Bolzano

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Bolzano

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Bolzano (פאצן)

Capoluogo di provincia, centro principale dell’Alto-Adige, nel Tirolo meridionale.

La  città, posta in una conca tra le montagne, sorge dove l’Adige, dopo la confluenza dell’Isarco, piega verso sud. Conquistata dai Romani, B. fu inclusa nella Decima Regione d’Italia. Nel XIII secolo Corradino di Svevia ne riconobbe l’appartenenza all’Italia ed in seguito la città, retta da vari signori, passò nel 1363 agli Asburgo. Dal 1462 al 1531 fu sotto il dominio dei Vanga.

Dal punto di vista economico, fin dal XII secolo B. fu sede di mercati e fiere che attiravano numerosi frequentatori, tutelati da leggi particolari, codificate nel 1635 da Claudia de’ Medici, reggente della contea del Tirolo. B. seguì le sorti di quest’ultima e, dopo l’invasione francese del 1797, fu assegnata per un periodo alla Baviera.   

Sin dal XIV secolo ebrei d’origine italiana si stanziarono a B.: nel 1317 o 1318, l’esattore fiscale ebreo Niccolò ricevette dal duca Enrico di Carinzia il permesso di possedere una casa e un frutteto nella località[1]. Disposizioni cittadine della metà del secolo, originate presumibilmente dall’accusa di avvelenare i pozzi mossa agli ebrei nel 1349, vietarono, in seguito, a questi ultimi di  toccare i generi alimentari esposti in vendita al mercato, pena l’obbligo di acquisto al prezzo stabilito dal venditore ad libitum e di una multa[2].

Dall’articolo n. 6 delle misure riguardanti gli ebrei, emanate dal vescovo Ulrich III di Bressanone nel 1403, prende corpo l’ipotesi che anche a B. vi dovessero essere regolamenti specifici che, tuttavia, non ci sono noti[3]: sappiamo, però, che meno di 30 anni più tardi, anche agli ebrei di B. furono accordati diritti analoghi a quelli loro concessi a Bressanone, ma improntati a maggior liberalità[4].

A seguito dell’accusa di omicidio rituale mossa agli israeliti di Trento, e i conseguenti processi, il duca del Tirolo Sigismondo, dopo un’iniziale presa di posizione in favore degli ebrei, sembrerebbe averli espulsi dalle proprie terre nel dicembre 1475[5].

Nonostante ciò, a partire dall’inizio del XVI secolo, alcuni ottennero permessi speciali per soggiornare in Tirolo, esercitandovi il commercio, purché non facessero gli ambulanti, portassero il segno distintivo (una “rotella” gialla) e pagassero una tassa pro capite (Leibzoll) alla dogana locale[6].

Dopo i saccheggi della cosiddetta “guerra dei contadini” (1525), gli ebrei, che risiedevano a B. in una strada separata, chiamata Erbsengasse o Judengasse[7], vennero presi di mira e, in particolare, fu danneggiato tale Simon, ricamatore in seta, cambiavalute e prestatore su pegno, che aveva rapporti d’affari con l’imperatore Carlo V[8]. Inoltre, fu perduto il documento di Massimiliano I (Freiheitsbrief) contenente le concessioni riguardanti gli ebrei: in conseguenza di ciò, solo poche famiglie ottennero la conferma del  privilegio di  Carlo V, quando ne fu chiesto il rinnovo.

Tra i pochi che poterono ancora godere del privilegio, vi fu  Abraham di B., menzionato in documenti del 1551 e del 1558. Nel 1573 tale Abraham (probabilmente lo stesso menzionato nei documenti del 1551), risultava essere il rappresentante dei correligionari del Tirolo[9].

Durante il periodo dei problemi monetari a B., seguito all’immissione abusiva di monete straniere, Abraham, nel 1585, si dichiarò disposto ad aprire un banco di  cambio: la sua proposta cadde nel vuoto, ma sappiamo che l’anno successivo un altro ebreo di B. cambiava 350 Gulden stranieri in moneta locale ad un alto funzionario regio[10].

