Trieste

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Trieste

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Trieste  (טריאסטה)

Capoluogo di provincia. Si affaccia  sull’omonimo golfo nell’alto Adriatico, tra la valle di  Zaule a sud e il Promontorio di Miramare, guardato dallo storico castello, a nord-ovest.

Chiamata anticamente Tergeste fu in origine un centro dei Galli Carni, fiorente per i  commerci, essendo posto sulla via più breve che dall’Adriatico conduceva ai paesi transalpini: presumibilmente sotto Augusto vi fu fondata una colonia romana. Caduto l’impero romano, T. fu soggetta a continui mutamenti e dal secolo X  iniziò a subire l’ingerenza di due domini: Venezia, dal mare, e , dall’interno, la progressiva consolidazione  dei vescovi. Nel secolo XI si sviluppò il Comune e  nel 1081, ridotta all’impotenza la Chiesa triestina, l’imperatore Enrico IV la sottopose al patriarca di Aquileia.

Tuttavia, all’inizio del XIII secolo, le autorità comunali dovettero accettare  il potere di Venezia, giurando fedeltà  al doge, ma rimanendo autonome nell’organizzazione interna. Le istituzioni comunali si  svilupparono sempre più durante tutto il Duecento, riscattando con il denaro e con la lotta le ultime giurisdizioni dei vescovi. Alleatasi allo stato patriarchino nelle guerre contro Venezia ( dal 1275 al 1291), T. fu vinta e, in seguito, dopo essere stata sotto il dominio di Venezia (1369) e del Friuli (1379), passò agli Asburgo (1382), ma, per tutto il XV secolo, lottò per ridurre al minimo gli effetti del  controllo austriaco. Dopo alterne e tumultuose vicende, tornò sotto il controllo di S. Marco nel 1508, ma fu abbandonata alle prime avvisaglie della lega di Cambrai.  Seguirono  all’incirca due secoli di decadenza, soprattutto in campo economico, ma la città continuò a lottare, all’interno, contro i capitani degli Asburgo per difendere la sua libertà municipale, e, all’esterno, contro i Veneziani per difendere la libertà del mare Adriatico e contro i Duinati, i Capodistriani e i Carniolici per lo sbocco dei traffici dell’entroterra. Dopo il breve dominio della corona di Spagna, T. tornò all’Austria nel 1522 e, in seguito alle lotte con i capitani, Ferdinando I e l’arciduca Carlo soppressero gli antichi statuti municipali (1550), ma la città riuscì a riottenerli.

La decadenza aumentò nel XVII secolo, ma il successivo segnò la salvezza e il grande sviluppo della città, che nel 1719 fu dichiarata porto franco da Carlo VI, per essere poi occupata, per breve tempo, dai francesi,  nel 1797.

Il primo documento relativo alla presenza ebraica a T. è  una carta del 1236, in cui il vescovo Giovanni cede dei suoi diritti sulla città al Comune di T., menzionando  il grosso debito da lui contratto con Daniel di David Ebreo de Karinthia per finanziare la difesa del  territorio: tuttavia, non è certo che Daniel di David dimorasse effettivamente in città[1].  

Documenti più attendibili rispetto allo stanziamento ebraico locale, risalgono invece al  XIV secolo: un rogito notarile del 1348 menziona la platea magna comunis ante domum judeorum, indicando la casa come il luogo in cui gli ebrei avevano il banco. Tuttavia, almeno sino alla metà del secolo, operavano a T. anche feneratori fiorentini, menzionati negli Statuti cittadini del 1350[2]. Il Comune, dimezzando d’autorità, nello stesso anno, il valore delle carte di debito dei fiorentini e concedendo una moratoria di due anni ai debitori triestini, si faceva interprete del risentimento della popolazione contro i prestatori cristiani, ma escludeva dal drastico provvedimento i feneratori ebrei che, evidentemente, operavano in città a condizioni meno esose[3].  

Dopo l’annessione all’Austria si stanziarono a T. anche ebrei d’origine tedesca.

La condotta del 1414, stipulata tra il Comune e Salomone di Benedetto da Norimberga, banchiere e medico, per la gestione di un banco feneratizio, assicurava che i cittadini che avessero offeso lui, i familiari o gli impiegati avrebbero dovuto pagare una multa doppia di quella cui sarebbero stati condannati se la vittima fosse stata cristiana. Il Comune accoglieva, inoltre, la richiesta di Salomone di essere protetto nella persona e nei beni, ripetendo tale assicurazione (unitamente alla promessa di rifondere completamente gli eventuali danni a persone e beni) a David da Weimar, con cui stipulava la condotta, due anni dopo. Nello stesso anno, il Comune concedeva agli ebrei libero salvacondotto per entrare in città ed uscirne, sicuri nella persona e nei beni.

Inoltre, nella condotta del 1414 era inserita la disposizione in base alla quale gli ebrei, se accusati, avrebbero potuto essere torturati durante l’interrogatorio, solo se l’accusa contro di loro fosse stata corroborata dalla testimonianza di almeno quattro cittadini degni di fede e di buona reputazione[4].     

Nel 1420 titolare della condotta era nuovamente Salomone, il capostipite di svariate generazioni di feneratori che furono attivi a T., fino alla metà del secolo XVII[5]. Nello stesso anno, il Comune confermava l’impegno a proteggere banchieri e famiglie da ogni violenza[6], mentre era stato concesso al feneratore di acquisire e di poter trasferire fuori T. pegni intesi come merci mobili, senza alcuna imposizione di dazi o gabelle[7].

