Trento

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Trento (טרינטו)

Centro principale della Venezia Tridentina e capoluogo dell’omonima provincia. Sorge sulla sinistra dell’Adige, circondata da una cerchia di montagne. Anticamente Tridentum  o Tridente, abitata in origine da varie popolazioni, fu sottomessa dai Romani assieme alla Gallia Cisalpina. Divenuta sede, nell’XI secolo, di un principato ecclesiastico fautore dell’autorità  imperiale, ebbe grande impulso sotto il governo di Federico Vanga (1207-1288). In seguito, il vescovo umanista Johannes Hinderbach le dette nuova spinta e vi favorì l’introduzione della stampa nel 1475.

Una presenza ebraica, probabilmente d’origine tedesca, è attestata in città nella prima metà del XIV secolo.

All’inizio del successivo, gli ebrei di T. furono sottoposti a norme particolari, simili a quelle in vigore a Bolzano, come si inferisce da un provvedimento promulgato dal vescovo di Bressanone, Ulrich III , nel 1403[1]. Essi, grazie alle loro capacità commerciali, godevano del favore episcopale: ne è esempio la decisione in favore di tale Isaak contro Peter di Rido, presa dal vescovo Alexander di Massovien nel 1440.   

Gli israeliti possedevano in città una sinagoga, una casa di studio e tre altri immobili, mentre il medico Tobia esercitava la sua professione con molto successo sia tra i correligionari che tra la popolazione cristiana[2].

La Comunità tridentina era composta da una trentina di persone, suddivise in tre famiglie: quella di Samuele di Bonaventura da Norimberga, nella cui casa era ubicata la sinagoga e  in cui abitava anche Mohar di Mosè di Samuele da Würzburg (de Sbircemborg), con il padre Mosè, di età avanzata, e il figlio Bonaventura, quella del medico Tobia di Giordano di Sassonia da Magdeburgo (de Maldenburg)e quella di Angelo di Salomone, definito “di Verona” nei processi, ma forse anch’egli di origine tedesca. Molti abitavano nella contrada del Mercato Vecchio, dove vivevano anche i membri  della numerosa Comunità tedesca, che dimostrò di credere all’episodio di omicidio rituale.Verso il 1473 era sparito per qualche giorno un bambino di nome Eysembusch, della cui  scomparsa il vescovo di T. aveva sospettato gli ebrei, supponendo che, se sul corpo fossero state trovate incisioni, questa sarebbe stata la prova della pratica rituale.       

Nel 1475 il francescano Bernardino da Feltre predicò a T., durante la Quaresima: secondo una tradizione, mantenutasi per lungo tempo, fra’ Bernardino avrebbe “profetizzato” che, prima della Pasqua, sarebbe stato scoperto un atto di tremenda malvagità commesso dagli ebrei.Che ciò sia vero o meno, c’è da sottolineare che l’ostilità contro questi ultimi fu fomentata, verso la seconda metà del XV secolo, dai francescani, che si opponevano al prestito ebraico, promuovendo l’istituzione dei Monti di Pietà[3]

Alla vigilia della Pasqua del 1475, comunque, un bambino cristiano, di nome Simone, figlio del conciapelli Andreas Unferdorben scomparve:  il suo cadavere, recante numerosi segni di ferite, fu scoperto, poco dopo, nel fossato che dalla pubblica via giungeva allo scantinato della casa del capo della Comunità ebraica, dove era ubicata la sinagoga. Furono gli ebrei stessi a denunciare al podestà il ritrovamento della salma, ma, sulla base dell’opinione pubblica che attribuiva loro il crimine, otto di loro vennero arrestati[4].

Il processo seguì le modalità tipiche del procedimento inquisitorio d’ufficio, cioè senza accusa o denuncia scritta (ma sulla base dell’indicazione del colpevole data dalla pubblica opinione), condotto secondo la prassi vigente e la dottrina, ad arbitrio del giudice, applicando la regola per cui  indizi, testimonianze e voce pubblica fossero messe per iscritto[5].  

