Pirano

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Pirano

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Pirano (פירנו)

Provincia di Pola. Situata nella parte orientale del Golfo di Trieste, all’estremità di un promontorio che si protende tra la Valle di Strugnano e il vallone di Pirano, secondo la tradizione fu fondata dai profughi aquileiesi. In documenti del 933 e del 991 appare come “castello” ma con istituzioni di città. Dopo varie vicende si  assoggettò a Venezia nel 1283, rimanendole unita sino al 1797. In seguito passò all’Austria.  

Dai libri dei Vicedomini, risulta che una presenza ebraica a P. risaliva alla fine del  XIV secolo con Mosè del fu Samuele da Strasburgo (1390) e che, in seguito, erano presenti qui anche Lazzaro, genero o suocero, del fu Mosè di Parigi (1391), Isacco del fu Reuben (1393), Consiglio (1396), Isacco (1396), Abramo di Isacco (1400), Mosè di Samuele di Mestre (1400), Samuele di Salomone da Pordenone (1410), Marco (1425), Joseph Mosè e Giacobbe Sacerdote, Abramo ed Aronne Stella (1484)[1]

Nel 1483, quando la città di P. stipulò dei patti (“capitoli”) con Moisè Sacerdote perché esercitasse il prestito su pegno in città[2], questi non aveva soci e si trovò nell’impossibilità di far fronte alle necessità economiche locali: pertanto, l’anno seguente, furono concessi altri capitoli, relativi a un gruppetto di ebrei che fondarono un banco di pegni, diretto da Yosef, dai fratelli Moisè e Giacob Sacerdote (Cohen) e i fratelli Abram e Arono Stella[3]. I capitoli furono ratificati dal doge di Venezia, Giovanni Mocenigo, e inviati al podestà di P., perché fossero osservati dagli ebrei. Nei patti - decennali e prorogabili automaticamente per altri 5 anni, in assenza di opposizione dalle entrambe le parti - venivano accordati gli stessi diritti degli abitanti di P.  a Yosef  e soci, ai loro eredi, successori e procuratori e veniva proibito di provocare loro qualsiasi danno. Nessun altro, poi, avrebbe potuto aprire un banco senza il consenso di Yosef e soci, che soli avevano diritto a prestare ai piranesi all’interesse di 4 soldi per lira al mese (20%). Per la percezione dell’interesse il mese veniva diviso in due parti disuguali:  per i primi venti giorni l’interesse veniva pagato su un mese intero, mentre dal 20 alla fine veniva pagato in ragione di mezzo mese. Il tasso che poteva essere praticato ai forestieri giungeva sino a 6 soldi per lira al mese.

I registri contabili dei feneratori facevano fede, salvo che fosse stato provato che dichiaravano il falso, sulla base della testimonianza di due testimoni degni di credito, sia ebrei che cristiani. In caso di accusa doveva essere applicato agli ebrei il procedimento sommario sine strepitu et figura judicii accordato ai pellegrini e agli stranieri verso cui si voleva mostrare un particolare rispetto. Josef  e soci avevano diritto di compravendita di ogni sorta di merci[4]. I feneratori potevano prestare dietro qualsiasi pegno, salvo la merce rubata e gli oggetti appartenenti alla Chiesa ed erano esonerati dall’attività creditizia di sabato e durante le feste. Il Comune di P. era obbligato ad assegnare loro un terreno ad uso cimiteriale e a vigilare perché le funzioni religiose ebraiche non venissero disturbate; doveva, inoltre, essere loro assicurata carne fresca, conforme alla Legge ed era loro consentito di far venire maestri per l’istruzione dei figli.

Le donne erano esentate dal segno distintivo, mentre la rotella era obbligatoria, a partire dai tredici anni, per i maschi, salvo quando erano in viaggio per l’Istria o nelle altre terre veneziane, ad eccezione di Venezia. Durante il “Venerdì Santo” gli ebrei dovevano rimanere in casa, senza, tuttavia, essere molestati.

Tra i vari capitoli, relativi ai pegni non riscattati, vi sono quelli per cui i feneratori potevano attendere sino a due anni per farsi pagare l’interesse, ma dopo il primo anno, se il debitore non accennava a pagare, potevano vendere il pegno all’incanto[5].

