tasse che, comunque, erano inesigibili e fecero in modo che venissero gradualmente pagati i creditori cristiani[57].
Per quanto riguarda i rapporti con la Chiesa, risulta attestato che, dalla fine del XVI secolo in poi, le autorità cittadine esortarono gli Inquisitori a non costringere gli ebrei ad assistere alle prediche, ma senza ottenere risultato. Agli inizi del XVIII secolo, tali prediche forzate continuarono, come certifica un sermone che gli ebrei dovettero ascoltare, nella chiesa degli Eremitani, nel 1715[58].
Tra le conversioni, di cui ci resta documentazione, vi è quella del rabbino Salomone Cattelan, avvenuta all’inizio del XVII secolo, che passò al cristianesimo con i quattro figli e la moglie che, sebbene recalcitrante, finì per piegarsi alla volontà del marito[59]. Nel primo ventennio dello stesso secolo, anche Isach Papo, di probabile origine levantina, abbandonò il ghetto con i figli con l’intenzione di convertirsi. Cambiata, però, idea, fece ritorno in ghetto con i maschi, mentre le femmine, nonostante le sue richieste, non gli vennero restituite e, considerate come se fossero state donate dal padre alla Chiesa, furono battezzate e sottratte alla famiglia, all’infuori della figlia maggiore, diciassettenne, che aveva dichiarato di non voler abbandonare l’ebraismo[60]. La regalia data al Cattelan al momento della conversione, come agli altri convertiti di cui non sono conservati i nominativi, divenne oggetto di controversia tra i Consiglieri del Comune, sino ad essere abolita, per mancanza di fondi, negli anni Settanta del secolo[61]. Un altro caso di abuso da parte del clero padovano per promuovere le conversioni ebraiche (oltre a quello esercitato nei confronti delle figlie del Papo non ancora giunte al quattordicesimo anno di età e, quindi, sottoposte alla patria potestà, secondo le leggi venete) avvenne nel 1673. Protagonista ne fu la decenne Sara Alpron, rapita dal ghetto con la forza dal fratello, che si era convertito, e battezzata contro la volontà paterna, nonostante le disposizioni della Serenissima contro il battesimo dei minori senza il consenso dei genitori[62].
Nel 1795 un incendio, propagatosi di notte nel ghetto padovano, minacciò di fare strage, ma fu prontamente domato dall’intervento di squadre di soccorso, promosso dal capitano e vice-podestà di P., Girolamo Giustinian, e venne ricordato da allora come il “Purim del Fuoco”[63].
Nel 1797, quando le truppe francesi entrarono a P., gli ebrei furono temporaneamente emancipati.
Vita comunitaria
In un documento del 1433, relativo all’esazione delle tasse, compare per la prima volta menzionata come corpo autonomo una communitas judeorum: essa era composta dal nucleo originario di ebrei d’origine italiana (Loazim), cui si aggiunsero in seguito quelli d’origine tedesca o francese (Ashkenazim)[64].
Solo dopo l’espulsione dei banchieri del 1455, tuttavia, si impose la necessità di creare una Comunità ebraica vera e propria, con istituzioni peculiari e dirigenti propri. Al posto degli espulsi si miseroo alla guida i rabbini ashkenaziti.
Nel 1467 era attestata la presenza di due Massarii Universitatis hebreorum in Padua, entrambi strazzaroli[65].
Negli anni Sessanta e Settanta del XV secolo il gruppo italiano e il gruppo ashkenazita avevano istituzioni separate, che ruotavano intorno alle differenti sinagoghe con i relativi amministratori: anche le istituzioni a scopo caritativo erano separate. Verso la fine del secolo, tuttavia, i due gruppi avevano sviluppato una forma di cooperazione, che sfociò in istituzioni comuni atte a rappresentare la Comunità nei suoi rapporti con il mondo esterno e ad operare congiuntamente, soprattutto per l’esazione delle tasse.
Dopo un periodo di crisi, in seguito agli infausti eventi seguiti alla Lega di Cambrai, le istituzioni comunitarie, verso la fine del 1520, ripresero a funzionare. Di queste la principale era il Consiglio, composto di 23 membri, che facevano parte della fascia dei contribuenti alle tasse a partire da una certa cifra. Il Consiglio si occupava di tutti i problemi, prendeva le decisioni ed eleggeva i funzionari con una votazione secondo modalità stabilite. Tra gli esecutori delle decisioni del Consiglio vi erano gli amministratori (parnassim), gli assessori (maarikhim), i contabili (roei heshbonot), i tesorieri del fondo generale di carità (gabbaei ha-heqdesh) e l’amministratore del fondo della cassa di prestito per gli indigenti (baal hanut). Oltre a costoro, che prestavano la loro opera gratuitamente, vi erano gli stipendiati: il rabbino, lo scriba, il cantore, l’inserviente della sinagoga ed i maestri. Il sistema giudiziario interno era basato su di una corte permanente (Bet din), capeggiata da un rabbino assistito da due membri del consiglio eletti per due anni come giudici (dayyanim), che giudicava nei casi di dispute tra la Comunità e i suoi membri. Essa gestiva l’assistenza sociale con le tasse e vari fondi di carità, di cui il maggiore era quello costituito dalle donazioni volontarie. Tra le istituzioni assistenziali vi era l’associazione per lo studio della Torah e le opere di beneficenza (Havurat Talmud Torah ve-gemilut hasadim) che si occupava dell’istruzione dei fanciulli poveri, dell’assistenza ai malati e dei funerali. Tra i vari altri fondi, vi erano quello per il riscatto dei prigionieri e per la dote alle ragazze povere[66].
Ogni due anni, un comitato, con quattro assessori eletti all’uopo, stabiliva come suddividere tra le varie famiglie le tasse, che erano di due tipi, quelle da pagare alla Repubblica e alla città [67]e quelle per le spese interne[68].
Nel 1581 gli ebrei di P. e del suo territorio istituirono il Consiglio statale (Vaad ha-medinah) che si occupava del periodico rinnovo della condotta[69]. L’Università degli ebrei, secondo quanto attestano documenti a partire dal 1582, interveniva anche direttamente e indirettamente per tutelare gli interessi ebraici nel conflitto annoso con le fraglie[70].
Attività economiche
In mancanza di documenti relativi a P., dai capitoli concessi da Francesco Novello da Carrara ai feneratori ebrei del territorio si inferiscono le condizioni del prestito ebraico in città in quel periodo: il feneratore poteva prestare su qualsiasi pegno di stoffa o di metallo all’interesse del 30%, essendo obbligato a tenere i pegni per un anno ( in seguito questo lasso di tempo fu portato ad un anno e un mese) e, dopo tre pubbliche gride, il pegno non riscattato diventava di sua proprietà. Chi avesse avuto più di 20 lire di prestito, allo spirare del termine, avrebbe ricevuto due avvisi successivi per riscattare il pegno. Se il pegno fosse risultato di provenienza furtiva, il derubato poteva recuperare l’oggetto solo dopo il pagamento del capitale e dell’interesse (privilegio che rimase anche sotto la dominazione veneziana). Se i feneratori fossero stati danneggiati dalla popolazione in situazioni in cui gli ufficiali del Comune avessero potuto intervenire a favore degli ebrei, il Comune stesso doveva risarcirli, sulla base dei libri di banco o del giuramento degli agenti[71]. Di sabato, e per altri 12 o 13 giorni di festività ebraiche, i feneratori avevano diritto a non esercitare e non essere citati in giudizio, senza che nessun altro potesse prestare su pegno, anche senza interesse, in tale periodo[72].
Nel 1408 il tasso d’interesse era al 20% su pegno e al 25% su obbligazione e, dietro richiesta del Comune di P., il Senato stabilì che i pegni non riscossi venissero venduti all’incanto da un funzionario comunale[73].
Da un documento del 1432 si apprende, poi, che i banchi feneratizi ebraici a P. erano sette, me nel 1437 il loro numero era sceso a cinque[74].
