Saluzzo

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Saluzzo

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Saluzzo, Salucia, città del Piemonte in provincial di Cuneo, situata a nord-est, tra la Valle del Po' e le Valli della Bronda e della Varaita. Dal 1142 alla fine del XVI secolo, la città fu la capitale dell'indipendente Marchesato di Saluzzo. A lungo conteso dalla Francia e dalla Savoia, nel 1548, Enrico II, re di Francia sottomise la città alla sua signoria. Nel 1588, il duca di Savoia Carlo Emanuele I, approfittando delle difficoltà in cui versava la Francia, occupava il marchesato. La nuova conquista territoriale fu sancita nel 1601 dal trattato di Lione, quando la Francia riconobbe il dominio dei Savoia su S., ricevendo in cambio le terre al di là del Rodano. Occupata dalle truppe napoleoniche alla fine del XVIII secolo, ritornò, nel 1815, con la Restaurazione a fare parte dei domini sabaudi.[1]

Il marchesato di Saluzzo nel XV secolo era legato alla casa Savoia da legami di vassallaggio. Per questo nel 1469 Amedeo IX estendeva la legislazione ebraica del Piemonte anche alla capitale del Marchesato e alle cittadine più piccole. Si conoscono i nomi di alcuni ebrei residenti a S. in questo periodo: Moise, che era un commissario ducale, a cui il duca affidò il compito di investigare il correligionario Raffaele May accusato di essersi indebitamente appropriato di tasse pagate dagli ebrei del Piemonte; Name Cohen, che si trasferì da Savigliano a Saluzzo, al cui figlio David fu revocato dal duca un decreto di sequestro della casa che si trovava nel centro della cittadina; l'ebreo Samuele che doveva del denaro a Mosè di Tortona, il quale sosteneva che alcune proprietà del Samuele erano nelle mani di Giuseppe da Lodi e chiedeva al duca di ordinarne il sequestro affinchè il suo debito fosse pagato. Il duca decise che la risoluzione della questione fosse definata dal podestà di Lodi a favore di Mosè e solo nel caso di problemi di rivolgersi all'uditore ducale. Sappiamo inoltre che nel 1484, il marchese Ludovico, a nome del duca, bandiva gli ebrei da Piasco, un comune vicino a S., dopo aver accordato loro il permesso di stabilirvisi dietro pagamento di 100 fiorini.[2]

I banchi di prestito

Nel 1588, anno della conquista sabauda esistevano a S. alcuni conduttori di banchi: i fratelli Vita e Gratiadio di Angelo Treves; Alessandro Viterbo; Gratiadio di Mosè Treves; gli eredi di Isacco Cavaglion, nella figura del loro agente Giuseppe Ottolengo. Questi banchieri ottenevano nel 1589, dal duca Carlo Emanuele I una conferma provvisoria dei loro privilegi, già avuti dal re di Francia. Nel 1590, con la Duchessa Infanta Caterina, temporanea reggente del ducato, la conferma diventava definitiva, salvo che il tasso degli interessi doveva essere ridotto al 18% come nel resto dei domini sabaudi. Essi potevano esercitare qualsiasi tipo di commercio e vendendo a credito, richiedere interesse. Si concedeva inoltre l'assoluzione generale da ogni imputazione, che non fosse seguita da sentenza. Potevano portare armi ma solo durante i viaggi. Uguale fu il testo dei capitoli accordato ad ognuno dei banchieri, la sola differenza consisteva nel contributo in denaro che ciascuno avrebbe pagato. I due fratelli Treves ed Alessandro Viterbo pagarono 50 scudi e un censo annuale di 20; Gratiadio di Mosè Treves contribuì con 25 scudi e un censo annuo di 10; gli eredi Cavaglion per mezzo del loro agente Giuseppe Ottolengo versarono 100 scudi di introito e 15 di censo. In questi anni il banchiere Vita Treves si era rovinato per avere imprestato 2.000 ducatoni su gioielli garantiti dal duca. Solo dopo undici anni il debito fu restituito alla vedova del Treves ormai ridotta in miseria con sette figli.

