Sciacca

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Sciacca

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Sciacca, affacciata sul mare della Sicilia meridionale, fra Mazara e Agrigento, in Val di Mazara, era una città demaniale. Nota in epoca romana soprattutto per le sue terme, assunse importanza sotto gli Arabi e nell'età dei Normanni si sviluppò ulteriormente: fuori dalla cinta muraria restarono così i tre vecchi sobborghi, compreso quello abitato dagli ebrei e chiamato Cadde.

 

Gli ebrei

 

Il primo documento a noi pervenuto, attestante una presenza ebraica a S., è del 1340, anno in cui Daniele di Lisa, ebreo, diventò socio a Palermo di un correligionario locale per il commercio di vari prodotti[1]. È, però, all’epoca dei re Martini (1392-1411) che la Giudecca di S. diventò una comunità importante, impegnata in diversi settori dell’economia, e tale rimase, nonostante una flessione dovuta alla crisi nel XV secolo, fino all’espulsione. Re Martino I, presente a S. nel 1398-99, ordinò agli ufficiali di non raccogliere dagli ebrei del luogo più delle normali 10 once per lo ius augustalis e per la gisia, sebbene il loro numero fosse cresciuto[2].

La Giudecca era situata in gran parte nel quartiere della Cadda, che, del resto, non era abitato da soli ebrei. In base ad alcuni documenti della prima metà del XV secolo (atti di vendita e di enfiteusi di case, transazioni) risulta, infatti, che numerosi cristiani possedevano stabili in questo quartiere, che spesso erano dati in enfiteusi ad ebrei e, di contro, molti di questi ultimi possedevano dimore in altre zone della città[3].

Alcuni documenti del '400 riportano, poi, dei processi intentati ad ebrei, accusati di avere avuto rapporti sessuali con donne cristiane, che venivano per questo multati[4] , mentre, nel 1427, il prete Giovanni Planellario giunse a S. per controllare che essi esibissero un segno distintivo, la rotella rossa, per distinguersi dai cristiani[5].

Più volte, soprattutto durante le festività cattoliche, in seguito alle lamentele della comunità ebraica, i sovrani dovettero, inoltre, intervenire qui per moderare gli episodi di intolleranza. Tra il 1340 e il 1346 tre documenti ci mostrano il re che ordinò ai propri funzionari di proteggere gli ebrei dai cristiani del luogo, che li attaccavano e li vessavano, sollevando false accuse nei loro confronti, soprattutto in occasione della Settimana Santa[6]. A tali testimonianze si aggiungono, poi, i due privilegi di re Alfonso del 1443, pro Judaice terre Sacce, nei quali si parla di ingiurie e malefatte che gli ebrei avrebbero subito da parte dei cristiani. Nella seconda metà del secolo XV si registrarono, poi, a S. anche diversi episodi di intolleranza da parte dei nobili e degli ecclesiastici, ai quali le autorità risposero con interventi decisi in difesa della comunità[7].

Come in molte altre Giudecche siciliane, alla fine del Quattrocento si intensificarono anche qui i frati predicatori, che fomentavano l’odio religioso: nel marzo 1486 e nel 1487 a S. si registrarono esplosioni di violenza, che a stento furono stroncate dall’intervento del viceré de Spes, che invitò frate Francesco da Bologna a smettere di aizzare la popolazione contro gli ebrei e istruì i funzionari della città affinché le preghiere non sollevassero la folla contro di loro, ordinando, inoltre, di proteggerli durante la Settimana Santa[8].   

Con l'editto di espulsione la comunità ed i suoi membri liquidarono le loro proprietà: vennero venduti gli immobili pubblici, come la sinagoga, la scuola e l'ospedale e molti atti notarili attestano innumerevoli e frequenti alienazioni di beni privati, istituzione di procure ed altri provvedimenti presi per saldare i debiti e i conti in sospeso[9]. Agli inizi di dicembre del 1492 i poveri della Giudecca chiesero di partire per Napoli ed il loro procuratore, Benedetto de Benedetto, noleggiò una barca, il cui prezzo il viceré ordinò fosse pagato dai maggiorenti della comunità[10].