Agli inizi del XV secolo, gli ebrei risultavano anche attivi nel commercio del vino, proveniente dalle coltivazioni dei Colli Euganei e davano animali ai contadini di questi ultimi a zoadego, cioè a noleggio annuale per un compenso stabilito[75].
Nel corso della prima metà del XV secolo presero forma le istituzioni destinate a tutelare gli interessi professionali dei feneratori e dei mercanti, chiamate rispettivamente Sodalizio dei Generatori e Fraglia dei zodij strazaroli, spesso in contrasto con le corporazioni cristiane e tra di loro, al fine di stabilire la preminenza in seno alla Comunità ebraica. Nel 1448, in seguito al fallimento dei ripetuti tentativi della corporazione dei mercanti cristiani di ledere i diritti dei mercanti ebrei, fu firmato un accordo tra le due parti, da cui prese origine un’istituzione unica facente capo alle due corporazioni[76].
Dopo la cacciata dei feneratori del 1455, può considerarsi terminato il periodo di grande rigoglio delle banche ebraiche padovane, mentre prendeva sempre più piede il commercio. Nel 1548 la Serenissima proibì l’usura ebraica[77] e il commercio rimase la principale attività degli ebrei, che divennero proprietari di svariati negozi cittadini, specialmente di abiti, stoffe e gioielli. Essi, a partire dalla prima metà del XVI secolo, esercitarono anche il commercio del cuoio, in seguito limitato dalle autorità per non far troppa concorrenza ai cristiani.
Agli ebrei, dopo lunga controversia, venne concesso di vendere stoffe nuove nel 1585 e, inoltre, essi davano a noleggio mobili e vesti agli studenti e ai soldati.
Da documenti del 1615 e del 1617-1622 risulta che nel ghetto vi erano 63 negozi di diversa dimensione: i maggiori, in mano a 21 commercianti, trattavano di strazzaria de ogni sorte, comprendendo mobili, cordami di ogni genere, stoffe di ogni tipo e velami de seda de ogni sorte, oro e argento filado[78]. Dietro intervento delle fraglie, l’oste che gestiva la taverna e locanda del ghetto per gli ebrei forestieri dovette limitare la vendita del vino e di altri generi alimentari ai soli israeliti[79].
Il setificio fu introdotto a P. dagli ebrei, verso la metà del secolo XVII, dando lavoro anche a molti operai cristiani del contado: nonostante l’ostilità delle fraglie, l’attività proseguì con successo, impiegando, negli anni Settanta del XVIII secolo, circa 5.000 tessitori cristiani. Nel 1779, tuttavia, cedendo alle pressioni degli imprenditori cristiani, il podestà vietò agli ebrei di essere attivi nella manifattura della seta[80].
Demografia
Nel 1576 risultavano vivere a P. 485 ebrei, di cui 220 morirono nella peste: l’anno successivo, il numero degli ebrei ammontava così a 265, per passare nel 1585 a 280, nel 1603 a 439 e nel 1630 a 721. Dopo la peste scoppiata nel 1631, rimasero in vita solo 300 ebrei[81].
Quartiere ebraico e ghetto
Dalla seconda metà del XIV secolo, è attestata la presenza ebraica in alcune strade della città: dalle polizze dell’estimo presentate dai capifamiglia, tra il 1444 e il 1519, risulta che le case, le botteghe e le attrezzature comunitarie erano ubicate in due punti, uno presso la piazza delle Legne e l’altro a sud della piazza del Vino (ora delle Erbe). Dopo la guerra della Lega di Cambrai rimase solo quest’ultimo agglomerato urbano, definito nei documenti come il loco solito degli ebrei, comprendente le contrade di S. Urbano, Volto dei Negri e S. Canziano[82].
Il progetto di istituire un ghetto risale agli anni tra il 1581 e il 1584, ma solo nel 1601 vennero compiuti i passi necessari per realizzarlo, ivi compresa la scelta di prendere, di comune accordo con l’Università ebraica, la la scelta per la sua ubicazione. Nel 1603 fu presa la decisione circa il luogo definitivo, comprendente l’area del precedente quartiere ebraico, secondo la proposta dell’Università. Chiudevano gli accessi al ghetto quattro porte con iscrizioni in latino ed ebraico, della cui apertura e chiusura a tempo debito erano incaricati due guardiani, uno ebreo e l’altro cristiano. Le abitazioni furono distribuite alle famiglie secondo modalità stabilite dall’assemblea della Comunità[83]. Nello specifico le quattro porte già ricordate erano: la porta di S. Giuliana in via Sirena (poi via S. Martino e Solferino)[84], quella di S. Canziano, in via delle Piazze, quella di S. Urbano, che si apriva a sinistra dello sbocco di via Fabbri, e quella di Via Spirito Santo, all’estremità di via dell’Arco[85].
Cimitero
Nel 1384 Francesco Novello da Carrara concesse a Vitale di Manuele, che teneva un banco di prestito a S. Canziano, ad Abramo di Aliucio, che aveva banco al Volto dei Negri, e a Guglielmo di Leone, che gestiva il banco in piazza delle Legne, di poter acquistare da tale Albertino de' Giordani di Merlara, residente in contrada S. Leonardo, un pezzo di terreno di 480 metri quadrati da adibire a cimitero, poiché non vi era piu posto in quello limitrofo, data l'alta mortalità causata dalla pestilenza appena cessata[86].
Nel 1400 il cimitero fu ampliato grazie all’acquisto, da parte di tre cives paduani, Musetto, Bonaiuto e Abramo, di un altro pezzo di terra confinante, di proprietà di Domenichino Descalzi[87].
Nel 1445 venne stipulato un contratto fra Giovanni del fu Pasqualino mastellaro e Jacob del fu Angelo, doctor sue legis hebrayce, Jacob del fu Moisè di S. Lucia e Vitale del fu Isacco de Calabria per l’acquisto di terreno ad uso cimiteriale, posto in borgo delle Ballote, presso le mura della città[88]. Nel 1484 e nel 1506, il cimitero venne ampliato con due nuovi acquisti, fuori di porta Codalunga e nel 1508 vi fu sepolto il famoso rabbino Isaac Abrabanel, che fu ministro delle finanze di Alfonso V di Portogallo e di Ferdinando il Cattolico. Quando l’esercito di Massimiliano d’Austria assediò P., il cimitero, chiamato di Codalonga, fu distrutto e, nel 1529, gli ebrei comprarono un pezzo di terra in contrada S. Leonardo (dov’era il primo cimitero acquistato sotto i Carraresi), che dai cimiteri ebraici prese il nome di Borgo Zodio[89]. Quando un cimitero cessava di essere in uso, veniva affittato, con il permesso di falciarvi l’erba, ma non di seminarvi o di farvi pascolare animali. Nel 1606 l’Università degli ebrei dette in affitto una casa e il cimitero di cui si serviva all’epoca in Borgo Zodio al gastaldo delle monache di Santa Maria Mater Domini, a patto che non piantassero nuovi alberi e non tagliassero quelli già esistenti.
Il cimitero venne ampliato nel 1653, con l’acquisto di un piccolo appezzamento di terra limitrofo, e nel 1696 con un altro pezzo di terra, comprata dai frati preposti al convento delle Maddalene o convertite.
Nel 1754, per allargare il cimitero esistente, l’Università acquistò un orto dal conte Anton Maria Vigodarzere e, poco più di vent’anni più tardi, un orto di maggiori dimensioni dai fratelli Gueraldi. Sui cimiteri del Borgo Zodio e sul vecchio cimitero di Codalonga la Comunità ebraica era tenuta a pagare un’imposta[90].
Sinagoghe
Secondo una fonte ottocentesca, antiche tradizioni riferivano dell'esistenza di un oratorio in Borgo Savonarola, sin dall'epoca della peste del 1370[91].
