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Riva di Trento (Riva del Garda) ריווה))
Provincia di Trento, Sita sul lago di Garda, e già nota in epoca romana, si trova menzionata nel 983 in un diploma di Ottone III come curtis regia affidata ai vescovi di Verona. Aggregata al principato di Trento nel 1027, nel 1274 ebbe un proprio statuto e dal 1349 al 1380 fu impegnata agli Scaligeri. Passò, poi, in mano dei Visconti, sino al 1402 ed in seguito andò ai Veneziani che la ressero dal 1441 al 1509, quando fu restituita al vescovo di Trento, sotto il cui dominio restò per tutto il periodo in cui vi è registrata una presenza ebraica.
Tracce documentarie controverse potrebbero lasciar supporre una presenza di ebrei a R. già dal XIII secolo[1]: tuttavia, l’unica prova incontrovertibile della stessa è un documento del 1430, che si riferisce ai rapporti intercorsi precedentemente tra il Comune e Gaio del fu Abramo da Teramo.
Gaio, factor et gubernator di Aleuccio del fu Zaccaria, dimorante a Cologna Veronese, gestiva il banco feneratizio posseduto da quest’ultimo a R.: il documento in questione tratta del risarcimento, con gli interessi, per prestiti fatti a dieci abitanti della località per conto del Comune. Al momento della redazione Gaio risultava risiedere a Padova, in Contrada Volto dei Negri e, oltre ad Aleuccio, vi venivano menzionati Salomone del fu Manuele da Padova, residente all’epoca a Montagnana, e Museto del fu Angelo da Padova[2]. Pertanto, il banco di R. venne istituito presumibilmente sotto il governo di Alessandro di Mazovia( Massovia) (1423-1444), che aveva concesso agli ebrei di richiedere un tasso di interesse più alto[3].
Risalgono alla seconda metà del secolo documenti che attestano indirettamente la presenza ebraica, attraverso alcune norme date ai macellai rivani riguardo alla vendita di carni macellate[4].
Dato che R. era sotto la dominazione veneta, quando venne celebrato il processo contro gli ebrei di Trento per il presunto omicidio rituale[5], il gruppo locale non fu coinvolto nel bando di espulsione dal principato vescovile tridentino, emesso dal vescovo Hinderbach e rinnovato dai suoi successori[6].
Dall’attestazione di alcune trasgressioni ebraiche, punite generalmente con pene pecuniarie, si può risalire ai capitoli della condotta, che non ci sono rimasti: oltre al divieto di fenerare di domenica e di uscire di casa il giovedì, venerdì e sabato della Settimana Santa, era vietato abbandonare la propria abitazione di notte[7]. Alcuni indizi consentono, inoltre, di ipotizzare che la condotta fosse di sei anni[8].
Gli ebrei possedevano a R. bestiame (mucche e capre), che potevano macellare per proprio conto e vendere[9].
Tra la prima metà e la fine del XV secolo compare negli atti del Comune tutta una serie di ebrei: Iacob, il banchiere di dotato di maggior capitale tra quelli qui stanziati in questo periodo, Abraam de Menteclaro, Anselmo di Gavardo con il figlio Salomone e con il genero Leone, Bonaventura (servo di Iacob), Abraam de terra Mirandulla figlio di Iacob, Crassone, Niro, Magister Ioseph phisicus, zudio gobo, con il figlio Salomone, Moises, Donato de Bachis, Samuel, Mazolinus, Isaia famulus, Isaia, Calaman, Efro, Iacob del fu Bonaventura e Bonaventura di Iacob (presumibilmente padre e figlio)[10]. Essi, in parte legati da vincoli di parentela e associati nel banco, avevano un giro finanziario che si estendeva a Valle di Ledro, Nago e Torbole[11].
Nel 1492 venne istituito a R. il Monte di Pietà, cui fece seguito un documento del Consiglio generale che valutava l’opportunità di allontanare gli ebrei per impedirne l’attività feneratizia: tale documento è l’unico rimastoci che indica gli israeliti come deicidi e di stirpe demoniaca[12].
Nel 1496 venne, intanto, imposto l’uso del segno distintivo, in conformità con l’obbligo vigente in tutto il territorio della Serenissima: tuttavia le pene pecuniarie per i contravventori risultavano molto più miti qui, come attesta il caso di tale Abram, sorpreso senza rotella[13]. Il velo giallo, imposto alle ebree di R., si distingueva dal segno imposto alle meretrici, che era una banda bianca sulla spalla: Item quod dicte meretrices teneantur portare unam bendam albam super spala[14].