Dagli atti processuali, risulta che il 27 marzo il podestà ordinò la detenzione di altri dieci ebrei, tra cui anche una donna, Brunetta, moglie di Samuele[6], mentre si moltiplicavano gli indizi raccolti a favore dell’ipotesi di un omicidio rituale, accreditata dal neofita Giovanni da Feltre, detenuto in carcere per furto, che confermò l’esistenza della pratica di utilizzare il sangue di fanciulli cristiani a scopo rituale. D’altro canto, l’oste Giovanni testimoniò che uno degli ebrei condotti in carcere aveva proclamato di essere innocente, lasciando intendere di  sapere chi fosse il vero colpevole.

In seguito, a deporre fu la tedesca Margherita, detta Gelbegret, riferendo che dodici anni prima, durante la Settimana Santa, un suo figlio scomparso ed era stato ritrovato – vivo - in casa di Samuele. Gelbegret, il teste  Antoniolo e la teste Margerita, moglie del conciapelli Giovanni - che affermarono di aver udito il pianto di Simone nei pressi della casa di Samuele – avevano tutti  dei pegni depositati presso quest’ultimo[7].              

Dagli atti processuali risulta che due imputati (Bonaventura, cuoco di Samuele, e Bonaventura di Mohar), che avevano chiesto di essere battezzati, dopo aver confessato sotto tortura, furono condannati alla decapitazione e alla combustione del cadavere, oltre che alla confisca dei beni. La sentenza venne eseguita il 23 giugno 1475. L’interrogatorio dei due imputati era iniziato il 28 marzo[8].

Israele di Samuele, il cui interrogatorio prese avvio il 29 marzo, giudicato colpevole di omicidio in vilipendio della religione cristiana, fu condannato al supplizio della ruota,alla morte sul rogo e alla confisca di tutti i beni. Il 21 giugno 1475 la condanna fu eseguita, senza che fosse, però, applicato il supplizio della ruota[9]. La confessione, estorta dopo prolungate torture, la condanna per omicidio in vilipendio della religione cristiana, il castigo e la confisca dei beni caratterizzarono il procedimento contro tutti  gli imputati.

Vitale, fattore di Samuele, interrogato il 29 marzo sulle circostanze del ritrovamento del corpo di Simone, affermò di sospettare come colpevole Iohannes Schweizer (Sbaiçer)  che avrebbe agito spinto da un contenzioso che aveva con  Samuele[10]. La sentenza fu eseguita il 22 giugno[11], mentre Samuele, interrogato il 29 marzo 1475, fu messo a morte il 21 giugno[12].

Il 30 marzo iniziò il processo contro Angelo, conclusosi con l’esecuzione il 21 giugno[13] e   il 3 aprile venne interrogato il medico Tobia che, nel susseguirsi delle domande e delle torture, dopo aver confessato la propria partecipazione all’omicidio, fornì particolari sull’uso che gli ebrei facevano del sangue cristiano, sino a fornire ampie notizie sul commercio di esso da parte di mercanti ebrei. Il 21 giugno Tobia venne  giudicato colpevole e la condanna fu eseguita[14].

Il 4 aprile l’interrogatorio toccò a Mosè il Vecchio che, dopo aver respinto le accuse ricordando che la Legge ebraica impediva agli ebrei il consumo del sangue, fu costretto a confessare di aver preso parte all’omicidio e di aver fatto uso del sangue cristiano. Il 18 giugno Mosè morì in carcere e il giorno seguente fu condannato post mortem ad essere trascinato, cadavere, al luogo dell’esecuzione e attanagliato alla ruota[15].

Il 7 aprile iniziò l’interrogatorio di Mohar, che si concluse il 22 giugno con la condanna e l’esecuzione[16].

Il 28 marzo, intanto, dietro ordine del podestà di T., era stato incarcerato Iohannes Schweizer, accusato da Bonaventura di Mohar[17]. Il 31 marzo, lo Schweizer, interrogato, fornì un alibi , dichiarando, inoltre, di non avere motivi particolari di ostilità verso gli ebrei. Accusò, invece, a sua volta il sarto degli ebrei (Sneider Jüd) di averli tenuti informati di quanto accadeva in città e fu rilasciato l’11 aprile[18].  La moglie Dorotea, interrogata, il 31 marzo confermò la deposizione del marito[19] e  lo stesso giorno fu incarcerato il sarto Roper Sneider, che dichiarò però di non aver avuto rapporti con gli ebrei durante la Settimana Santa, avendo trascorso egli stesso la maggior parte del tempo in chiesa: il legnaiolo Wolf, suo coinquilino, ne confermò la deposizione[20]. Roper, nuovamente interrogato e sottoposto alla tortura, confermava la propria estraneità ai fatti e il 18 aprile, dopo ulteriore interrogatorio, venne scarcerato[21].

