Spello

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Spello (ספלו)

Provincia di Perugia. Faceva parte del ducato di Spoleto e nel 1384 passò sotto il dominio dei Montefeltro, duchi di Urbino. Nel XV secolo furono governatori di S. i Baglioni di Perugia.

Il primo accenno ad una presenza ebraica a S. si trova in un documento del 1360, con cui il Comune registrava  negli Statuti di quell’anno i patti stipulati con il feneratore Servadio di Musetto, annullando quelli stipulati precedentemente con il padre, che, sino al decesso, aveva gestito un banco feneratizio nella città. Servadio avrebbe dovuto prestare ogni anno al Comune 300 lire all’interesse del 15% annuo, mentre l’interesse feneratizio che gli era concesso richiedere per il prestito a privati era del 30%. I prestiti dovevano poter durare due anni, senza interesse composto. Sebbene Servadio non fosse registrato nell’estimo, era autorizzato a godere di tutti i diritti dei cittadini[1]. Nello stesso anno, il medico chirurgo Aleuccio di Dattilo e la sua famiglia ricevettero l’autorizzazione a stabilirsi a S., anche in questo caso godendo dei  diritti degli spellani anche se Aleuccio non era iscritto nell’estimo. Inoltre, il nuovo venuto non era tenuto a prestare al Comune[2].

Sedici anni più tardi Aleuccio prestava a un cittadino di S.[3] e, due anni dopo (1378), veniva menzionato in un documento relativo a un contenzioso tra un correligionario di Perugia e uno di Assisi[4].  

Passati una quarantina d’anni circa, compariva in un documento Samuele di Guglielmo di S. in qualità di procuratore di un ebreo di Gualdo. L’anno successivo (1422), venivano indicati come residenti a S. Regina di Magister Musetto di Guglielmo da Perugia ed il marito, Manuele di Elia di Imola.

Verso la fine degli anni Venti del XV secolo,  dimoravano a S. alcuni ebrei: Ventura di Dattilo da Fabriano (ricordato in seguito anche come da Camerino o da Perugia), implicato nel prestito, il figlio di Ventura, Abramo, e Consiglio di Angelo, che, tra l’altro, compravano e vendevano case e appezzamenti di terra, mostrando di prediligere il domicilio nel terziere di Mezzote[5]

Atti datati dalla seconda metà degli anni Trenta del secolo in poi attestano il proseguire dell’attività feneratizia da parte di Ventura, accompagnata, talvolta, da compravendita di case[6].  Nello stesso periodo, compariva nei documenti Magister Gaio di Magister  Sabato da Assisi, che predeva in affitto una casa nel terziere di Mezzote, venendo esentato dal pagamento della pigione dalla proprietaria, in virtù delle cure mediche prestatele. La madre di Magister Gaio, Stella, dopo la morte del marito si trasferì a S. e lo stesso Magister Gaio era impegnato nel prestito su pegno, oltre che nella medicina: nel 1439 egli testava, lasciando, tra l’altro, una somma di denaro per le opere di assistenza ai bisognosi svolte dall’ospedale[7]

Nel 1441 Magister Gaio venne incarcerato a Foligno (non ci resta però indicazione del motivo) e rimesso in libertà dietro cauzione pagata da un cittadino di Foligno, da lui poi rimborsato[8]. A partire dall’anno successivo, continuano ad essere attestate l’attività feneratizia e le prestazioni mediche di Magister Gaio, che, tra l’altro, era impegnato anche nella vendita di terreni[9].

Nel 1448 Ventura di Dattilo, che, all’epoca, viveva a Perugia, formò una società feneratizia con Aleuccio di Mosè da Pesaro, anch’egli residente a Perugia, per prestare a S.: Aleuccio ne sarebbe stato direttore. L’anno seguente i due soci presentarono al Consiglio dei Priori di S. una proposta per l’apertura di un banco nella località, chiedendo, tra l’altro, di poter fenerare al 36% annuo, quando il prestito era superiore a un fiorino, o al 50% per somme inferiori[10].

L’anno successivo, le autorità stabilirono che gli ebrei avrebbero dovuto pagare un pedaggio, quando si presentavano alle porte della città, la cui entità variava, a seconda che fossero a cavallo o a piedi[11].