Negli anni Trenta del XV secolo risultavano in funzione a P. tre sinagoghe[92]: secondo recenti studi, la menzione più antica di una sinagoga di rito tedesco, sita in contrada San Canziano, risale al 1482, sebbene essa dovesse essere più antica[93]. Negli stessi anni era in funzione una sinagoga di rito italiano in piazza delle Legne (attuale piazza Cavour), mentre nel 1548 ne fu inaugurata un’altra in via S. Urbano (poi via Sirena e attualmente via San Martino e Solferino)[94]. Nel 1682 la sinagoga di rito tedesco fu completamente ristrutturata, dato il decadimento dello stabile, rilevato già verso la metà del XVI secolo: un locale dell’edificio fu adibito a Beth ha-Midrash (scuola di istruzione religiosa). La sinagoga di rito spagnolo fu aperta nel 1617, distrutta qualche anno dopo da un incendio e, in seguito, ricostruita. Sorta soprattutto per iniziativa della famiglia Marini, fu, sino all’inizio del XIX secolo, sotto la direzione religiosa dei numerosi rabbini discendenti di tale famiglia. Esisteva, inoltre, nel XVIII secolo, anche la cosiddetta scola cattellana, in un immobile della famiglia Cattalan, nei pressi della corte della sinagoga di rito tedesco e l’oratorio in cui si raccoglievano i discepoli di Mosheh Chayyim Luzzatto o Ramhal[95].
Rabbini, dotti, personaggi famosi.
Nella seconda metà del secolo XV, soggiornò a P. il celebre rabbino e umanista ebreo Yehudah, detto Messer Leon, definito nei documenti del periodo del suo soggiorno padovano Milite et artium medicine doctore celeberrimo, risultando uno dei tre ebrei insigniti del titolo nobiliare di miles dell’epoca[96].
In questo periodo, P. divenne un importante centro di studi ebraici, principalmente sotto la guida di rabbini ashkenaziti, tra cui Yehudah di Eliezer ha-Levi Minz (circa 1408-1506), appartenente ad una famiglia di banchieri e studiosi stanziata a Mainz (da cui prese il cognome Mintz o Minz). Yehudah lasciò la Germania nel 1462, in seguito all’espulsione degli ebrei dalla città, stabilendosi a P., dove esercitò, sino alla morte, la carica di rabbino e capo della Accademia rabbinica (yeshivah). Allievo a P. del talmudista d’origine tedesca Asher (Israel) Enschechin (Enshen), Minz fu in corrispondenza su argomenti legali ebraici con svariati rabbini di chiara fama, tra cui Israel Isserlein di Wiener- Neustadt, Israel Bruna di Regensburg, Yosef Colon di Mantova e il turco Elijah Mizrahi, che lo appoggiò in una disputa di natura halakhica con Eliyahu Delmedigo, noto anche come umanista ebraico permeato di pensiero rinascimentale. I consulti rabbinici di Minz, di grande importanza come documenti storici, rivelano la sua attenta partecipazione ai problemi dell’epoca. La sua biblioteca, e gran parte dei suoi manoscritti, furono distrutti durante il sacco di P., tuttavia, 16 consulti furono scoperti dal nipote Yosef di Avraham Minz.
Il già menzionato Eliyahu Delmedigo (circa 1460-1497), filosofo e talmudista candiota, recatosi, da giovane, in Italia, fu per un periodo a capo dell’Accademia rabbinica di P. Noto per la sua competenza nel campo degli studi ebraici e nel campo della filosofia araba ed ebraica, Delmedigo diede pubbliche lezioni di filosofia a P. e altrove, annoverando tra i suoi discepoli e sostenitori anche Giovanni Pico della Mirandola[97]. In seguito agli attriti derivatigli dalla sua funzione di mediatore in una disputa tra studiosi cristiani e alla controversia in materia di Legge ebraica con Minz, ricordata sopra, Delmedigo fu costretto a tornare a Candia. La sua opera maggiore è Bechinat ha-dat (L’esame della religione) iin cui esamina i rapporti tra religione e filosofia.
Meir di Yitzhaq Katzenellenbogen, noto con l’acronimo di Maharam (Morenu ha-Rav Meir) di Padova (1473-1565), fu uno dei più rinomati rabbini d’Italia e dei più autorevoli halakhisti della sua epoca. D’origine praghese, giunse a P. dove studiò con Yehudah Minz, sposandone la nipote Hannah, figlia di Avraham ha-Levi Minz. Dopo la morte del suocero, nel 1525, divenne rabbino capo degli ebrei della Repubblica veneziana, pur continuando a risiedere a P., dove conservò sino alla morte la carica di rabbino della sinagoga ashkenazita della città. Ebbe un ruolo preminente nell’assemblea dei rabbini italiani, tenutasi a Ferrara nel 1554[98] e attirò numerosi allievi, provenienti da contrade vicine e lontane, nella yeshivah padovana. Condannò con due scomuniche lo studio della Qabbalah nel 1558. Pubblicò a Venezia, nel 1553, i suoi responsa in appendice aquelli di Yehudah Minz, ritrovati da Yosef di Avraham ha-Levi Minz. Alcuni furono poi pubblicati in svariate raccolte, tra cui quella dei responsa di Rav Mosheh Isserles (nn. 36, 49, 51, 89), mentre altri si trovano nel manoscritto Kaufmann (138 f.). Completò, inoltre, il Seder gittin wa-halitzah (Trattato sul divorzio e lo scalzamento)di Yehudah Minz e scrisse le glosse al Mishneh Torah di Maimonide.Alla sua morte il suo posto fu preso dal figlio Shemuel Yehudah.
Dopo la morte di Yehuda Minz, il figlio Avraham avrebbe dovuto prenderne il posto, ma, nel 1509, fu espulso da P. dalle autorità veneziane, poiché aveva mostrato di accettare ufficialmente i rappresentanti del potere imperiale, all’epoca del conflitto tra Venezia e la lega di Cambrai[99]. Dieci anni dopo, Avraham Minz si recò in visita a P., dando adito all’ipotesi che il decreto contro di lui fosse stato revocato. Tuttavia, dopo il soggiorno padovano, si stabilì altrove[100].
Verso la fine del secolo XV soggiornò a P. Elia Levita o Eliyahu di ha-Levi Ashkenaz o Eliyahu ha-Levi, noto come Eliyahu Bahur (1468/1469 – 1549), d’origine tedesca, grammatico, ricercatore della Massorah e lessicografo, insegnò Bibbia e grammatica ebraica al pubblico ebraico e cristiano. Dopo aver avuto la casa saccheggiata durante gli episodi di violenza del 1509, lasciò P. per recarsi a Venezia e, in seguito, a Roma.
Tra gli svariati rabbini del XVI secolo degni di menzione, ricordiamo Shemuel Menahem ben Shemuel Delmedigo, capo dell’Accademia rabbinica e filosofo, all’epoca in cui era attivo a P. Yehudah Minz. Al tempo del conflitto tra Venezia e l’imperatore, egli fu preso prigioniero come cittadino veneziano e i suoi beni vennero confiscati, venendo, poi, riscattato dalla sua Comunità d’origine, Candia, dove rimase come rabbino. Vi fu poi il nipote di Mordekhay ha-Kohen, ucciso nel massacro di Asolo del 1547[101], il rabbino Gershon, che rivestì a P. la funzione di cantore e officiante per i fedeli della Comunità, da cui gli derivò l’appellativo “el Cantarin”, poi passato ad essere il cognome della famiglia. Un altro membro della famiglia Cantarini, che fu rabbino a P., è Angelo di Grassin (Uzriel di Gershon), nato verso la metà del XVI secolo.
Tra il 1520 e il 1605 sono documentate 25 lauree di ebrei dispensate a P.: tra i medici più prestigiosi del XVI secolo, che vissero almeno per un periodo in città (oltre al periodo della laurea), va ricordato il padre del medico Jacob quondam Abram Myr, Avraham di Meir de Balmes, oltreché medico, rabbino e noto grammatico, autore del trattato incompiuto Mikneh Abraham (Peculium Abrae), pubblicato in ebraico e in latino a Venezia nel 1523. D’origine leccese, Avraham de Balmes si stabilì a P. all’incirca nel primo ventennio del Cinquecento, dove insegnò ebraico e fu medico personale del cardinale Domenico Grimani.
