Soragna

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Soragna

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Provincia di Parma.

La prima traccia di una presenza ebraica a S. risale al 1543, quando il camerlengo papale concesse a Giuseppe alias Colombo di Giacobbe da Jena una tolleranza di potervi fenerare[1].

Nel 1547 nelle scritture contabili del feudatario locale è annotato il debito da questi contratto con Ms. Jsepe hebreo bancher in Soragna, che risultava prestare all'interesse del 18%.

L'anno seguente, gli ebrei locali compaiono in una petizione, presentata dai correligionari di una serie di località del parmigiano e del piacentino, per procrastinare di un anno l'espulsione ordinata dal commissario di Borgo S. Donnino, impegnandosi a non esercitare il prestito, ma solo a regolare le pendenze in corso: l'estensione del permesso di residenza risultava accordata per due mesi.

Nel 1553 circa gli israeliti delle stesse località, tra cui S., appena passate al dominio spagnolo, chiedevano (e ottenevano) la riconferma per 10 anni dei privilegi, accordati loro, in passato, dalle autorità feudali con liberalità maggiore di quella mostrata da Francesco II Sforza (ad essi era, tra l'altro, permesso di comprare e vendere case ed altri beni immobili).

Il gruppo ebraico locale, insieme a quelli di Busseto e di Borgo S. Donnino, si trova citato, inoltre, nel 1554, in un convenzione tra il Marchese Diofebo, la comunità e i consoli di S., mediante la quale il feudatario doveva pagare agli ebrei 250 scudi d'oro entro 15 giorni.

Dopo le restrizioni imposte dalla bolla di Paolo IV, nel 1555, con il conseguente allontanamento degli ebrei da Parma, e la bolla di Pio IV che, nel 1562, pur mantenendo il divieto di risiedere a Parma e Piacenza, consentiva l'esercizio del prestito in alcune località dello Stato, tra cui S., troviamo qui concessa nel 1565 una condotta dodecennale, rinnovata, poi, nel 1578.

Nel 1566, pertanto, il Marchese Diofebo Meli Lupi, rilasciò a Giuseppe Foà (forse lo stesso Jsepe, citato 19 anni prima) una licenza per la gestione di un banco a S., in collaborazione con i fratelli Lazzaro e Isacco Foà di Reggio Emilia, all'epoca attivi anche in Diolo di S., cui si concedeva di risiedere e fenerare a S.

Nel 1569 risiedeva a S. anche Moisè de Provenzalibus, autorizzato a riscuotere i crediti che aveva in loco il cremonese Michele de Carmino, di cui era procuratore.

In breve lasso di tempo, la presenza ebraica a S. divenne più numerosa, dato che il feudatario, oltre alla licenze di esercizio dispensate, garantiva l'esecuzione forzata verso i debitori insolventi, senza necessità di intraprendere azioni processuali[2].

Nel 1584 il Marchese Diofebo Meli Lupi regolò dettagliatamente il prestito e l'esercizio del banco, stabilendo per gli abitanti di S. il tasso di interesse del 15% dietro pegno e del 18% senza pegno, mentre per i forestieri il tasso era lasciato al patto convenuto tra le parti: la vendita dei pegni non riscattati veniva regolamentata e si vietava il pegno di arredi e paramenti liturgici. I prestatori avevano la facoltà di tenere i libri contabili in ebraico, purché corrispondessero alle ricevute redatte in italiano e, inoltre, in cambio del denaro prestato, potevano ricevere fieno e grano, purché per lo stretto uso familiare. Infine, agli ebrei veniva concesso di acquistare a S. case, per abitarvi e per esercitarvi il culto e terreno per seppellire i morti, nonché libertà di trasferirsi altrove, sebbene dietro previo avviso di 6 mesi, tramite pubbliche grida, per consentire il riscatto dei pegni.

La popolazione, dal canto suo, sarebbe incorsa in severe pene pecuniarie se avesse sequestrato o tenuto in casa bambini ebrei a scopo conversionistico. Era escluso l'obbligo del segno distintivo e gli ebrei avevano piena facoltà di prendere soldi a prestito dai correligionari, mentre le operazioni finanziarie con i forestieri venivano poste sotto la responsabilità di un suddito di S. La concessione avrebbe avuto validità di 9 anni, con possibilità di rinnovo: in caso, contrario, gli ebrei avrebbero potuto risiedere a S. ancora 15 mesi, per regolare i crediti pendenti, impegnandosi, tuttavia, a non prestare denaro e a non prorogare le polizze in corso.

Nella concessione del 1584 veniva menzionato, anche tale Leone Foà, facoltoso prestatore di Reggio Emilia, trasferitosi, nella seconda metà del secolo XVI, a S. come titolare del banco ed impegnato in una serie di operazioni finanziarie con la feudataria del luogo.

Nell'estimo catastale del 1593, Leone - la cui famiglia era composta di 14 persone - veniva definito possessore di vario bestiame ed oltre al suo nucleo familiare, erano menzionati nei documenti altri 4 ebrei, più i Foà ed i Carmini, ricordati nella condotta che, tuttavia, scadeva proprio in quell'anno.