All’inizio degli anni Cinquanta,  è attestata l’attività del banco di Aleuccio di Mosè da Pesaro e, all’incirca nello stesso periodo, anche un Abramo (forse figlio di Vitale da Perugia) prestava a S.

Dai documenti coevi sappiamo che si trovava qui pure Elia di Manuele da Perugia, che nominava suo procuratore Magister Gaio nei contenziosi che aveva in questa località ed a Foligno. A metà degli anni Sessanta  era poi attestato Benedetto di Aleuccio da Genazzano[12].

Nel 1465 Magister Abramo di Magister Vitale da Assisi, residente a Perugia, rappresentato dal suo procuratore, Musetto di Magister Angelo, cedeva tutti i diritti sul banco di S. a Leone di Aleuccio da Imola: l’altro socio del banco era allora Magister  Bonaventura, tutore di David di Gaio. Poco dopo, però, si venne a creare, a proposito dell’amministrazione, un contenzioso tra Magister Abramo e Magister Leone,  che nominarono degli arbitri per comporre la loro vertenza.

Nel 1466 Abramo di Ventura da Perugia fu incarcerato a S., con l’accusa di aver frodato di una cifra considerevole Jacopo di Cola di Ser Tartaro: per essere rilasciato dietro cauzione sino alla data del processo, Abramo dette in pegno a Jacopo tutti i beni mobili e immobili, promettendo di non lasciare la città.

Nel 1469 il Consiglio dei Priori fissò la multa da comminarsi agli ebrei sorpresi a giocare d’azzardo nel palazzo del Podestà[13].  

Nella seduta del Consiglio comunale, in cui venne decisa la fondazione del Monte di Pietà a S.,  nel 1469[14], fu presa anche la risoluzione di abolire il prestito ebraico, revocando la condotta stipulata con Magister Abramo: tali decisioni furono comunicate qualche giorno dopo dai Priori e dal governatore a quest’ultimo ed al gestore del banco Isacco di Dattilo da Aquila.

Poco più tardi il Consiglio dei Priori, che stava concretizzando il progetto del Monte, nominò una commissione di quattro cittadini perché andassero a convincere Abramo a lasciare la città: tuttavia, per poter recuperare il denaro prestato, il banchiere ricevette il permesso di prolungare di un mese l’esercizio della sua attività[15]

Nel 1470 troviamo, però, ancora menzionati in un documento spellano Magister Abramo e  Isacco di Dattilo[16]

Dalla metà del XV secolo sono attestate alcune conversioni: nel 1450, Ricca di  Magister Isacco da Cremona, vedova di Mosè di Aleuccio di Mosè da Pesaro, e la figlia Gentile  si erano convertite, prendendo rispettivamente i nomi di Giubilea e Francesca. Il podestà di S. ed il commissario papale mandarono un inviato a ritirare la dote che, a suo tempo, il padre di Ricca aveva pagato ad Aleuccio. Poco dopo, Ricca si sposò con un cittadino di S.[17].

Nel 1470Benedetto di Aleuccio da Genazzano manifestò l’intenzione di battezzarsi, insieme alla famiglia: il Consiglio dei Priori, pertanto, decise di dargli svariati capi di vestiario in elemosina. Benedetto, anche a nome della moglie Stella, volens venire ad veram chrystianam fidem, rinunciò al suo status precedente e al nome ebraico e consegnò i diritti sui suoi beni mobili e immobili agli inviati dei Priori[18].

Dai documenti spellani risulta che anche Leone, presumibilmente figlio  di Aleuccio di Imola, residente a S., si era già convertito nel 1470, continuando, in seguito, a risiedere nella città, con il nome di Giovanni Francesco: anche i suoi figli abitavano nella città, all’inizio del XVI secolo[19].

L’unico accenno ad una presenza ebraica a S.,  in data posteriore al 1470, si trova in un documento del 1551, in cui viene menzionato tale Vitale, ebreo feneratore[20].

Cimitero

Nel 1457 Magister Gaio, a nome degli ebrei di S., prese ufficialmente in affitto il pezzo di terra, in località Scorpitolo, adibito a cimitero[21].

Bibliografia

Fabbri, P., Il Monte della Pietà a Spello, in Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, XIV, (1909) pp. 161-192.