Un altro medico, rabbino e autore di un’opera esegetica sulle orazioni di rito italiano per i giorni festivi e di un commento sulle regole della macellazione rituale, Johanan Treves, d’origine francese, ma stabilitosi a P. verso la metà del XVI secolo, fu tra i fondatori (nel 1548) della locale sinagoga di rito italiano.
Barukh di Meir Sarfati, laureatosi a P. nel 1559, apparteneva a una famiglia assai nota, all’epoca, nell’ebraismo locale. Il padre di Barukh, Meir, di prestigiosa stirpe rabbinica, fu agiato commerciante e zio di Giacobbe che fu uno dei parnassim o gastaldi della Comunità all’incirca nell’ultimo ventennio del ‘500.
Nel periodo tra il XVI e il XVII secolo, ricordiamo Shemuel di Elhanan Archivolti (1515-1611) che, originario di Cesena, si recò, per studiare con Meir Katzenellenbogen, a P. Qui Archivolti risiedette dalla seconda metà del XVI secolo in poi, divenendovi rabbino dal 1579 sino alla morte. Ricoprì cariche di una certa importanza in seno alla Comunità ebraica e prese parte anch’egli alla celebre disputa sul bagno rituale di Rovigo[102]. Poeta e grammatico, pubblicò nel 1551 a Venezia l’opera morale Degel Ahavah (Vexillum amoris), nel 1553 il Maayan Ganim (Fons hortorum) e, nel 1602, una grammatica ebraica, Arugat ha-bosem (Areola aromatica).
Verso la fine del XVI secolo si laureò a P. Shelomoh, figlio del rabbino Israel di Jehyel (Vitale) Loria, che svolse un ruolo assai attivo in seno alla Comunità padovana, sia pure per breve periodo, esponente del ramo italiano di una delle più cospicue famiglie ebraiche, diffusasi in Europa centrale, Palestina e in alcuni paesi mediorientali[103].
Fu a capo della Accademia rabbinica di P., dove morì nel 1629, Yehudah di Mosheh Saltaro Fano, che prese parte alla disputa sul bagno rituale di Rovigo.
Nel corso del XVII secolo troviamo a P. svariati rabbini che furono anche medici, tra cui Clemente (Caliman) di Shimon, morto nella peste del 1631. Anche tra i sefarditi, stabilitisi qui nella seconda metà del Cinquecento, vi erano rabbini addottoratisi in medicina, come Chayyim di Shemuel Abenxuxen, laureatosi nel 1568[104].
Medico e rabbino fu anche Leone di Simone Cantarini (o Yehudah di Shemuel), nato verso la fine del XVI secolo e morto nel 1651: autore di prediche, di un commento a Giosuè e di miscellanee d’argomento biblico e medico, fondò la confraternita Shevrat osse’ tov nella sinagoga ashkenazita di P.[105].
Avraham Catalano, medico e rabbino, morto nel 1642, compose una descrizione della peste di P. del 1630-31, Olam hafukh (Il mondo sconvolto), non pubblicata, e un’opera filosofico-morale, Matzref ha-sekhel, pubblicata postuma (Pisa, 1818). Il figlio, Moseh Chayyim, fu rabbino di Montagnana e di P. e scrisse alcune opere poetiche in ebraico e due poemi composti, secondo il gusto che aveva preso un certo piede all’epoca, in modo tale da poter essere letti in ebraico come in italiano.
Medico e rabbino fu Yitzhaq Chay (sempre menzionato come Chayyim) di Yaaqov Yitzhaq ha-Kohen Cantarini (1644-1723), che, nella seconda metà del XVII secolo, tenne corrispondenza in ebraico con Rav Mosheh Chayyim Catalan (all’epoca a Montagnana) e, nel 1662, con Mosheh Zacuto di Venezia. Ci restano le sue prediche, scritte per la maggior parte in italiano e i responsa, pubblicati in parte nel Shemesh Tzedaqah (Sole di giustizia) di Rav Shimshon Morpurgo e in parte nel Pahad Yitzhaq (Timore di Isacco) di Yitzhaq Lampronti. Cantarini prese posizione contro gli scritti del sabbatiano Nehemyah Chayon e scrisse un’opera sul calcolo dell’era messianica Et Qetz (Epoca della fine) (Amsterdam, 1710). Tra le altre opere, menzioniamo il Pahad Yitzhaq (Amsterdam, 1685), descrizione dei tumulti anti-ebraici a P. del 1684, Eqev rav (Venezia, 1711), su una disputa nella comunità ebraica padovana, e Vindex sanguinis contro l’accusa di omicidio rituale. Si occupò di astronomia e scrisse poesie d’occasione e opere di carattere medico non publicate. Alcune sue lettere in latino vennero pubblicate postume da Osimo (Padova, 1856), mentre la corrisponenza di carattere letterario, in ebraico, con lo studioso Christian Theophil Unger furono pubblicate da Shemuel David Luzzatto nel suo Otzar nehmad (Tesoro di piacevolezza).
Altro medico e rabbino degno di menzione fu Chayyim Mosheh Cantarini, che visse a P. e a Rovigo. Oltre ai suoi consulti halakhici e alle poesie, va menzionata l’opera inedita Marot ha Zene, in cui descrive la sua opposizione alla dissezione dei cadaveri ebraici (e, in particolare, del cadavere di Hananel ha-Levi, assassinato nel 1680) da parte degli studenti di medicina cristiani. Nipote di Yitzhaq Chay Cantarini, secondo il Ghirondi, è stato erroneamente identificato con Angelo di Grassin Cantarini. Quest’ultimo fu medico a P. all’inizio del XVIII secolo e, autore dell’opera Cirurgia practica (Padova1715), scrisse anche lettere di contenuto critico-letterario allo studioso Christian Theophi Unger (1718). Tre anni prima, aveva compilato il regolamento dell’associazione a scopo umanitario “Sovvegno” di P.
Tra i membri della famiglia Cantarini, vanno menzionati anche il medico Uzriel di Chayyim Mosheh, vissuto all’inizio del XVIII secolo, Gershon di Shemuel Chay, morto nel 1763, e il figlio, Shemuel Chay, medico.
Allievo di Yitzhaq Chay Cantarini fu Shabbetay Chayyim Marini (c. 1690-1748), poeta, medico e rabbino di P. Famoso per i suoi sermoni, che attiravano anche il pubblico cristiano colto, tradusse in ebraico il primo dei tre libri delle Metamorfosi di Ovidio, basandosi sulla parafrasi italiana di Giovanni Andrea dell’Anguillara. Scrisse, inoltre, numerosi poemi d’occasione, tra cui uno che poteva essere letto tanto in ebraico che in italiano, e un’elegia in morte del maestro Cantarini[106].
Vanno ricordati anche il cabbalista e studioso Shemuel David di Yehiel Ottolengo (morto nel 1718), nato a Casale Monferrato, Yaaqov Refael Hezeqyah di Avraham Israel Forti (1689-1782), allievo di Mordekhay Bassanio, a Verona, e, in seguito, di Mosheh Chayyim Luzatto. Rabbino capo di P., ha lasciato svariate opere manoscritte: le glosse agli Arba Turim di Yaaqov di Asher, il commento allo Shulkhan Arukh, un’opera sul Talmud e i poseqim e una serie di sermoni. Alcuni responsa sono stati pubblicatiin opere altrui e la sua disputa halakhica con i rabbini di Venezia, circa i sistemi adottati in affari dai mercanti veneziani, è stata raccolta nel Mishpat Shalom (Giudizio di pace) (manoscritto) di YitzHaq di Asher Pacifico[107].