Riassumendo, tra il 21 e il 23 giugno, furono eseguite le condanne a morte di 8 ebrei, mentre venne bruciato il cadavere  di Mosè, morto in carcere.[22]

Già nell’aprile del 1475 il duca Siegmund, cui era sottoposta T., aveva chiesto al principe vescovo, Johannes Hinderbach [23], la sospensione del processo, mentre il doge Pietro Mocenigo aveva preso, a sua volta, posizione in loro favore[24].

L’intervento di Sisto IV, provocato dalle numerose proteste circa la legalità del procedimento in atto,  fece arrestare temporaneamente il processo e un commissario papale fu inviato a T. per indagarvi i fatti e l’andamento del processo stesso. Tuttavia, ben  prima che il legato pontificio giungesse a  T.,  a Roma circolava un opuscolo del medico Giovanni Maria Tiberino (che aveva eseguito la ricognizione del cadavere di Simone), in cui si descriveva con  grande enfasi il martirio del bimbo e si incitava alla persecuzione contro gli ebrei.[25]

Il commissario papale, il domenicano Battista de’ Giudici, vescovo di Ventimiglia[26], giunse a T. nel settembre  del 1475, trovandovi già istituito il culto di Simone, da un lato, e l’ostilità del vescovo e delle autorità cittadine, dall’altro[27]. Poco dopo l’ingresso del de’Giudici in città, dove fu stampata la “Storia di Simone”[28], gli venne impedito di avere contatti con i detenuti in attesa di giudizio, mentre i verbali dei processi contro gli ebrei già giustiziati gli furono resi accessibili solo un paio di settimane dopo il suo arrivo[29]. Il commissario apostolico, convintosi dell’innocenza degli ebrei e della colpevolezza dello Schweizer (assolto troppo sbrigativamente), decise di accogliere le istanze di riapertura della causa,  promosse dai difensori cristiani, e si trasferì a Rovereto, che era parte della diocesi tridentina, ma in territorio veneziano, dove fu raggiunto dai legali degli ebrei.

Da Rovereto il commissario, dopo aver inoltrato a T. l’istanza del procuratore degli ebrei, raccolse le prove testimoniali necessarie alla riapertura della causa, portandole a Roma, insieme a copia autenticata dei processi già svoltisi[30].     

Il commissario, pur deciso a osservare le forme del diritto che lo obbligavano a tener conto delle posizioni espresse dalla difesa degli ebrei, cercò di arrivare alla soluzione di compromesso di considerare chiuso il processo in cambio della scarcerazione di uomini, donne e bambini della Comunità ancora detenuti  a T.: tuttavia, gli avvocati degli Ebrei, sostenendo di non voler difendere i morti, ma la verità, dichiararono quod volebant defendere  causam vivorum non solum incarceratorum, sed etiam eorum qui sunt per totum orbem[31].

Il vescovo di T. , osteggiando la condotta del commissario papale, che sospettava di essere a favore degli ebrei, inviava una Informatio facti alla Santa Sede, in cui  esponeva le sue rimostranze  sul modo di procedere del de’Giudici: quest’ultimo gli contrapponeva la sua Apologia.[32]   

I rapporti  tra i due religiosi si inasprirono e nell’ottobre del 1475 Sisto IV, inviò a Hinderbach e a Sigismondo d’Austria un monitorium, in cui si richiedeva la scarcerazione degli ebrei ancora in prigione[33]. Dopo ulteriori prese di posizione contro il commissario pontificio, il vescovo di T. e altre autorità tridentine, sostennero l’incompetenza della Santa Sede a giudicare i fatti e fecero presente al Papa la loro opposizione al suo delegato[34].