La possibilità di commercializzare i pegni differenziò la politica economica triestina da quella di altre località italiane, in cui proprio questa clausola scatò il conflitto con i predicatori e con i teorici francescani dell’economia (da Bernardino da Siena sino ai fondatori dei Monti di Pietà). Pertanto, durante i primi 25 anni del XV secolo, fu sancita a T. la possibilità di una trasformazione delle attività ebraiche dal prestito al commercio. La riprova di questa apertura ad una presenza ebraica stanziale era costituita dalla facoltà accordata di acquistare beni immobili[8].        

Anche dopo il 1470, anno in cui gli ebrei triestini rientrarono sotto la diretta giurisdizione della Casa d’Austria, i rapporti tra la Comunità, le autorità cittadine e l’Ordine francescano rimasero distesi[9].

Dagli incartamenti relativi a processi di poca entità e da altri documenti quattrocenteschi si apprende che la Comunità si andava allora ingrandendo. Alcuni israeliti abitavano presso la Piazzetta Vecchia, mentre il banchiere Leone da Costanza risiedeva in Via Cavana, Moises del fu Maio in via Riborgo e il banchiere Abramo al Capo di Piazza[10].  

Nel 1490 l’imperatore Federico III scrisse al capitano Balthazar Dürer, esortandolo a far rispettare l’obbligo del segno distintivo agli ebrei di T. che, a quanto gli risultava, non lo facevano[11].  

Nel 1522 il Capitanio comunale  promulgò un editto in difesa degli ebrei, soprattutto durante la Settimana Santa[12] e, poco dopo la metà del secolo, Ferdinando I accordò alla famiglia Levi di T. un privilegio , con cui si concedeva libertà di residenza e di commercio, confermato alla fine del secolo dall’arciduca Ferdinando e verso la metà del seguente da Ferdinando III[13].

Nel 1583 vi fu un tentativo, tuttavia non realizzato, di espellere gli ebrei, ma nel 1588 i giudici e il Consiglio comunale indirizzarono una supplica all’arciduca Carlo, reggente dell’Impero, perché  annullasse un provvedimento contro l’attività feneratizia ebraica, preso precedentemente, cui aveva fatto seguito l’abbandono della città da parte dei banchieri ebrei. Nella supplica, da un lato, veniva fatta presente l’opportunità dell’attività creditizia per sopperire alle necessità economiche dei meno abbienti e, dall’altro, il fatto che, dopo il provvedimento, dei feneratori si erano stabiliti a Muggia e a Capodistria, prestando ai triestini ad un tasso di interesse maggiore di quello richiesto ai locali :Cosí avviene che i nostri concittadini sono costretti di ricercare a maggior interesse, con perdita di tempo e scomodo, presso stranieri, quelli stessi denari che per l’addietro potevano avere a casa e a migliori condizioni[14].  Inoltre, anche i pegni non riscattati, invece di essere acquistati all’asta da un altro triestino, venivano acquistati da  forestieri, contribuendo a depauperare la popolazione della città.

Presumibilmente, l’arciduca venne incontro alla richiesta, come si evince dal fatto che nel 1597 il Capitanio della città pubblicò un proclama in difesa degli ebrei: et occorrendo che li Hebrei fossero insultati, battuti ovver ingiuriati da alcuno et non potessero essi lo insulto […] provar per testimoni legittimamente, in quel caso il prefato  Ill.mo Signor Capitanio procederà conttro tali con il solo giuramento de detti Hebrei  offesi, dato More Hebraico, reservando nell’arbitrio suo la punition et castigo secondo il tenor de li Reggi Mandati[15].

Agli inizi del XVII secolo un’epidemia di peste scoppiò a T. e si sparse la voce che l’avessero diffusa gli israeliti con il loro commercio di tessuti: tuttavia, non restano fonti indicanti accuse specifiche  e, del resto, nelle lettere ai vari corrispondenti commerciali ci si riferiva all’inizio delle peste, sostenendo che fosse scoppiata nelle case di alcuni poveri[16].

Da un documento del 1607 si apprende che i prestatori ebrei, in disaccordo con alcune modifiche apportate dal Consiglio comunale alle condotte rinnovate tradizionalmente da due secoli, lasciarono la città, assicurando, tuttavia, di far fronte agli impegni creditizi  in corso. Sei anni dopo, tuttavia, l’attività creditizia riprese, come attesta la condotta stipulata tra il Comune e Grassino e Ventura Parente, con il ripristino delle clausole abituali.

All’inizio degli anni Trenta del secolo, i Rettori di T.  presero poi posizione a favore degli ebrei e, in particolare, dell’unico abbiente della Comunittà, il banchiere Ventura Parente, cui l’Imperatore aveva imposto, per sei anni, un  contributo di 500 fiorini per  partecipare alle spese del forte che aveva deciso di costruire nel sobborgo di S. Vito, per contrastare l’avanzata turca in Europa[17]. Ferdinando II, preso atto delle rimostranze del Comune e del fatto che l’arresto, a scopo intimidatorio, di alcuni ebrei non aveva avuto effetto,  decise di ridurre il contributo ebraico a 500 fiorini semel pro semper[18].

