Ascoli Piceno

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Ascoli Piceno

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Ascoli Piceno (אסקולי פיצ'נו)

Capoluogo di provincia. Anticamente sotto il dominio di Roma, fu libero  comune dal 1185. La vita comunale di A. P. fu travagliata dai contrasti interni tra guelfi  e ghibellini, dall’intervento nella contesa tra il papato e l’impero e dalla lotta contro le città vicine. Le Costituzioni Egidiane (1357) la annoverarono tra le cinque principali città delle Marche. Al libero comune si sovrapposero svariati domini signorili, di breve durata, nei secoli XIV e XV. Dal 1502 fu sotto il dominio pontificio.

La presenza degli ebrei a  A.P., verso la fine del XIII secolo, è attestata da un documento del 1297, di notevole interesse perché da esso emerge l’associazione dei toscani e degli ebrei nell’esercizio del prestito su pegno[1]. Si tratta di un fenomeno degno di nota, in quanto abitualmente i  primi precedettero i secondi in questa attività, mentre di rado risultarono in società con loro[2]. Nel documento del 1297 sono elencati [3] diciassette cristiani fiorentini, tre cristiani di Arezzo[4] e, infine, quattro ebrei provenienti da Roma: tutti insieme trattano con il sindaco del  comune di A.P. , stipulando una serie di patti per l’esercizio del prestito a interesse. Gli ebrei erano: Ginattarius (Genatano), Angelotrus (Angelo), e Musceptrus (Musetto) eius filii et Sabbatus Massei de  Urbe.

In cambio della concessione, i feneratori promettevano di fissare la loro residenza ad A.P. e di  pagare al Comune annualmente 100 fiorini d’oro zecchino. Il sindaco, a nome del Comune, assicurava essi non sarebbero stati obbligati a  prestare, contro la loro volontà, al Comune o a privati e che nessun altro avrebbe potuto prestare ad A.P. a meno che non concorresse pro rata parte allo sborso dei 100 fiorini. I feneratori, inoltre, sarebbero stati esentati da ogni tassazione ulteriore imposta dal Comune[5].

Una presenza ebraica nel XIV secolo si inferisce dai nominativi di israeliti, proprietari di case e terre, contenuti nel catasto ascolano, in cui figurano Deodato di Alevuzio, Angelo e Genattano di Elia e gli eredi di tale Bonaventura[6]. Nel 1389, gli ebrei prestavano inoltre somme al Comune, che doveva far fronte al pagamento anticipato del censum debitum a Roma[7].

Un documento del 1404 menziona l’ebreo d’origine romana Angelo di Genattano come ribelle che era stato costretto ad abbandonare la città perdendo i propri beni[8]

In seguito, la presenza ebraica veniva menzionata nel Foglio di Capitolazioni, consegnato nel 1426 dai rappresentanti di A. P. al Rettore della Marca Pietro Colonna, dopo la cessazione del dominio di Obizo di Carrara e l’insediamento del Rettore a Mozzano. Nelle Capitolazioni  si chiedeva che i cittadini della località e del contado tam Christiani quam Iudei cum personibus et rebus ipsorum sint salvi [9].

 Nel 1425-26 viveva, poi, ad A.P. il feneratore Menahem (Immanuel) di Samuele[10].

Documenti notarili del 1426 attestano la vasta attività creditizia esercitata dai giudei ad A.P. e nelle località vicine:  prominenti cittadini ascolani ed esponenti del clero risultavano rivolgersi ad essi per contrarre i prestiti[11].

I feneratori ebrei operavano ancora in concorrenza con quelli cristiani (fiorentini o locali), secondo quanto emerge dalla documentazione relativa alla prima metà del XV secolo[12].       

Nel 1445, dopo che la città si era liberata del dominio comitale sforzesco ed il Consiglio Generale aveva ratificato un Foglio di Capitolazioni con cui A.P. si rimetteva spontaneamente al dominio papale, il Legato della Santa Sede sottoscrisse le Capitolazioni, tra cui vi era un articolo in cui si richiedeva di non molestare clericos et ebreos civitatis pro denariis seu paghis seu taleis per eos solutis tempore comitis, aggiungendo che gli eventuali debiti da pagar loro fossero saldati  gratiose dai nuovi dominatori[13].

