Titolo
Testo
Macerata ( מציראטה,מצ'רטה)
Capoluogo di provincia. Sita su di una cresta collinosa tra il Chieti e il Potenza, sorse nel secolo XI sulle rovine dell’antica Helvia Ricina ed ebbe, nel 1320, il titolo di città. Fin da allora vi posero sede i legati della Marca, con la corte di appello e la zecca pontificia. L’essere sede del governo pontificio non risparmiò a M. alterne dominazioni tiranniche: dopo essere stata sotto Francesco Sforza (1433-1445), tornò però al dominio della Chiesa, che restò ininterrotto sino all’invasione francese (1797-1799).
Nel XV secolo vi era una presenza ebraica a M., legata al banco feneratizio, come si evince dai documenti del 1468 relativi alla decisione di istituire un Monte di Pietà di M., promossa da fra’ Giovanni di Ripacerreta[1], nei quali si legge: Primo super Monte faciendo in subsidium pauperum, et ad tollendum fenus Iudeorum[2]. Tra i Capitoli, proposti alla commissione del Monte, il capitolo XVII regolava il suo rapporto con i feneratori ebrei, stabilendo che, in ossequio alla teoria canonica relativa al lucro, percepissero un interesse pressoché minimo (mezzo bolognino per fiorino). Tuttavia, era permesso ai prestatori di percepire sino al 20% a condizione che prestassero al Comune 200 ducati senza interesse, per quattro anni, al fine di rimpinguare i finanziamenti per la fondazione del Monte stesso. Si permise loro, inoltre, di vendere i pegni non riscattati, scaduto un anno, previo un bando in Piazza, che doveva essere ripetuto tre volte, di quindici giorni in quindici giorni[3]. Ne risulta che chi non poteva, per qualsiasi motivo, far capo al Monte, pur realizzato in buona parte con i soldi dei banchieri giudei, trovava nel prestito ebraico la sua ultima possibilità creditizia[4].
Il Monte cominciò a funzionare l’anno seguente la sua fondazione, rivelandosi ben presto un’istituzione di scarso successo[5]. Dai documenti dell’epoca prossima alla sua fondazione si apprende che veniva ribadito soprattutto agli israeliti il divieto di prendere in pegno oggetti sacri al culto cristiano, valido anche per il Monte, ma da questo spesso non rispettato (come emerge dai registri)[6]. Del resto, il Monte non si atteneva neppure alle direttive, date al momento della sua fondazione, di prestare solo a chi si trovasse in condizioni di vero bisogno e non appartenesse al ceto abbiente[7].
Mentre l’attività del Monte declinava con gli anni, il prestito ebraico continuava senza intoppi, come si deduce da frequenti cenni in proposito contenuti nella documentazione disponibile, in assenza dei veri e propri Capitoli, che non ci sono pervenuti[8].
Dagli atti contenenti disposizioni circa le modalità di restituzione dei pegni del 1483 sappiamo che allora prestavano in città un Consiglio e uno Ianarone[9] e, due anni più tardi, risulta che le case di Vitale e Ianarone erano state prese a sassate, presumibilmente in occasione di un tumulto. In seguito a tale episodio di ostilità nel 1488 le autorità stabilirono di aggiungere la clausola della tolleranza ai Capitoli stipulati con gli ebrei[10]: essa, però, venne abolita l’anno stesso, proprio nella seduta del Consiglio comunale in cui si decise la riforma del Monte, avvenuta nel 1489. Tuttavia, il Comune continuò ad avere rapporti economici con gli israeliti, come mostra il prestito chiesto all’ebreo Consiglio, nel 1491, allo scopo di consolidare alcuni debiti dell’istituzione[11].
Nel 1492 venne, poi, fondato un altro istituto di prestito a titolo di elemosina, il Monte frumentario, sebbene il Comune continuasse ad essere fortemente indebitato con l’ebreo Consiglio[12].
Del resto il prestito ebraico era ancora documentato nei primi anni del secolo successivo: nel 1506, ad esempio, il Comune deliberava di obbligare la gabella dei cenci a Lazzaro, Isacco e agli altri coeredi di Consiglio, per il credito che essi detenevano nei suoi confronti. I fratelli Lazzaro e Isaia, figli di Consiglio, furono, inoltre, beneficiari di una tolleranza e relativa proroga di privilegi da parte del camerlengo papale nel 1533. Tale disposizione fu rinnovata ad Isaia nel 1538 e nel 1543 e, ancora nel 1538 ad Emanuelino di Samuele da Monte dell'Olmo, nonché a Ventura di Simone da Monte dell'Olmo nello stesso anno, nel 1543 e nel 1544. Altri banchieri godettero, poi, dello stesso trattamento negli anni successivi[13].
Il depauperamento seguito alle guerre, da un lato, e, dall’altro, l’abbondanza di denaro che facilitava il credito, abbassandone il prezzo, favorirono l’apertura di un nuovo Monte di Pietà nel 1510, che cominciò ad operare con criteri diversi da quelli usati in precedenza, riuscendo a togliere con maggior efficacia il prestito all’iniziativa dei privati[14].
Nel 1514 il camerlengo papale Raffaele Riario emanò una lettera di protezione a favore degli ebrei delle Marche ed in particolare di quelli di Macerata, che erano stati perseguitati ed esposti ad estorsioni da parte degli studenti durante la festa di S. Nicolò[15].
Mentre gli israeliti dovevano lasciare M. dopo il decreto d'espulsione dallo Stato della Chiesa, alcuni di essi rientrarono, però, a M. durante il papato di Sisto V. Negli anni '80 del secolo XVI il camerlengo dette il permesso di venire ed abitare in città ai fratelli Laudaio, Bonaiuto e Samuele, figli di Pacifico, a Moyse e Consolo di Manuele, Salvatore Caviglia e Salamone di Raffaele da Montesanto[16].