La figura di maggior spicco dell’ebraismo padovano del XVIII secolo è Mosheh Hayyim Luzzatto (1707-1746), noto anche con l’acronimo di Ramhal (Rav Mosheh Hayyim Luzzatto), poeta e cabbalista, ebbe un’intensa vita mistica, permeata di aspirazioni messianiche. Di presunte – anche se non univoche - tendenze sabbatiane, radunò intorno a sè una cerchia di discepoli. Scrisse in aramaico un secondo Zohar (Zohar Tinyana)e, grazie ai suoi scritti, divenne conosciuto a Venezia. Il capo dell’opposizione al sabbatianesimo, Rav Mosheh Hagiz di Altona, si rivolse al rabbinato veneziano, sospettando lui e la sua cerchia di sabbatianesimo e provocò la ritrattazione di certe posizione estreme da parte del Luzzatto. Tuttavia, mentre i rabbini veneziani tenevano un atteggiamento meno intransigente, i rabbini della cerchia di Hagiz ostracizzarono con molto vigore le idee e gli scritti del Luzzatto, che si vide costretto a lasciare, per un periodo, gli studi cabbalistici per dedicarsi al commercio. Sposatosi con la figlia del rabbino David Finzi di Mantova, tornò, in seguito, a comporre scritti mistici in ebraico. Nel 1735 i rabbini veneziani condannarono al rogo i suoi scritti cabbalistici[108] ed egli, con l’intenzione di raggiungere Amsterdam, si recò a Francoforte sul Meno, dove fu costretto a ritrattare ulteriormente le sue idee mistiche, promettendo di non occuparsi di Qabbalah sino ai 40 anni. Accolto con molti onori ad Amsterdam, visse insegnando e facendo il tagliatore di diamanti. Nel 1743 decise di recarsi in Palestina, dove morì di peste, a S. Giovanni d’Acri (Acco), insieme alla moglie a ai figli.
Mentre le sue opere cabbalistiche furono oggetto di aspra controversia, quelle d’argomento etico incontrarono largo successo, facendolo assurgere al rango di santo per l’ebraismo dell’Europa orientale. Tra le opere di etica, la più nota fu Mesillat yesharim (Il cammino dei giusti), scritta ad Amsterdam e pubblicata svariate volte. Scrisse, inoltre, Derekh ha-shem (La via del Signore) e Daat tevunot, in cui vengono, tra l’altro, dibattuti i temi dello scopo della creazione, del peccato originale, della giustizia Divina. Scrisse anche svariate composizioni poetiche in ebraico, in parte andate perdute ed in parte non pubblicate. Tra le sue opere di genere drammatico, vi sono il dramma Maaseh Shimshon, (Storia di Sansone) il dramma pastorale Migdal oz (Torre possente), di particolare rilievo,e il dramma allegorico La-yeshgarim tehillah (Lode ai retti), che esercitarono notevole influenza sulla letteratura della Haskalah o illuminismo ebraico. Infine, oltre alle lettere, ci resta la Qinat ha-shem tzevaot, opera polemica in cui si difende dalle accuse di sabbatianesimo, pur senza negare il valore di alcune delle idee cabbalistiche sabbatiane.
Tra i membri più attivi del circolo cabbalistico padovano formato dai discepoli di Ramhal, vi fu il medico Mosheh David ben Shemuel Valle o Vali (1694-1776), autore di uno scritto polemico contro il cristianesimo, I sette giorni della verità, e di un gran numero di commenti al testo biblico e di componimenti poetici d’occasione[109].
Verso la fine del secolo XVIII di un certo interesse è la figura del medico Michel di Abram Salom, affiliato ad una loggia massonica berlinese, attivo esponente del giacobinismo patavino, motivo per cui fu condannato a una lunga detenzione in Dalmazia, tradusse in italiano l’opera goethiana Leiden des jungen Werthers (I dolori del giovane Werther), edita a V. nel 1796[110].
Stampa ebraica .
Il ruolo che ebbe il rabbino di P. Meir Katzenellenbogen nella stampa ebraica a Venezia è stato esaminato altrove[111]: cessata l’attività veneziana, Katzenellenbogen continuò ad essere attivo in seguito nella stampa ebraica, a Mantova e Heddernheim (Germania).
La prima stamperia ebraica a P. risale al 1563, quando, dopo la ripresa, venne stampata da Lorenzo Pasquato l’opera Derekh emunah (Via della fede) di Meir di Ezekiel di Gabbai per Messer Sidro del Portel Vecchio, con l’ausilio di Shemuel Boehm come correttore di bozze. Quattro anni dopo, seguì la stampa dell’opera di Shem Tov di Shem Tov Derashot ha-Torah (Omelie sulla Torah) per Meser Piero del Portel Vecchio.
Un’assemblea dei rappresentanti delle comunità italiane si riunì a P., nel 1585, per elaborare una nuova strategia nei confronti di papa Sisto V rispetto alle limitazioni cui era soggetta la stampa del Talmud.
Tra gli anni Venti e gli anni Quaranta del XVII secolo, la stampa ebraica proseguiva con Gaspare e, in seguito, con Giulio Crivellari, che pubblicò l’opera di Yaaqov Heilprin Nahalat Yaaqov (L’eredità di Giacobbe),seguita dalla stampa di Qinot eikhah (Lamentazioni) e dal dizionario ebraico-italiano di Leone Modena, Galut Yehudah (L’esilio di Yehudah)[112].
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[1] Cassuto, U., E.J., alla voce“Bonacosa”; Steinschneider, M., Die hebräischen Übersetzungen des Mittelalters und die Juden als Dolmetscher, p. 672 (note 132-135) e p. 973. Il nome del traduttore Bonacosa, secondo il Cassuto, era, presumibilmente, Tuviyyah. Risultano, pertanto, errate le informazioni sulla data della traduzione (1289) e sul nome del traduttore (Jacopo) fornite da Ciscato, A., Gli ebrei in Padova, p. 12. L’informazione data dal Cassuto circa l’autore dell’opera, Avicenna, è, a sua volta, errata; infatti il Kitab Kullijat Fi al-Tibb è opera di Averroè. Un altro accenno alla presenza ebraica sarebbe la notizia che, nel 1317, l’ebreo Franco, strazzarolo, era stato nominato cittadino di P., dove dimorava da più di quindici anni. Cfr. Schiavi, L.A., Gli ebrei in Venezia e nelle sue colonie, in Nuova Antologia 1893, p. 309 e segg., citato in Ciscato, A., op. cit., nota 2. Riportando dallo Schiavi la notizia, il Ciscato avverte che non ne viene indicata la fonte.
[2] Arch. Not. di Padova, Abbr. Not. Bart. Niccolini. Libro II c. 413r., n. 43 (29 aprile 1408); Atti del not. Nicolò de Senis, Lib. II c. 125r. n. 651 (17 giugno 1403) e c. 122r. (24 maggio 1403), citato in Ciscato, A., op. cit., p. 12, nota 3.
[3] Ciscato, A., op. cit.,,p. 14.
[4] Atti del notaio O. Lenguazza, vol. 65, p. 338, c.a; su Mosheh di Mosheh Finzi, capostipite della famosa famiglia Finzi, cfr. ivi, vol. 55, p. 95, c.b 95, c.b e vol. 56, p. 83, c.b; sulla partecipazione del nipote di costui, Mosheh di Benyamin, cfr. ivi,vol. 65, p. 338, c.a; sui due agenti che furono ingaggiati per aiutare i fratelli da Recanati, cfr. ivi, vol. 65, p. 3;9; 11-12; 31; 34-35, citati in Carpi, D., The Jews of Padua during the Renaissance (1369–1509), p. 139, note 3-6; Ciscato, A., op. cit., p. 15.
[5] Su Menahem di Yehonatan Norsa, capostipite della famosa famiglia Norsa, cfr. Atti del notaio O. Lenguazza, vol. 58, p. 106, c.a; ivi, vol. 60, p. 268, c.a; sui fratelli Yehonatan e Yoav da Rimini, cfr. ivi, vol. 59, p. 172, c.b, citati in Carpi, D., The Jews of Padua, pp. 140-141, note 8 e 9; cfr. anche Ciscato, A., op. cit., p. 16.
[6] Su Yehudah e Yehiel da Camerino, vfr. Atti del notaio O. Lenguazza, vol. 54, p. 293, c.a; vol. 67, p. 129, c.b; vol. 54, p. 293, c.a; vol. 60, p. 281, c.b; vol. 65, p. 339 c.b; vol. 54, p. 338, c.b, citato in Carpi, D., The Jews of Padua, pp. 141-142, note 13, 14, 16 e 17; cfr. anche Ciscato, A., op. cit., p. 16.
