Agropoli

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Agropoli

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In provincia di Salerno, su un promontorio alla sinistra della foce del fiume Testene. Nel 1443 era tassato insieme con i suoi casali  per 201  fuochi, nel 1494 per 246.

Una compagnia bancaria costituita dai fratelli Gabriele e Vitale de Salamone si trasformò in monopolio decennale a favore esclusivamente di Vitale. Questi infatti, godendo la protezione del principe di Salerno Antonello Sanseverino, indusse il fratello a sottoscrivere uno strumento di divisione della compagnia  e a obbligarsi per dieci anni a non  rientrare nella città per esercitarvi il credito o altri affari. Cessato il dominio del Sanseverino con la fallita congiura dei baroni (1485), Gabriele denunziò la forzata estromissione e ottenne nel marzo 1487 di potere ritornare ad Agropoli e svolgervi liberamente i suoi negozi[1].

Nel 1489 le autorità di Agropoli tentarono di sottoporre a tassazione il bestiame posseduto dal Vitale. Ma poiché egli già pagava per lo stesso bestiame quanto doveva, secondo un apprezzo eseguito dai giudei locali, la Camera della Sommaria  ordinò di non dargli molestia[2]. Il tentativo nasceva forse da qualche incrinatura sul piano della tolleranza. Nel 1488, infatti, i macellai cristiani  si erano rifiutati di vendere la carne ai giudei, i quali ricorsero all’autorità centrale, che affermò il loro diritto ad acquistare quanta carne volevano. La Camera della Sommaria fu costretta ad intervenire di nuovo sulla stessa materia nel 1492, su querela di Salvidio de Salamone di Salerno.  Avendo questi denunziato che il rifiuto dei macellai era dovuto a pressioni di alcuni privati cittadini di Agropoli, la Camera comminò sia a questi che ai macellai una multa di 25 once[3].


[1] Ferorelli, Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 144; Silvestri, Il commercio a Salerno, p. 32, Id., Gli ebrei nel regno di Napoli, p. 48.

[2] Colafemmina,  Documenti per la storia degli ebrei in Campania (I), p. 36, doc. 5.

[3] Colafemmina, ib., p. 35, doc. 4, ib., (IV), pp. 24-25, doc. 8.

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