In questo periodo si contavano qui circa 1.280 ebrei e, dopo l'espulsione, vi vennero riportati 124 neofiti condannati dal tribunale dell’Inquisizione: attraverso tale particolare si può arrivare a supporre che il numero degli ebrei saccensi rimasti in Sicilia fu relativamente alto[11].

 

Attività economiche

 

Molti atti notarili sugli ebrei di S. trattano di contratti e transazioni commerciali, in particolare relativi a granaglie, tessuti e pellame. Diversi documenti attestano, poi, l’acquisto di indaco o altri colori per la lavorazione delle stoffe e spesso ebrei e cristiani hanno società in comune. Si ha qui notizia, inoltre, di medici ebrei che hanno il diritto di esercitare la professione: ne è un esempio la lettera del 1373 di re Federico, che dà licenza a Maseni di Fariono di praticare la medicina in tutta la Sicilia[12].

Durante la prima metà del XV secolo, grazie anche alla sua posizione, la città di S. visse un periodo di intensa crescita, che riguardò anche la Giudecca. La seconda metà del ‘400 la vide, invece, teatro della grave crisi economica: svariati rogiti notarili riportano, ad esempio, pagamenti dilazionati di anni[13] ed iniziano ora a comparire anche accordi per occupazioni temporanee con Palermo.[14]

Alla fine degli anni '80 il volume di affari degli ebrei di S. appare, così, notevolmente ridotto e vive una fase di riflusso: il mercato locale, in particolare la compravendita di grano, il commercio di panni e le attività bancarie, che prima erano gestiti da israeliti, era ora dominato dalla colonia di genovesi, presente in città con un proprio consolato. Il numero dei poveri si fece allora particolarmente consistente e gli atti notarili interessano prevalentemente solo vendite di frumento e di animali[15].

Numerosi documenti di quegli anni rivelano, inoltre, una situazione di difficoltà nel far fronte al pagamento dei debiti da parte della comunità. Nel 1478 il viceré conte Cardona la autorizzò a raccogliere 100 once in tasse allo scopo di pagare i debiti comuni[16], ma la crisi produsse tensioni e conflitti interni, animati da accuse di parzialità. I rapporti con l’universitas cristiana, particolarmente tesi a causa dei debiti non pagati, si risolsero spesso in proteste contro singoli ebrei o contro la comunità nel suo complesso. Soltanto alcune grandi famiglie ebraiche, come i Balam, i Summato, i Tavormina, i Galiono, ancora attive nel commercio del grano, riuscirono a mantenere un moderato benessere grazie al possesso di immobili e terreni e all’allevamento di animali. La crisi fu comunque diffusa e trapela anche dai numerosi conflitti sulle eredità allora insorti all’interno dei clan familiari.

 

 

 

 

Le istituzioni comunitarie

 

L’organizzazione della comunità di S. era uguale a quella delle altre Giudecche siciliane, ma le modalità elettive vennero modificate nel corso degli anni: i prothi, ad esempio, erano eletti ad ottobre e in molti casi erano due e non tre come altrove[17].

Durante il regno di Martino I il sovrano era solito intervenire nell’amministrazione interna della Giudecca, anche su questioni di minore rilevanza. Nel 1397 egli aveva stabilito che nell'elezione dei dodici consiglieri dovessero essere rappresentati i tre ceti della popolazione, per un terzo ciascuno. Si riservava, inoltre, il potere di nominare o variare il numero degli eletti, oltre che di intervenire nelle cariche minori: in un documento del 5 agosto 1399 egli concesse, così, a Cabono Asesi l'esercizio della macellazione rituale[18].