Nel 1458, fu istituito qui il Monte di Pietà, promosso dal Beato Marco da Montegallo, ascolano, e agli ebrei veniva, pertanto, proibita l’attività feneratizia[14]. Alcuni anni più tardi, agli ebrei della Marca e, in particolare, di A.P. veniva imposta una tassa di 2.000 fiorini per finanziare la lotta contro i nemici della Chiesa[15].

L’attività di prestito fu, tuttavia, nuovamente permessa agli ebrei nel 1470 o forse precedentemente, dato che i documenti rimasti parlano non di stipula, ma di conferma e proroga dei Capitoli già concessi a Elia di Magister Angelo di A.P. con il genero Samuele o Simone di Fermo, Abramo di Norcia con il genero Consilio di Sulmona e Ser Mele e Bonaventura, figli di Magister Angelo di Ripatransone[16]. Nel 1469, inoltre, il re di Napoli aveva concesso ai fratelli ascolani Samuele (Ser  Mele), Salomone e Bonaventura un lasciapassare per tutto il suo Regno, allo scopo di vendervi le loro merci.[17]

Sappiamo che nel 1471 veniva comminata la scomunica agli ascolani per i patti feneratizi stipulati con gli ebrei e che i primi si dichiaravano disposti ad annullarli, pur di essere liberati dalla scomunica, tuttavia non è documentato l’esito della vicenda[18]

Il possesso ebraico di immobili è attestato anche nel 1471 e nel 1515[19].

Nel 1525, veniva imposto agli ebrei di A. di pagare la vigesima e tale ordine si ripeteva dieci anni dopo[20].

Nel 1530, veniva concessa una “tolleranza” per fenerare con un (solo) banco a Sabato di Emanuele, familiari e soci, ma i documenti alludono all’attività feneratizia di Sabato anche in data precedente, nonché alla presenza di più banchi ebraici in città, ed anche in seguito le concessioni feneratizie furono date a più di un soggetto[21].

L’anno successivo veniva imposto agli israeliti l’obbligo del segno distintivo, caduto presto in disuso e riproposto ventidue anni dopo, ma senza esito[22].

Dopo la cacciata dal regno di Napoli (1541), gli ebrei si erano stanziati in alcune località marchigiane, tra cui A.P, mentre anche quelli cacciati dalla Sicilia, nel 1492, avevano già trovato rifugio in questa ed altre città marchigiane[23]. Nel  1543 due vigesime erano imposte agli ebrei locali e nel  1547 e 1549, la vigesima veniva loro imposta  per tre anni consecutivi, mentre un’altra fu richiesta nel 1553[24].

Intorno alla metà del  XVI secolo, gli ebrei prestavano alla Città denaro per l’acquisto di frumento ed erano, inoltre, obbligati ad acquistare granaglie da tenere in serbo per i tempi di carestia[25].

Nel 1552 veniva ripristinato il Monte di Pietà, in seguito alla predicazione del domenicano fiorentino Matteo Laci e, nello stesso anno, le carni macellate secondo la Legge ebraica erano bandite dai pubblici macelli ascolani.[26] Due anni dopo, tuttavia, Leo Emanuelis de Asculo riceveva il permesso papale per ottenere il titolo di dottore in medicina dall'Università di Bologna e per esercitare la professione medica con pazienti ebrei e cristiani[27].

Tre anni più tardi, il Vicelegato pontificio si accingeva a far eseguire ad A.P. la segregazione degli Ebrei, voluta da Paolo IV[28] e, dopo l’uccisione, nel 1555, di Monsignor Sisto Bezio, che era malvisto dalla popolazione e dai consiglieri cittadini, la città fu condannata dal  Papa  a riscattare con una fortissima cifra l’omicidio del  rappresentante dell’autorità pontificia: per mettere insieme la somma il Comune ricorse, tra l’altro, al feneratore Mosè di Servideo che raccolse denari da prestare alla città tra i correligionari di Pesaro[29].

Ulteriori sanguinosi disordini interni indussero, poi, il cardinale tridentino Cristoforo Madruzzo, Legato della Marca e Governatore di A.P., a  lasciare Trento per recarsi nella città, nel 1563: per accogliere l’ospite con il debito fasto, il Comune si indebitò con l’ebreo Emanuele di Ventura  e con cristiani[30].

