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Rimini [1](ארמיני)
Capoluogo di provincia. Posta presso la riva dell'Adriatico, tra il torrente Ausa (a sud-est) e il fiume Marecchia a nord-ovest, e chiamata anticamente Ariminum, la città di origine e di cultura umbro-etrusca divenne, in seguito, colonia latina. Dal XII secolo fu Comune, in lotta soprattutto con Cesena, per ragioni di confine e divisa internamente fra i ghibellini, facenti capo ai Parcitadi, e i guelfi, condotti dai i Malatesta. La signoria di questi ultimi prese forma alla fine del secolo XIII, con Malatesta da Verucchio ed i figli, Paolo Bello, Gianciotto e Malatestino, e si consolidò dal 1295 in avanti. Nel 1334 il Consiglio conferì a Malatesta II il dominio e la defensoria a vita della città e, nel 1355, il papa gli concesse in vicariato Rimini, Pesaro, Fano e Fossombrone. Il dominio dei Malatesta raggiunse l'acme con Sigismondo Pandolfo, alla cui corte l'arte e gli studi umanistici fiorirono. Nei suoi ultimi anni, per la guerra mossagli da Pio I, il dominio si ridusse alla sola città di R. (1463) e tale continuò ad essere con i suoi discendenti fino all’epoca del controllo borgiano (1500-1503) e veneziano (1503-1509). Seguì il governo della Chiesa con i tentativi di ritorno da parte di Pandolfo V e del figlio Sigismondo (1522-23,1527-28), ma la storia di R. non offrì per quasi tre secoli avvenimenti notevoli.
Fin dal secolo XI emergono rapporti degli ebrei con R., sia in campo commerciale che agricolo. Un documento del 1015 parla, infatti, di un diritto di ripatico sul lido del mare spettante per metà alla Chiesa di R., il cui vescovo ne cedette i proventi ai suoi canonici: tale diritto comprendeva il teloneum iudeorum[2].Nel 1144 il papa Lucio II confermò alla Chiesa stessa questa prerogativa, ossia medietatem totam ex integro litore maris, cum medietate de districtu suo, quae ad ripas
litoris pertinet, sive de Iudeis sive di Christianis.[3] La concessione è ribadita ancora dal successore Eugenio III (1145-1153)[4] e ripetuta di nuovo nel 1230[5]: si trattava evidentemente di ebrei che approdavano a R. per l'esercizio dei loro affari commerciali.
Nella concessione del 1015 si fa pure menzione di un fundus Judeorum, mentre una carta del 1065 parla di terre que sunt posite in fundo Judeorum in comitatu Arimini et in plebe Sancti Laurentii[6]. Poiché questa pieve ( oggi San Lorenzo in Correggiano) è a sei chilometri e mezzo da R. è chiaro che le terre erano appezzamenti agricoli facenti parte di una tenuta (fundus) coltivata da ebrei,[7] alla quale apparteneva altresì il mons Judeorum, citato in una carta riminese del 1135[8].
È stata fatta l'ipotesi che l'affluenza degli ebrei a R. sia stata favorita dal decreto del 1220, in cui si dichiarava liberocittadino chiunque, anche venuto da fuori, avesse abitato in R. almeno un anno e un giorno senza aver dato luogo a sospetti, e avesse giurato di fissare la propria dimora nella città[9].
Dai documenti risulta che diversi ebrei di R. facevano parte di società di prestatori e di compratori di immobili a Padova[10]. Nel 1369 Genatano da Norcia, capostipite della famiglia Norsa, moriva e il figlio Manuele, banchiere, era interessato ad attività commerciali e feneratizie in quella città[11].
Gli ebrei erano presumibilmente esentati dal segno, se in un Breve del 10 giugno 1432 Eugenio IV, dietro richiesta di Roberto Galeotto il Beato, ordinò al vescovo di Rimini di esigere che tutti loro, senza distinzione alcuna, portassero il segno prescritto[12].
Negli anni Ottanta del XIV secolo è ampiamente attestata l'attività feneratizia ebraica, insieme a due casi di contratti di soccida[13].
Nel 1392 Menahem ben Natan, facendo testamento, lasciò una somma di denaro per il miglioramento del litorale di R.
