Voltri

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Voltri

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Voltri (וולטרי)

Provincia di Genova. Sita tra due fiumi, in un punto strategico per il traffico con la Riviera di Ponente, il Piemonte e la valle del Po, faceva parte del Dominio di Terraferma della Repubblica di Genova ed era una delle tre Podestarie suburbane che, sotto certi aspetti, godevano degli stessi diritti del territorio genovese entro le mura. Era governata da un capitano, appartenente a una famiglia dell’aristocrazia[1].

Il primo documento in cui è menzionato un ebreo in relazione alla località di V.  risale al 1570, quando tale Zaccaria riceveva il monopolio per lo sfruttamento di una miniera di ferro[2].

Nel 1587 Anselmo del fu Leone Carmi ed il figlio Leone ebbero l’autorizzazione a vivere e gestire un banco di pegni a V., a condizione di pagare al Capitaneato una somma di denaro per restaurare il ponte: dato che tale somma risultò poi insufficiente allo scopo, i Carmi si impegnarono a prestare un’ulteriore cifra, da versare entro i sei anni seguenti, al tasso del 9% annuo. L’anno successivo, alcuni rappresentanti della Comunità e della Curia si opponessero dicti instrumenti debiti confessi nisi secundum dispositione sacrorum canonum[3]. Una ventina di anni più tardi (1606), il Capitano di V. ricevette ordine dai funzionari responsabili della strada che congiungeva Genova a Savona di produrre tutte le scritture che passorno per conto de danari che pagorno gli ebrei per la fabrica del ponte di Voltri[4].

Sempre nel 1587 le autorità genovesi inviarono, in una serie di località, tra cui V., lettere patenti riguardanti l’obbligo del segno distintivo per gli ebrei, pena l’espulsione entro due mesi[5].

Ancora nello stesso anno, alcuni Ufficiali del Capitaneato di V. dichiararono di dover risarcire il prestito di una cifra accordata da Leone Carmi all’interesse del 9%[6] e, nel 1588, il Capitano decretò che nessuno avrebbe dovuto molestare la famiglia di Anselmo Carmi, pena la multa di uno scudo[7].

Nello stesso 1588 Benedetto del fu Lazzaro Vazo ed il fratello Jacob promisero ad un cristiano ed al suo procuratore una cifra, da pagare a rate: Stella, moglie di Benedetto, si impegnò, con il consenso del marito e del cognato, a garantire il pagamento con i propri beni, inclusa la dote[8].

Su richiesta di Leone Carmi, Anselmo Carmi dichiarò, l’anno seguente, di aver dato ad un mulattiere di Borzoli, a Casale, nove some di riso ricevute dall’ebreo Michele, che avrebbero dovuto essere portate a V.[9].

Nel 1592 il cardinale Enrico Caetani, Camerlengo papale, concesse ad Anselmo Carmi una tolleranza per poter tenere un banco a V.[10], ma,  nel medesimo anno, il Senato di Genova inviò una lettera al Capitano di V., ordinandogli di espellere tutti gli ebrei e, qualche giorno dopo, l’editto venne affisso nella località. Nel dicembre 1592, a Leone Carmi furono concessi altri due mesi di soggiorno a V., purché non prestasse denaro e, nel maggio del 1593, Leone risultava ancora residente in loco. Poco dopo, il Capitano ingiunse agli ebrei di comparire di fronte al Senato con i loro privilegi.

Nel settembre dello stesso anno, i magistrati genovesi decisero che Anselmo e Leone Carmi ricevessero il saldo del credito, da loro concesso dietro pegni, a tale Luciano Bonfilio, secondo quanto era stato stabilito dal Senato per gli altri correligionari di V. e, l’anno successivo, il Senato ordinò al Capitano di V. di restituire ad Anselmo Carmi (che aveva presentato una supplica a questo proposito) la chiave della cassaforte e di smettere di tenerne sotto sorveglianza la casa. L’autorità genovese ordinò anche di deporre in luogo sicuro una cifra adeguata al valore dei pegni e di pagarne il prezzo qualora fosse stata emanata la disposizione  relativa[11].