Toaff, A., The Jews in Umbria, 3 voll. Leiden, New York, Köln 1993-1994.


[1] Toaff, A., The Jews in Umbria, doc. 207;  Fabbri, P., Il Monte della Pietà a Spello, pp. 164-165.

[2]  Toaff, A.,op. cit., doc. 208; Fabbri, P., op. cit., p. 164.

[3] Nello stesso documento Aleuccio veniva menzionato come Aleuccio di Dattilo de Urbe: Toaff, A., op. cit., doc. 261.

[4] Ivi, doc. 270.

[5] Ivi, doc. 763, 766, 800, 802, 811, 816, 846, 881, 893.

[6]  Ivi, doc. 902, 908, 909, 911, 912, 913, 925, 930, 943, 948, 1043. Dal  documento 908   risulta che Ventura dava anche bovini in soccida.

[7] Ivi, doc. 906, 918, 931, 940, 953, 974, 983.

[8] Ivi, doc. 984.

[9] Ivi, doc. 1011, 1015, 1044, 1087, 1091. Il doc. 1091 attesta il prestito su pegno concesso da Magister Gaio  alle suore del convento spellano di S. Chiara, nel  1447. Nella seconda metà degli anni Cinquanta del secolo, alcuni documenti attestano che  Magister Gaio fenerava, vendeva tessuto e  comprava un appezzamento di terra e un vigneto. Ivi, doc. 1224,  1236, 1253, 1260. I  beni immobili di Gaio risultavano nel catasto comunale sotto il nome di un cittadino di S. Ivi, doc. 1240.

[10] Ivi, doc. 1103, 1112. Inoltre,  Ventura e Aleuccio  chiedevano che la condotta avesse durata decennale e che nessun altro ebreo potesse vivere e prestare a S., senza autorizzazione, pena una multa. Ventura e Aleuccio non avrebbero dovuto essere soggetti al diritto di rappresaglia da parte di forestieri giunti nella città, né essere perseguiti per crimini commessi in  precedenza fuori del territorio di S. Gli ebrei e le loro famiglie non avrebbero dovuto essere molestati dalle autorità ecclesiastiche, venendo, inoltre,  protetti da danni e molestie durante la Settimana Santa. Il governatore di S. approvò la richiesta dei feneratori, eccetto che per il diritto di decidere se altri correligionari avessero potuto vivere nella città. I Priori, a loro volta, apportarono qualche cambiamento alla proposta: i libri contabili dei feneratori sarebbero stati considerati facenti fede, solo se fossero stati tenuti secondo le norme in uso tra i mercanti spellani ed i pegni non riscattati avrebbero potuto essere venduti solo dopo tre bandi pubblici nel territorio spellano. La richiesta degli ebrei, con le debite  modifiche, fu approvata. Ivi, doc. 1112.

[11]  Ivi,doc. 1114.  Nello stesso anno Magister Aleuccio, che abitava nella casa di Ventura, nel terziere di Mezzote, risultava aver fatto un prestito al Comune di S., venendone rimborsato. L’anno successivo (1450), comprava a S. una vigna [1137] . Ivi, doc. 1118,1122, 1128, 1137.

[12] Ivi, doc. 1154, 1192, 1210, 1425.

[13] Ivi, doc. 1431, 1437, 1472, 1501.

[14] Sull’influenza decisiva di fra’ Fortunato Coppoli, “profeta della legge divina”,  riguardo alla fondazione del Monte a S., cfr. ivi, doc. 1484, 1518.

[15] Ivi, doc. 1503, 1505, 1506, 1511, 1517; cfr. Fabbri, P., op. cit., pp. 169-171.

[16]  Il documento riguarda l’acquisto di un vigneto da parte di  Isacco di Dattilo,; il relativo contratto risultava stilato  nella casa di  Magister Abramo a Mezzote. Ivi, doc. 1552.

[17] Ivi, doc. 1147, 1148; sulle due donne, vedi anche doc. 1128.

[18] Ivi, doc. 1555, 1556, 1557; cfr. Fabbri, P., op. cit., p. 164.

[19] Ivi, doc. 1560, 2120, 2180.

[20] Ivi, doc. 2523.

[21] Ivi, doc. 1258.

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