Dato che, intanto, i fuorusciti minacciavano ancora l’ordine pubblico, il papa Pio IV decise di inviarvi il cugino Gabrio Serbelloni a riportare la calma con le truppe e l’ostinata insubordinazione fu punita duramente con l’arresto di molti facinorosi, l’imposizione di una pesante taglia e la spoliazione di tutte le terre e castelli. All’indebolimento politico ed economico della città si accompagnarono le severe sanzioni imposte dai pontefici contro gli ebrei[31]

Nel 1569, il Papa decretò l’espulsione degli ebrei dal suo Stato[32] e solo nel 1587 essi furono riammessi in città. Vi risultavano, allora, operare nel prestito: Moyse e Daniele Vivantes (Vivanti), Graziadio da Porto, Zaccaria del fu Servidio, Ventura di Sabato da Ancarano (Teramo) e Sabato da Ancarano. Nel 1590 risultavano attivi nella località Salvatore di Neherano e Pacifico di Sabbato di Neherano (Nerano, forse Castellamare di Stabia) [33].

Nel 1589, venne ripristinato per la terza volta il Monte di Pietà[34] e nel 1593 furono nuovamente espulsi gli ebrei dallo Stato pontificio. 

Salvatore di Sabato Ancarano, però, nel 1604 presentò domanda per stabilirsi a A.P. con i familiari e le autorità locali decisero di scrivere a Roma per ottenere il permesso di far venire i maschi Ancarano, senza le proprie famiglie. Da un documento dell’anno successivo risulta che gli Anziani si rivolsero, poi, al Papa per autorizzare gli ebrei a tenere aperta una bottega di robbe di levante, non possedute dai mercanti ascolani cristiani, assicurando che essi, dai cui commerci la dogana traeva un utile annuo cospicuo, non feneravano e non dimoravano stabilmente in città: fermo restando il divieto di dimora stabile, il Papa concesse agli ebrei di andare e venire e di risiedere sino all’esaurimento delle loro merci[35].

Dopo aver subito due ingenti furti di merci, però, Sabato lasciò la località, nel 1606, ma un paio d’anni dopo, pare che un Ventura riuscisse ad ottenere l’autorizzazione a risiedere stabilmente ad A.P., dietro pagamento di una somma annua per finanziare il pallio locale. Nel 1618, tuttavia, gli ebrei, a causa dell’indigenza in cui versavano, non potevano più continuare il finanziamento del  pallio, mentre i mercanti cristiani risultavano essersi opposti strenuamente alla concorrenza degli ebrei, che, tuttavia, sembrarono permanere sino al 1678[36]. In seguito, fu loro consentito di restare nella città solo in occasione delle fiere annuali, sebbene continuasse l’opposizione dei mercanti locali alla loro presenza[37]

Da atti notarili si desume che, prima del 1450, un ebreo ascolano si fosse convertito assumendo il nome di Domenico ed alcuni anni dopo ne risultava convertito un altro che lasciò i propri beni alla Chiesa e al Monte di Pietà. Nel 1475 era menzionato ancora un neofita, Francesco di Novello e nel primo quarto del XVI secolo si convertiva tale Giulio, che a più riprese fu aiutato finanziariamente dalle autorità ascolane, mentre un altro neofita, tale Marcantonio, otteneva l’esenzione da ogni tributo fiscale nel 1544. Con la bolla pontificia del 1569 venivano confermate le esenzioni fiscali per i neofiti stabilite in epoca precedente ed inoltre, i convertiti venivano abilitati ad esigere i crediti accordati prima della conversione, esclusi gli interessi[38].

Dalla seconda metà circa del XVI secolo sino a quello successivo, si riscontrerebbero circa 150 convertiti al cristianesimo, di cui alcuni avrebbero preso i voti religiosi. Nel 1547, è menzionata, ad esempio, la conversione del ragazzo Raffaele e nel 1553, tuttavia, papa Giulio III, sotto minaccia di gravi pene, ammoniva il vescovo di A.P. di non battezzare i figli degli ebrei senza l’esplicito consenso dei genitori[39].

Nel 1569, sono attestati come catecumeni Abramo di Servideo e figli, Angelo di Sulmona e figli, Giuseppe Scarciofori e figli. Rafaele Sabatini ed alcune donne non nominate, che ricevevano tutti aiuti economici dalle autorità locali[40].