Verso la metà del secolo, l’atmosfera si fece più ostile nei confronti dei feneratori e dei piccoli commercianti ebrei della città, come attesta il memoriale inviato, nel 1641, dal governatore di T. a Ferdinando II,  in cui si mescolavano sentimenti anti-ebraici di matrice clericale e risentimento popolare. Il governatore, pertanto, auspicò l’istituzione di un Monte di Pietà che soppiantasse il banco ebraico, l’imposizione di un copricapo rosso o giallo come segno distintivo e la segregazione nel ghetto[19].              

Il Monte fu istituito nel 1650: il pubblico imprestador e la sua famiglia (i Parente) non vennero espulsi, ma si volsero al commercio, come gli altri membri della Comunità[20].

Nel 1674 i Giudici Rettori erano fortemente preoccupati delle ipoteche che gravavano sulle  case del territorio e temevano che tali case finissero in mano di persone non soggette alla loro giurisdizione e, posto che gli ebrei risultavano possedere molti immobili, soprattutto nelle zone di S. Croce, Contovello e Prosecco, il Consiglio ordinò loro di denunziare i crediti e gli stabili che possedevano, diffidandoli dal venderli o ipotecarli a persone fuori della giurisdizione, sotto pena di confisca. Gli ebrei, ritenendo che il provvedimento fosse solo un mezzo per angariarli, si rifiutarono di obbedire, provocando una lunga inchiesta contro le loro presunte malefatte, la quale, tuttavia, non pervenne  a nessun risultato[21].    

L’anno successivo, i capi dell’ebraismo triestino, appartenenti alle famiglie Levi e Parente, dettero prova di fedeltà all’Impero, fornendo gratuitamente grano per le truppe del re di Spagna in marcia verso il regno di Napoli, confermando la lealtà, già mostrata durante la cosiddetta guerra di Gradisca (conclusasi nel 1617)[22].

L’anno dopo, gli ebrei si rivolsero alle autorità cittadine a tutela dei privilegi secolari  garantiti loro da Carlo V, dall’arciduca Carlo e da Ferdinando I e II: tra l’altro, si appellavano alle autorità per ottenere che il “giudice dei malefizi” si contentasse della regalia in mobili e suppellettili, cui erano tenuti  per antica consuetudine, e non aumentasse le sue pretese in materia, come veniva facendo nel corso degli anni, con grave detrimento economico della Comunità. Tuttavia, il Consiglio, nel 1676, non accettò la proposta in toto, ma fissò l’entità del tributo in oggetti, aggravando la consuetudine, anziché eliminarla[23].   

Del resto, l’anno precedente tale provvedimento, il Consiglio, a grande maggioranza, si era rivolto all’imperatore per ottenere l’espulsione delle 15 famiglie che costituivano la Comunità locale. Le accuse contro gli ebrei riprendevano quelle del memoriale del  1641: lucro eccessivo, imbrogli, scherno alla religione cattolica durante le processioni, mancata osservanza dell’obbligo del segno distintivo[24].

Leopoldo I incaricò, pertanto, il governatore di eseguire una rigorosa inchiesta, invitando i cittadini a produrre i loro gravami[25].

L’inchiesta si concluse a favore degli ebrei, ma il Consiglio comunale e il popolo non desistettero dal proposito di ottenere , se non l’espulsione, la segregazione nel ghetto.

Nel 1682 quando Gorizia fu colpita dalla peste, gli ebrei vennero in soccorso della popolazione affamata, donando una ingente quantità di grano[26].

All’epoca dell’assedio di Buda (1684-1686), un ebreo non meglio identificato venne  accusato di essersi espresso contro l’esercito imperiale, così come vennero attribuite espressioni filo-turche ad altri correligionari, ma dall’interrogatorio dei presunti testi emerse l’inconsistenza dell’accusa e il caso fu chiuso[27].

Nel 1684 si tornò a chiedere l’espulsione degli ebrei, a causa delle loro presunte malefatte, tra cui il possesso di immobili, il tenere a servizio domestiche e nutrici cristiane, il grande guadagno ottenuto con usure e frodi, la ricettazione di merce rubata ed i rapporti carnali con cristiane[28].

Nel  1694 gli israeliti si rivolsero all’Imperatore paventando di essere trucidati dal popolo triestino e sostenendo: Non hanno gli Ungheri tanto timor del Turcho, che noi miserabili del popolo fomentato di Trieste[29].L’intervento del governatore  riportò la calma, turbata, l’anno successivo, dall’accusa  di haver cavato sangue ad un putto christiano[30] per motivi rituali. L’ebrea Giustina Gentile fu accusata di aver ferito un giovanetto cristiano, figlio di tale Vittore Lazzer, e fu incarcerata assieme alla figlia e alla domestica, Corona Levi. Dopo che Leopoldo I ebbe assunto la giurisdizione sull’episodio, questo si risolse a favore delle accusate, come attesta la successiva offerta di una somma di denaro da parte della Gentile ai Giudici Rettori per mantenere l’antica bottega di famiglia, senza trasferirla nel ghetto. Quest’ultimo era stato  istituito nel 1697, complice lo zelo del vescovo Giovanni Francesco Miller, dopo i tentativi di procrastinare la segregazione, messi in atto dagli ebrei per quattro anni  [31].

Nel 1714 il Capitano di T. decretò che gli israeliti erano tenuti a una cordella naranzina attorno alla cuba del cappello, ma precisò che il smarrimento non sij occasione di condanna, ma di rinnovazione del sopra stabilito segno[32].Il segno distintivo fu abolito definitivamente nel 1781, all’inizio del regno di Giuseppe II. 