Tali ingerenze provocavano a volte reazioni negative da parte della comunità, in particolare per quanto riguardava l’elezione dei prothi. È significativo, in questo senso, il fatto che l’elezione a vita dei prothi fu prima permessa e poi revocata per due volte. Il 12 luglio 1399 il re revocò la designazione di Simon Muleschet come protho a vita in quanto contraria ai costumi della comunità, e ristabilì per la carica la durata di un anno[19]. Successivamente, però, il 3 agosto 1403, il re nominò protho a vita Soffe Aram con facoltà di eleggere gli altri prothi e di ricevere un salario, ma il 27 settembre dello stesso anno revocò il proprio provvedimento e confermò la nomina per un solo anno[20]. La lettera regale del 1402, Pro Judaica terre Sacce, confermò, poi, i privilegi, anche se il sovrano si preoccupò, in quell’occasione, di non pregiudicare il proprio potere nell'esercizio di nuovi provvedimenti e giurisdizioni[21].

L’intervento del re nei confronti delle questioni amministrative della comunità di S. proseguì anche dopo l’epoca dei Martini: a ciò fanno riferimento tre documenti del 1435 in cui si nominano i privilegi, che gli ebrei locali erano riusciti infine ad ottenere da re Martino, in base ai quali i prothi dovevano essere eletti ogni anno senza interferenza da parte dei cristiani. Tali elezioni erano, del resto, occasione di tensione anche all’interno della comunità stessa [22].

 

Tasse e contributi

 

Gli ebrei di S. pagavano le regolari tasse dirette, la gisia, un testatico che ammontava a 10 once, la iocularia, una tassa matrimonale e la colletta o donativo al sovrano. A queste si aggiungevano le imposte indirette, che riguardavano le produzioni, il commercio, i consumi e così via[23].

Nel 1404 re Martino ordinò ai funzionari locali di evitare ogni richiesta di servizi o pagamenti agli ebrei, dal momento che essi dipendevano solo dalla tesoreria reale[24]. Due anni più tardi, poi, su richiesta della Giudecca, egli ingiunse anche ai giurati e al vicesecreto di S. di non richiedere loro ulteriori tasse: dal relativo documento risulta che le imposte pagate dalla comunità ebraica erano allora un decimo di quelle versate dal resto della popolazione[25]. Numerose fonti attestano, inoltre, la corresponsione dei tributi effettuata dalla Giudecca dal 1437 al 1468[26], ai quali si aggiungevano spesso versamenti straordinari. Nel 1436, ad esempio, essa partecipò con 50 once al finanziamento della guerra di re Alfonso per la conquista di Napoli[27], mentre, il 27 settembre 1473 il vicerè permise ai funzionari di S. di imporre una nuova tassa sugli ebrei per raccogliere le 40 once promesse alla Corona in cambio di un perdono generale[28].

Il 23 dicembre 1444 il vicerè decretò che il territorio di S., acquistato in precedenza dal marchese di Geraci, fosse riacquisito dalla Corona. Il prezzo stabilito era di 3.637,6,10 once e la somma venne raccolta dagli abitanti nel loro complesso, ebrei e cristiani[29]. Una serie di documenti dell’agosto 1453 attestano, così,  l’ acquisizione da parte di re Alfonso dei diritti sulla castellania e sulla secrecia di S., oltre a quella della giurisdizione, civile e penale, sugli ebrei della città, che il re aveva ceduto a Bernardo de Requisens come risarcimento per un prestito ricevuto[30]: il 6 maggio 1457 questi ultimi diritti furono offerti da Alfonso ad Antonio de Luna (alias Peralta) conte di Caltabellotta[31].

 

Sinagoghe, scuole e cimiteri

 

A S. vi furono più sinagoghe, che, però, non esisterono simultaneamente. Una di esse risaliva al 1360, quando re Federico III (IV), accogliendo la petizione degli ebrei locali, accordò il permesso di costruire una sinagoga nella casa, lasciata a tale fine alla comunità, da Musa Bucherio e posta in Contrada Santa Lucia[32]. Un’altra sinagoga si ritiene sia esistita, inoltre, in quello che oggi è il cortile Cattano, e, secondo gli storici locali, un edificio addirittura precedente si sarebbe trovato presso Porta Palermo, mentre uno posteriore vicino all'attuale chiesa di San Leonardo[33].

