Savigliano

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Savigliano

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Savigliano - Savilianum Cittadina della provincia di Cuneo situata sulla sponda destra del torrente Maira.

Dal 1349 al 1536, il comune, firmando patti di dedizione alla presenza di Giacomo d'Acaia, procuratore di Amedeo VI, fu retto dai Savoia. Tra il 1434 e il 1436, l'Università degli studi di Torino fu trasferita a S. con bolla di approvazione di papa Eugenio IV. Da 1536 al 1559 fu dominio della casa di Francia, alla quale ritornò nuovamente nel 1562 fino al 1574, per il trattato di Fossano, dopo un breve interregno sabaudo. Dalla fine del XVI secolo fino al 1798 i Savoia dominarono la città, anno in cui le truppe rivoluzionarie francesi occuparono la città. Nel 1815, con il congresso di Vienna tornò definitivamente in potere di casa Savoia.[1]

S. fu, insieme a Torino, una delle comunità più antiche di tutto il Piemonte. Nel 1384, infatti, Amedeo VI, duca di Acaia concesse ai fratelli Lupo di Asti il privilegio di aprire un banco feneratizio nella cittadina. Nel 1404, il duca decise la chiusura del banco, per la violazione del contratto. Ai primi del '400 due mebri della famiglia Foa, Abramo ed Amedeo si stabilivano a S., intraprendendo un'intensa attività commerciale e finanziaria. Questo primo nucleo ebraico si fece, nel XV secolo, più consistente e le sue attività economiche si ampliarono e si diversificarono. Gli ebrei delle città oltre che svolgere l'attività feneratoria, si occupavano anche del commercio di prodotti agricoli, della coltura di vigneti e frutteti, e dell'allevamento di bestiame.[2]

I banchi di prestito

Nel 1575, la città di S., dopo essere stata riannessa alla Savoia, chiedeva al duca Emanuele Filiberto che Giuseppe Treves fosse confermato come il solo conduttore del banco feneratizio locale. Il duca, oltre concedere il privilegio al Treves fosse il solo candidato, invitava Jacob Mazaod, Ruy Lopes e Paulo Lopes, un gruppo di ebrei portoghesi residenti a Ferrara, che aprirono dei banchi di prestito in città, pagando un introito di 1200 scudi d'oro e un censo annuale per dieci anni di 120 scudi d'oro. Nel 1583, Carlo Emanuele I, in contrasto con la posizione del Papa verso gli ebrei di origine portoghese, confermava ai fratelli Ruy e Giuseppe Lopes, insieme a Moise Mazaod, la concessione di un banco feneratizio a S. per altri dieci anni, aggregandoli alle comunità ebraica con tutti i privilegi di cui godevano gli ebrei della cittadina e del resto dei suoi domini. Nella concessione ducale del 1596, sulla base di quella del 1582, veniva rinnovato dal duca a Emanuele Lattes il privilegio di un banco di prestito a S. Sempre nello stesso anno il duca concedeva ai fratelli Alessandro e Tranquillo Lattes di spostare il loro banco di prestito da Cavour a S., dove essi risiedevano. Nel 1597 Emilio Treves riceveva dal duca il permesso di spostare il suo banco di prestito da Vigone a S. Il banchiere, insieme al suo agente Leone Segre, pagava al tesoriere generale 40 ducatoni. Nel 1598 il cardinale camerlengo garantiva ad Alessandro Lattes una condotta decennale per un banco feneratizio a S. Le lettere patenti del 1603, firmate dalla principessa Margherita a nome del duca ed emesse a favore dei banchieri ebrei che esercitava negli stati sabaudi, concedevano a Isacco Momigliano, e al suo socio Fabio Treves, e ai fratelli Salomone e Leone Avigdor di Barge di stabilirsi nella cittadina e di aprirvi dei banchi di prestito. Secondo la concessione del 1624, dei banchieri ebrei e delle località in cui avevano banchi, erano attivi a S. 4 banchi di prestito suddivisi tra i fratelli Avigdor, Giuseppe Treves e Isac Momigliano, Emanuele Lattes, Alessandro Lattes e i suoi nipoti. Nel 1660, i fratelli Avigdor acquistavano da Isac Lattes la terza parte del suo banco di S., per poi venderlo a Israel Giuseppe Segre nel 1671. Nel 1679, Emanuele Lattes vendeva ai fratelli Colombo il suo banco feneratizio. Questi trasferimenti trovavano conferma nelle due lettere patenti del 1730 e del 1736. Nel 1797, veniva garantito a Moise Anselmo Segre dal duca il privilegio di un banco di prestito in citt…. Alla fine del XVIII secolo, dei quattro banchi locali che figuravano nella concessione ducale del 1624 soltanto quello posseduto dal Segre era rimasto attivo.[3]