Con l’istituzione del porto franco, la posizione degli ebrei migliorò nettamente, la Comunità  si ingrandì per l’immigrazione di mercanti ebrei provenienti dal Veneto, dalle Marche e dal Levante [33] e, a partire dalla metà degli anni Trenta del XVIII secolo, i  più agiati poterono andare a vivere fuori del ghetto.  

Nel maggio 1781 Giuseppe II promulgò misure atte a far uscire gli ebrei dalla segregazione, dando loro la facoltà di accedere alle più svariate occupazioni manuali e intellettuali e promuovendo le attività imprenditoriali, soprattutto nelle manifatture tessili. Qualora essi avessero voluto dedicarsi all’agricoltura, avrebbero potuto farlo prendendo i terreni in affitto, dato che il possesso terriero era concesso loro solo previa conversione al cristianesimo.  Allo scopo di favorire la convivenza con la popolazione, Giuseppe II vietò l’uso dell’ebraico nei libri mercantili e promosse l’inserimento, nelle scuole religiose esistenti, di un insegnamento laico, in lingua tedesca, sul modello delle altre scuole statali.

Nell’ottobre dello stesso anno,  Giuseppe II decretò l’obbligo dell’istruzione scolastica,  concedendo ai giovani ebrei particolarmente meritevoli l’onore della laurea Dottorale tanto in legge che in medicina[34].

Le scuole ebraiche, oltre all’insegnamento della religione e della morale (che il sovrano auspicava venisse impartito secondo il metodo di Moses Mendelssohn), dovevano prendere a modello il programma delle altre scuole statali, ristampandone i libri (con l’omissione di ciò che riguardava la religione cattolica), mentre per le materie non attinenti alla religione, dovevano essere utilizzati i libri in uso nelle scuole statali.

Con il rescritto dell’ottobre 1781 venne istituita a T. anche una scuola “normale” ebraica, che fu organizzata come scuola elementare maschile di tre classi con l’insegnamento in lingua tedesca: parallelamente i capi della Comunità decisero l’istituzione di una sezione corrispondente di dottrina e studi ebraici[35].

Nel 1782 Naftaly Herz Wessely, noto fautore dell’Haskalah, inviò l’epistola Divrei shalom ve-emet a tutte le Comunità dell’Impero austro-ungarico, invitandole ad esaudire gli ordini di Giuseppe II riguardo all’istituzione di scuole ebraiche in cui fosse insegnato in tedesco: a tale istanza gli ebrei triestini furono tra i primi ad aderire.

 La Toleranzpatent concessa da Giuseppe II nel 1782 sancì legalmente la graduale ascesa degli ebrei di T. [36]

Nel 1785 l’Imperatore decretò l’abolizione del ghetto, consentendo anche agli ebrei meno abbienti di scegliersi liberamente una residenza in città.

Nell’ultimo venennio del XVIII secolo,  si convertirono al crisianesimo i coniugi Isacco e Rosa Cozzer, con i due figli. Il giovane Raffael Gentilli, manifestato il proposito di convertirsi con la sorella Rebecca, chiese l’intervento della polizia per costringere i capi della Comunità a restituire la ragazza che era stata rapita per sottrarla alla conversione: ella, pertanto, fu portata alla “casa dei catecumeni “ di Venezia[37].;

Vita comunitaria

Nel 1746 gli ebrei triestini espressero in un testo manoscritto “alcune regole concernenti il buon ordine della comunità”[38].

Si tratta di sei capitoli che trattano della sua struttura interna, retta da due (in seguito tre)  capi, una consulta ristretta ed il consiglio generale. Vi sono descritti i metodi di tassazione, l’organizzazione scolastica comunitaria, i servizi religiosi e assistenziali, i rapporti con il rabbino e il metodo per dirimere  le controversie di natura finanziaria. Lo statuto, modificato più volte nel corso del XVIII secolo, stabiliva due tipi si tassazione: il primo consisteva in una dichiarazione, fatta dai singoli dell’importo delle tasse che si obbligavano a versare alla data stabilita, mentre il secondo dava alla Comunità la facoltà di determinare il contributo fiscale, previo accertamento delle condizioni economiche di ogni contribuente, raccolto da membri eletti dalla consulta e chiamati “tassatori”. Questo secondo tipo di tassazione fu adottato  a T.[39]

Nel 1771 l’imperatrice Maria Teresa promulgò uno Statuto generale che regolava la vita interna della Comunità e i suoi rapporti con il mondo circostante. In esso si sottolineava l’esigenza di una normativa chiara e univoca per garantire l’ordine nel ghetto e l’assenza di scandali, che una “polizia esatta” doveva  tutelare[40].

Inoltre, veniva istituita una tassazione personale in base alle attività economiche esercitate, che si univa a quella sui redditi immobiliari. 

La composizione di controversie d’ordine economico sino ai 100 fiorini era lasciata agli arbitri nominati dalla Comunità, salvo il diritto, in alcuni casi, al ricorso all’autorità politica, mentre le altre cause erano affidate ai tribunali ordinari[41].