[7] Ebrei, originari per solito della Marca anconitana — in prevalenza residenti a Perugia, Ferrara, Bologna, Ancona, Rimini — si associavano, spesso per tre anni, mettendo insieme un capitale da impiegare nel commercio e nel prestito a P., servendosi di un fattore e rappresentante, mentre conrtinuavano a risiedere altrove. Per informazioni su questo tipo di associazioni, cfr. Ciscato, A., op. cit., pp. 19-20; cfr. anche Zen Benetti, F., Prestatori ebraici e cristiani nel padovano fra Trecento e Quattrocento, p. 635.
[8] Ciscato, A., op. cit., p. 18; p. 144, nota 27.
[9] Ciscato, A., op. cit., pp. 8-9.
[10] Presumibilmente si tratta del medico Abrahaam di Eliyahu da Roma che risulta essere stato uno dei banchieri più importanti di P., nel secolo XIV. Cfr. Carpi, D., op. cit., p. 144, nota 29.
[11] Il documento è riportatto integralmente in Ciscato, A., op. cit., doc. I, pp. 229-231; cfr. Carpi, D., Gli ebrei, pp. 18-19. L’altra condotta rimastaci, relativa al periodo del dominio dei da Carrara è quella comcessa all’ebreo Diodato per il banco di Montagnana. Cfr. Ciscato, A., op. cit., pp. 232-236 (doc. II).
[12] Ciscato, A., op. cit., p. 17, nota 1. Secondo la legge del 1263, chi avesse voluto aprire un banco di pegni avrebbe dovuto acquistare beni immobili (ivi, p. 27, nota 1). Data la presenza di feneratori cristiani a P., nel XIII secolo, è verosimile che per costoro fosse stata redatta tale legge. Sulla presenza di feneratori cristiani a P., cfr. ivi, p. 15.
[13] Arch. Not. , Atti del notaio Bandino de’ Brazzi, Lib. III c. 221 v. [18 ottobre 1380]; Arch. Not., Atti del not. Mars. Roverini, Lib.II c. 397 v. [16 dic. 1380], citato in Ciscato, A., op. cit., p. 21, note 1 e 2.
[14] Arch. Not. – Atti del Notaio Gian Franc. Beccari o dai Gambari, Lib. II c 323 v. [21 aprile 1390], citato in Ciscato, A., op. cit., p. 24, nota 3.
[15] Arch. Not. – Atti del not. Rizz. De’ Lenguazzi, Lib II c. 290v. [anno 1382], citato ivi, nota 4.
[16] Secondo il Ciscato, invece, gli ebrei persero il diritto di cittadinanza e quello all’acquisto di beni immobili e al possesso dei beni acquistati in precedenza. Ciscato, A., op. cit., pp. 38-39. Diversa opinione esprimeva il Cessi, ritenendo che, con l’avvento del dominio veneziano, la situazione degli ebrei non solo non peggiorasse, ma rimanesse stabile o, addirittura, migliorasse. A sostegno di queste affermazioni, il Cessi cita la ricondotta del 1406 che confermava i privilegi dei feneratori padovani. Cfr. Cessi, R., La condizione degli ebrei banchieri in Padova nel secolo XIV, doc. II, pp. 210-213 e ibidem, p. 9. Da rilevare a questo proposito è il fatto che in tale condotta non sono menzionati né il diritto di cittadinanza, né il diritto al possesso di immobili. Pertanto, la divergenza di idee tra i due autori non trova sufficienti appoggi nell’unico documento menzionato. A favore della tesi di una sostanziale continuazione dello status quo in cui si trovavano gli ebrei di P., almeno per i primi anni della dominazione veneziana, si dichiara anche Zen Benetti, F., op. cit., p. 636. La documentazione offerta dal Carpi consente di uscire dall’impasse circa l’effettiva portata della dominazione veneziana rispetto agli ebrei. Cfr. Carpi, D., The Jews of Padua, p. 40. Va rilevato, comunque, il fatto che i “cives Paduani” ebrei non erano molti e, di conseguenza, ridotto era il numero dei possessori di immobili, anche nel periodo tra il 1405 e il 1423, in cui tale possesso era consentito, mentre maggiore era il numero di chi prendeva in affitto case per abitazione e botteghe. Cfr. Zen Benetti, F., op. cit., p. 636 e p. 647, note 68 e 69.
[17] Nonostante la lotta per indurre gli ebrei ad abbassare i tassi di interesse, lo stesso vescovo di P.chiese in prestito (non si sa a che tasso di interesse) 500 ducati d’oro a Mosè da Forlì, Salomone da Civitavecchia, Abramo da Roma e Consiglio del fu Emanuele, garantendo il debito sui denari che i fedeli davano per le sue necessità, e avendo a fideiussori alcuni dei principali cittadini di P. Cfr. Arch. Not., Atti del not. Bartolameo Nicolini. Lib. III c. 49v. (3 dicembre 1410), citato in Ciscato, A., op. cit., p. 47, nota 1. Il denaro fu restituito nel 1411, dopo la morte del vescovo. Anche la città di P. dovette ricorrere al prestito ebraico nella prima metà del XV secolo. Cfr. ibidem.
[18] Arch. Civ.- Ducali Reg. Rubeo N. 112 c. 20r., citato in Ciscato, A., op. cit., p. 41, nota 2.
[19] Arch. Civ.- Ducali Reg. Rubeo N. 112 c. 20r., citato in Ciscato, A., op. cit., p. 42, nota 1.
[20] Carpi, D., The Jews of Padua, p. 45.
[21] Ivi, p. 40.
[22] Ivi, p. 45.
[23] Arch. Civ. – Ducali. Reg. C.D. – N. 114 c. 67v.[28 maggio 1430] e Arch. Civ. Ducali Reg. Rubeo. N. 112 c. 14r., citato in Ciscato, A., op. cit., p. 166, nota 1. Cfr. Carpi, D., The Jews of Padua, p. 180, nota 17. La rotella veniva sostituita, nel 1496, da una berretta gialla, a sua volta soppiantata verso la metà del secolo XVII da una rossa e, più tardi, da una berretta coperta di tela cerata. I medici ebrei avevano il permesso di portare la berretta nera, come il resto dei cittadini. Cfr. Ciscato, A., op. cit., pp. 166-168.
[24] Ciscato, A., op. cit., p. 44; Carpi, D., The Jews of Padua., p. 48.
[25] Emblematico, rispetto a tale conflitto, appare il processo del 1448 contro Josep quondam magistri Abraham, forse d’origine tedesca, titolare di un banco ad Este e uno a Piove di Sacco, residente con tutta la famiglia nella strada mazor di P. e con fortunati rapporti d’affari anche a Venezia. Dal processo risulta non l’illegalità dei procedimenti usati dai feneratori, ma la loro abilità nel volgere a proprio vantaggio le regole poste dalla condotta collettiva. Josep, ad esempio, veniva accusato di prestare non solo a Piove e a Este, ma anche a P., pur non avendone il diritto; tuttavia, tramite il suo caso veniva in luce che il prestito spesso era tenuto segreto, non solo alle autorità civili, ma anche agli altri ebrei. Il controverso caso terminava con l’assoluzione dell’imputato, in seguito, invece, condannato in contumacia a Venezia, come capro espiatorio di una situazione generalizzata. Per i particolari della vicenda, illuminanti circa gli espedienti con cui i feneratori tentavano di sottrarsi alle pesanti pressioni fiscali di Venezia. Cfr. Braunstein, P., Le prêt sur gage à Padoue et dans le Padouan au milieu du XV siècle, pp. 653 e segg. Di particolare interesse l’elenco degli ebrei di P. e del padovano che compaiono negli atti processuali di Josep (1448-1450), cfr. ivi, pp. 664-665 e l’elenco delle banche ebraiche a P. (1431-1437), p. 666.