In un responso di Yitzhaq ben Sheshet, che integra quello che Shimon ben Tzemah Duran scrisse quando era ad Algeri, alla fine del secolo XIV o ai primi del successivo[14], troviamo l’eco di una vicenda che coinvolse svariati rabbini e che fornisce particolari di un certo interesse per la storia degli ebrei di R. e di Fano, in cui si svolse una parte della vicenda. Si tratta di un controverso divorzio (risalente al 1398-99) tra un residente di R., Yitzhaq ben Yehiel ben Daniel e la moglie, Belladonna figlia del fu Yehiel ben Yequtiel e di Perna, da cui si apprendono svariati nomi di ebrei di R. e di Fano e una procedura di divorzio di cui non sono rimaste altre testimonianze.
Un dato di rilievo è costituito dal procedimento penale circa la validità del divorzio e la liceità delle seconde nozze di Belladonna, intentato da un’istituzione giudiziaria di non chiara origine, da certuni identificata con l'episcopato, che fa sorgere l'interrogativo su un’ingerenza della magistratura ecclesiastica in questioni di diritto matrimoniale ebraico, mai riscontrata altrimenti negli studi sino ad ora disponibili[15].
Nel 1399 Giovanni de Pozali (Pogiali), francescano al servizio dell'Inquisizione in Romagna, processò due ebrei di R., padre e figlio, accusati di aver sedotto una donna cristiana, facendole credere che il concubinato con gli ebrei non fosse peccato. Trovati innocenti, i due furono assolti e chiesero a Bonifacio IX di ratificare il verdetto a loro favorevole.
Alla fine del XIV secolo, Innocenzo VII conferiva lo status di suo familiare a Manuele di Vitalucio di R.[16].
Sotto la signoria dei Malatesta, i prestatori ebrei fecero la loro apparizione, mostrando grande iniziativa commerciale: tra questi, si ricorda Menahem ben Natan che, nel 1392, diede soldi, oltre che per i lavori necessari alla sua città d'origine, Roma, per migliorie al porto di R.
Banchieri di R. furono attivi nel prestito anche a Modena, nel 1393, e, in seguito, a Padova.
Nel 1402 tutti i sudditi della signoria malatestiana furono esentati dalle tasse papali.
Bernardino da Siena visitò la città, tentando invano di provocare sentimenti anti-ebraici, ma nel XV secolo, la situazione degli ebrei riminesi si fece comunque più difficile, data la maggior severità nei loro confronti di Eugenio IV rispetto al predecessore, che lo portò ad incaricare il vescovo di Rimini del compito di obbligare gli israeliti locali all'uso del segno, ad onta dell'esenzione concessa loro da Martino V[17]. Negli anni Trenta del XV secolo, tra coloro che ricevettero un salvacondotto di sei mesi per visitare la corte papale e per viaggiare nello Stato della Chiesa, vi era anche Musetto Elia di R., mentre Ysach di Manuele di R. (residente, tuttavia, a Pisa) ebbe un salvacondotto per due anni.
Una disputa tra gli ebrei e l’ebraista Gianozzo Manetti venne organizzata, nel 1448, da Sigismondo Pandolfo Malatesta, senza che ce ne sia noto l'esito[18].
Nel 1452 Nicola V dette ordine all'arcivescovo di Firenze di far luce sul caso di Isacco di Manuele da Rimini, prestatore a Pisa, Rimini, Forlì e S. Gimignano, vessato da ebrei e cristiani sotto l'accusa di aver compiuto svariati, non meglio specificati, crimini.
Nel 1501 venne fondato il Monte di Pietà, tuttavia, il prestito ebraico continuò, come è attestano alcune concessioni di prestito, sino al 1552[19].
Nel 1537 Beniamino di Emanuellino, residente a R., fu incaricato dell'esazione della vigesima dei correligionari di Romagna e dell'esarcato, ammontante a 750 scudi.
Quanto ai convertiti, sappiamo ad esempio un documento del 1545 prometteva indulgenze a chi aiutasse finanziariamente il neofita Giulio Cesare, alias Simone da R., a recarsi in pellegrinaggio, con moglie e figli, a S. Giacomo di Compostella.
Nel 1551 furono aperte le indagini contro gli ebrei di una serie di località tra cui R., che, al fine di evadere il fisco papale, avevano dichiarato proprietà inferiori al vero.
L'anno seguente, Raffaele, figlio di Moysè Nacman, d'origine spagnola, ma residente a R., insieme ad un correligionario di Cesena fu incaricato dell'esazione delle tasse degli ebrei di Romagna e dell'esarcato di Ravenna, dopo che la vigesima era stata più che raddoppiata e che una multa era stata comminata per le passate trasgressioni[20].