Vita comunitaria

Come accennato sopra, i fratelli Abramo e Amedeo Foa oltre ad essere i primi ebrei di S., possono essere considerati tra i fondatori della comunità ebraica piemontese. Abramo Foa era anche medico ed esercitava la sua professione anche fuori dai confini della città. Egli, era insieme al fratello, una delle personalità più in vista di questa piccola comunità. Quando, per esempio, nel 1409 venne approvato un emendamento che proibiva agli ebrei di vendere ai cristiani carne da loro macellata, fu grazie all'intervento di Abramo che il duca annullò il decreto. Un altro membro illustre della comunità era David Cohen. Le relazioni tra il suo clan familiare e quello dei Foa non furono sempre pacifiche e le tensioni si manifestarono nelle continue richieste all'autorità civile di intervenire per porre fine a conflitti che non potevano essere risolti all'interno della comunità. Nel 1429, gli ebrei di S., a nome di tutti gli ebrei residenti in Piemonte pagavano 5 fiorini per l'affissione del decreto ducale che estendeva le condotte e i privilegi loro garantiti dal predecessore di Amedeo VIII. Risulta difficile ricostruire la vita comunitaria interna. Dagli statuti ducali del 1430 sappiamo che era concesso agli ebrei esercitare il loro culto liberamente, avere un cimitero proprio e tenere dei libri sacri. Dovevano inoltre risiedere in un quartiere separato, i cui cancelli erano chiusi la notte; portare un segno distintivo bianco e rosso e essere soggetti alla legge come i cristiani. Potevano servirsi di domestici cristiani, ma era proibito a quest'ultimi abitare nelle loro case. Gli statuti ducali del 1430 definirono la posizione giuridica degli ebrei di S., come del resto dei domini sabaudi. Questo fondamenmtale testo legislativo che rimase in uso fino al 1723, anno di pubblicazione delle Regie Costituzioni di Emanuele Filiberto. Le Regie Costituzioni fissarono, tenendo presenti i precedenti privilegi concessi agli ebrei residenti nei domini sabaudi, una serie di regole che ordinavano la cvita interna della comunità e la sua attività economica. Esse stabilirono la creazione di un ghetto per gli ebrei, e l'uso di un segno distintivo. Inoltre prevedevano, tra l'altro, che nuove sinagoghe non fossero costruite e che gli ebrei non venissero offesi nelle loro persone e nei loro beni. La figura del Conservatore degli ebrei, il giudice che si occupava degli affari ebraici, così cara ai precedenti duchi, fu sostituita da deputati interni alla comunità. Ci furono casi di conversione al cristianesimo nella comunità ebraica di S. verso la fine del XVIII. Nel 1778, infatti, l'ebreo Zaccaria Treves chiedeva formalmente all'autorità ecclesiastiche di venire battezzato. Gli ebrei di S. furono divisi, come i cristiani, in due categorie: coloro che pagavano la tassa sul sale e i

"poveri". Nel 1788 gli ebrei "poveri" di S. erano 28, 9 famiglie in tutto.[4]