Lo Statuto teresiano, dietro sollecitazione ebraica, fu integrato da un decreto di franchigia, in cui, per promuovere la residenza di altri ebrei, allo scopo di incrementare il commercio, veniva assicurata loro la sovrana protezione imperiale. Nel 1775 la Comunità prendeva possesso dello Statuto pagando l’ingente cifra di 1.000 ongari d’oro.

Salvo quanto introdotto dalle riforme di Giuseppe II, gli Statuti interni della Comunità non cambiarono sostanzialmente.

Dalla seconda metà del XVIII secolo, vi erano due confraternite, la Ghemilut Hasadim e il Talmud Torah., finanziate, in parte, dai contributi della Comunità e, in gran parte, da offerte di singoli e dall’usufrutto di proprietà immobiliari concesso per legato testamentario[42].

Attività economiche

Gli ebrei insediatisi a T. si occupavano di prestito: nella condotta del 1414, il tasso d’interesse era fissato al 22%, ma nelle successive scese al 15%, rimanendo tale sino al XVII secolo[43]. Nella condotta del 1420 fu precisato che il capitale circolante minimo, che Salomone doveva tenere a disposizione del pubblico, era di 20.000 ducati, ottenendo in cambio il monopolio del credito in città: tuttavia, qualora la somma da tenere a disposizione del banco avesse dovuto essere aumentata, il feneratore avrebbe avuto sei mesi di tempo per associarsi con un altro correligionario[44].

Oltre al prestito, gli ebrei erano attivi nel commercio e nella prima metà del XVI secolo è documentata l’attività di una famiglia di calzolai, mentre nel successivo sappiamo che vi era un materassaio[45].   

Verso la metà del Settecento, in più, alcuni israeliti erano “intendenti” alla corte austriaca e nel 1764 sorse la prima compagnia triestina di assicurazioni, finanziata e diretta da ebrei (insieme a due direttori cristiani)[46].

Dallo statuto di Maria Teresa, si deduce che, nel 1771, le attività dei capi famiglia tassati erano: negozianti di Borsa, negozianti comuni, sensali, aiutanti sensali, bottegai di prima e seconda classe[47].

Demografia

Nel Medioevo vi erano pochi ebrei a T., ma nel XVII secolo ve ne erano approssimativamente 60, nel 1735 103[48] e nel 1788 670[49].

Ghetto

Prima dell’istituzione del ghetto, ci resta solo l’indicazione dell’abitazione dei fratelli Parente, in via Malcanton. Il ghetto fu decretato nel  dicembre 1693, ma l’ordine giunse a T. solo nel marzo 1694. Due erano le zone della città scelte: la contrada Colcara (in seguito via Chiauchiara) e la Corte Trauner. Quest’ultima venne selezionata nonostante risultasse di dimensioni troppo esigue rispetto al numero degli ebrei, che si opposero con tutti i mezzi possibili all’esservi rinchiusi: non a caso la descrivevano come la scintina di tutte le immonditie et il peggior loco di tutta la Città, di aria insalubre , affatto incapace e talmente remoto che molti della Città  mai entro vi furomo , ne sanno dove si sia [50].

Nel 1695 da Vienna giunse l’ordine che si scegliesse un luogo più ampio e salubre della Corte Trauner, indicando, a titolo di esempio, la Portizza di Riborgo, considerato  un quartiere centrale e fra i migliori della città[51]. Il Consiglio cittadinoe gli abitanti di Riborgo, però, si opposero all’idea che il ghetto non venisse istituito nella Corte Trauner e gli ebrei furono costretti ad entrarvi  (sebbene non tutti ) nel marzo dello stesso anno. Nella Corte  scoppiò, quasi subito, un incendio (presumibilmente doloso) nella casa in cui si era appena trasferito tale Athias[52]. Una commissione fu, in seguito, nominata per decidere se gli ebrei dovessero stare nella Corte o a Riborgo e, dopo varie vicende, nel 1697, essi entrarono nel secondo. Il ghetto aveva tre porte: la principale si trovava dal lato della piazza del Rosario, la seconda nella via delle Beccherie e la terza nella via Riborgo[53].

Nel 1785, previo decreto imperiale, vennero tolte le serrature alle porte del ghetto[54].

Cimitero

Nel  1446 Michele di Salomone da Norimberga acquistò per  la sua famiglia, per gli altri correligionari e per i loro successori, una vigna per farne un cimitero, in zona sotto S. Giusto. Nel 1548 nei registri del provveditore generale del comune di T. si menziona il terreno adibito ad uso cimiteriale, posto fuori porta Riborgo, sul monte dietro il Castello. L’ingrandirsi della Comunità ebraica triestina, nel corso del secolo XVIII, impose una risistemazione del cimitero: il terreno, in cui si trovava sarebbe rimasto anche in seguito in possesso alla Comunità[55].

<p">Sinagoghe

In un documento quattrocentesco è menzionata una caseta in la contrada de piaza, apreso la sinagoga che fu del  zudío[56].

Sicuramente vi sono stati oratori privati in città. All’inizio del XVIII secolo, vi era un oratorio di rito tedesco, in via delle Beccherie[57] e nel 1745 venne chiesta dalla Comunità l’autorizzazione ad erigere un nuovo luogo di culto o a ricostruire il vecchio[58]. Nel 1775 tale oratorio fu acquistato dalla Comunità stessa, prendendo il nome di “scuola piccola”. Nel 1790 i fratelli Leon e Aron Vivante aprirono nella loro casa un oratorio privato di rito spagnolo, mentre nel 1798 venne inaugurata una nuova sinagoga, detta “scuola grande”, nel cui edificio venne ospitata anche la “scuola spagnola”[59].

