Pofi

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Pofi

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Provincia di Frosinone. Posta nell’area delle colline erniche, che scendono verso il fiume Sacco, e dipendente dal papato, divenne feudo dei Caetani verso la fine del XIII secolo e dalla metà del XV dei Colonna. Fu capolouogo della parte meridionale dello stato colonnese fino al 1734, quando il capoluogo fu spostato a Ceccano[1].

 

L’8 ottobre 1551 Sabato Calabrese, abitante a P., procuratore di Isach figlio ed erede di Salomone Scimmi di Terracina, abitante anch’egli a P., dovendo pagare 350 scudi ad Allegrezza, figlia ed erede di Benedetto de Benedictis, ricevette in mutuo 100 scudi d’oro da Salomone di Benedetto cognato di Isach, e promise di restituirli al detto Salomone e a sua moglie Stella ad ogni richiesta di quest’ultima, a cui appartenevano. Nel novembre dello stesso anno la Camera Apostolica intervenne a favore di Allegrezza, ordinando di provvedere perché Isach di Salomone Scimmi non molestasse la donna in ordine a un debito pertinente all’eredità di Benedetto[2]. Nel 1552 Gabriele, figlio di Ioseph di Tivoli, ebbe la licenza, valida per tre anni, di tenere un banco di credito in P.[3].

Quando nel 1555 papa Paolo IV impose con la bolla Cum nimis absurdum una lunga serie di divieti e di limitazioni iugulatorie agli ebrei delle terre della Chiesa, tutti e tre gli ebrei locali, ossia Sabato Calabrese, Isach  di Salomone e Gabriele da Tivoli, furono denunciati di averla trasgredita. Per non sottoporsi al giudizio del vescovo di Veroli, che li aveva convocati con l’imputazione di avere fatto “usure su usure”,  essi si rifugiarono nel vicino Monte San Giovanni, feudo di Maria d’Aragona, marchesa di Vasto, dove gli ebrei godevano privilegi e protezione. I tre chiesero asilo anche per sfuggire agli aggravi e alle violenze che i soldati di Marco Antonio Colonna, allora in guerra col papa, perpetravano in P. massime alli hebrei. Il vescovo di Veroli, mons. Filonardi, li processò in contumacia – nonostante un intervento della marchesa di Vasto a loro favore - e li condannò a una pena pecuniaria e  alla confisca di grani e vini, tanto in P. quanto in Arnara.

Gabriele, Sabato e Isaac indirizzarono allora a mons. Filonardi una supplica con la quale, riconoscendo di havere errato, gli chiesero di redur dicta pena ad una tolerabile composizione e comandare che dicti sequestri siano revocati e li processi contro di loro facti, siano cassati. Dietro pagamento di 20 ducati d'oro da parte di ciascuno alla Curia vescovile di Veroli e la restituzione di quanto avevano riscosso indebitamente, l’1 novembre 1555 il vescovo accolse la richiesta. Ma  il  6 febbraio 1556 il commissario apostolico Britio istituì in Veroli un nuovo processo contro Gabriele da Tivoli e Sabato di Salomone[4].

Gabriele di Tivoli fu inquisito il 16 marzo 1556. Egli si appellò alla norma giuridica, secondo la quale non si può essere processati e puniti due volte per lo stesso reato, e chiese pertanto l'annulla­mento del processo a suo carico, considerato che non vi erano altre querele contro di lui. Riguardo alla contumacia, per la quale aveva pagato la pena pecuniaria, Gabriele esibì un rescritto favorevole di mons. Virgilio Rosario, vi­cario papale, nel quale la sua contumacia era giustifi­cata, da un lato, dalla mancata citazione in forma legale, dall'altro, dall'impedimento dei suoi molteplici impegni. Il commissario Britio tenne conto della legittimità e della fondatezza della linea difensiva, ma contestò al Gabriele altre due trasgressioni, cioè di aver riscosso crediti di domenica e in altri giorni festivi, e di aver fatto accendere il fuoco in casa dai cristiani. Per queste inosservanze, l'inquisito chiese di comporre bonariamente il giudizio, tenendo conto delle sue condizioni di povertà,istanza che venne accolta con rescritto del 23 marzo, in forza del quale il processo fu annullato dietro versamento di 15 ducati d'oro da parte di Gabriele.

Sabato, o Sciabadai, Calabrese, inquisito a sua volta dal commissario Britio, si vide sequestrati i beni immobili, consistenti in tre possessioni, perché non li aveva venduti entro il termine stabilito dalla bolla, come risultava dallo strumento notarile che recava la data del 2 dicembre 1555. Il commissario avviò quindi la procedura per la ven­dita all'incanto degli immobili confiscati. Dopo aver ordinato di dare pubblico bandoper tre giorni consecutivi (15, 16, 17 marzo) nei luoghi soliti del castello di P., fu esperita l'asta, a cui parteciparono tre offerenti. I fondi rustici furono aggiudicati ad Antonio Paterno di P. al prezzo complessivo dì 30 ducati. Sabato si oppose alla vendita, ricorrendo a mons. Virgilio Rosario, che accolse le sue ragioni e, con lettera del 28 marzo, ordinò a Britio di restituire all'ebreo i beni immobili già venduti. Per sollecitarne la restituzione, Sabato si presentò a Veroli il 13 aprile, accompagnato da due testimoni, i quali davanti al commissario deposero che la vendita era stata in realtà effettuata, sulla parola, fin dal mese dì agosto a Ennio Paterno (il figlio di Antonio, colui che si era aggiudicata l'asta) per la somma di 32 ducati. Quindi, due giorni dopo, furono restituiti a Ennio i 30 ducati pagati per l’acquisto dei terreni  venduti all’incanto e a Sabato i beni confiscati[5].

 

Bibliografia

 

Celletti, V., Pofi, terra della Campagna Romana. Mille anni di feudalesimo, Roma 1957.

Cristofanilli, C., Tacto calamo vicende di una comunità ebraica in Monte S. Giovanni nel Cinquecento, Monte S. Giovanni Campano 2003.

De Rossi, P.L.,  La comunità ebraica di Terracina (sec. XVI), Cori 2004.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.

Stirpe, M.,  Gli ebrei di Campagna e Marittima e l’editto di Paolo IV, in Scritti in memoria di G. Marchetti Longhi, Anagni 1990, pp. 291-329.


[1] Cfr. Celletti, V., Pofi, terra della Campagna Romana. Mille anni di feudalesimo, Roma 1957.

[2] Cfr. De Rossi, P.L.,  La comunità ebraica di Terracina, pp. 128-129; Simonsohn, S.,  The Apostolic See and the Jews, doc. 3039. Sabato Calabrese di cognome era Rimos. Cfr. Cristofanilli, C., Tacto calamo, pp. 210-211.

[3] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 3094.

[4] Stirpe, M., Gli ebrei di Campagna e Marittima e l’editto di Paolo IV, pp. 305-308.

[5] Ibidem,  pp. 309-311.

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