Nel 1606 Pasotto Foà fu condannato ad una multa ed a tre tratti di corda (poi condonati), per aver ferito un cristiano, con cui giocava a sbaragliino, mentre Vitalino Foà fu implicato in una rissa scoppiata durante un gioco di carte, per la quale, però, fu condannato un cristiano.

Nelle transazioni economiche figuravano nel XVII secolo tale Mosè Carmi di S. e Israele Foà e nel 1631, Angelo ed Emanuele Foà, autorizzati alla compravendita da un decreto del Duca di Parma, acquistarono dal Marchese, con patto di retrovendita, un possedimento di 90 biolche e annessa casa in Pongennaro, costituendo uno degli svariati esempi della proprietà ebraica di beni immobili. L'attività del banco continuò ad essere molto viva: nel 1690 gli eredi di Ventura e Israele Foà ottennero la prosecuzione della licenza per altri 15 anni, con riconferma marchionale nello stesso anno, mentre il duca Francesco Farnese rilasciò, nel 1722, un privilegio che riguardava Leone Levi per due terzi e per l'altro terzo Lazzaro Vita, Gamaniele e Simone Vita e Angelo Levi.

Nel 1749, in occasione del censimento segreto degli ebrei ordinato da Filippo di Borbone nel suo ducato, risultavano vivere a S. 5 famiglie, per un totale di 26 persone e dalla relazione dell'Uditore Lucio Bolla sappiamo che le loro abitazioni erano: tutte poste nella strada principale e più frequentata, ed in quel sito che dalla porta d'ingresso in detta Terra conduce alla porta della rocca in cui abita il feudatario, le quali case sono frammischiate con quelle dei christiani[3].

Le attività economiche, oltre al prestito, erano principalmente il traffico di animali da lavoro e di terreni, il commercio di piume d'oca per materassi e di refe, filo e cordami, nonché la senseria; anche in questo periodo, svariati erano gli appezzamenti di terra e le case di proprietà ebraica.

La rete dei banchi ebraici a S. e nelle località vicine come Fiorenzuola, Colorno, Bussetto, Cortemaggiore, fu autorizzata dalla Sede Apostolica tra la fine del '500 e la metà del '600[4].

Nel XVIII secolo, si trovano diverse grida volte ad impedire espressioni anti-ebraiche durante il carnevale, mentre, nel 1791, scoppiarono disordini, fomentati dal clero, a causa di una nicchia con una Madonna affrescata, sita sulla parete di una casa acquistata da un ebreo e, quindi, fatta chiudere dal S. Offizio e, poi, riaperta dal nuovo proprietario cristiano, quando l'ebreo vi abitava ancora. Quanto alle conversioni, è documentata, nel 1683 quella del quindicenne Beniamino Fano, nel 1687 quella di due figli giovani di Angelo Foa (il quale, insieme alla moglie, dopo un'iniziale approccio al cristianesimo, aveva desistito) e, infine, nel 1746, quella di tale Simone Cases.

Per quanto riguarda la composizione della comunità ebraica di S., un elenco dei possessori di case e terre in Soragna, per gli anni 1779–80-81, consente di rilevare i nominativi dei proprietari ebrei e l'ubicazione delle proprietà.

A S., un ghetto non fu mai né istituito né auspicato e da una mappa del 1749, la sinagoga risulta essere stata sita nella cosiddetta casa grande delli hebrei, dove era presumibilmente sin dalla seconda metà del secolo precedente. Il culto si svolgeva secondo il rito sefardita occidentale. L'Aron ha-Kodesh (o arca per i rotoli della Legge) della sinagoga, di fattura secentesca, è stato portato, poi, in Israele, nella sinagoga del Parlamento israeliano.

Per quanto concerne il cimitero, invece, non vi sono notizie certe riguardo alla sua ubicazione, sino al 1750, quando Diofebo Meli Lupi donò alla comunità un pezzo di terra retrostante la casa colonica del podere "Bresciana", da adibire a cimitero: nel secolo successivo, tuttavia, esso fu abbandonato a favore di uno nuovo.

 

Bibliografia

Colombi, B., Soragna: Cristiani ed Ebrei Otto secoli di storia, Parma 1975.

Loevinson, E., La concession des banques de prêts aux juifs par les papes des seizième et dix-septième siècles, in REJ 92 (1932), pp. 1-30; 93 (1932), pp. 27-52, 157-178; 94 (1933), pp. 57-72, 167-183; 95 (1934), pp. 23-43.

Segre, R., Gli ebrei lombardi nell'età spagnola, Torino 1973.

Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991.

Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982-1986.


[1]  Simonsohn, S., Apostolic See, doc. 2232.

[2] Colombi, B., Soragna: cristiani ed ebrei otto secoli di storia, p. 270; Simonsohn, S., The Jews in the Duchy, II, doc. 2577, 2578, 2817; Segre, R., Gli ebrei lombardi, pp. 29-30; Colombi, B., op. cit., p. 270, p. 267, pp. 270-271; Simonsohn, S., The Jews in the Duchy, IV, p. 2371; Colombi, B., op, cit., p. 273, pp. 274-281, p. 282, p. 283-284, pp. 285-287.

[3] Colombi, B., op. cit., p. 287.

[4] Loevinson, E., Banques de prêts, p. 178 e segg.

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