I patti stipulati tra gli ebrei e il Comune, verso la fine del XV secolo, stabilivano che chi teneva banco pagasse dodici ducati d’oro all’anno, suddivisi in due rate (a Natale e a Pasqua). Inoltre, come gli altri abitanti di R., gli ebrei dovevano dare un risarcimento in denaro per le custodie non fatte, per non aver partecipato alle spese di fortificazione delle mura e per la difesa della città e la ristrutturazione di edifici pubblici[15].
Nel 1512 la peste colpì il centro e il Comune, per far fronte alle ingenti spese, dovette ricorrere agli ebrei, che, un paio di anni più tardi, risultavano per questo essere creditori di una notevole cifra[16]. In conseguenza, però, del voto, fatto in tempo di peste, di erigere una cappella a San Rocco e di allontanare gli israeliti, per impedirne l’usura, sotto il principe vescovo Giorgio di Neideck, fu loro impedito il prestito su garanzie scritte e chirografi, sebbene ciò non impedisse il prosieguo dell’attività feneratizia[17].
A Giorgio di Neideck successe il vescovo Bernardo Clesio che, nel 1522, inviò una lettera al podestà di R. perché impedisse l’attività feneratizia ebraica super chirographis et fideiussionibus[18]: tuttavia, dato l’impulso alle arti e alle scienze, promosso dal Clesio, le finanze ebraiche si rivelarono necessarie e, pertanto, gli ebrei continuarono a vivere e a fenerare nella località (tra coloro che risultavano vivere a R. in questo periodo, vi erano i de Bachis (Bak) e i Sacerdoti)[19].
Da un documento della Collegiata di Arco, risalente agli anni Sessanta del XVI secolo, sappiamo che, nonostante l’opposizione del Comune, il prestito ebraico, continuò a R., come attesta il fatto che tale Marco vi viene definito filius Salomonis Hebraei et bancherii Ripae[20].
Dopo la morte improvvisa del Clesio nel 1539, il successore Cristoforo Madruzzo abolì l’obbligo del segno distintivo[21] e durante il primo quindicennio del suo governo, le condizioni di vita degli ebrei a R. erano così favorevoli da indurre una notevole affluenza e nella località. Il Comune, però, si oppose a tale aumento della presenza ebraica nel 1553 e pregò il Madruzzo di impedirne un ulteriore incremento, ritenuto dannoso per la popolazione rivana[22]. L’atteggiamento del Madruzzo rimase, comunque, apertamente favorevole agli ebrei e sotto la sua protezione, nel lasso di tempo compreso fra il secondo e il terzo periodo del Concilio di Trento (1545-1563), si svolse l’attività della stamperia ebraica, per cui è rimasta celebre R.
Nel 1567 Ludovico Madruzzo successe allo zio Cristoforo, del quale non continuò la politica liberale, sebbene dai documenti relativi al periodo del suo governo non risultino particolari prese di posizione anti-ebraiche.
Ludovico Madruzzo iniziò a rendere operanti nella Diocesi tridentina le decisioni del Concilio: pertanto, determinate restrizioni imposte alla Comunità di R. risultano essere una conseguenza di tale volontà di conformarsi ai dettami tridentini.
Nel 1579 alcuni ebrei versarono al Comune una cifra più alta della tassa pro capite, che era stata fissata precedentemente a 3 lire ( o l’equivalente in altra moneta)[23] e, nello stesso anno, ebbe luogo la visita pastorale a R., cui fece seguito l’interrogatorio degli israeliti, registrato negli Atti visitali, per appurarne i privilegi di cui avevano goduto precedentemente. Da questi documenti emergono le differenze relative al periodo precedente e seguente la visita pastorale stessa, soprattutto in merito al ripristino dell’obbligo del segno (velo giallo per le donne, sostituzione della precedente “rotella” con un copricapo giallo per gli uomini ), al divieto di lavorare nei giorni di precetto e al divieto di servirsi di nutrici cristiane e della cosiddetta “donna del fuoco” ( di cui avvalersi durante il sabato)[24].