Tra gli oratori settecenteschi va ricordato anche quello della famiglia Gentilli, di cui si parla nello statuto del 1766[60].  

Dotti, rabbini e personaggi illustri.

Menahem Zion (Emanuel) Porto (Coen Rapo Port), rabbino e matematico del XVI secolo, autore di svariate opere di matematica e di astronomia in italiano (e una in ebraico) era oriundo di T. 

Dalla seconda metà del XVII secolo si distinse a T. la famiglia Levi, di cui un membro era all’epoca a capo della Comunità locale. Nel 1684 conseguì la laurea in filosofia e medicina a Padova Giacomo di Samuele Levi, mentre il fratello Leone ebbe dall’Imperatore  Leopoldo I d’Asburgo un Diploma per i suoi meriti nelle attività in favore del bene pubblico. In tale Diploma furono rinnovati a lui e a Caliman Parente, insieme alle rispettive famiglie, i privilegi e le immunità accordati già ai loro antenati  dagli Imperatori Ferdinando I, Carlo V, Ferdinando II e III[61].

Da menzionare, nel XVIII secolo, Giacobbe di Benedetto Luzzatto (m. 1762)[62] e Yosef Hizqiyah Galligo[63].

Mordekhay (Marco) di Natan Luzzatto (1720-1799), oriundo di S. Daniele, studioso  prolifico e versatile, compilò, tra l’altro, un dizionario italo-ebraico e insegnò a T. nella scuola  di Talmud-Torah, fondata dopo l’editto di Giuseppe II[64].

Nella seconda metà del secolo XVIII, si distinse per la sua vasta cultura il rabbino Isaac Formiggini, oriundo di Modena, già primo rabbino del Piemonte e, successivamente, di Livorno, autore di responsi rabbinici pubblicati nel Shemel Tzedaqah e nel Pahad Yitzhaq[65].  Gli successe nella carica rabbinica il nipote Raffael Natan Tedesco, di Mantova, tenuto in grande considerazione non solo dai membri della Comunità ebraica, ma anche dal vescovo di T., il principe Sigismondo di Hohenwart[66].

Nacque  nel 1790 a T. Rahel Morpurgo (cugina del celebre studioso, esegeta, e teologo Shemuel David Luzzatto)[67], poetessa in lingua ebraica, che ebbe larga fama tra i conoscitori dell’ebraico.

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Volli, G., La nazione ebrea  a Trieste, in RMI 24 (1958), pp. 206-214.

Zoller, I., Il principe arcivescovo Hohenwart ed il suo atteggiamento verso l’ebraismo, in  La “Porta Orientale”,  3 (1933), pp. 16-23.


[1] Kandler, P., Codice Diplomatico Istriano, Trieste 1853-1864. Il documento in questione era stato erroneamente fatto risalire al  948 dal Mainati  (Mainati, G., Croniche ossia memorie storiche sacro profane di Trieste, Venezia 1818, Vol. I, pp. 60 –77), ma la comunità triestina continuò a considerare il 948 come data dell’inizio della presenza ebraica nella città: cfr. Curiel, R.,  Catalogo generale dei documenti  contenuti nell’Archivio storico della Comunità israelitica di Trieste, Trieste 1933, p. 2.  Riguardo a questo argomento, cfr.  Cervani, G. – Buda, L., La comunità israelitica di Trieste nel sec. XVIII, p. 3.

[2] Stock, M., Nel segno di Geremia, p. 11. Sulla presenza dei feneratori ebrei  a T., menzionati nel 1350 e nel 1373 negli statuti cittadinni  che riconoscevano loro uno stato giuridico virtualmente equiparato a quello  degli altri triestini, cfr.  Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, p. 131.

[3] Stock, M., ibidem.

[4] Libro delle Riformagioni, pp. 4-6, citato in Toaff, A., Migrazioni di ebrei tedeschi attraverso i territori triestini e friulani fra XIV e XV secolo, p. 24, nota13.

[5] Secondo il Kandler, Salomone sarebbe stato il capostipite della famiglia Parente, che fu per svariati secoli presente a T. Cfr. Stock, M., Salomon zudìo da Norimberga, publico imprestador a Trieste, p. 197 e Idem, Nel segno di Geremia, p. 12. L’attività feneratizia di Salomone non si limitava a T., ma egli si riservava di chiedere la restituzione del mutuo anche a Venezia, nel Friuli, a Lubiana, a Ferrara e a Bologna. Il banchiere Abramo di Liberman, di Capodistria, si stabilì, negli anni Venti, a T., con il consenso di Salomone che, a propria volta, aprì una filiale a Capodistria nel 1433.

[6] I capitoli delle condotte di Salomone e di David sono riportati in De Szombathely, M. ( a cura di) Libro delle Riformagioni o Libro dei Consigli (1411-1429), Trieste 1970, pp.  4-6; 66-70; 132-135, citato in Toaff, A., Migrazioni di ebrei tedeschi attraverso i territori triestini e friulani fra XIV e XV secolo, p. 23, nota 9. Cfr. anche  ivi, p. 9.

[7] Todeschini, G., Ebrei e francescani a Trieste fra Tre e Quattrocento: falsificazione dell’univocità di un modello, p. 48.

[8] Ivi, p. 49.

