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La prossimità con il regno di Napoli, richiamò a Vallecorsa ebrei d’oltreconfine in occasione della loro espulsione da parte di Ferdinando il Cattolico nel 1511 e di Carlo V nel 1541. Nel maggio 1531 Benedictus Iacob, abitante a V., acquistò un immobile a Sezze nel quartiere di S. Andrea da maestro Sabato Sacerdote e da Vitus Ioseph hyspanus[2]. L’8 giugno 1543 Salomone di Sacerdote e suo genero David de Traietto ottennero la facoltà, di durata triennale, di esercitare il prestito a interesse nella cittadina e il 22 dicembre dello stesso anno ebbero uguale licenza i fratelli Ventura e Mosè di Graziele di Fondi[3]. Il 28 dicembre 1548 i due ottennero da Salomone di Abramo di Lipari, detto Scimmi, un prestito di 118 scudi, compresi gli interessi, che si impegnarono a restituire entro un anno[4]. Salomone di Sacerdote e suo genero ebbero nel 1544 dalla Camera Apostolica la conferma della condotta sottoscritta con la cittadinanza locale e la licenza fu rinnovata al primo per un altro biennio nel 1549. Nel 1551 ebbero l’autorizzazione di prestare su pegno qui e a San Lorenzo, per la durata di un triennio, i fratelli Mosè ed Elia di Fondi e una simile concessione, triennale, fu confermata nel 1552 anche a Ventura di Graziele[5]. Il registro della vigesima dell’anno 1550 annota la presenza a V. di Ventura et fratelli, la cui tassa era di 2 ducati, e di David di Traietto, tassato per 1 ducato e 60 bolognini[6].
Di lì a qualche anno Ventura di Graziele trasferì la propria dimora a Frosinone e qui, il 30 gennaio 1556, fu inquisito per avere violato in materia di prestito, di beni immobili e di familiarità con i cristiani, la bolla Cum sit absurdum emanata da Paolo IV il 14 luglio dell’anno precedente. Per quanto riguarda il prestito, egli ammise di avere dato denaro a interesse ai cristiani dopo la bolla, ma di averlo fatto in forza di una nuova licenza concessagli da Paolo IV il 3 luglio; quanto al periodo precedente, egli aveva esercitato il prestito senza licenza, perché aveva perso il documento per strada quando era andato ad abitare da V. a Frosinone. Ventura confermò di avere posseduto in quel di V. un oliveto con molti alberi, una possessione de grano, tre mezzi bovi in sòccita e cinque somari alla parte, ma di aver venduto tutto entro il termine stabilito, come risultava dagli strumenti notarili esibiti alla corte. Per quanto riguardava il terzo reato, ammise che sua moglie aveva mandato la figlia Stella a mastro Simone arracamatore in casa de notar Antonio ad imparare a raccamare. Egli fu prosciolto dall’accusa relativa alla vendita degli immobili, ma venne condannato a una multa di 25 ducati d’oro, ridotta poi a 8, per avere prestato denaro senza licenza e per avere tollerato che la figlia Stella andasse a scuola di ricamo dai cristiani e conversasse con loro[7].
Bibliografia
AA.VV., La Terra Nostra Vallecorsa, Roma 1984.
De Rossi, P.I., La comunità ebraica di Terracina (sec. XVI), Cori 2004.
Scarica, F. Prime indagini sugli ebrei a Sezze tra medioevo e rinascimento (da una ricerca nei protocolli notarili), in Medioevo e rinascimento, ser. NS, 17 (2006), pp. 101-124.
Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.
Stirpe, M., Presenza ebraica nel Lazio meridionale, in Latium, Rivista di Studi Storici, 5 (1988).
pp. 19-33.
Stirpe, M., Gli ebrei di Campagna e Marittima e l’editto di Paolo IV, in Scritti in memoria di G. Marchetti Longhi, Anagni 1990, pp. 291-329.
[1] AA.VV., La Terra Nostra Vallecorsa, Roma 1984.
[2] Scarica, F. Prime indagini sugli ebrei a Sezze, p. 122.
[3] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 2243, 2239.
[4] De Rossi, P.I., La comunità ebraica di Terracina, p. 116, n. 308. Il debito fu soddisfatto il 4 marzo 1550 da Mosè di Graziele.
[5] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 2347, 2813, 2965.
[6] Stirpe, M., La presenza ebraica nel Lazio meridionale, p. 29.
[7] Stirpe, M., Gli ebrei di Campagna e Marittima, pp. 302-304.