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Norcia (נורצ'ה), in Umbria nella provincia di Perugia. Corrisponde all’antica città sabina di Nursia; in seguito ricevette la cittadinanza romana. Secondo la divisione regionale rinascimentale, N. risultava parte del ducato di Spoleto.
Un cenno relativo alla presenza ebraica a N. si inferisce da un documento del 1384, da cui si apprende che, date le serie difficoltà economiche in cui versava il Comune di N., il Consiglio Generale si riuniva per risolvere il problema e, su proposta di un consigliere, deliberava che i consoli provvedessero a prendere a prestito il denaro dagli Ebrei che risiedevano a N. e, in caso non bastasse, dai cittadini più abbienti.[1]
Due anni più tardi, il Consiglio Generale della città veniva convocato e il frate Francesco da Sarnano, maestro di grammatica, leggeva gli Statuti e gli ordinamenti di recente stilati. Tra gli altri argomenti, i consiglieri dovevano esprimere il loro parere su un Capitolo degli Statuti che proibiva ai cristiani di prestare denaro o beni agli Ebrei e di vendere la loro merce a credito. Inltre, i consiglieri dovevano approvare il primo Capitolo degli Statuti, dedicato all’usura e agli usurai. I Capitoli in questione venivano approvati all’unanimità.. Nello stesso anno il Consiglio Generale si riuniva per discutere super facto Iudeorum e, in particolare, per esaminare il VI Capitolo dei nuovi Statuti di N., che proibiva agli Ebrei di fenerare percependo un interesse superiore al 12% annuo, per i prestiti dell’entità di un fiorino almeno; tuttavia, dato che nel Capitolo in questione non si prendevano in considerazione i prestiti di entità inferiore a un fiorino, il Consiglio Generale era chiamato a prendere posizione in materia, per evitare difficoltà alla popolazione locale. Posto che, presumibilmente per le severe disposizioni che regolavano il prestito, gli Ebrei di N., sembra avessero interrotto l’attività feneratizia in città, il Consiglio Generale tornava sulle sue posizioni e giungeva a deliberare che gli Ebrei fossero tenuti a prestare all’interesse del 30% annuo per prestiti inferiori a un fiorino.[2]
Un ulteriore cenno agli Ebrei di N. è contenuto in un documento del 1416, da cui si apprende che i feneratori
di N. sopperivano al fabbisogno creditizio della popolazione spoletina, posto che i feneratori di Spoleto, costretti a praticare un interesse troppo basso e, pertanto, non redditizio, avevano sospeso al loro attività. Dati i disagi cui andava incontro la popolazione dovendosi spostare sino a N., il consiglio Generale di Spoleto prendeva provedimenti più favorevoli agli Ebrei spoletini.[3]
Nello stesso anno risulta che il rettore del ducato, Marino Tomacelli, aveva preso a prestito una cifra dai feneratori Elia di Angelo e Angelo di Elia, impegnando alcuni oggetti d’argento di sua proprietà, che sembravano essere stati depositati nei banchi degli Ebrei di N. Gli eredi del Tomacelli, rivolendo indietro gli argenti, insistevano presso il Comune di Spoleto perché li riscattasse.[4]
Nel 1432, il Comune di N. concedeva una condotta decennale agli Ebrei che vivevano in città.
Sei anni più tardi, i consoli di N. , dovendo pagare la fanteria che difendeva “ le castelle de Norsia”, costringevano gli abitanti della città e del contado a prestiti forzati, richiedendo agli Ebrei di N. un prestito di 100 fiorini.
Nel 1442, i consoli annullavano la decisione, presa nel 1433, di esentare gli Ebrei cittadini dall’obbligo del segno e di permettere loro di fare il vino, secondo le loro usanze rituali. Pochi giorni dopo, in seguito alle misure restrittive appena prese, il Comune e il popolo di N. proibivano agli Ebrei di continuare ad avere la loro sinagoga e ai macellai cristiani di macellare la carne secondo l’uso ebraico.