Alessandro Viterbo, invece, smise di condurre uno dei banchi della città, pur conservando la facoltà di fare prestiti, ed intraprese la professione di sarto. Alla fine del XVI secolo nuove famiglie di banchieri giunsero nella capitale del Marchesato. Nel 1598 i banchi feneratizi di S. erano gestiti da Giuseppe Calvo, che sostituiva nella conduzione Gratiadio Treves di Mosè, e David Calvo. Contro il primo fu lanciata l'accusa di marranesimo, dalla quale si salvò pagando 100 ducatoni alle casse ducali. Li verso תed ottenne il diritto di fare entrare nella città un'altra famiglia ebrea. Nel 1603 i banchieri di S. come quelli del resto del Marchesato ricevevano gli stessi privilegi di cui godevano i conduttori dei banchi dell'Università del Piemonte, ma soltanto nel 1610 essi furono formalmente associati ad essa. Nella concessione ducale dello stesso periodo figuravano come banchieri in città la famiglia di Giuseppe Calvo, Giuseppe Segre e Sabato Viterbo. Nel 1610 Leone Segre, figlio di Giuseppe conduceva il banco feneratizio a S., al quale il duca assegnò nel 1616 il banco che si era riservato nel privilegio generale concesso agli ebrei di S. nel 1611. Nella concessione del 1624, i conduttori dei banchi erano sempre gli eredi di Giuseppe Calvo, David Calvo e Semtov Mazaod, quest'ultimi con banchi di prestito a Carmagnola. Brevi passaggi di condotta dei banchi furono ottenuti da Isac Diena, banchiere a Revello, su due banchi di S.: uno nel 1590 gli era stato ceduto dalla vedova di Vita Treves e l'altro, successivamente, da Sabato Viterbo.[3]

Il Ghetto

Prima del 1705, gli ebrei di S. vivevano sparsi per la città: Carlo Morozzo Giuseppe, il vescovo che risiedeva nella capitale, insieme al governatore, il conte Rovero, provò con vani tentativi a segregarli. Soltanto dopo la pubblicazione delle Regie Costituzioni del 1723, gli ebrei furono confinati nel 1724 in un ghetto. Esso era posto nel peggiore quartiere della città, le porte d'accesso rimanevano chiuse di notte e vigilate da guardie pagate dalla comunità. Nessun ebreo, dopo una certa ora al tramonto, poteva rimanere fuori dal ghetto e all'interno di esso non poteva rimanerci nessun cristiano. Gli ebrei erano costantemente minacciati e oggetto di aggressioni e di scherno, quando uscivano fuori dal ghetto. L'ultimo ghetto a S. fu istituito nel 1795. Con l'abdicazione di Carlo Emanuele IV, nel 1798, con l'arrivo delle truppe francesi, il ghetto fu abolito. Nella vita del ghetto il primo posto era tenuto dal Tempio, o come veniva definita, Scuola. Esso occupava la parte superiore dell'edifico nel quale abitava la comunità, poiche' secondo le regole ebraiche, non era permesso che avesse sopra di sè alcuna sopraelevazione. La sinagoga della comunità di S. fu ricostruita ex novo nel 1732, come è dichiarato in una nota conservata in un registro dello Stato civile della Comunità della prima metà del XVIII secolo.[4]

Vita comunitaria

Dal 1590 gli ebrei del Marchesato di Saluzzo erano divenuti sudditi del duca. Sin dall'inizio fu sua intenzione equiparare il loro status a quello degli ebrei piemontesi. I privilegi ducali del 1598 furono perciò estesi anche agli ebrei del Marchesato, che furono posti, come gli altri, sotto la giurisdizione del Conservatore degli ebrei. Nel 1616, la comunità di S. fu unita per lettere ducali

all'università del Piemonte. Tutti gli ebrei maschi dovevano portare una fascia gialla di lana o di seta sopra il braccio destro, in modo visibile. Tale prescrizione riguardava gli ebrei dimoranti in città, e non quelli che erano in viaggio, inoltre venivano esentati dal distintivo i capi dell'Università, gli ebrei più ricchi e più benemeriti. Nel 1724, gli ebrei di S. si costituirono in comunità religiosa. Nel 1795 nove membri della comunità si accordarono per costituire la confraternita di "Talmud-Torà", retta da uno statuto di tredici articoli. Lo scopo della nuova associazione era la lettura quotidiana, nelle ore vespertine, di opere teologiche e morali. Nel 1799, due articoli venivano aggiunti allo statuto: uno riguardava le letture sacre e l'altro la sovvenzione economica alle ragazze di famiglie disagiate che desideravano sposarsi. La carità non era trascurata, i membri svolgevano opera di assistenza comunitaria in caso di gravi infermità e malattie. Accanto a questa confraternita, troppo piccola per supplire a tutti i bisogni della comunità, sorgeva nel 1802 un altro ente, la "Confraternita della Misericordia". Le letture sacre vennero continuate ma limitate ai giorni festivi, anche se lo scopo precipuo dell' associazione fu la beneficenza e la carità. Ogni maschio adulto della comunità poteva farne parte, e tutti, ricchi e poveri, dovevano portare conforto ai fratelli in caso di malattia o disgrazie, prestare assistenza ai moribonda e occuparsi dei morti. Vale la pena di menzionare un fatto di sangue che sconvolse agli inizi del XVIII secolo la comunità ebraica di S. Verso il 1620, Leone Segre, figlio di Giuseppe, conduttore di un banco nella città fu ucciso misteriosamente. Non furono mai trovati i responsabili dell'omicidio e sospettati alcuni membri della comunità ebraica. I notabili della comunità allora cercarono, offrendo 50.000 ducatoni per l'esercito, di ottenere dal duca Carlo Emanuele I un'abolizione generale. Egli concesse la grazia, ma escluse da essa i principali sospetti e cioè Salamone Foa, Ventura Laude e Giosuè Segre. Fu richiesto ancora una volta un generale perdono ducale e la comunità ebraica offrì 20.000 ducatoni affinchè sia per l'assassinio del Segre e sia per altri delitti nessuno dei suoi membri avesse più da subire molestia. Il duca concesse la grazia, stabilendo la quota che ciascuno avrebbe dovuto pagare e la modalità del versamento della somma imposta.[5]