All’inizio di novembre, il commissario papale inoltrò le lettere apostoliche che proibivano il culto di Simone e richiedevano la scarcerazione dei detenuti. Il giorno seguente, tuttavia, le donne ebree incarcerate a T., sottoposte a tortura, confessarono la propria colpevolezza e i giudici tridentini, facendo leva su ciò, cercarono di strappare dalle mani del commissario il sarto Anzele  (o Anzelinus o Enzelin ), che, come sospetto complice di Schweizer nell’omicidio di Simone, era l’unica prova dell’innocenza degli ebrei, e che era stato “attirato” dal commissario a Rovereto e quivi incarcerato. Dopo il fallimento dei ripetuti tentativi di richiamare a T. il commissario, quest’ultimo lasciò Rovereto con  Anzele e i verbali processuali[35].

La palese discrepanza tra le sentenze emesse dai giudici tridentini e i risultati dell’inchiesta del commissario papale, indusse Sisto IV a nominare una commissione di cardinali, incaricata di esaminare il caso e di pronunciarsi sulla legalità del processo di T.: Hinderbach, appoggiato dall’umanista Platina, volse la curia romana a proprio favore e il commissario pontificio fu temporaneamente rimosso da Roma[36].

Nel 1478 la commissione papale, pur senza entrare nel merito della causa tridentina, ne dichiarò formalmente corretto il procedimento[37].  Sulla base dell’esito della commissione romana, il papa promulgò la bolla Facit nos pietas (20 giugno 1478), in cui avallava l’operato di Hinderbach, esortando, tuttavia, a non approfittare dell’omicidio rituale per uccidere senza processo gli ebrei. Inoltre, chiedeva che i figli delle ebree convertitesi venissero loro restituiti, mentre i beni dei morti restavano confiscati[38].

Intanto tra la fine del 1475 e l’inizio del 1476 altri cinque ebrei erano stati messi a morte (di cui due, dopo che si erano convertiti)[39] e, più in generale, gli israeliti vennero banditi da T. e, ancora nel secolo XVIII, era loro proibito attraversare la città[40].

Il presunto omicidio rituale di T. e il libello del Tiberino (che ebbe vasta diffusione) ebbero come conseguenza un’intensa campagna anti-ebraica, in Italia e all’estero[41].

Un secolo dopo la Facit nos pietas la Santa Sede autorizzò il culto di Simone, che fu ufficialmente abrogato solo dopo il Concilio vaticano II (1965) e un’ulteriore indagine sugli atti processuali tridentini compiuta dal domenicano  Willehad Eckert[42]

Secondo la tradizione popolare i rabbini avrebbero vietato agli ebrei di stabilirsi a T. dopo il 1475, sotto pena dell’equivalente ebraico della scomunica (herem): tale veto fu formalmente revocato dopo  he fu abrogata la beatificazione di Simone nel 1965[43].

Bibliografia

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Modigliani, A., La tipografia ‘apud Sanctum Marcum’ e Vito Puecher, in Miglio, M. (a cura di), Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento, Città del Vaticano 1983, pp. 111- 133.

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Scherer, J.E., Die Rechtsverhältnisse der Juden in den deutsch-österreichischen Ländern, Leipzig 1901.

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Shulvass, M., A., Meqor ivri hadash le toledot alilat ha-dam be-Trento (Una nuova fonte ebraica per la storia dell’omicidio rituale di Trento), in Idem, In the Grip of Centuries. From  the Middle Ages to New Times (in ebr.), Tel-Aviv and Jerusalem, 1960, pp. 67-75.


[1] Scherer, J:E., Die Rechtverhältnisse der Juden in den deutsch-österreichischen Ländern, p. 586. Per i particolari relativi a tale legislazione, vedi alla voce “Bolzano” della presente opera.

[2] Scherer, J.E., op. cit., pp.  596-597.  Sui rapporti del medico Tobia con la popolazione cristiana, cfr.  Esposito, A., - Quaglioni, D., Processi contro gli Ebrei di Trento (1475-1478), I , I processi del 1475 , Atti processuali (citati d’ora in avanti come : Processi ), p. 243, 7 giugno 1475, verbale dell’interrogatorio di Samuele: Tobias habebat magnam familiaritatem cum civibus Tridenti et ab omnibus diligebatur, quia pluribus civibus medebatur.

[3] Sull’argomento, cfr. Muzzarelli, M.G., Il bilancio storiografico sui Monti di  Pietà. 1956-1976, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, XXXIII(1979), pp. 165-183, cfr. Esposito,  A. – Quaglioni, D., op. cit., p. 61, nota 22.