Un paio di mesi dopo, tuttavia, in seguito alle proteste degli Ebrei, che tali provvedimenti erano in contrasto con le clausole della condotta stipulata nel 1432, e tuttora in vigore, le autorità cittadine li revocavano.
Un cenno alla continuità della presenza ebraica nella città si ha in un documento del 1461, da cui risulta che Elia di Manuele di Magister Salomone si era trasferito a N., lasciando Perugia; dopo sedici anni di silenzio, un documento del 1477 attesta che i consoli cittadini, con il consenso degli Ebrei residenti in città avevano deciso di concedere a Manuele di Magister Gaio il permesso di fenerare, alle stesse condizioni stipulate con gli altri feneratori ebrei a N.[5]
L’anno seguente, in seguito alle proteste degli Ebrei contro l’obbligo del segno, per cui erano fatti oggetto di continue molestie ed insulti, il Consiglio di N. si riuniva, giungendo alla decisione di trovare il modo di esonerare gli Ebrei da tale forma di discriminazione, posto che “ipsi hebrei sunt comunis filli boni”.[6]
Tuttavia, il comitato cittadino, eletto per mettere in pratica il provvedimento contro l’obbligo del segno, decideva diversamente e stabiliva di confermare tale obbligo, sostenendo che gli Ebrei di sesso maschile e femminile dovevano portare una rotella di colore verde o giallo “in omnibus vestibus et pannis et cappis, tunicis, palliis sive mantellis, supra cinturam et eam partem ubi cingi quisque solet a sinistra parte pectoris”. [7]
Nel 1483, Francesco Sisti da Foligno, commissario di papa Sisto IV per l’esazione della vigesima dagli Ebrei, riceveva 192 fiorini papali da Abramo di Abramo, feneratore a N., per venire incontro ai bisogni della Camera Apostolica.[8] Il prestito fatto da Abramo alla Camera Apostolica avrebbe dovuto essergli restituito alla fine del febbraio seguente e il mercante Antonio Mazzanti di Foligno, garante per il rimborso del prestito, ipotecava le sue proprietà in favore di Abramo; la penale in caso di mancato pagamento sarebbe stata di 400 fiorini.[9]
Qualche anno più tardi, veniva menzionato in un documento Manuele di Abramo, residente a N. Poco più di una ventina d’anni dopo (1509), il Comune di N. concedeva un salvacondotto, per un mese, ad Angelo di Salomone da Cascia, perché commerciasse, con uno o due soci, in città e nel contado. Dopo questo cenno a una sporadica presenza ebraica, non si trova più menzione di Ebrei nei documenti relativi a N.[10]
Nel 1515 Raphaele Riario, camerlengo papale, commandava gli ufficiali in undici località nel ducato di Spoleto ed il territorio specialis commissionis, di costringere gli ebrei ivi residenti, compresi quelli a N., di pagare la loro quota per la tassa del carnevale a Roma se chiesto da Gabriele di Abramo da Bevagna, tesoriere degli stessi ebrei.[11]
Numerosi ebrei oriundi da N., portando il nome d'origine in forma Norsa, si trovano nell'Italia settentrionale dal '400 in poi. Furono tra loro banchieri, rabbini e dotti.
Bibliografia
Toaff, A., The Jews in Umbria, 3 voll. Leiden, New York, Köln 1993-1994.
[1] Toaff, The Jews in Umbria, doc. 323..
[2] Ivi, docc. 461, 475.
[3] Ivi, doc. 724.
[4] Ivi, doc. 730.
[5] Ivi, docc. 844, 933, 1007, 1008, 1012, 1325, 1742.
[6] Ivi, doc. 1751.
[7] Ibidem.
[8] Ivi, doc. 1828. Su Angelo da Foligno, convertitosi assumendo il nome di Felicianus Francisci Sixti de Bassis, v. doc. 1722; cfr. Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, History, pp. 437-438. Su Abramo si ved. ivi, Doc. 1146.
[9] Toaff, The Jews in Umbria, doc. 1830.
[10] Ivi, docc. 1942, 2208.
[11] Simonsohn, op. c it., Doc. 1239.