Dopo aver riunito una Sinodo diocesana che promulgò le “Costituzioni”[25], Ludovico Madruzzo, al capitolo riguardante gli ebrei, ritornò, però, alla “rotella” gialla come segno distintivo per gli uomini e sostituì il velo con due righe gialle all’esterno della veste, sul petto, per le donne. Inoltre, fu stabilito che, dietro ordine del principe vescovo e delle autorità secolari, gli ebrei dovessero rimettere le usure, furono proibiti i rapporti di qualsiasi genere con i cristiani (pena la scomunica di questi ultimi), nonché di avvalersi di servitù cristiana. Tuttavia, da un documento posteriore di cinque anni, si apprende che, senza il previo ed esplicito assenso del principe vescovo, gli ebrei non potevano essere molestati in modo alcuno[26].
Nell’ultimo quarto del XVI secolo, i membri della famiglia Cuzzeri gestivano il banco con regolare permesso rilasciato dal Papa e, inoltre, risultavano operare in loco membri delle famiglie Sacerdoti, Alpron, Bassano e forse anche de Bachis. Verso la fine del secolo, risultavano prevalere sul resto della comunità i Cuzzeri e gli Alpron, in relazione con ebrei di altre regioni e con svariati cristiani[27].
Sino all’ultimo trentennio del XVII secolo, la Comunità rivana continuò a vivere in un’atmosfera di relativa distensione nei rapporti coni cristiani.
Nell’Archivio Comunale di R. sono, comunque, documentati sette processi contro israeliti rivani, risalenti agli anni Settanta del Cinquecento e al primo cinquantennio circa del XVII secolo: si tratta, in genere, di contenziosi a sfondo finanziario, salvo il processo del 1600-1601, in cui Giuseppe Cuzzeri fu accusato di aver dato scandalo in giorno di sabato dell’anno 1600, presumibilmente infrangendo il divieto di farsi vedere in strada il sabato santo, posto che gli ebrei dovevano rimanere in casa dalla sera del giovedì sino a quando venivano slegate le campane il sabato[28].
L’ultima traccia della presenza ebraica, nei massariali, risale al 1664[29], anche se ebrei dovettero continuare a risiedere a R., come si inferisce dai provvedimenti successivi.
Per cause tuttora ignote, nel 1677 venne chiesta la cacciata da R., confermata l’anno successivo dal vescovo, che intimò alle tre famiglie ivi residenti, di andarsene entro otto giorni, dopo aver regolato le pendenze finanziarie con la Camera ecclesiastica. Il provvedimento sembrerebbe, però, non essere stato eseguito, dato che, nel 1679, venivano rinnovate le proteste contro la presenza ebraica in città.
Nel 1694, inoltre, fu esposto a R. un proclama del vescovo Giuseppe Vittorio Alberti d’Enno con il quale si vietava ad ogni ebreo di dimorare o soggiornare nella città e in tutto il Principato di Trento, permettendo solo il passaggio a coloro che esibissero, invece del segno, il cappo del cappello al di fuori tutto di color giallo[30].
Dalla seconda metà del XVII secolo sino al 1776, il gruppo ebraico è attestato solo dalle conversioni (con calcolo approssimato per difetto, una cinquantina), con relativa richiesta di sussidio spettante ai convertiti poveri[31]. Tra il 1586 e il 1647 ne furono registrate otto a R.[32].
Nel 1776 veniva emesso il bando definitivo che sanciva la cacciata degli ebrei[33].
Attività economiche
Oltre che nel prestito, gli ebrei erano presumibilmente attivi nella strazzaria.
Nell’ultimo quarto del XVI secolo si aggiunse in misura sempre maggiore il commercio, in cui si distinsero, nel primo ventennio, le famiglie Cuzzeri e Alpron, che trattavano svariate merci (stoffe, prodotti vari di merceria, vino, olio, ferro, gioielli) ed esercitavano intensi traffici con la riviera salodiana e i territori a sud del Garda[34]. Tra la metà del XVI secolo e il primo quarto del XVII gli ebrei avevano in affitto sei botteghe e cinque fondaci in piazza[35].
Nel 1600 agli eredi di Marco Cuzzeri fu concesso di tenere banco a R., fenerando all’interesse del 18% per i residenti e del 36% per gli altri[36].
La concorrenza inglese e francese sul mercato dei tessuti provocò gravi conseguenze sul reddito della Comunità ebraica rivana, sempre più legata al commercio delle stoffe[37].