Con l'espulsione del 1569 probabilmente cessò la presenza ebraica a Rimini: tuttavia, nel 1587-89, in conseguenza alla tolleranza espressa nei confronti degli ebrei da Sisto V, vennero richiamati qui 17 banchieri. Sebbene la bolla del 1593 cacciasse nuovamente gli ebrei dallo stato della Chiesa, secondo una fonte locale, quelli riminesi rimasero sino al 1615, quando furono espulsi dalla città[21].
Attività economiche
Nel secolo XI è attestata l'attività agricola ebraica nel riminese, mentre in un documento del 1397 figura un orefice ebreo[22].
Nel secolo XV, un medico ebreo riminese, Guglielmo di Venturello, esercitava anche il prestito, non si sa se solo occasionalmente. Inoltre, è attestata in quel periodo l'attività di un tintore e di due stracciaioli[23].
Quanto al prestito, a R., come altrove, vigeva la norma che la restituzione del denaro potesse avvenire anche presso il banco ebraico di un'altra città romagnola[24]: tale collegamento tra i prestatori ebrei di svariate località consentiva di esportare in un'altra città i pegni non riscossi, per venderli[25].
Nel primo trentennio del XVI secolo, Zaccharia e Salvatore di Habraam di R. ricevettero il permesso di prestare a interesse nella città, senza però aprire un banco, e di continuare il commercio della strazzaria. Qualche anno dopo, ottennero l’autorizzazione di esercitare il prestito con o senza banco a R. e dintorni Isacco e Giuseppe di Leone Tedesco e soci, cui furono anche concessi l'esenzione dal segno e la possibilità di fruire dei servizi di balie cristiane[26].
Poco dopo, ad un medico ebreo, Sulam alias Salomone, fu concessa l'esenzione dal segno e la facoltà di curare pazienti cristiani, purché li esortasse a ricevere i sacramenti prima di intervenire.
Nel 1550 l'interesse del prestito senza pegno fu limitato al 20% e agli ebrei fu, inoltre, proibito di commerciare in generi alimentari. L'anno seguente era concesso di richiedere il 30% per il prestito senza pegno contratto prima dell’abbassamento dell'interesse al 20%, mentre, per quelli successivi, veniva concesso di richiedere il 25%. Il Breve ottenuto dagli abitanti della Romagna, in cui si proibiva agli ebrei locali di richiedere un interesse superiore a quello praticato a Bologna ed a Imola fu abrogato.[27]
Negli anni 1587-1589 il camerlengo papale concesse, infine, la permanenza ed in alcuni casi anche il prestito a diversi ebrei[28].
Ghetto
Nel 1555 in seguito alla bolla Cum nimis absurdum, il Consiglio comunale di R. decise di istituire il ghetto, in contrada S. Andrea, nel tratto compreso tra la casa dell'ebreo Musetto e la chiesa di S. Gerolamo della Scolca (poi S. Onofrio); le spese relative all’istituzione del ghetto dovevano essere a carico del Comune. L'anno seguente, gli ebrei, probabilmente renitenti al provvedimento, nominarono un procuratore per rappresentarli in tutto quanto concernesse la loro segregazione. L'anno ancora successivo, tuttavia, il ghetto venne realizzato ed i suoi portoni furono abbattuti solo tre giorni prima della cacciata degli ebrei da R., nel 1615[29].
Sinagoga
Da un testamento del 1451, risultavano esservi due sinagoghe a R. e da un rogito del 1507, si apprende che la più grande si trovava nel cuore della città, nella contrada di S. Colomba. Qualche anno più tardi, un atto testimonia che il legato papale de latere in Romagna concesse agli ebrei riminesi il possesso della sinagoga e la riparazione di un suo muro[30].
In un atto del 1525 viene, poi, menzionata una sinagoga sita in contrada S. Giovanni Evangelista che, nel 1555, veniva indicata come sinagoga magna, mentre la sinagoga vecchia risultava posta in contrada S. Silvestro. A partire dal 1555 agli ebrei venne concesso di tenere solo la sinagoga posta in contrada S. Giovanni Evangelista, confinante con la contrada S. Andrea, in cui fu stabilito il ghetto. Tale sinagoga fu venduta ad un notaio e cancelliere della città di R. un anno dopo il bando degli ebrei dallo stato della Chiesa, nel 1569, da due ebrei che agivano in qualità di sindaci e procuratori della Comunità[31].
