Como

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Como

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Capoluogo di Provincia. C. è situata a 200m di altezza sul livello del mare, all'estremità meridionale del ramo del Lario che si dirige verso sud-ovest, tra il Monte di Brunate, la collina del Baradello e il Monte Olimpino che ne divide l’area dalla pianura di Chiasso.

Nota in epoca romana con il nome di Comum, fu sotto il dominio dei Visconti dal 1335 al 1402, per poi passare alla signoria di Francesco Rusca, all'inizio del secolo XV e, nel 1451, agli Sforza.

In seguito, fu sotto il dominio dei francesi e degli svizzeri e, nel 1521, fu assediata ed occupata dagli spagnoli del Marchese di Pescara: seguì, poi, le sorti del resto della Lombardia.

Il primo riferimento ad una presenza ebraica a C. si desume dalla trascrizione di un'opera dedicata ai precetti, compilata nella città nel 1406[1].

Tuttavia, passeranno circa trent'anni, prima che venga attestato un nucleo ebraico: risale al 1435, infatti, il documento in cui i membri del Consiglio comunale esaminano la richiesta di alcuni ebrei di esercitare l'attività feneratizia qui. Secondo uno storico, si tratterebbe di Giuseppe e del figlio Abramo, di origine mantovana, con le famiglie, i soci e gli agenti, cui il Duca avrebbe accordato di stanziarsi per dieci anni. Poiché l'Officio di Provvisione aveva rifiutato i capitoli presentati dagli ebrei, il Duca li fece correggere e, pertanto essi poterono insediarsi in città, con la facoltà di esercitare il prestito all'interesse mensile di 6 danari per ogni lira e con l'obbligo di pagare 25 lire all'anno alla Comunità in cambio dell'immunità da tutti i carichi reali, personali e misti, per dieci anni[2]. Il malcontento delle autorità locali rispetto alla decisione ducale si sarebbe, però, ben presto espresso con l'istituzione dell'obbligo del segno distintivo nel 1437[3].

Nel 1450 il commissario ducale ed il vice-podestà, sulla base della lettera ducale dello stesso anno, stabilirono che nel prestito a C. fosse impegnato un solo ebreo, tale Mandolino, cui succedette il figlio Benedetto, come si rileva da un documento successivo[4].

Sei anni dopo, nel condono ad una serie di ebrei del Ducato per atti illegali commessi figura anche tale Manno, stanziato a C.

Nel 1458 viene attestata la presenza sul lago di C. di Angelo de' Rossi da Cesena, celebrato medico e familiare ducale, che, due anni dopo, da Gravedona dove si era stanziato, cercava appoggi per ottenere dal Papa un privilegio per esercitare la medicina. Dal 1464 lo si ritrova implicato nell'accusa di aver fornicato con una cristiana, per la quale ottenne, nel 1477, il perdono di Bona e Gian Galeazzo Maria Sforza, unitamente al permesso di tornare a risiedere nella valle di Lugano, esercitandovi la medicina[5].

A partire dal 1459, Mandolino di C. figurò a più riprese tra coloro cui era stato ordinato di pagare svariate somme al Tesoro ducale e che cercavano ogni mezzo per posporre il pagamento.

Nel 1465 e nel 1471, tra gli ebrei del Ducato che beneficiavano della absolutio ducale, c'era anche Benedetto (Baruch) di C., figlio di Mandolino, che, nel 1467, ebbe dal Duca il monopolio dell'attività feneratizia per dieci anni, in tutta la zona del comasco, fatta eccezione per Lugano.

Nel 1472 il Duca assicurò a Benedetto lo stesso appoggio a C. di cui, a Lugano, godeva il padre Mandolino e gli promise assistenza nella riscossione dei crediti.

Dal 1478 compare nei documenti la moglie di Benedetto, Gentile, che, a sei mesi dalla morte del marito, si appellò al Duca per essere trattata in modo equo rispetto alla tassazione, mostrando di continuare l'attività del defunto, poi passata ai figli con il consenso ducale.

Sempre nel 1478 il commissario di C. ricevette ordine di prendere le necessarie misure per impedire eccessi anti-ebraici durante la Quaresima; inoltre, dietro sollecitazione ebraica, egli ingiunse a Fra' Michele Carcano, noto per le sue prediche contro gli ebrei, di lasciare il territorio comasco, sebbene il podestà e gli Anziani del Comune disapprovassero l'iniziativa e, in seguito, facessero richiesta al Duca perché sospendesse per qualche giorno la conferma o la concessione del privilegio richieste dagli israeliti del Ducato.

Non potendo allontanare gli ebrei, come avrebbero voluto, data l'opposizione ducale, i comaschi ripiegarono sulla stipulazione di nuovi patti più vantaggiosi per la città, approvati, nel 1479, dal Duca che, poco dopo, confermò agli eredi di Benedetto il diritto esclusivo di prestare a C., ribadendo il privilegio del 1467.

Il clima anti-ebraico persistente, però, fece sì che la vedova di Benedetto, Gentile, fosse costretta da certe monache a vendere sottoprezzo la casa che aveva nelle vicinanze del loro convento, mentre agli ebrei che avevano acquistato una casa in una contrada centrale della città si opposero i cittadini, che non gradivano questa promiscuità. Altre proteste, inoltre, furono sollevate da parte di un frate che voleva contrastare l’intenzione degli ebrei di dimorare vicino ad un convento di monache.