Anselmo Carmi, come padre e amministratore dei beni e del legato del defunto figlio Leone e come membro del gruppo ebraico attivo a V., elesse  procuratore il genero Sansone Pavia[12]. Questi era colui che, con i fratelli Clemente e Moise, residenti a Lodi, cedette a Donato di Leone Ottolengo a Conegliano i cinque sesti del guadagno ricavabile dalla loro invenzione in materia di alzare acque per adacquare terreni, ma  Donato rifiutò l'offerta[13].

Nel  gennaio-febbraio 1598 il Senato di Genova chiese al Capitano informazioni sugli ebrei di V., a seguito della supplica presentata dal Carmi e dal Pavia per poter restare altri due anni, come previsto dal privilegio del 1587, ed il permesso venne concesso. Ciononostante gli israeliti sembravano ormai programmare l’abbandono di V. e chiesero che i pegni del banco venissero venduti all’asta pubblicamente. Poco dopo, i funzionari del Capitaneato rilasciarono quietanza al Carmi per una somma concessa a credito e promisero, al contempo, di non molestarlo.

Gli ultimi accenni alla presenza ebraica nella località sono la ricevuta rilasciata da un commerciante genovese per i pegni ricevuti dal Carmi e dal Pavia e un’altra vendita all’asta dei beni mobili impegnati al banco, indetta su richiesta del Carmi nell’aprile del 1598[14].

Bibliografia

Forcheri, G., Doge Governatori Procuratori Consigli e Magistrati della Repubblica di Genova, Genova 1968.

Loevinson, E., La concession des banques de prêts aux juifs par les papes des seizième et dix-septième siècles, in REJ 92 (1932), pp. 1-30; 93 (1932), pp. 27-52, 157-178; 94 (1933), pp. 57-72, 167-183; 95 (1934), pp. 23-43.

Segre, R., The Jews in Piedmont, 3 voll., Jerusalem 1986-90.

Simonsohn, S., The History of the  Jews in the Duchy of  Mantua, Jerusalem 1977.

Simonsohn, S., The History of the Jews in the Duchy of Milan, Jerusalem 1982-1986.

Urbani, R.- Zazzu, G., N., The Jews in Genoa, 2 voll., Leiden-Boston-Köln 1999.


[1] Forcheri, G., Doge Governatori Procuratori Consigli e Magistrati della Repubblica di Genova, p. 176.

[2] Urbani, R.  - Zazzu,G.N., Genoa, doc. 349, 350.

[3] Ivi, doc. 392. Data l’importanza di mantenere in buono stato i due ponti di V. per consentire i traffici con la Riviera di Ponente e la valle del Po, è presumibile che i Carmi cercassero di guadagnare il favore dei voltresi, tramite il prestito della seconda somma a condizioni vantaggiose per le autorità cittadine. Cfr. ivi, pp. LXV-LXVI.

[4] Ivi, doc. 538.

[5] Ivi, doc. 394, 395.

[6] Ivi, doc. 396.

[7] Ivi, doc. 400.

[8] Ivi, doc. 404.

[9] Ivi, doc. 407.

[10] Loevinson, E.,  Banques de prêts, p. 31; Segre, R., Piedmont, doc. 1540.

[11]  Urbani, R. – Zazzu, G.N., op. cit., doc. 439, 443, 452, 470, 473, 479, 483. Il doc. 483 si riferisce evidentemente a una vicenda di cui non ci sono rimasti attestati ulteriori particolari.

[12] Ivi, doc. 487.

[13] Simonsohn, S., Milan, doc. 4316; Idem, Mantua, pp. 194, 196. Nel 1600 Sansone si trovava a Casale Monferrato. Idem,  Milan, p. 2644.

[14] Ivi, doc. 517, 519, 520, 521, 523.

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