Quartiere ebraico
Dai documenti a disposizione sino ad ora, emerge che non vi fu un ghetto a R., ma che gli ebrei abitavano in un gruppo di case tra la Piazza Granda e l’antica Contrada Lata (in seguito chiamata via Larga e, successivamente, via Fiume) e un vicolo che, pur essendo denominato nelle mappe ottocentesche “Vicolo delle Larve”, viene indicato ancora oggi come “Vicolo degli Ebrei”. Questa notizia viene parzialmente confermata da una fonte novecentesca, secondo cui gli ebrei, insediatisi a R., presero dimora in case contigue, ubicate intorno all’antica casa Olivieri, all’angolo della contrada detta Larga, nei vicoli del Ferro, del Fabbro e della Lucertola (nel quadrilatero formato dalle vie denominate, in seguito, via Fiume, via Diaz, via Florida e via Maffei)[38].
Sinagoga
La sinagoga, secondo testimonianze locali novecentesche, sarebbe stata ubicata nella casa denominata Olivieri dal nome del suo proprietario settecentesco. La costruzione, probabilmente risalente al XIV secolo e con aggiunte seicentesche, era sita nella Piazza Granda, all’angolo della Contrada Larga (denominata, poi, via Fiume). In seguito a demolizione interna nell’edificio venne scoperto un dipinto, interpretato come immagine di Mosè nell’atto di percuotere con la verga la roccia. Da una fonte ebraica dell’inizio del Novecento, si apprende che nell’oratorio di Porto di Mantova si trovava l’aron ha-qodesh dell’oratorio di R.[39].
Cimitero
La prima notizia attestante l’esistenza di un cimitero ebraico a R. risale al 1552, quando il Consiglio comunale indagò sulla liceità del possesso del terreno dove gli ebrei seppellivano i morti. Da un rogito notarile del 1612 tale terreno risultava ubicato nella parte occidentale della città, nella fossa, e confinante con le mura. Quando gli Ebrei furono cacciati da R. il cimitero non sembrerebbe essere stato distrutto ma abbandonato, mentre le lapidi sarebbero state rimosse dagli stessi ebrei e collocate nella casa che fungeva da sinagoga[40]. Una lapide sepolcrale, murata sotto il portico di Palazzo Pretorio, in seguito sede del municipio, si riferisce a Meshullam Cuzzeri, probabile vittima della peste del 1630[41].
Stampa ebraica
La stamperia prese avvio per iniziativa del medico Jacob Marcaria, trasferitosi nel 1557 a R. da Cremona (dove era stato membro del tribunale rabbinico, presieduto da Yosef Ottolenghi)[42], dopo la pubblicazione della bolla di Paolo IV Cum nimis absurdum, che vietava ai medici ebrei di curare pazienti cristiani.
La possibilità di trovare facilmente la carta nelle svariate cartiere che operavano sul luogo, come, ad esempio, quella di Varone, favorì il sorgere della tipografia a R.[43].
Dal 1557 al 1562 la stamperia del Marcaria pubblicò una quarantina di opere in ebraico e, nel 1562-63 pubblicò opere in latino per il Concilio[44].
La protezione del Madruzzo e il privilegio concesso agli stampatori di R. consentirono la pubblicazione di libri ebraici, compresi i compendi talmudici, qualche anno dopo la bolla con cui Giulio III decretava la confisca e la distruzione del Talmud (1553) e nello stesso periodo in cui papa Paolo IV riconfermava l’indice dei libri proibiti (1559).