Vita comunitaria

Dai documenti sino ad ora disponibili i pochi cenni relativi alla vita comunitaria riguardano le votazioni interne: prima del 1530, infatti, i membri della comunità ebraica decidevano secondo la maggioranza dei voti ottenuti nella pubblica votazione, mentre dopo il 1530, passarono al sistema del ballottaggio nel bussolotto. Nel 1536, decisero di ripristinare il precedente sistema di votazione, ma cinque anni più tardi cambiarono nuovamente idea e optarono ancora una volta per il ballottaggio. La varie decisioni in materia di sistema di votazione venivano comunque sempre sottoposte al controllo della Santa Sede[41].

Attività economiche

Dal documento del 1297 sulla società feneratizia tra ebrei e toscani, risulta che il prestito su pegno era praticato al tasso del 20%, mentre, se il prestito era a cambiale, l’interesse era del 30%; i feneratori si riservavano il diritto di mutuare, alle medesime condizioni, anche ai forestieri[42]. I pegni non riscattati venivano messi all’asta dopo un mese e quanto rimaneva dopo il pagamento del credito e dell’interesse andava restituito al debitore[43].

Da documenti del primo ventennio del XVI secolo risulta che gli ebrei avevano esercitato con successo l’arte medica a A.P [44].

Da fonti della fine del XV secolo risulta, poi, che essi fornivano biancheria e stoviglie al Comune e che una donna, tale Stella, era tessitrice. All’inizio del XVI secolo, un Angelo risultava famiglio del Comune, mentre, nel 1566, un Abramuccio dava coperte e pagliericci ai soldati.  Da documentazione degli anni Sessanta del XV secolo in avanti, risulta, inoltre, che gli ebrei erano anche molto attivi nel commercio dei tessuti ascolani[45]. Ad A.P. era iniziata, poi, nella metà del XIV secolo l’oreficeria, sviluppatasi successivamente e gli ebrei  aprirono rivendite di oggetti d’oro o furono essi stessi orafi, per entrare, in seguito, anche nel campo della lavorazione e della vendita dell’argento[46].

In seguito ad una controversia sorta tra le autorità ed i rappresentanti della comunità ebraica  rispetto all’interpretazione della bolla pontificia del 1544, si giunse ad un accordo tra le parti, per cui il tasso feneratizio permesso ad A.P. fu del 20% su pegno e del 25% senza pegno e la registrazione dei prestiti doveva essere fatta in italiano (tuttavia, i feneratori che non conoscevano la lingua potevano continuare ad usare l’ebraico)[47].

Sappiamo, poi, che nel 1562 il tasso d’interesse consentito era sceso al 12%[48] e, da un documento del 1608, risulta che gli ebrei, che potevano soggiornare solo temporaneamente a A.P., vendevano in prevalenza sete, trine, tele di renzo [tela di Reims]  et d’altre sorti a buona derrata[49].

Siamo, infine a conoscenza del fatto che nel 1713 vendevano, durante le fiere locali, drappi, saie e pannine come pure vetri e cristalli di ogni sorte [50].

Ghetto

Nel 1555 veniva istituito il ghetto ad A.P., nella strada cosiddetta del bordello: in precedenza, risulta che gli ebrei avessero abitato soprattutto al centro della città, in sexteria canectarum, pedisaringhi, Sancti Honofri, scadiarum, septemsoliarum[51].

Cimitero

Prima dell'espulsione dallo Stato pontificio (1569), gli ebrei ascolani avevano un cimitero, per il quale , tuttavia, non è stata rinvenuta la documentazione relativa al luogo e dopo l’espulsione, le autorità ascolane chiesero a Roma il permesso di vendere il terreno del cimitero ebraico per pagare le spese dei convertiti ed assisterli finanziariamente in caso di indigenza[52]. Nel 1588, Sabato di Ancarano chiese al Consiglio di A.P.  l’assegnazione di un terreno per le sepolture ebraiche e sembra che allo scopo venisse scelto un angolo del Campo Parignano: dopo il 1618, comunque, il cimitero ebraico sembrava essere nel Piazzale meridionale della Chiesa di S. Vittore[53].

Rabbini, vita culturale

Shlomoh di Yosef scrisse ad A.P. , nel 1342, il manoscritto De Rossi 573. Nel 1466 venne venduto nella città il manoscritto 222 del Museo Britannico e nel 1477 vi venne redatto il manoscritto De Rossi 662. Prima del 1569, furono attivi come rabbini  Ahriel di Yehiel Trabot e il figlio Yehiel: il primo, al momento dello scioglimento della comunità ascolana, consegnò alla comunità di Pesaro un’arca di pregevole fattura.[54] 

Bibliografia

Crivellucci, A., L’antico catasto di Ascoli, in Studi storici, Vol. II, Fasc. IV, Pisa 1893.