[4] Quaglioni, D., Il procedimento inquisitorio contro gli Ebrei di Trento, in Esposito, A.-Quaglioni, D., op. cit., pp. 12-13; cfr. ivi, Processi, p. 114. Cfr. Scherer, J.E., op. cit., p. 599 e segg.

[5] Per ulteriori dettagli di tale procedura, cfr. Quaglioni, D., op. cit., p. 30 e segg.

[6] Per l’elenco dei nominativi degli altri dieci ebrei arrestati, cfr. Processi, p. 121; cfr. Shulvass, M.A., Meqor ivri hadash le toledot alilat ha-dam be-Trento, p. 72, nota 13.

[7] Processi, pp. 121-131.

[8] Processi, pp. 133-177.

[9] Processi, pp. 179-204. Israele di Samuele fu solo legato alla ruota , ma non  textus e bruciato: cfr. ivi, p. 204. Lo stesso procedimento rispetto alla ruota venne applicato  anche agli altri condannati.

[10] La moglie di Schweizer aveva assistito la moglie di Samuele durante il parto; Schweizer aveva preteso un compenso, portando il contenzioso con Samuele coram sindicis Trenti, e aveva ottenuto di ricevere dall’ebreo una somma di denaro;  volendo, tuttavia, che Samuele raddoppiasse la cifra stabilita dalla sentenza, Schweizer si era recato più volte presso di lui , insultandolo e minacciandolo. Cfr. Processi, p. 206.       

[11] Sul processo di Vitale, fattore di Samuele, cfr. pp. 205- 231.

[12] Sul processo di Samuele, pp. 233-279.

[13] Sul processo di Angelo, pp. 281-306.

[14] Sul processo di Tobiapp. 307-348. A differenza degli altri imputati, Tobia veniva condannato anche all’amputazione della mano destra, tuttavia non eseguita. Cfr. ivi, p. 346; p. 348.

[15] Sul processo di Mosè il Vecchio, cfr. pp. 349-374. Il  supplizio dell’attanagliamento alla ruota era stato mutato per gli altri imputati nell’essere solo legati alla stessa; il medesimo procedimento venne applicato anche al cadavere di Mosè. 

[16] Sul processo di Mohar, cfr. p. 375-392.

[17] Ivi p. 154; p. 393.

[18] Sull’incartamento relativo a Schweizer, cfr.  pp. 393-403. Per  l’accusa contro il sarto degli ebrei, vedi p. 400.

[19] Sull’interrogatorio di Dorotea, moglie di Schweizer, vedi pp. 401-403.

[20] Per la deposizione di Wolf, vedi pp. 407-408.

[21] Sull’incartamento relativo a Roper, sarto degli ebrei, vedi pp. 405-410.

[22] Tali dati sono confermati anche da fonte ebraica: cfr. Shulvass, M.A., op. cit., p. 73. 

[23] Sulla figura del vescovo umanista Hinderbach, cfr. Po-chsia, R., op. cit., pp. 5-13.

[24] Scherer, J.E., op. cit., p. 602. Per ulteriori particolari, cfr. Po-Chia Hsia, R., op. cit., p. 50.

[25] Tale opuscolo veniva stampato in tre edizioni successive del Guldinbeck. Cfr. Quaglioni, D., op. cit., pp. 13-14; cfr. Scherer, J.E., op. cit., p. 603. Cfr. Modigliani, A., La tipografia ‘apud Sanctum Marcum’ e Vito Puecher, p. 124.

[26] Sulla figura del commissario apostolico cfr. Po-chsia  Hsia, R., op. cit., p.70 e segg.  

[27] Per i particolari relativi all’arrivo del commissario apostolico ed al culto del piccolo Simone, il cui primo “miracolo” veniva registrato già qualche giorno dopo l’inizio del processo, cfr. Po-chsia  Hsia, R., op. cit., pp. 71-72; Esposito, A., op. cit., p. 66; Simonsohn, S., Apostolic See, doc. 984 e segg.

[28] Si tratta della stessa opera del Tiberino, pubblicata anche a Roma. Cfr. Modigliani, A., op. cit., p. 124, nota 55.