[26] Carpi, D., The Jews of Padua, p. 59.
[27] Carpi, D., The Jews of Padua, pp. 58-59.
[28] Ivi, p. 60; Ciscato, A., op. cit., p. 53.
[29] ;Carpi, D., The Jews of Padua, pp. 60-61.
[30] Ivi, p. 65; riguardo ai privilegi concessi ad altri banchieri del territorio, p. 65 e segg.
[31] Ivi,, p. 63.
[32] Ivi,p. 64.
[33] Ibidem.
[34] Ciscato, A., op. cit., p. 135 che cita, a questo proposito, il doc. XIII, datato 22 aprile 1475 (ivi, pp. 264-265), sostenendo che, tuttavia, pochi mesi dopo il Senato permise ai predicatori di rammentare il presunto omicidio rituale di Trento, per poi vietare nuovamente l’intervento degli stessi. Ivi, p. 135, nota 2. Cfr. anche Carpi, D., The Jews of Padua, p. 67.
[35] Cfr. Ciscato, A., op. cit. pp. 56-56 e Roth, C., op. cit., p. 169.
[36] Ciscato, A., op. cit.,pp. 35-36.
[37] Cfr. più sotto il paragrafo Rabbini, dotti… .
[38] Carpi, D., The Jews of Padua, pp. 80-81. Cfr. Capsali, E., Seder Eliyahu Zuta, p. 286.
[39] Capsali, E., op. cit.,p. 290; v. Sanudo, M., I Diarii, Venezia 1879-1903, vol. VIII, pp. 520-27.
[40] Carpi, D., The Jews of Padua, pp. 81-82; Capsali. E., op. cit., p. 292; cfr. anche Porgès, N., Elie Capsali et sa chronique de Venise, p. 17 e seg.
[41] Ciscato, A., op. cit., pp. 184-185.
[42] Archivio di Stato, Padova, Archivio civico antico. Atti del consiglio, b. 15, cc. 21-22r, in Zaggia, S., Un loco stabile et separato in questa tera. La vicenda dell’istituzione del ghetto di Padova, 1541-1603, p. 4, nota 3.
[43] Ibidem.
[44] Carpi, D., The Jews of Padua, p. 84.
[45] Morpurgo, E., Notizie sulle famiglie ebree esistite a Padova nel XVI secolo, p. 3; p. 5; p. 7; p. 12; p. 15. Cfr. anche Ioly Zorattini, P.C., Note per la storia degli ebrei sefarditi a Padova, p. 99; per ulteriori notizie sulla presenza degli Abrabanel, cfr. ivi, pp. 99-100.
[46] Per il testo di tale proclama, cfr. Ciscato, A., op. cit.,p. 291, doc. XXVIIII.
[47] Ciscato, A., op. cit., p. 88. Le vittime della peste furono tante da bloccare le attività comunitarie che ripresero solo l’anno successivo. Cfr. Carpi, D., Minutes Book of the Council of the Jewish Community of Padua (1577-1603), I, p. V.
[48] Ioly Zorattini, P.C., Note, pp. 101-102.
[49] Ciscato, A., op. cit.,p. 187, note 5e 6.
[50] Ciscato, A., op. cit.,p. 218. Dal 1517 al 1619 si laurearono in medicina a P. circa 80 ebrei e, dal 1619 al 1721, 149. Cfr. Arch. Ant. Univ., n. 655, c. 56r., citato ivi, nota 4. Nel 1642 gli ebrei laureati a P. ebbero il permesso di professare la medicina liberamente, in seguito mutato nel privilegio, concesso solo ai singoli, di curare i pazienti cristiani. Ivi, p. 221. Per ulteriori informazioni sui laureati ebrei di antica data, cfr. Carpi, D., Note su alcuni ebrei laureati a Padova nel Cinquecento e a all’inizio del Seicento, pp. 145-156. Per quei medici che furono anche ragguardevoli sotto altri rispetti, cfr. il paragrafo Rabbini, dotti, personaggi famosi.;
[51] Sulla regalia in confetti, cfr. Arch. Ant Univ., n. 655, c. 65 v., citato in Ciscato, A., op. cit., p. 219, nota 1. Compresa la regalia, la laurea di un ebreo risultava costare, nel XVIII secolo, molto di più di quella di un cristiano. Cfr. ivi, p. 219, nota 2.
[52] Ciscato, A., op.cit.,p. 221.
[53] Ciscato, A., op. cit.,p. 88. La peste fu descritta da un ebreo padovano sopravvisuto, il medico Avraham Catalano.Cfr. Rabbini, dotti….
[54] ;L’episodio venne descritto da Sema Cuzzeri (cfr. paragrafo Rabbini, dotti). Per maggiori dettagli sull’episodio e per i punti salienti del poema, cfr. Ciscato, A., op. cit., 203-208; Levi, A., ‘L’innocenza illesa’ di Sema Cuzzeri, in RMI X (1935-36), pp. 268-283; per la pubblicazione dell’intero poemetto, cfr. Ioly Zorattini, P.C., ’L’innocenza illesa’ di Sema Cuzzeri, poemetto inedito sull’assalto del Ghetto di Padova (1684), pp. 3-36.
[55] Ciscato, A., op. cit., pp. 209-211. Cfr. l’opera di Mosheh Chayyim Cantarini, al paragrafo Rabbini, dotti…. Quanto alle regalie che gli studenti pretendevano dagli ebrei, cfr. Ciscato, A., op. cit., pp. 214-216.
[56] Ivi, pp. 191-192.
[57] Ivi, pp. 192-193.
[58] Ivi,p. 141, nota 2 .
[59] Ivi,, pp. 145-148; sul rabbino Salomon Cattelan o Catalan, cfr. Morpurgo, E., op. cit.,p. 5.
[60] Ioly Zorattini, P.C., Note, pp. 103-104; cfr. anche Idem, Battesimi ‘invitis parentibus’ nella Repubblica di Venezia durante l’età moderna: i casi padovani, pp. 173-179.
[61] Ciscato, A., op. cit.,p. 149.
[62] Ivi,, p. 153 e ibidem, nota 4. La Repubblica si era pronunciata già nel 1502 contro il battesimo invitis parentibus dei fanciulli che non avessero raggiunto il quattordicesimo anno di età, ribadendo la norma ancora nel 1788; anche il diritto canonico limitava a casi particolari la liceità del battesimo dei minori, contro la volontà dei genitori, senza, tuttavia, riuscire ad arginare efficacemente l’abuso. Cfr. Ioly Zorattini, P.C., Battesimi ‘invitis parentibus’ nella Repubblica, p. 172; per il caso di Sara Alpron, cfr. ivi, pp. 171-172.
[63] Lo scampato pericolo veniva ricordato in un opuscolo contenente due componimenti poetici anonimi in onore del Giustinian e due benedizioni rivolte rispettivamenyte al doge Ludovico Manin e al Giustinian. Cfr. Ioly Zorattini, P.C., Il Purim del Fuoco, in RMI 51 (1985), pp. 104-117.
[64] Carpi, D., The Jews of Padua, p. 102. Presumibilmente viene menzionata una communitas judeorum per far fronte alle esigenze dettate dalla condotta collettiva, stipulata nel 1432, che implicava una cifra globale da versarsi al Comune e alla signoria, suddivisa tra gli ebrei in modo autonomo e, in caso di controversie, grazie all’intervento dell’arbitrato di personaggi autorevoli scelti all’uopo in seno alla Comunità. Cfr. Zen Benetti, F., op. cit.,p. 638; p. 648, nota 84.
[65] Carpi, D., The Jews of Padua, p. 105.
[66] Per quanto riguarda le attività assistenziali ebraiche, già dal 1413 vi erano a P. una scuola per gli orfani e un fondo, se non proprio una confraternita, per finanziare la dote delle fanciulle povere. Cfr. Carpi, D., The Jews of Padua, p. 101.