Nel 1443 re Alfonso ordinò ai propri funzionari, che si opponevano, di mettere in atto il privilegio concesso agli ebrei di ampliare le proprie sinagoghe. La comunità ebraica si era, infatti, lamentata del fatto che i funzionari stessi avessero interpretato tale privilegio solo nel senso dell’altezza degli edifici: in questa occasione il re precisò, dunque, che l’ampliamento riguardava non solo l’altezza, ma anche la lunghezza e la profondità[34].

Il 28 marzo 1447 lo stesso sovrano concesse, poi, a David di Minahem da S., detto lo Russo, il permesso di stabilire una scola seu studium sui legis videlicet Iudeorum, ovvero una yeshivah[35]. A S. furono, inoltre, copiati nel 1439 il Pentateuco e le Aftaroth da David b. Aron per Levi b. Ioseph[36].

Notizie sull’esistenza di un cimitero ebraico a S., infine, ci vengono da un contratto notarile del 21 dicembre 1492 e la Rocca di San Paolo, a strapiombo sul mare, è stata indicata spesso come il sito in cui esso si trovava[37]. Tutta la proprietà comunitaria fu venduta al momento della cacciata dall’isola (1492).

 

 

 

 


[1] Simonsohn, Jews in Sicily, Doc. 548.

[2] Ivi, Doc. 1542.

[3] Gerardi-Scandaliato, La giudecca di Sciacca, p. 9.

[4] Simonsohn, Jews in Sicily, Doc. 1593, 4168; Gerardi-Scandaliato, La giudecca di Sciacca, p. 14.  

[5] Simonsohn, op.cit., Doc. 2224.

[6] Ivi, Doc. 543, 570, 577.

[7] Gerardi-Scandaliato, op. cit., p. 16.

[8]Simonsohn, op.cit., Doc. 4975, 5007; Gerardi-Scandaliato, Note sugli ebrei di Sciacca, p. 224.

[9] Simonsohn, Jews in Sicily, Doc. 5725, ecc.  

[10] Gerardi-Scandaliato, Note sugli ebrei di Sciacca, pp. 227s.

[11]Simonsohn, Jews in Sicily, Doc. 5766; Gerardi-Scandaliato, Note sugli ebrei di Sciacca., ivi; Zeldes, The Former Jews of this Kingdom, passim.

[12] Simonsohn, Jews in Sicily,  Doc. 990.

[13] Ivi, pp. 6537, 7146, 7147, 7338.

[14] Ivi, pp. 6875, 6896, 7025.

[15] Gerardi-Scandaliato, Note sugli ebrei di Sciacca, p. 227.

[16] Simonsohn, Jews in Sicily, vol. 7, doc. 4387.

[17] Gerardi-Scandaliato, La Giudecca di Sciacca, pp. 11, 23.

[18] Simonsohn, Jews in Sicily, Doc. 1584.

[19]Ivi, Doc. 1581.

[20] Ivi, Doc. 1677.

[21] Ivi, Doc. 1652.

[22] Gerardi-Scandaliato, La Giudecca di Sciacca, p. 21.

[23] Simonsohn, Jews in Sicily, vol. 18, cap, 4.

[24]Ivi, Doc. 1722.

[25] Ivi, Doc. 1739.

[26] Ivi, Doc. 2277, 2285, 2322, 2344, 2499, 2512, 2590, 2620, 2660, 2721, 2801, 2838, 2876, 2947, 2955, 3135, 3278, 3282, 3551, 3640, 3669, 3721, 3732.

[27] Gerardi-Scandaliato, La Giudecca di Sciacca., p. 14.

[28] Simonsohn, Jews in Sicily, Doc. 3977.

[29] Ivi, Doc. 2772.

[30] Ivi, Doc. 3029, 3046, 3127, 3666.

[31] Ivi, Doc. 3327.

[32] Ivi, Doc. 750.

[33] Gerardi-Scandaliato, La Giudecca di Sciacca, p. 9.

[34] Simonsohn, Jews in Sicily, Doc. 2711.

[35] Simonsohn, Jews in Sicily, vol.5, doc. 2855.

[36] Roma, Comunità Israelitica 287, Sfar Data E551.

[37] Scandaliato, I cimiteri ebraici di Sciacca e Caltabellotta, p. 15 e segg.

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