Un ultimo cenno alla presenza ebraica si ha in una lapide sepolcrale del 1552, che si riferisce a Rav Avigdor di Zekharyah, sepolto “intriso nel suo sangue” (mitboses be damav): sulla sua identità, e sulle circostanze della sua morte, sono stati sollevati svariati interrogativi[17].
Nella biblioteca comunale di M. si trova una raccolta manoscritta (Ms. 310 ) di scritti di medicina d’origine provenzale risalente al 1400 circa: alla fine dell’opera si trova anche una raccolta di scritti di matematica ed astronomia, di cui alcuni relativi all’anno 1397[18].
A M. si conservano, inoltre, all’incirca una cinquantina di pergamene, collocate nel Tabulario Diplomatico dell’Archivio Notarile, che sono servite da custodia per gli atti dei notai di M. e delle località vicine. L’impiego di tali pergamene va dal 1543 al 1604 e la maggior parte dei testi in esse contenuti sono biblici[19].
Il rabbino di Macerata, Ioseph Arli, si convertì al cristianesimo con il figlio nel 1553. Da cattolico assunse il nome di Iacobo Geraldini e fu il primo censore ufficiale dopo l'introduzione della censura di libri ebraici alla meta del '500. Papa Giulio III gli assegnò una pensione vitalizia annua di 200 scudi, che doveva essere pagata dal gruppo ebraico delle Marche. Egli ricevette, invece, lo stipendio da rabbino, che doveva sostenere la sua attività nel campo degli studi ebraici e dell’ insegnamento della bibbia. Personaggio strano e controverso, si convertì d’improvviso all’età di 60 anni, dopo aver avuto un dissidio con gli altri rabbini italiani ed essere stato rimosso temporaneamente dalla carica. Sembra, comunque, che anche dopo la conversione egli avesse compilato almeno un consulto legale rabbinico[20].
Bibliografia
Bachi, R., Ricordi ebraici in Macerata, in RMI VIII (1933), pp. 300-303.
Loevinson, E., La concession des banques de prêts aux juifs par les papes des seizième et dix-septième siècles, in REJ 92 (1932), pp. 1-30; 93 (1932), pp. 27-52, 157-178; 94 (1933), pp. 57-72, 167-183; 95 (1934), pp. 23-43.
Luzzatto, G., I banchieri ebrei in Urbino nell’età ducale, Padova 1903.
Modena Mayer, M., Epitaffio ebraico di Avigdor (1552), in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Macerata, Macerata 1973, pp. 105-110.
Richler, B., Osef Hiburim be refuah- ktav yad ha sifryah ha-ironit be-Macerata (Italia), Ms. 310 (Raccolta di scritti di medicina- Manoscritto della biblioteca comunale di Macerata (Italia), Ms. 310), in Kiryat Sefer58 (1983), pp. 194-195.
Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.
Simonsohn, S., Some Well-Known Jewish Converts during the Rennaissance, in REJ 148 (1989), pp. 17-52
Zdekauer, L., La fondazione del Monte Pio di Macerata ed i primordi della sua gestione (1468-1510), in Rivista Italiana di Scienze Giuridiche XXVII(1899), pp. 127- 149; XXIX (1900), pp. 389-410.
[1] Zdekauer, L., La fondazione del Monte Pio di Macerata ed i primordi della sua gestione (1468-1510).
[2] Luzzatto, G., I banchieri ebrei in Urbino nell’età ducale, Padova 1903, p. 14; Zdekauer, L., ivi, p. 135.
[3] Zdekauer, L., La fondazione del Monte Pio di Macerata, p. 139.
[4] Ivi, p. 140. Per le caratteristiche della clientela del Monte di M. e per alcuni particolari circa le modalità di funzionamento del Monte stesso, si veda ivi, pp. 140-142. Per il testo dei Capitoli del 1468, cfr. ivi, pp. 143-149.
[5] Ivi, p. 390- 392.
[6] Ivi, pp. 393-394.
[7] Ivi, p. 393; pp. 394-396.
[8] Ivi, pp. 400-402.
[9] Ivi, p. 402.
[10] […] In ipsis capitulis apponantur ea verba que apposita sunt per superiores :’ Quod ipsa capitula tollraverunt et tollerant’ . Ivi, p. 403, n. 3.
[11] Ivi, pp. 403-404.
[12] Ivi , p. 404.
[13] Ivi, p. 408, n. 1; Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 1610, 1861. 1892, 1898, 1924, 2255, 2322, 2400
[14] Zdekauer, L., La fondazione del Monte Pio di Macerata, pp. 408-409.
[15]Simonsohn, S., op. cit., doc. 1221.
[16] Loevinson, E., Banques de prêts, p. 70.
[17] Bachi, R., Ricordi ebraici in Macerata, p. 301; sulla lapide sepolcrale in questione, cfr. Modena Mayer, M., Epitaffio ebraico di Avigdor (1552), in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Macerata, Macerata 1973, pp. 105-110.
[18] Richler, B., “Osef Hiburim be refuah- ktav yad ha sifryah ha-ironit be-Macerata (Italia), Ms. 310” (“Raccolta di scritti di medicina- Manoscritto della biblioteca comunale di Macerata (Italia), Ms. 310”), in Kiryat Sefer58 (1983), pp. 194-195.
[19] Bachi, R., op. cit., p. 302.
[20] Simonsohn, S., op. cit., History, pp. 284s.; Id., Some Well-Known Jewish Converts, p. 48 ed i riferimenti citati ivi.