Nel frontespizio di tre edizioni di R. compare lo stemma del Madruzzo, mentre in quasi tutte compare l’indicazione attestante che il libro era stato stampato sotto il suo governo. Dal catalogo della stamperia locale risulta che le editiones principes sono venti, di cui quattro sono il riassunto di altrettanti testi già stampati (due compendiati dall’Ottolenghi e due compendiati o da anonimi o dall’Ottolenghi o dal Marcaria): le ristampe trattano in prevalenza di commenti alla Bibbia o di opere di carattere giurdico e rituale ( in particolare, testi talmudici per aggirare il divieto di ristampare il Talmud ). L’ideatore di queste ristampe fu presumibilmente l’Ottolenghi, mentre le editiones principes di ordine filosofico sembrano piuttosto essere iniziativa del Marcaria. Tra le fonti ebraiche stampate vi fu il Pentateuco con la parafrasi aramaica di Onqelos, il Cantico dei Cantici, le Lamentazioni, l’Ecclesiaste, il Libro di Ester e il Libro di Ruth, con vari commenti, la Mishnah (in edizione commentata e in edizione tascabile senza commenti), il compendio “classico” di Isaac Alfasi[45] del Talmud e due edizioni di quello di Jacob ben Asher. L’unica opera liturgica pubblicata fu il rituale del cerimoniale pasquale (Haggadah) con il commento filosofico di Isaac Abrabanel, mentre l’unica opera etica stampata fu il Tiqqun middot ha-nefesh di Shlomoh ibn Gabirol, in cui sono trattati i principi dell’etica nella tradizione ebraica e nel pensiero filosofico greco. In campo filosofico furono stampate cinque opere del pensiero filosofico islamico (in traduzione ebraica), di cui due commenti brevi di Averroè (stampati in ebraico solo a R.), mentre vi è un solo testo letterario (il poemetto satirico di un poeta romano del XIII secolo, Beniamino Anav, intitolato Massa ghe hizzayon) e due testi dedicati alla Qabbalah (due opere di Yosef Gikatilla). Inoltre, vi è una raccolta delle osservazioni grammaticali e delle note linguistiche contenute nei commenti biblici dell’esegeta francese Shlomoh ben Isaac. Infine, vi è un’opera di carattere astronomico, comprendente una sintetica raccolta di opuscoli sul calendario, sull’orbita del sole e sulla metereologia, che si ritiene sia stata curata dal Marcaria.
L’Ottolenghi e il Marcaria appaiono in quasi tutte le edizioni: il secondo risulta aver composto le prefazione, mentre Yosef ben Yaaqov Shallit Ashkenazi da Padova compare solo in un’edizione come curatore dei testi e autore dell’indice[46].
L’Ottolenghi sembra essere stato il finanziatore della tipografia, il principale responsabile delle scelte editoriali soprattutto a carattere giuridico-ritualistico e il compilatore di due supplementi al Sefer Rav Mordekhai, compendio delle leggi e dei riti ebraici dell’autorevole rabbino tedesco del Medioevo Mordekhay ben Hillel, pubblicato anch’esso a R. nel 1558. Il Marcaria, invece, sembra essere stato responsabile della pubblicazione delle altre opere e probabilmente fu il proto o correttore delle prime bozze[47].
Bibliografia
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Crosina, M. L. - Tamani, G., La comunità ebraica di Riva del Garda (sec. XV-XVIII). La tipografia di Jacob Marcaria (!557-1563). Con contributi di Francesca Odorizzi, Nikolaus Vielmetti e Federica Fanizza, Riva del Garda 1991.
Esposito, A., - Quaglioni, D., Processi contro gli Ebrei di Trento (1475-1478), I, I processi del 1475, Padova 1990.
Loevinson, E., La concession des banques de prêts aux juifs par les papes des seizième et dix-septième siècles, in REJ 92 (1932), pp. 1-30; 93 (1932), pp. 27-52, 157-178; 94 (1933), pp. 57-72, 167-183; 95 (1934), pp. 23-43.
Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982-1986.
Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll. Torontto 1988-1991.
Volli, G., Gli ebrei a Riva del Garda, in RMI 36 (1970), pp. 473-488.
[1] Crosina, M.L., La comunità ebraica di Riva del Garda (sec.XV-XVIII), , p. 19.
[2] ASCR, capsa V, n. 18, citato in ivi, p. 23, n. 11; cfr. ivi, pp. 20-22.
[3] BCT, ms. 520, Gravamina civitatis tridentinae contra D. Ep. Alexandrum ducem Mazovie proposita anno 1432, citato in ivi, p. 23, nota 19.
[4] Crosina, M.L., op. cit., pp. 25-26; cfr. p. 41, nota 7.
[5] Per le vicende legate al presunto omicidio rituale, vedi la voce “Trento” della presente opera.
[6] Volli, G., Gli ebrei a Riva del Garda, p. 474; Crosina, M.L., op. cit., pp. 32-33. Due ebrei rivani venivano menzionati negli atti relativi al processo contro gli ebrei di Trento: magister Ioseph, qui habitat Ripe, che circoncise i figli dell’imputato Angelo e Iacob da Riva, procuratore degli incriminati e loro parente. Il primo risultava essere quel magister Isep gobus Hebreus medicus, menzionato in svariati documenti tra il 1475 e il 1511, mentre il secondo è stato identificato con Iacob del fu Bonaventura, menzionato negli atti del Comune dal 1475 in poi. Cfr. Crosina, M.L., op. cit., p. 33; p. 43, note 55 e 56. Cfr. Esposito, A., - Quaglioni, D., Processi contro gli Ebrei di Trento (1475-1478), I, I processi del 1475, p. 288; p. 443; pp. 19-20.