Fabiani, G., Gli ebrei e il Monte di Pietà in Ascoli, Ascoli Piceno 1942.

Loevinson, E., La concession de banques de prêts aux Juifs par les Papes des seizième et dix-septième siècles, in REJ 93 (1932), pp. 27-52.

Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, Torino 1963.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews,  8 voll., Toronto 1988-1991.


[1] Il documento è pubblicato in Fabiani,  G., Gli ebrei e il Monte di Pietà in Ascoli, Appendice, I,  pp. 169-172.

[2] La società di due Toscani con due ebrei è attestata nell’ultimo decennio del Duecento a Montegiorgio. Vedi alla voce “Montegiorgio” del presente lavoro.

[3] Cfr. Fabiani, G., op. cit., p. 169.

[4] Il Fabiani ( che scrive con intendimenti antiebraici) non si accorge – o finge di non accorgersi – che i Toscani sono cristiani e parla di “una caterva di finanzieri giudei di Firenze, Arezzo e Roma”.(Ivi, p. 9).

[5] Ivi, Appendice, I, pp. 169-171.

[6] Crivellucci, A., L’antico catasto di Ascoli, in Studi storici, Vol. II, Fasc. IV, Pisa 1893, p. 518, cit. in ivi, p. 61, n. 3.

[7] Ivi, pp. 73-74.

[8] Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 559.

[9]  Fabiani, G., op. cit., p. 15.

[10] Cassuto, U., E.J., alla voce“Ascoli”.

[11] Ivi, pp. 16-17.

[12] Vengono menzionati tra gli Ebrei: Livezio di Angelo, ebreus Esculi, Gaio di Angelo Deodato di Offida, Mosetto di Consiglio di A. P., Manuele di Daniele Bonaventura di Ripatransone, Mosetto di Angelo di Force, Deodato di Angelo di A.P. , Salomone di Guglielmuccio di S. Elpidio, Manuele di Maestro David di Fermo, Magister Angelo di Magister Abramo di A.P. Tra i feneratori fiorentini vengono menzionati:  Pietro di Nicola e Cecco Sinibaldi di Filippo, che commerciavano anche in tessuti. Tra i feneratori ascolani viene ricordato Antonio Nocchi alias Fratone. Nell’Archivio della curia vescovile era conservato, al tempo in cui il Fabiani scriveva, un Quaternus processuum ab anno 1446 ad 1448, in cui sono ricordati svariati processi riguardanti feneratori cristiani (Fabiani, G., op. cit., pp. 15-16; p. 16, n. 12). 

[13] Pergamene, Lett. N, Fasc. I, Num. 11; per i due episodi citati, cfr., Marcucci, F.A., Saggio delle cose ascolane, Teramo, 1766, p. 321; p. 329, cit. in ivi, p. 15, n. 11.

[14] Ivi,p. 24.

[15] Simonsohn, S., op. cit., doc. 891.

[16]   Fabiani, G., op. cit., p. 47.

[17] Ivi, p. 60; Cassuto, U., E.J., alla voce“Ascoli”.

[18] Ivi, p. 49.

[19] Ivi, p. 62.

[20] Simonsohn, S., op. cit., doc. 1342, 1722, 1744.

[21] Ivi, doc. 1475;  Fabiani, G., op cit., pp. 78-79. Documenti del 1512, ad esempio, attestano la forzata partecipazione finanziaria ebraica alle spese militari ascolane (Ivi, pp. 81-82).  Per gli ebrei che ottennero la concessione feneratizia dagli anni Trenta del XVI secolo in poi, si veda Simonsohn, S., op. cit., doc. 1525, 1602, 1635, 1895; 2319; 2507 ; 2650 

[22] Ivi, p. 115; ibidem, n. 14.

[23] Ivi, pp. 80-81; Simonsohn, S., op. cit., doc. 2093,2151. Per gli ebrei rifugiatisi nella città dopo la cacciata dalla Sicilia, si veda Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, p. 222.

[24] Simonsohn, S.,  op. cit., doc. 2260; 2694; 2859; 2911; 2963; 3018a; 3118; 3144;  Fabiani, G., op. cit., p. 81.