[9] Per la specificità della situazione triestina, rispetto alla presenza ebraica e francescana, cfr. ivi, p. 50 e segg.

[10] Stock, M., Nel segno di Geremia, p. 15.

[11] Ivi, p. 16.

[12] Ivi, p. 18.

[13] Archivio storico della Comunità israelitica di Trieste, cartella 56, citato in  Cervani, G., -Buda, L., op. cit., p. 5, nota 7.  Nel 1624 Ferdinando II concesse il privilegio di libera dimora e commercio anche a Ventura Parente di T., confermato nel  1647 da Ferdinando III. Ivi, nota 8.

[14] Ivi,pp. 19-20.

[15] Ivi,pp. 19-20

[16] Paolin, G., Alcune considerazioni sugli ebrei triestini tra XVI e XVII secolo, p. 219; p. 246, nota 15.

[17] Ivi, p. 23.

[18] Stock, M., Nel segno di Geremia, p. 24.

[19] Per il testo del memoriale in questione, cfr. ivi, pp. 26-28.

[20] Stock, M., Salomon zudio da Norimberga, p. 200.

[21] Curiel, R., Le origini del ghetto di Trieste, p. 451.

[22] Colbi, P., Di un’antica famiglia ebraica di Trieste, p. 124.

[23] Per i particolari, concernenti tale regalia, cfr. Stock, M., Nel segno di Geremia,  p. 28.

[24] Il vescovo istriano Giacomo Filippo Tommasini, visitando T. verso la metà del XVII secolo , riferiva che gli ebrei portano il cappello nero, onde non si conoscono dai cristiani. Archeografo triestino,  vol. I, p. 227, citato in Curiel , R., Le origini del ghetto di Trieste, p. 449, nota 1.

[25] Stock, M., Nel segno di Geremia, p. 28.

[26] Colbi, P., Di un’antica famiglia di Trieste, p. 125.

[27] Per i particolari della vicenda, cfr. ivi, pp. 32-34.

[28] Curiel, R., Le origini del ghetto di Trieste, pp. 451-452.

[29] Ivi, p. 29.

[30] Ibidem.

[31] Il Miller, vescovo a T. dal 1692 al 1720, allo scopo di ottenere la segregazione degli ebrei in ghetto, si servì anche del fratello Baldassare, gesuita, confessore di Leopoldo I, allevato dai gesuiti e sensibile al loro influsso. Cfr. Curiel, R., Le origini del ghetto di Trieste, p. 447; p. 453. Riguardo ai tentativi ebraici di procrastinare, cfr. ivi, pp. 454-466. 

[32] Stock, M., Nel segno di Geremia, p. 36.

[33] Indicativo è l’elenco dei cognomi delle famiglie triestine, nel XVIII secolo, che mostra cognomi di varia provenienza italiana, d’origine tedesca ( italianizzati e no) , d’origine levantina e d’origine spagnola. Cfr. ivi , p. 47. Per  una descrizione particolareggiata delle principali famiglie ebraiche triestine, nel secolo XVIII, cfr. Cervani, G. -Buda, L., op. cit., pp. 90-110.

[34] Ivi, p. 44.

[35] Cervani, G.- Buda, L., op. cit., p. 45; per ulteriori particolari cfr. p. 46 e segg. 

[36] Nel 1782, Giusepe II prese anche posizione contro il battesimo dei minori di sette anni, mentre per i minori fra i sette e i quattordici anni era ammesso il battesimo solo in punto di morte o dietro richiesta dei genitori. Nel 1787 fu vietato ai parroci batttezzare un ebreo senza il consenso delle autorità politiche, inoltre, se un ebreo si convertiva, anche i suoi figli venivano battezzati, mentre se si convertiva un’ebrea i figli dovevano rimanere nella religione paterna.Cfr. ivi, p. 78.

[37] Ivi, p. 73.

[38] Il testo dello Statuto del 1746 è stato pubblicato in Cervani, G.-Buda, L., op. cit., pp. 159-166.

[39] Archivio Storico della Comunità israelitica di Trieste, cartella 54, citato ivi, p. 22.

[40] Per il testo degli otto articoli dello Statuto conferito da Maria Teresa nel 1771, cfr. ivi, pp. 168-196. Gli articoli (suddivisi in  numerosi paragrafi) stabilivano, tra l’altro, che i capi vigilassero per non far stabilire a T. ebrei oziosi o sospetti, o in qualunque modo perniciosi alla Società in generale, mentre, d’altro canto,  doveva essere favorito lo stanziarsi delle persone oneste della Nazione in T. per aumentare il commercio e l’utile concorrenza.( Art. I, par. 23). I capi avrebbero dovuto adoperarsi per far ritirare gli abitanti nel ghetto alla data ora, ammonendo i trasgressori e punendo i recidivi con una multa (Art. I, par. 26). Il Capo Seniore avrebbe dovuto tenere un registro esatto dei domestici cattolici, di servizio in ghetto e fuori dal ghetto, evitando assolutamente il pernottamento in ghetto delle domestiche cattoliche, mentre la polizia avrebbe dovuto vigilare  per evitare il più possibile scandali o disordini (Art.I, par. 27). I capi, inoltre, avrebbero dovuto provvedere  per  evitare qualsiasi disturbo alle processioni , feste solenni e cerimonie cattoliche da parte degli abitanti del ghetto(Art.I, par. 31). I balli e altri divertimenti nel ghetto sarebbero stati permessi solo previa licenza dei capi; fuori dal ghetto previa licenza del Preside della Commissione di Polizia. In ambo i casi , balli e divertimenti dovevano riguardare i soli ebrei, senza commistione con la popolazione cristiana(Art. I, par. 33). Infine, l’acquisto o la costruzione di immobili che avesse ingrandito i confini del ghetto era proibito senza previa licenza espressa e consenso del Governo (Art. I, par. 32).        

