Titolo
Testo
Melegnano ((מלניאנו;מרניין[1]
Provincia di Milano. Anticamente chiamata Marignano e situata lungo il Lambro, fu prima sotto il dominio dei Visconti e poi sotto quello degli Sforza. Al tempo di Massimiliano Sforza M. fu teatro fu di una nota battagli contro i Franco-Veneziani, in cui Milano cadde, dando in seguito ai francesi il possesso della Lombardia, con il trattato di Noyon del 1516. Successivamente il centro fu controllato dai Marchesi de' Medici.
All'incirca al 1470 risale il documento con cui Benedetto di Cremona si rivolse al Duca, riferendogli che la popolazione di M. lo aveva invitato ad aprire un banco di prestito, con relativa condotta e dicendo che, dopo che aveva iniziato a fenerare, era sopraggiunto Mosè da Lodi, il quale sosteneva di avere siglato precedentemente i capitoli con la popolazione locale. Il contenzioso tra i due fu risolto dal Consiglio di Milano, che dette a Benedetto la priorità sul banco di M., suscitando l'opposizione di quanti gli erano sfavorevoli[2]: da un documento del 1471, tuttavia, egli risultava essersi insediato a M.[3].
Nel 1472 Benedetto lamentò le molestie subite durante la Settimana Santa, ad onta del suo privilegio[4] e, sempre nello stesso anno, l'ostilità di parte della popolazione alla presenza del feneratore non accennava a diminuire, tanto che egli, ribadendo di essere stato chiamato ad esercitare il prestito in loco, chiese un risarcimento delle spese e dei danni[5].
Nel 1474 risiedeva a M. Lazzaro, detto Bonhomo (secondo un documento posteriore genero di Benedetto)[6], che dichiarava di essere stato diffamato e abusivamente privato di alcuni diritti, provocando l'ordine ducale di punire con 25 ducati di multa chi avesse agito contro di lui[7]. Due anni più tardi, il Duca intervenne per far mantenere al capitano locale la promessa, fatta a Bonhomo, di affittargli una casa e diffidandolo dal proseguire nell'atteggiamento scorretto contro l’ebreo[8].
Nel 1477 due giovani risultavano aver molestato degli ebrei a M., con il benestare di chi riteneva che le ostilità contro di essi non dovessero essere punite, data l'indesiderabilità della presenza ebraica tra la popolazione cristiana. Fu ordinato il rilascio dei due giovani, con il consenso di Bonhomo[9], ma, qualche giorno dopo, dietro richiesta di quest’ultimo, alle autorità locali venne imposto di emettere una “grida” contro quanti, nella zona, molestassero i feneratori e fu, inoltre, dato ordine di far rispettare il suo privilegio e di restituirgli le proprietà che gli erano state rubate[10]. Qualche mese dopo, due dei giovani che avevano aggredito, tempo addietro, Bonhomo nella sua stessa abitazione furono condannati ad una multa, ma, non avendo il denaro, vennero arrestati e, pertanto, chiesero che venisse loro condonata la pena pecuniaria[11].
Nel 1478, le autorità di M., come di una serie di altre località, ricevettero ordine di proteggere gli ebrei contro le ostilità della popolazione, aizzata dai frati predicatori, durante la Quaresima e la Settimana Santa[12].
Nel 1479 Bonhomo ricevette da Gian Galeazzo Sforza (allora sotto la reggenza della madre Bona) un lasciapassare per recarsi, per affari privati e degli stessi Sforza, in Germania, accompagnato dalla richiesta alle autorità dei territori che avrebbe dovuto attraversare di agevolarlo. Inoltre, egli ebbe il permesso di portare armi per la difesa personale e fu esentato dal pagamento di pedaggi e tasse doganali[13].
Nel 1479 il Duca e la Duchessa, dietro richiesta di Bonhomo, gli consentirono di acquistare della terra da adibire a cimitero e di prendere in affitto, a vita, una casa. Egli fu, inoltre, autorizzato ad accettare di ricevere appezzamenti di terra come saldo dei debiti, a condizione che il proprietario potesse ricomprarla, entro dodici anni, allo stesso prezzo[14].
Nel 1480 il Duca intervenne, poi, per far restituire a Bonhomo un'arma che egli aveva diritto di portare, ma che gli era stata confiscata, insieme ad una somma di denaro, mentre si trovava a Piacenza[15].