[25]   Fabiani, G., op. cit., pp. 76-77; p. 82.

[26] Ivi, pp. 112-113.

[27] Simonsohn, S., op. cit., doc. 3210.

[28]  Fabiani, G., op. cit., p. 117.

[29] Per l’episodio dell’omicidio del Vicelegato pontificio, vedi ivi, pp. 86-92; per il prestito a favore di A.P. ottenuto da Mosè di Servideo dagli ebrei di  Pesaro , vedi ivi, p. 93. Da  documenti relativi a tale prestito, tuttavia, anche  Salomone di Montolmo, residente a d Arezzo,  sembrerebbe  essere tra i creditori del Comune ascolano (ivi, p. 95, n. 21).

[30] Il Madruzzo, per governare A.P.,  si fece sempre rappresentare da Luogotenenti (ivi, p. 97, n. 26). Per i preparativi per accogliere il Madruzzo ad A. P.,vedi ivi, p. 98 e segg.. Per il prestito contratto con  cristiani ed ebrei, vedi ivi,  p. 104 e ibidem, n. 41.

[31] Ivi, pp. 105-108.

[32]  Dieci anni prima dell’espulsione, nel 1559, il romano di  ascendenza ascolana David d’Ascoli pubblicava la sua Apologia Hebraeorum, per  difendere gli Ebrei dalla politica persecutoria della Chiesa; incarcerato lungamente per la sua audacia nello scrivere tale opera, si guadagnò  la fama con il suo gesto coraggioso ( Cassuto, U., E.J, alla voce“Ascoli (D’Ascoli), David”).

[33] Loevinson, E., La concession de banques de prêts aux Juifs par les Papes des seizième et dix-septième siècles, p. 47.

[34]  Fabiani, G., op. cit., p. 127; cfr. ibidem, n 37. Il terzo Monte venne chiuso nel 1628 ( ivi, p. 130).

[35] Ivi, pp 134-136.

[36] Ivi, pp 136-138.

[37] Ivi, pp. 139-140. Tra gli ebrei che venivano a commerciare ad A.P. risultavano esservi , nel 1726, Isacco e Abramo Terni, Vitale Benporadi, Abramo, Salomone e Giuseppe Cagli, Salomone Campi Vetoaro e Sabato Mursi. Nel 1775 è registrato un episodio di tentata estorsione di denaro alla comunità ebraica di Ancona, in seguito all’iniziativa di un ascolano ostile agli ebrei.  Il personaggio era l’avvocato Giacomo Giordani (membro dell’Arcadia con il nome di Ordioto Teodisenso ) che si era rivolto al commerciante Isacco Servadio, durante la sua permanenza ad A.P., proponendogli di cedere alla comunità anconetana il suo poemetto antisemita L’Ebreo esiliato in cambio di cospicuo compenso, anziché darlo alle stampe. I capi della comunità anconetana, tuttavia, informati dal Servadio,  riuscirono ad ottenere da Roma il sequestro del manoscritto (ivi, pp. 141-148).

[38] Ivi, pp. 155- 157.

[39] Cfr. ivi, p. 167, n. 17. Il Fabiani afferma che nelle Riformanze e nei libri del Depositario ricorrevano  nomi di neofiti in tale numero da non poterli citare. Tuttavia, dato il tono antisemita dell’opera del Fabiani e la mancanza di riferimenti precisi, la notizia va presa con  le debite riserve. Per il passo della bolla di Giulio III del 1553 relativo alle convesrioni dei minori, vedi ibidem.

[40] Ivi, pp. 159-160.

[41] Simonsohn, S., op. cit., History, p. 443; docc. 1782, 2033.

[42] Ivi, pp. 9-10; Appendice, I, pp. 169-170.

[43] Ivi, pp. 10-11; Appendice, I, p. 171

[44] Ivi, p. 65.

[45] Ivi, pp. 66-69.

[46] Ivi, pp. 69-72

[47] Ivi, p. 111.

[48] Ivi, p. 122, n. 26.

[49] Ivi, p. 135, n. 4.

[50] Ivi, p. 139.

[51] Ivi, p. 117; ibidem, n. 18.

[52] Ivi, p. 125, n. 33.

[53] Ivi, p. 124.

[54] Cassuto, U., E.J., alla voce. “Ascoli”. Per l’Arca della sinagoga di A.P. a Pesaro, si veda la voce “Pesaro” del presente lavoro.

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