[7] Crosina, M.L., op. cit., p. 29.
[8] Ivi, p. 42, nota 32.
[9] Ivi , p. 28.
[10] Cfr. Indice dei nomi degli Ebrei relativi ai documenti conservati presso l’Archivio Storico comunale di Riva del Garda, citato ivi, p. 42, n. 37. Sulle vicende di Iacob de fu Bonaventura a R., cfr. ivi, pp. 34-35.
[11] Ivi, pp. 29-32.
[12] Ivi, p. 36.
[13] ASCR, Libri massariali 1486 [sic], ( n. inventario 164), f. 42, citato ivi p. 41, nota 22.
[14] ASCR, Libro giornal 23, 1473-1486(2o), ( n. inv. 90 bis), f. 194r, citato ivi, p. 41, nota 23.
[15] Ivi, p. 29.
[16] Ivi, p. 44.
[17] Ivi, p. 46.
[18] Archivio Comunale di Riva, II, Epistolario, n. 2, p. 20, citato in Volli, G.,op. cit. , Appendice, p. 486; cfr. Crosina, M.L., op. cit., p. 48.
[19] Crosina, M.L., ibidem; Simonsohn, S., Milan, doc. 3139.
[20] Volli, G., op. cit., p. 475. Sull’opposizione del Comune agli ebrei e sull’atteggiamento del Clesio, favorevole alla loro presenza per ovvi motivi finanziari, cfr. Crosina, M.L., op. cit., pp. 49-53.
[21] Ivi, p. 57. Sulla personalità e sull’attività del Madruzzo, vedi p. 55.
[22] ASCR, Libro giornale 24, 1553-1576 (82), (n. inv. 106), 5 nov. 1553, f. 6v., citato ivi, p. 69, nota 13.
[23] Ivi, p. 86, nota 13.
[24] Ivi, pp. 73-74.
[25] Constitutiones Ludovici Madrutii episcopi Tridentini in diocesano Synodo promulgatae, anno 1593, Tridenti 1594, ripubblicato nel 1880, citato ivi, p. 86, nota 6.
[26] Cfr. il ricorso dei sindaci al Cardinale, nel 1598, per moderare l’eccessiva usura ebraica, in ASCR, Libro giornale 30, 1577-1604 (28), (n. inv. 108), 10 nov. 1598, ff. 210v-211r., citato ivi, p. 86, nota 7; cfr. anche p. 74.
[27] Ivi, p. 75. Per una ricca serie di particolari sulle famiglie ebraiche di R., dal XV sec. in poi, cfr. pp. 98-110. Loevinson, E., Banques de prêts, p. 177 e segg.
[28] Questa e le altre notizie sono desunte da documenti leggibili con difficoltà, di cui riferisce Volli, G., op. cit., pp. 481-482.
[29] Crosina, M.L., op. cit., p. 82.
[30] AST, Atti Trentini, XII, fasc. 17, Proclama 1 dic. 1694, citato ivi, p. 87, nota 43. Per le prese di posizione contro la presenza ebraica, cfr. le pp. 81-82.
[31] Ivi, p. 82.
[32] Per l’elenco relativo alle conversioni e alle richieste di sussidio, ivi pp. 88-92.
[33] Ivi p. 87, nota 50.
[34] Ivi., p. 28; p. 75.
[35] Odorizzi, F., Luoghi della presenza ebraica, in La comunità ebraica di Riva del Garda sec. XV-XVIII. La tipografia di Jacob Marcaria, p. 131.
[36] Crosina, M.L., op. cit., p . 76.
[37] Ivi, p. 78.