[29] Esposito, A., op. cit., p. 14. Riguardo alle difficoltà mosse al de’Giudici per impedirgli di svolgere il suo compito, cfr. De’ Giudici, B., Apologia Iudaeorum – Invectiva contra Platinam. Propaganda antiebraica e polemiche di Curia durante il pontificato di Sisto IV (1471-1484), edizione, traduzione e commento a cura di D. Quaglioni, Roma 1987(“Roma nel Rinascimento. Inedita”,1), citato in Quaglioni, D., op. cit., nota 39.

[30] Ivi, pp. 15-19L’istanza presentata dal procuratore degli ebrei, Jacob de Ripa, era, invece, destituita di valore a Trento, perché l’istante era ebreo; sull’uso di questo particolare per inficiare l’azione del commissario papale, cfr. ivi, p. 20. Lo Scherer sostiene, invece, che i procuratori degli ebrei fossero due: Jacob di Riva (Ripa) e Jacob di Brescia. Cfr. Scherer, J.E., op. cit., p. 605. Per ulteriori dettagli su Jacob de Ripa, vedi alla voce “Riva di Trento” della presente opera.      

[31] Lettera del 24 settembre 1475, scritta dal de’ Giudici  al vescovo di Trento, in  De’  Giudici, Apologia. p. 130. Per il testo della lettera, cfr.  pp. 130-135.   

[32] Tra l’altro, nella sua difesa degli ebrei il de’ Giudici affermava di non poter procedere parte inaudita e sulla sola base della lettura di un processo fondato su confessioni estorte con la tortura e su testimonianze di complici e di fautori degli eccessi che si commettono a Trento .  De’ Giudici,  Apologia, IV, p. 65, citato in Quaglioni, D., op. cit., p. 28, nota 75.

[33] AST, APV, S.I., cp. 69, n. 30, in Esposito, A. -Quaglioni, D., Processi contro gli Ebrei di Trento, p. 20, nota 53.

[34] AST, APV, S.I., cp. 69, n. 41a; n. 176, citato ivi, p. 21, nota 56.

[35] Un ulteriore tentativo per sottrarre  Anzele al commissario venne messo in atto a Verona: cfr. Quaglioni, D., op. cit., p. 24.

[36] Ivi p. 25. Solo nel 1480 il De’ Giudici riprese il proprio posto in curia. Ibidem, p. 25.

[37] A conclusione della vicenda giudiziaria, Giovanni Francesco de Pavinis pubblicò, nel 1478, presso  la tipografia apud Sanctum Marcum il testo intitolato Inquisitio et condemnatoria sententia contra Iudaeos Tridentinos, parere legale in cui, esaminando il problema in tutti i suoi aspetti, giungeva alla conclusione che al Papa non spettava di confermare o inficiare un processo del vescovo di T., mentre era stato corretto trasferire tale competenza alla commissione cardinalizia. Particolarmente negativo era il giudizio del de Pavinis sul commissario papale, unico contrario alla tesi dell’omicidio rituale. Cfr. Modigliani, A., op. cit., pp. 125-126. Cfr. Quaglioni, D., op. cit., p. 39.    

[38] Scherer, J.E., op. cit., pp. 608-609. Secondo lo Scherer le ebree covertitesi furono quattro : Brunetta, Bella, Anna e Sara (p. 609, nota 1). Secondo Po-chia Hsia, si convertirono, invece, Bella, Anna, Sara e un uomo, Salomon (cuoco di Tobia): Po-chia Hsia, R., op. cit., p. 123. Non vi viene fatta menzione del destino di Brunetta.

[39] Ivi, p. 607. Le fonti ebraiche, che non menzionano né queste nuove esecuzioni né le conversioni, risultano risalire all’estate 1475. Cfr. Shulvass, M.A., op. cit., p. 74.

[40] Scherer, J.E., op. cit., pp. 614-616;  Azulai, H.Y.D., Maagal tov, pp. 10-11.

[41] Scherer, J.E., op. cit., p. 614 e segg.

[42] Quaglioni, D., op. cit., p. 26.

[43] Trevisan Semi, E., Gli ‘Haruge Trient’ (Assassinati di Trento) e lo “herem” di Trento nella tradizione ebraica, comunicazione letta all’Incontro di studio Il Principe Vescovo Giovanni Hinderbach fra tardo Medioevo e Umanesimo, citata in Esposito, A. –Quaglioni, D., op. cit., p. 57,nota 12. Cfr., inoltre, Simonsohn, S., J.E., alla voce“Trent”.

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