L'anno dopo, essi  dovettero di nuovo essere protetti dall'autorità ducale, durante la Settimana Santa.

Nel 1488, tra gli Ebrei espulsi e le cui proprietà erano state confiscate per vilipendio alla fede cristiana, figurava anche tale Salomone di C.

Quasi venti di anni dopo, dal censimento segreto per stabilire il numero e la situazione economica degli ebrei nel Ducato, risultava che a C. non ve ne erano più, dato che erano stati cacciati già in precedenza.

Tuttavia, dalla documentazione del conflitto tra il Comune e gli ebrei del 1538 si evince che essi fossero nel frattempo tornati, ma lo stato di continua ostilità è attestato da la instructione alli agenti della città di Como contro ali hebrei, da cui risulta che non era allora  permesso agli israeliti di vivere nell'area cittadina e che quelli che per caso vi si fossero trovati di passaggio, avevano il divieto di prestare ad un tasso di interesse superiore al 15% e dovevano pagare le tasse come tutti gli altri cittadini. Inoltre, gli ebrei dovevano vendere i pegni non riscattati all'incanto pubblicamente, alla presenza di una agente del Comune, senza poter partecipare agli acquisti ed avevano l'obbligo, infine, di portare il segno distintivo.

Dai capitoli della Comunità di Como per la canepa de pegni si apprende che l'agente o incantador avrebbe dovuto recuperare tutti i pegni rimasti agli ebrei che dovevano lasciare la città e quelli non riscattati avrebbero dovuto essere messi all'asta e i proventi, meno le spese, sarebbero spettati al creditore.

Qualche anno dopo, nel 1547, i comaschi premettero di nuovo per l'espulsione degli ebrei dalla città, mirando al proprietario dell'unico banco, tale Raffaele da Pizzighettone, attivo già dal 1540. Questi, tuttavia, riuscì a rimanere, e, nel 1553, ottenne l'appoggio del governatore locale affinché‚ gli fosse restituita la casa, requisitagli dalle truppe per acquartierarvisi.

Nel 1558 risultavano attivi come prestatori a C. Isepo e Cresino da Riva, genero di Raffaele da Pizzighettone, cui deve aggiungersi anche Salomone di Simone Levi, prima residente a Cremona e sappiamo che nel 1567, i feneratori comaschi erano indebitati con i correligionari di Cremona.

Sebbene i discendenti di Raffaele di Pizzighettone continuassero la loro attività per tutti gli anni '70 del secolo, nel 1592–1595 non erano attestati più ebrei a C.

La città, anzi, proclamava che neanco in essa se ne veggono pure di passaggio, dato che già più di vinti anni sono, con qualche spesa et travaglio, ne cacciò quelli che avea[6] e, di conseguenza, non intendeva partecipare alla ripartizione della cifra, allora stabilita, da restituire agli ebrei stessi[7].

Bibliografia

Cassuto, U., E.J. alla voce "Como".

De Rossi, G.B., Mss. Codices Hebraici Bibliothecae, 3 voll., Parma 1803.

Motta, E., Ebrei in Como ed in altre città del ducato milanese, in periodico della Società Storica per la provincial e antica diocesi di Como,V (1885), pp. 9-44.

Rovelli, G., Storia di Como, III, Como 1802.

Segre, R., Gli ebrei lombardi nell'età spagnola, Torino, 1973.

Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982–1986.


[1] Si tratta del testo Ammude' Gola o Liber parvus praeceptorum, opera di Ytzhaq ben Yosef di Corbeil, di cui si trova il manoscritto nella Collezione De Rossi (De Rossi, G.B., Mss. Codices Hebraici, II, Cod. 756, p. 152 (stampato a Cremona).

[2] Cfr., Rovelli, G., Storia di Como, III, p. 183, citato in Motta, E., Ebrei in Como, pp. 11-12.

[3] Motta E., op. cit., p. 12.

[4] Il documento cui ci si riferisce è la supplica presentata da Benedetto di Mandolino, con una richiesta approvata da Galeazzo Maria Sforza nel 1467, in cui si ricorda che, circa diciotto anni prima, Mandolino aveva iniziato la sua attività di prestatore a C., successivamente passata al figlio; cfr. Motta, E., op. cit., pp. 12-14.

[5] Simonsohn, S., Milan I, doc. 572, 628, 835, 836, 1044, 1045, 1048, 1053; II, 1642.

[6] Segre, R., Ebrei lombardi, p. 26.

[7] Simonsohn, S.,op. cit., I, doc. 19, 75, 422, 633, 814, 827, 840, 925, 1109, 1144, 1205, 1256, 1267, 1302, 1329, 1443, 1391, 1494, 1534; II, doc. 1716, 1752, 1763, 1776, 1828, 1830, 1832, 1856, 1859, 1866, 1910, 1912, 1988, 2165, 2326, 2328, 2478, 2541, 2840, 2852, 2860, 2991, 3092, 3122, 3146, 3257; III, 3350, 3384, 4129; IV, pp. 2224-2232, p. 2295, p. 2716, p. 2782, p. 2784, 2799; Motta, E., op. cit., pp. 18-21; pp. 23-25; pp. 27-29; pp. 30-31;Segre, R., op. cit., pp. 25-26.

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