[41] Art. VIII, parr. 3 e 4.

[42] Ivi, p. 50.

[43] Stock, M., Salomon, p. 199; Idem, Nel segno di Geremia, p. 14.

[44] Stock, M., Nel segno di Geremia, p. 14.

[45] Biblioteca Civica di Trieste, Archivio diplomatico (d’ora in poi, BCT, AD), Banchus maleficiorum, vol. 20 (1515, 1519, 1529), cc. 13 r ss., 18v- 19r. Il materassaio è citato in una supplica del 1632, Archivio di Stato di Trieste (AST), Intendenza commerciale, 69, citato in Stock, M., Nel segno di Geremia , p. 24; cfr. Paolin, G., Alcune considerazioni sugli ebrei triestini tra XVI e XVII secolo, p. 245, nota 4.

[46] Per questa e consimili attività ebraiche, cfr. Cervani, G.-Buda, L., op. cit., p. 122 e segg.

[47] Cervani, G.-Buda, L., op. cit., p. 27; cfr. Stock, M., Nel segno di Geremia, p. 40.

[48] A.D. T., Ebrei, c. 52 ; Zoller, I., La Comunità israelitica di Trieste, in Metron, vol. III, n. 3-4, citati in Curiel , R., Le origini del ghetto di Trieste, p. 453, nota 3 ; p. 454, nota 1.

[49] Volli, G., La nazione ebrea a Trieste, p. 208; cfr. Cervani, G.-Buda, L., op. cit., pp. 52-55.

[50] Curiel, R., Le origini del ghetto di Trieste, Doc. I, p. 469.

[51] Ivi, p. 466.

[52] Per gli ulteriori particolari dell’opposizione ebraica alla segregazione, cfr. Curiel, R., Le origini del ghetto di Trieste, pp. 454-461.

[53] Ivi, p. 465.

[54] Dubin, L.C., The Ending of the Ghetto of Trieste in the Late Eighteenth Century, p. 294.  Secondo il Curiel le serrature alle porte del ghetto vennero tolte l’anno precedente. Cfr. Curiel, R., Gli ebrei di Trieste nel secolo XVIII, p. 250.  Per la descrizione particolareggiata delle vicende relative alla fine della reclusione nel ghetto a T., cfr. Dubin, L.C., op. cit., pp. 292 e segg.

[55] Stock, M., Salomon zudio da Normberga , p. 197; Idem, Nel segno di Geremia, p. 15. Cfr. Curiel , R., Gli ebrei di Trieste nel secolo XVIII, p. 240; Cervani, G. -Buda,  L., op. cit., pp. 51-52.

[56] Stock, M., Nel segno di Geremia, p. 15.

[57] Secondo un autore ottocentesco, una sinagoga venne aperta in via Malcanton , nel 1695, anno in cui fu decretato il ghetto e venne concessa libertà di culto da Giuseppe II. Cfr.  Generini, E., Trieste antica e moderna ossia descrizione ed origine dei nomi delle sue vie, androni e piazze, Trieste 1884, p. 457, citato in Cervani, G.-Buda, L., op. cit., p. 38, nota 2.  

[58] Archivio Diplomatico Triestino, Libri Cons., vol. 21, f. 8, citato in Curiel, R., Gli ebrei di Trieste nel secolo XVIII, p. 241, nota 3. 

[59] Cervani, G. -Buda, L., op. cit., pp. 38-40.

[60] Arch. Com. Isr. , H., Vol. I bis, Regolamenti, citato in Curiel, R., Gli ebrei di Trieste nel secolo XVIII, p. 465.

[61] Colbi, P., Di un’antica famiglia ebraica, pp.  124-125.  Il  figlio di Leone Levi, Ezechia, e il figlio del medico Giacomo Levi, Leone,  morti per improvvisa malattia nello stesso giorno, nell’anno 1733,  venivano ricordati in una lapide, trasportata, in seguito, dall’antico cimitero ebraico al Museo lapidario di T. Cfr.  ivi, p. 127.   

[62] Mortara, M., Indice, p. 36.

[63] Ivi, p. 26.

[64] Cassuto, U., alla voce ”Luzzatto Mordechai (Marco) ben Nathan”, in E.J.; cfr.Luzzatto, S.D., Autobiografia, p. 21; pp . 29-30.

[65] Ghirondi, M.S.-Nepi, H.G.,Toledot ghedoley Yisrael, p. 169.

[66] Zoller, I., Il principe arcivescovo Hohenwart ed il suo atteggiamento verso l’ebraismo, p. 16.

[67] Luzzatto, S.D., op. cit., p. 59. Faceva parte della famiglia di Luzzatto anche il rabbino Yaaqov di Yitzhaq Luzzatto, del XVI secolo, autore di svariate opere religioso-esegetiche, che, tuttavia, nacque a Safed e visse in Europa, ma non in Italia. Cfr. ivi , p. 8 e segg.

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