Nel 1482 la già ricordata vicenda di Benedetto fu presa ancora una volta in considerazione e il Comune di M. chiese al Duca di espellere Bonhomo, la cui presenza era in contrasto con la religione cristiana e dannosa per le finanze di chi fruiva dei servigi del feneratore[16].
In seguito, accenni alla presenza ebraica a M. si ritrovano nei documenti solo dopo un silenzio di quasi 40 anni: nel 1519, infatti, compare tra i rappresentanti dell'Università ebraica anche un Giacobbe di M. che, tuttavia, si trovava ad Alessandria[17].
Nel 1521 viene menzionato, in relazione ad un prestito fatto alla Città di Cremona, Giacobbe di Lazzaro di M., che compare anche in un responso di Azriel Diena relativo all'arresto di feneratori, che non avevano venduto all'asta i pegni non riscattati, come indicato nel loro privilegio[18].
Nell'elenco dei banchieri del Ducato del 1522, figurava un Jacopo marignano (sic)[19], mentre sappiamo che nel 1549 risultava risiedere nella località Lazzarino di Tobia de Foa, il cui fratello Josef veniva menzionato, sempre come residente, a partire dall'anno successivo[20].
Nel 1551, il marchese di M., Gian Giacomo de' Medici, noto come il Medeghino, intercesse per gli ebrei del luogo e, in particolare, per Josef Foa, accusato di “tonsura” di monete[21]. Due anni dopo allo stesso furono condonati dal governatore i tre tratti di corda comminatigli per aver prestato a Milano[22].
Nel 1554, previa supplica degli ebrei di M., il podestà locale ricevette ordine di esentarli dalla partecipazione alle spese di fortificazione, che erano in contrasto con il loro privilegio[23].
Nell'elenco dei proprietari dei banchi, stilato nel 1558, risultavano a M. Isepo Mozo Suave e fratelli[24], mentre, dieci anni più tardi, erano attivi nel prestito Isaia del fu Josef de Foate (Foa), e il fratello Achiva[25]. La presenza di Isaia a M. è attestata, successivamente, sino al 1575[26], anno in cui egli, a saldo del suo debito con un milanese cristiano, Ottaviano Porro, nominò quest'ultimo suo rappresentante per la riscossione di un credito, che aveva maturato con Salvatore de Levi[27].
Nella divisione del credito ebraico, fatta dai rabbini da Fano, Melli e Finzi nel 1600–1603, risultavano eredi di metà dei diritti del defunto Iseppo Foa sul banco di M., il nipote Iseppo, figlio di Moysè di Herba e della fu Isabella (figlia di Iseppo), i suoi fratelli, Benedetto e Lazzaro di San Martino in Rio, con un credito di 850 lire milanesi[28].
Bibliografia
Diena, A., Responsa (Boksenboim, Y., ed.), 2 voll., Tel Aviv 1977-9 (Ebr.).
Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982-1986.
[1] Diena, A., Responsa (a cura di Boksenboim, Y.),II, responsum n. 228, p. 296.
[2] Simonsohn, S., Milan, I, doc. 1192.
[3] Ivi, I, doc. 1343.
[4] Ivi, I, doc. 1390.
[5] Ivi, I, doc. 1390.
[6] Ivi, II, doc. 2080.
[7] Ivi, I, doc. 1526.
[8] Ivi, I, doc. 1614.
[9] Ivi, II, doc. 1684.
[10] Ivi, II, doc. 1688.
[11] Ivi, II, doc. 1748.;
[12] Ivi, II, doc. 1776.
[13] Ivi, II, doc. 1893.
[14] Ivi, II, doc. 1900.
[15] Ivi, II, doc. 2012.
[16] Ivi, II, doc. 2080.
[17] Ivi, II, doc. 2375.
[18] &Cfr. Ivi, II, doc. 2387 e Diena, A., op. cit., responsum n. 228.
[19] Simonsohn, S, op. cit., II, doc. 2393, p. 1020.
[20] Ivi, IV, p. 2685; 2686.
[21] Ivi, II, doc. 2756; Segre, R. Gli Ebrei lombardi, p. 29, nota 2.
[22] Simonsohn, S., op. cit., II, doc. 2853; Segre, R., op. cit., p. 27.
[23] Simonsohn, S., op. cit., II, doc 2931.
[24] Ivi, II, doc. 2991, p. 1301.
[25] Ivi, III, doc. 3420.
[26] Ivi, III, doc. 3458, 3475, 3526; IV, p. 2785.
[27] Ivi, III, doc. 3649.
[28] Ivi, III, doc. 4376, p. 2041.