[38] Ivi, p. 26. Cfr. Ferroni, F., Banchieri e tipografi ebrei a Riva di Trento fino alla cacciata nel XVII secolo, in Rivista Verona e il Lago di Garda, serie II, anno I, n. 5, maggio 1939, citato in Volli, G., “op. cit., p. 473, nota 1. Per le indicazioni delle vie abitate dagli Ebrei, cfr. ivi, p. 474, nota 3. Dall’elenco dei cittadini rivani locatari di immobili risulta che gli ebrei abitavano principalmente nelle zone della città dove l’attività economica era più intensa, vicino al porto e a via Fiume (cioè nelle cosiddette “quadre” di Mezzo e di Castello).Cfr. Odorizzi, F., op. cit., p. 130 e p. 135.
[39] Crosina, M.L., op. cit., pp. 26-27; Volli, G., op. cit., p. 473; Levi, I., Gli oratori di Mantova, in Il Vessillo Israelitico, anno 52, 1904, p. 396, nota 8.
[40] Per la documentazione relativa al cimitero e per un precedente mantovano del trasporto delle lapidi dal cimitero abbandonato, segnalato oralmente da Vittore Colorni alla Crosina: cfr. Crosina, M.L., op. cit., p. 41, nota 16. Cfr. Odorizzi, F., op. cit.,pp. 144-146.
[41] Volli, G., op. cit., pp. 484-485. La Volli sostiene con buone ragioni che la datazione vada fatta risalire al 1630 e non al 1541, come altri studiosi hanno sostenuto: cfr. ivi, p. 484. Sulla lapide di Meshullam Cuzzeri, cfr. Crosina, M.L., op. cit., pp. 95-97.
[42] Per ulteriori informazioni sulla figura del Marcaria e sulla sua ascendenza familiare, cfr. Crosina, M.L., op. cit., pp. 63-64. Sulla concessione fatta al Marcaria di conseguire, previo esame, il titolo di dottore in medicina e curare anche pazienti cristiani, cfr. Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 3119. Su Ottolenghi ( Ottolengo), e la stamperia cremonese, vedi la voce “Cremona” della presente opera.
[43] Tamani, G., La tipografia ebraica a Riva del Garda, 1557-1562, in La comunità ebraica di Riva del Garda sec. XV-XVIII. La tipografia di Jacob Marcaria (1557-1563), pp. 159-265, pp. 160-161.
[44] Per le pubblicazioni ad uso del Concilio, cfr. Bresciani, G., I primi tipografi nel Trentino, in Eco del Seminario, Trento, anno XXXIV, gennaio 1962, citato in Volli, G., op. cit., p. 477, nota 13. Le edizioni latine della stamperia ebraica di Riva non sono state rese note per lungo tempo, secondo quanto asserisce una fonte cattolica tardo-ottocentesca, perché non portano (tranne una), l’indicazione di stampa del Marcaria, in quanto gli autori non desideravano pubblicizzare il fatto, relativamente paradossale, di servirsi di una stamperia ebraica per pubblicare opere cattoliche, finalizzate alla lotta contro gli eretici. Sulle 26 pubblicazioni latine della stamperia rivana e sui segni attestanti la provenienza dalla stamperia del Marcaria, cfr. Bampi, G., Della stampa e degli stampatori nel Principato di Trento sino al 1564, in Archivio Trentino A. II, p. 213, citato in Volli, G., op. cit., p. 477, nota 14. Per l’elenco delle opere ad uso conciliare e per ulteriori informazioni ad esse relative, vedi Fanizza, F., Le edizioni conciliari, in La comunità ebraica di Riva del Garda sec. XV-XVIII. La tipografia di Jacob Marcaria (1557-1563), pp. 251-257. Va segnalato che il Bloch ritiene che la stamperia iniziasse la sua attività nel 1558, mentre il Tamani , riportando nel suo catalogo delle opere stampate a R. il testo di Isaac ben Jacob Alfasi, Halakhot qetannot (Piccola raccolta di leggi), stampatonel 1557, mostra come l’attività della stamperia iniziasse già in tale anno. Cfr. Tamani, G., op. cit., p. 170; cfr. Bloch, J., Hebrew Printing in Riva di Trento, p. 1.
[45] Per la traslitterazione dei nomi degli autori si è seguito il sistema seguito dal Tamani, tratto dalla Encyclopaedia Judaica. Cfr. Tamani, G., op. cit., p. 168.
[46] Ivi, p. 164.
[47] Tamani, G., op. cit., pp. 162-164. Per ulteriori dettagli cfr. pp. 164-165; per il catalogo commentato di tutte le opere, vedi pp. 170-249. Cfr. Bloch, J., op. cit., pp. 6-13.