Le attività finanziarie ebraiche risultavano, però, invise alla popolazione cristiana, che si lamentava dell’usura. Inoltre, anche gli orefici si lamentavano del fatto che gli ebrei facessero incetta di argento per poi venderlo in Italia e in altre località straniere[11].  La città di B., dal canto suo, disapprovava che gli israeliti, oltre all’usura, esercitassero non solo il commercio ambulante, ma anche il commercio di altri generi, tra cui vino, sale, granaglie, legno e altri traffici abusivi, provocando un rincaro generale. Il soggiorno in città venne, allora, proibito dai regnanti e il cambiamento del luogo di residenza fu sottoposto al permesso delle autorità[12].

Nel 1556 il Consiglio cittadino stabilì di rivolgersi all’imperatore per chiedere la cacciata degli ebrei, procrastinata poi di due anni[13]: nonostante tale decisione, a Sara, vedova di Abraham, venne concesso di rimanere, in ragione dell’età avanzata e della buona condotta. Del resto, già precedentemente, era stata ventilata la possibilità di restare ai fratelli Abraham e Gerson, che dovevano liquidare i propri affari[14].

Nel 1560 abitava a B. Abraam del fu Bolfo de Sacerdoto, il quale attestava che il fratello Salomone, residente a Pavia, aveva raggiunto la maggiore età[15].

Lo stesso Salomone, battezzato, donò poi alla moglie Usellina, figlia di rabbi David da Grazze (Gratsch), e ai suoi figli ebrei, che abitano a Pavia, i banchi di prestito siti in Mori e Rovereto. I parenti del converso diedero la propria approvazione e l'atto fu confermato di fronte al console di giustizia a Pavia[16].       

Verso la fine degli anni Ottanta del XVI secolo, l’Imperatore  Ferdinando concesse un salvacondotto con diritto di risiedere a B. all’ebreo Joseph di Simon, ai suoi figli, Gerson e Leon, e al genero Gerson[17]

Negli anni compresi tra il 1591 e il 1611 è attestata in territorio tirolese l’attività di Abram Donati, che nei documenti era indicato come “di Verona”, anche se in alcuni atti compare come Abraham ebreo di Bolzano[18]. In ogni caso, egli  risiedette per un certo periodo a B.[19], dove svolse un ricco commercio, servendo i signori e l’alto clero della zona[20].

Nel 1613 Gerson fu dispensato dal segno distintivo e altri suoi correligionari che risultano menzionati nei documenti bolzanini dell’epoca sono Grassini, discendente da Salomone da Bassano, Geremia Luzzatti, sensale, ed Elias Moravia[21].

Agli inizi del XVII secolo, soggiornò a B. per alcuni anni, facendo il precettore in casa di Yaaqov Moravia, Salomone di Isacco Gai, che fu in corrispondenza con Johann Buxtorf[22].

Nel 1630 Shemayah di Meir Ha-Levi Horowitz redasse a B. il suo commento ai Proverbi, intitolato Mlekhet Shemayah (L’opera di Shemayah)[23].

Alla fine degli anni Settanta del XVII secolo, tre ebrei risultavano attivi come sensali ai mercati: tuttavia, nello stesso periodo, le autorità decisero che fosse preferibile impiegare cristiani in tale attività[24].

Infine, Hayyim David Yosef Azulai riferisce di aver trovato a B., nel 1754, due famiglie ebraiche e una sinagoga, nella quale pregavano anche coloro che si recavano a B. per la fiera[25].

Bibliografia

Azulai, H.Y. D., Maagal tov ha-shalem (a cura di Freimann, A.), I, Berlin 1921.  

Braun, H., Beiträge zur Geschichte Bozens im 16. Jahrhundert, Innsbruck 1936.

Caneppele, P., Abram Donati e i suoi commerci nel principato vescovile di Bressanone, in RMI LXI, n. 3 (1994), pp. 77-108.

Kaufmann, D. , Une  lettre de Gabriel  Félix Moschides a R. Juda Briel, in REJ XXXII (1896), pp. 134-136.

Kayserling, M.,  Les correspondents juifs de Jean Buxtorf, in REJXIII (1886), pp. 260-276.

Scherer, J.E., Die Rechtsverhältnisse der Juden in den deutsch-österreichischen Ländern, Leipzig 1901.    

Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of milan, 4 voll., Jerusalem 1982-1986.


[1] Cassuto, U., E.J., alla voce“Bozen”; cfr. Scherer, J.E., Die Rechtverhältnisse der Juden in den deutsch-österreichischen Ländern, p. 573; pp. 575-576.   

[2] Scherer, J.E., op. cit., p. 577.

[3] Ivi, p. 586. L’articolo n. 6 in questione stabiliva: und war (wenn) ein phand mer dan ain jar stet, so soll es den juden aigen sein, ob das ze Trient und ze Bozen auch also der juden recht ist  (se un pegno rimane in giacenza più di un anno, diventa proprietà dell’ebreo, se ciò è diritto degli ebrei anche a Trento e aBolzano).

[4] Ivi, pp. 586 –587.

[5] Ivi, p. 614, n. 2. Lo Scherer rileva che la notizia dell’espulsione, menzionata in una fonte relativa a episodi connessi ai processi contro gli ebrei di Trento, non risulta corroborata da fonti d’archivio, mentre dall’elenco delle case della città vecchia di Bolzano del 1497, risultano menzionati ebrei  prima e dopo il 1475, come indica la nota di Steffan Jud schuemacher Bürger (Stefano Ebreo calzolaio cittadino), nel  1495. Hoeniger, K. Th., Ein Häusverzeichnis der Bozner Altstadt von 1497, Innsbruck 1951, p. 24, nota 52 ; cfr. anche  nota 55.     

[6] Ivi, p. 618. Secondo un’altra fonte, oltre alla striscia gialla sulla veste, gli ebrei avrebbero portato un cappello a punta come segno distintivo. Cfr. Steinhausen, G., Geschichte der deutschen Kultur, 2 voll. , I, Leipzig 1913, p. 410, citato in Braun, H.,  Beiträge zur Geschichte Bozens im 16. Jahrhundert, p.  49, nota 9. 

[7] Scherer, J.E., op. cit., p. 622.

[8] Ibidem.

[9] Ivi, pp. 622-623.Abraham risulta essere stato in rapporto d’affari con l’Imperatore Ferdinando, portando, dietro suo ordine, merci italiane a corte; da un documento del 1558 risulta che  Ferdinando gli concesse di far giungere a B. le merci rimanenti, senza essere soggetto al pagamento di tasse doganali. Ambraser Akten  1558, Konz. II, 2, citato in Braun, H., op. cit., p. 48, nota 12.     

[10] Gemeine Missiven 1586, p. 443, p. 800, citato in Braun, H., op. cit., p. 49, nota 3.

[11] Buch Tirol 1562, p. 357, citato in ivi, p. 49, nota 5.

[12] An der kgl. Majestät 1554, p. 144 e 132, p. 92, citato in ivi, p. 49, note 10 e 11. Sempre per non dispiacere la popolazione cristiana, nel 1532, il governo non concesse agli ebrei Marx e Simon di stabilirsi in città. An der kgl. Majestät 1532, p. 148, citato in ivi, p. 49,  nota 12.

[13] Von der kgl. Majestät 1558, p. 116, citato in  ivi, p. 49, nota 13.

[14] Buch Tirol 1561, p. 203, citato in ivi, p. 50, nota 4; Ambraser Akten 1558 (Konz. 11.2.), citato in ivi, p. 50, nota 2.  

[15] Simonsohn, S., Duchy of Milan, doc. 3138.

[16] Ivi, Doc. 3139, e p. 2921.

[17] Scherer, J.E., op. cit., p. 623.

[18] Caneppele,  P., Abram Donati  e i suoi commerci nel principato vescovile di Bressanone, pp. 78-79.

[19] Ivi, p. 80.

[20] Per ulteriori particolari, ivi p. 83 e segg.

[21] Scherer, H., op. cit., pp. 623-624.

[22] Kayserling,  M., Les correspondents juifs de Jean Buxtorf, p. 261.

[23] Kaufmann, D., Une lettre de Gabriel Félix Moschides a R. Juda Briel,  p. 136, nota 2.

[24] Scherer, H., op. cit., p. 624.

[25] Azulai, H.Y.D.,  Ma’gal Tov ha-Shalem , p. 12.

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