Gli israeliti, inoltre, dovevano essere sottomessi al solo giudizio del podestà di P., la ratifica dei “capitoli” era a loro spese ed essi avevano il diritto di avere rappresentanti (procuratori) nelle città istriane dove non vi fossero banchi gestiti dal Comune. Infine, gli ebrei avevano il diritto di giovarsi di privilegi e immunità concessi in altri “capitoli”, purché non fossero in contrasto con quelli concessi loro nel 1484[6].

Verso il 1633 il banco aveva cessato i prestiti su pegno e l’anno successivo fu fondato un Monte di Pietà. Meno di una trentina di anni dopo, le famiglie Sacerdote e Stella inviarono al Capitano de Raspo una petizione, in cui, menzionando i servigi resi al  Comune di P., chiedevano la conferma della condotta,  incluso il diritto di abitare e di commerciare a P., ma non di fenerare, data l’esistenza del Monte. Il podestà e il Consiglio accolsero  favorevolmente la  domanda nel 1660, rinnovando, cinque anni più tardi, il consenso alla presenza ebraica. Tuttavia, l’autorizzazione del Senato veneziano si fece attendere per diversi anni, sinché, dopo minuziosa inchiesta sugli ebrei di P., sembra essere stata concessa all’inizio degli anni Ottanta del XVII secolo[7].

Dopo le disposizioni del 1777, è da presumere che gli eventuali ebrei di P. abbandonassero la località per trasferirsi altrove. 

Bibliografia

Ive, A., Banques juives et Monts de Piété en Istrie. Les Capitoli des Juifs de Pirano, in REJ II (1881), pp. 175-198.

Lozei, M., Gli ebrei di Capodistria e la loro attività economica in una serie documentaria inedita (II Parte), in Todeschini, G.- Ioly Zorattini, P.C., Il mondo ebraico. Gli ebrei tra Italia nord-orientale e Impero asburgico dal Medioevo all’età contemporanea, Pordenone 1991, pp. 95-103.

Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, Torino 1963.

Roth, C., Venice, Philadelphia 1930.

Roth, C., The History of the Jews of Italy, Philadelphia 1946.


[1] Lozei, M., Gli Ebrei di Capodistria e la loro attività economica in una serie documentaria inedita( II Parte ), p. 102.

[2] Dal materiale dei Vicedomini di recente preso in esame, risulta che, come abbiamo già rilevato, una presenza ebraica a P. risaliva ad un’epoca precedente: tuttavia, la prima documentazione di una  condotta risale al 1483. A questa condotta si sono riferiti gli studiosi, considerandola come il primo documento relativo all’insediamento ebraico a P. : cfr. Roth, C., The History of the Jews of Italy, p. 124. Il Milano indica erroneamente  il 1481 come data dell’insediamento degli ebrei a P.: cfr. Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, p. 133, cfr. Ive, A., Banques juives et Monts de Piété en Istrie. Les capitoli des Juifs de Pirano, p. 179.  Illustrando, senza entrare in dettagli,  la presenza ebraica in Istria,  il Roth  allude alla fine del XIV secolo, come al periodo di stanziamento in alcune località, tra cui P. : cfr. Roth, Venice, pp. 268-269.    

[3] L’identità  dei feneratori si evince da un documento del 1678, in cui Abraam Stella, a nome proprio  e dei soci, si rivolgeva al Capitano de Raspo, rievocando la condotta del 1484. Cfr. ivi, p. 179, n. 1. Cfr. Lozei, M., op. cit., p. 102. 

[4] Gli ebrei potevano, tuttavia, acquistare il vino solo dopo 15 agosto e l’olio dopo l’8 maggio, date in cui presumibilmente era stato venduto ed esaurito il prodotto dell’annata precedente. Cfr. ivi, p. 180, nota 5. 

[5] Per ulteriori particolari, cfr. ivi,pp. 181-182 (capp. 18-20).

[6] Per il contenuto dei “capitoli” in questione, cfr. ivi, pp. 179-184; per il testo originale, pp. 189-195. 

[7] Ivi pp. 184-185; per  il testo dell’estratto della petizione inviata dalle famiglie Sacerdoti e Stella, nel 1660, cfr. p. 198. Per la documentazione del caso presso il podestà di P. e il Senato di Venezia, pp. 188-189. 

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