Cimiteri

La comunità di S. ebbe tre cimiteri. Del primo non è stata accertata l'ubicazione; il secondo era posto sulla strada di S. Nicolao - l'attuale strada di Pagno; il terzo fu creato nel 1799 in via Lagnasco. Gli ebrei avevano acquistato il terreno dalla Curia nel 1795 per 2.200 lire nuove del Piemonte.[6]

Demografia

Difficile stabilire con esattezza il numero degli ebrei a S. nel XV secolo. Una valutazione approssimativa afferma che in tutto il marchesato verso il 1550 risiedevano circa 100 ebrei. Bisogna aspettare il censimento di Carlo Emanuele III nel 1761 per avere un computo preciso della presenza ebraica nella cittadina. A questa data risiedevano a S. tredici famiglie ebraiche per un totale di 68 persone. Nel 1767 abitavano a S. 90 ebrei. Nel 1774 la comunità ebraica saluzzese contava 101 anime. Nel censimento napoleonico del 1806 la comunità ebraica era composta da 23 famiglie con 140 persone.[7]

Bibliografia

Foa, S., Banchi e banchieri ebrei nel Piemonte dei secoli scorsi. RMI XXI (1955) pp. 324-336, pp. 471-485, pp. 520-535; Foa, S., La politica economica della casa Savoia verso gli ebrei dal secolo XVI fino alla rivoluzione francese. Il porto di Villafranca (Nizza) RMI XXVII-XXVIII (1961-1962); Rabello, A., Saluzzo. E.J., XIV; Segre, R., The Jews in Piedmont. Jerusalem 1986–1990 (A Documentary History of the Jews of Italy 1-3) 3 vols.; Segre, V., Cenni storici sulla comunita ebraica di Saluzzo. RMI XVII (1971), pp. 500-513; Servi, F., Cenni storici sulla comunità israelitiche italiane. Saluzzo. Corriere Israelitico VI (1867–1868); Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan. Jerusalem 1982–1986. (A Documentary History of the Jews of Italy 1-4) 4 vols.; AA. VV., Saluzzo. E.I., XXX.


[1]     AA. VV., Saluzzo, pp. 571-573.

[2]     Segre, R., The Jews in Piedmont, vol. I, docs. 724, 764, 343; Simonsohn, S., The Jews in Duchy of Milan, vol. I, doc. 564; Segre, V., Cenni storici sulla comunità israelitica di Saluzzo, pp. 500-501.

[3]     Foa, S., Banchi e banchieri ebrei nel Piemonte dei secoli scorsi, pp. 325-336; pp. 471-485; pp. 520-535; Segre, R., op. cit., vol. I, Introduction, IX-XCX; vol. II, docs. 1471-1472, 1481, 1517, 1522, 1679, 1761, 1861; Segre, V., op. cit., pp. 500-513.

[4]     Rabello, A., op. cit., p. 714; Segre, V., op. cit., pp. 500-513.

[5]     Rabello, A., Saluzzo, p. 714; Segre, R., op. cit., vol. I, Introduction, IX-XCX; Segre, V., op. cit., pp. 500-513; Servi, F. Cenni storici sulle comunità israelitiche italiane, pp. 278-280.

[6]     Rabello, A., op. cit., p. 714; Segre, V., op. cit., pp. 500-513.

[7]     Foa, S., La politica economica di casa Savoia, pp. 117-164; Segre, V., op. cit., pp. 500-513; Segre, R., op., cit., III, doc. 3260.

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