[67] Le tasse da pagare, nell’arco del XVI secolo, allo Stato e alla Città di P. ammontavano a 850 ducati annuali per i banchi, da versare allo Stato, e 200 ducati (in seguito 300) per il diritto di dimora, da versare alla Città che li utilizzava per selciare le strade e per altri lavori pubblici. Per sostenere i “banchi dei poveri” di Venezia, verso la fine del secolo, la Comunità ebraica doveva pagare ulteriori 700 ducati annui. Cfr. Ciscato, A., op, cit., p. 187. Per ulteriori gravami cui doveva sottostare la Comunità ebraica nel XVII secolo, cfr. p. 188.
[68] Per particolari ulteriori sull’organizzazione e il funzionamento della Comunità ebraica, cfr. Morpurgo, E., L’Università degli ebrei di Padova nel XVI secolo, p. 13 e segg.
[69] Carpi, D., Minutes Book … 1577-1603, pp. V-VI.
[70] Morpurgo, E., L’Università degli ebrei di Padova nel XVI secolo, pp. 6-8. Sulla situazione economica non florida dell’Università e sulle varie imposte cui era sottoposta, cfr. ivi, p. 9-12.
[71] Ciscato, A., op. cit., p. 26.
[72] Ibidem.
[73] Ciscato, A., op. cit., pp. 40-41.
[74] Cessi, R., La condizione degli ebrei banchieri in Padova nel secolo XV, p. 15.
[75] Ciscato, A., op. cit., p. 25, note 1-2.
[76] Ivi,p. 11-12. Per ulteriori dettagli sulla strazzeria ebraicaallafine del XIV e all’inizio del XV secolo, cfr. ivi, p. 207; doc. III, pp. 213-214.
[77] Carpi, D., The Jews of Padua, p. 84.
[78] Zaggia, S., Gli ebrei e Padova. Tracce e memorie di una storia secolare (XIV-XVIII sec.), p. 34.
[79] Ciscato, A., op. cit., pp. 106-107; pp. 109-117.
[80] Ciscato, A., op. cit., pp. 124-127.Per i nominativi dei titolari (tra cui vi erano anche svariati sefarditi) delle nove ditte che dovettero cessare la loro attività, cfr. ivi, p. 127, nota 3.
[81] Carpi, D., Minutes Book…1577-1603, p. 24.
[82] Zaggia, S., Un loco stabile et separato in questa tera, p. 5.
[83] Ivi, pp. 6-18.
[84] Ciscato, A., op. cit., p. 89.
[85] Ciscato, A., op. cit., pp. 89; per i testi delle lapidi di marmo sormontate dal leone di Venezia, collocate presso le porte del ghetto, cfr. ivi, pp. 90-91. Una pianta settecentesca del ghetto è stata riprodotta da Zaggia, S., Un loco stabile, p. 20.
[86] Ciscato, A., op. cit., doc. III, p. 236 e segg..
[87] Ivi, p. 29.
[88] Arch. Notar. – Imbrev. di Conte dalle Valli, X, 389, citato in Cessi, R., La condizione degli ebrei banchieri in Padova nel secolo XIV, p. 208. Tale documento integra le notizie fornite dal Ciscato, A., op. cit.,p. 171.
[89] Arch. Civ.- Ebrei, Miscellanea, n. 757 fasc. B c.11 [Ducale 1 giugno 1529], citato in Ciscato, A., op. cit., p. 173, n. 1. Sulla sepoltura di Isaac Abrabanel nel cimitero padovano, cfr. ivi, p. 172.
[90] Ivi, pp. 173-174.
[91] Osimo, A., Narrazione della strage compita nel 1547 contro gli Ebrei di Asolo e cenni biografici della famiglia Koen-Cantarini originata da un ucciso di Asolo, pp. 47-48.
[92] Archivio Statale di Padova, Atti del notaio D. Da Porciglia, vol. 2005, p. 454, f.b, ciato in Carpi, D., The Jews of Padua, p. 101.
[93] ASPd Estimi, registro 1418, b. 93, c. 136r (giugno 1482), citato in Zaggia,S., Die deutsche Synagoge in Padua 1603-1779, p. 48, nota 13; la sinagoga doveva risalire, tuttavia, almeno agli inizi degli anni Settanta del XV secolo, come mostrano documenti che fanno indirettamente riferimento alla sua esistenza. Cfr. ivi,p. 49 e Idem,La Scuola Grande di Padova: vicende storiche e architettura, p. 60. L’informazione che la sinagoga tedesca risalisse al 1525, fornita precedentemente dagli studiosi, andrebbe, pertanto corretta, stanti i dati archivistici rinvenuti dallo Zaggia. Cfr. Morpurgo, E., Inchiesta, p. 11, nota 13. Cfr. Carpi, D., Le premesse giuridiche e l’ordinamento amministrativo della Comunione israelitica di Padova, p. 47.
[94] ASPd Ragistro 1418, b. 92, c. 221r (23 gennaio 1482), citato in Zaggia, S., Die deutsche Synagoge, p. 49, nota 16; Idem, Gli ebrei a Padova. Tracce e memorie di una storia secolare (XIV-XVIII sec.), p. 38; Morpurgo, E., Inchiesta, p. 11, n.14. Cfr. Carpi, D., Le premesse giuridiche,p. 47, nota 2.
[95] Zaggia, S., Die deutsche Synagoge, p. 51 e segg. ; Idem, Gli ebrei a Padova, p. 37; pp. 43-44; Morpurgo, E., Inchiesta, p. 11, nota 15 ; cfr. Carpi, D., Le premesse giuridiche, p. 47, nota 3.
[96] Carpi, D., The Jews of Padua, p. 121.
[97] Cassuto, U., Gli ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento, Firenze 1918, p. 288.
[98] Per ulteriori particolari, si rimanda alla voce “Ferrara” della presente opera.
[99] Per i dettagli della vicenda, cfr. il paragrafo dedicato alla storia della Comunità ebraica di P. Sulla famiglia Cantarini a P., cfr. Osimo, A., op. cit..,p. 46 e segg.
[100] Cfr. la voce “Ferrara” della presente opera.
[101] Cfr. la voce “Asolo” della presente opera.
[102] Cfr. la voce “Rovigo” della presente opera.
[103] Carpi, D., Note su alcuni ebrei laureati a Padova, pp. 145-153. Il Carpi rileva come il Ciscato , pubblicandone la laurea, gli attribuisca il cognome Lozzi che non appartiene all’onomastica ebraica italiana: cfr. Carpi, Note, p. 152; cfr. Ciscato, A., op. cit.,p. 306 e segg.
[104] Ioly-Zorattini, P.C., Note per la storia degli ebrei sefarditi a Padova, pp. 100-101.
[105] Si vedano, per questo ed i personaggi precedenti e successivi, anche le relative voci in E.J
[106] Per ulteriori particolari, cfr. Ioly Zorattini, P.C., Gli ebrei nel Veneto durante il settecento, p. 475.
[107] Ghirondi, M.S.-Neppi, H.G., Toledot gedolei Israel we geoney Italyya, p. 148, p. 150.
[108] Cfr. la voce “Venezia”.
[109] Ioly Zorattini, P.C., Gli ebrei nel Veneto durante il Settecento, pp. 474-475. Per le opere degli autori che figurano nell’intero paragrafo, cfr. Mortara, M., Indice, passim.
[110] Ioly Zorattini, P.C., Gli ebrei nel Veneto, p. 476; Modena, A. -Morpurgo, E., Medici e chirurghi ebrei dottorati e licenziati nell’Università di Padova dal 16127 al 1816, pp. 101-102; Toffanin, G., Goethe, Padova e la prima traduzione del Werther, p. 186. Il Salom risultava essersi convertito nel 1801, assumendo il nome di Michelangelo Arcontini (ivi, pp. 187-188).
[111] Cfr. la voce “Venezia”. A proposito dell’attività di Katzenellebogen connessa alla stampa ebraica a Venezia, cfr. Bloch, J., Venetian Printers of Hebrew Books, pp. 85-86; Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 3165, 3215.
[112] Amram, D., The Makers of Hebrew Books in Italy, p. 338; p. 388.