Il ghetto

Un vero e proprio ghetto fu stabilito a S. nel 1724, dopo la pubblicazione delle Regie Costituzioni di Emanuele Filiberto nel 1723. Il luogo scelto per la sua ubicazione fu la Piazza Vecchia, che era posta di fronte alla Piazza Nuova. Nel 1772, si decise di spostare il ghetto vecchio nella parte delle fortificazioni della città, nel luogo del Bastione in contrada Pertusio. In un memorandum sottoposto al segretario ducale l'Università del Piemonte, della quale faceva parte S., sosteneva che la sistemazione degli ebrei nel nuovo ghetto di S. doveva prevedere una risistemazione degli edifici e la ricostruzione della sinagoga. Inoltre il luogo prescelto era considerato troppo angusto e non sufficiente per contenere anche gli ebrei di Racconigi e delle località vicine intorno a S.[5]

Cimitero

Il cimitero della comunità ebraica di S. era in borgo Macra,come risulta da un documento del 1787 nel quale i fratelliSalvatore, Elia e Donato Segre, Samuele Segre e Glaudio Segre, le cui famiglie possedevano da generazioni il cimitero ebraico della città, domandavano e ottenevano dal consiglio della città di poterlo chiudero con un cancello, poichè usato come nascondiglio per refurtiva e per il pascolo del bestiame.[6]

Demografia

Dai dati ricavati dal censimento ordinato da Emanuele Filiberto nel 1761, risiedevano a S. 116 ebrei distribuiti in 23 famiglie. Nel censimento napoleonico del 1808 risiedevano a S. 33 famiglie ebraiche, 160 persone, le cui occupazioni erano: 13 negozianti, 6 facchini, 9 stracciaroli e il resto era rappresentato da domestici, casalinghe e sarte.[7]

Bibliografia

Colombo, D., Il ghetto di Savigliano. RMI XXXIX (1973), pp. 58-61; Foa, S., Banchi e banchieri ebrei nel Piemonte dei secoli scorsi. RMI XXI (1955), pp. 38-50, 85 - 97, 126 - 136, 190-201, 284-297, 325-336, 471-486, 520-535; Gabotto, F., Israeliti in Savigliano nei primi decenni del seco. XV. V.I., 1917; Gabotto, F., Bonafede di Chalon e gli Israeliti in Savigliano, dal 1430 al 1447. V.I., 1918; Segre, R., The Jews in Piedmont. Jerusalem 1986–1990. (A Documentary History of the Jews of Italy, 1-3), 3 vols.; AA.VV., Savigliano. E.I. sub voce, XXX, pp. 922-923.


[1]     AA.VV., Savigliano, pp. 922-923.

[2]     Segre, R., The Jews in Piedmont, I, Introduction.

[3]     Foa, S., Banchi e banchieri ebrei nel Piemonte dei secoli scorsi, II, pp. 86-87, p. 95, IV, p. 193, VII, pp. 477-478, p. 479, VIII, pp. 525-527, pp. 531-532; Loevinson, Banques de prêts, p. 25; Segre, R., op. cit., I, docs. 1185-1187, II, docs. 1639, 1645, 1648, 1664, 1676, 1705, 1754, 2000, 2040, III, docs. 3169, 3248, 3459, 3462.

[4]     Colombo, D., Il ghetto di Savigliano, pp. 58 - 61; Segre, R., op. cit, I, docs. 56, 60, 69, 73-76, 84, 93, 117, 129, 173, 198, 200-203, 213, 232-234, 243-246, 248, 252, 263, 275, 281, 283, 288, 290, 293, 296, 298, 322, 337, 523, 524, 531, 976, II, docs. 1639, 1645, 1906, 2638, III, docs. 3412.

[5]     Colombo, D., op. cit., ibidem; Segre, R., op. cit., I, Introduction, doc. 88, III, docs. 3222, 3244, 3247, 3250-3253, 3265, 3274.

[6]     Segre, R., op. cit. III, doc. 3371.

[7]     Colombo, D., op. cit., ibidem; Segre, R., III, docs. 3150, 3253, 3274, 3376, 3412.

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