Cimitero
Sebbene il cimitero risalisse presumibilmente all'epoca dell'insediamento ebraico, il primo documento che lo menziona risale solo al 1477 e riguarda la donazione in reparatione cimiterum ebreorum, [32] contenuta in un testamento.
In un altro testamento del 1451 vengono indicati due cimiteri, uno vecchio e uno nuovo e, da un documento del 1459, risulta il vecchio cimitero fosse stato abbandonato definitivamente e ne viene data come ubicazione la contrada Sant'Andrea.
In una fonte ottocentesca, viene fatta risalire al 1506 la costituzione del cimitero ebraico riminese, sulla base di un rogito attestante che tale Sigismondo Gennari e fratelli avevano ceduto agli ebrei riminesi le proprie “ragioni” su un campo vicino alle mura, fuori porta Sant'Andrea: l'esistenza di tale cimitero è confermata da un atto dell'anno successivo e in svariati altri documenti del XVI secolo[33].
Vita culturale, dotti
Verso la fine del secolo XIV Yequtiel ben Shelomoh copiava a R. il Malmad ha Talmidim per il suo maestro Menahem ben Natan[34].
Un manoscritto del 1374 è stato scritto forse dal medesimo amanuense[35], il quale trascriveva, sempre a R., un codice biblico per il suo maestro Benyamin ben Shemuel[36].
Nel 1390 venne copiato a R. il commento di Nahmanide al Pentateuco per conto di un certo Isac di Leone[37].
Amedeo o Yedidyah di Moisè da Recanati, talmudista, poeta e traduttore, visse a R., nella seconda metà del XVI secolo. Prolifico autore, tradusse il Moreh Nevukhim in italiano e, inoltre, fu anche il primo che tradusse tutta la Bibbia in italiano.
Tra il 1521 e 1526 Gershom Soncino lavorò a Rimini dove pubblicò otto libri[38].
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[1] Traslitterazione riportata in Toaff, A., alla voce “Rimini”, J.E.
[2] Medietatem ripe littoris maris cum teloneo suo et cum teloneo Iudeorum : concessione del vescovo di R., Uberto, ai suoi canonici in data 7 novembre 1015. Il documento è pubblicato dal Marini, I papiri diplomatici, Roma 1805, p., 294 e da Tonini, L., Della storia civile e sacra riminese, vol. II, doc. 48, p. 511.
[3] Fantuzzi, M., Monumenti ravennati dei secoli di mezzo, vol. VI, Venezia 1804, doc. 22, pp. 43-45, 1 giugno 1144; Simonsohn, S., The Apostolic See and the Jews, doc. 45.
[4] Liber censuum Romanae Ecclesiae a Centio camerario compositus, in : Muratori. Antiquitates Italicae M. Aevi, t. V, Milano 1741, p. 864.
[5] Tonini, L., op. cit., vol. III, doc.60, p. 481.
[6] Biblioteca Gambalunga di Rimini, Pergamene dei secoli XI-XIII, Schede Zanotti 9-19.
[7] Sull'argomento. cfr. Colorni, V., Judaica Minora, p. 132, n. 15.
[8] Pflug-Harttung, I., Acta pontificum romanorum inedita, III, n. 39, p. 33.
[9] Tonini, L., Compendio della storia di Rimini, Rimini, 1895, p. 213, in Artom, E., Notizie sugli Ebrei a Rimini, p. 3, n. 1.
[10] V. Ciscato, Gli Ebrei in Padova, Padova, 1901, p. 19 e segg., citato in Artom, E., op. cit., p. 3, n. 2.
[11] Muzzarelli, M.G., Rimini e gli ebrei fra Trecento e Cinquecento, p. 33, n. 15; anche il Larner menziona l'attività feneratizia di ebrei riminesi, nel 1369, in altre località, oltre R. ( Larner, J., The Lords of Romagna, p. 134).
[12] Artom, E., op. cit., p. 3.
[13] Muzzarelli,M.G., Rimini e gli ebrei fra Trecento e Cinquecento, p. 35.
[14] Sul trasferimento di Shimon ben Zemah Duran (1361-1444) ad Algeri, dopo aver abbandonato la Spagna nel 1391, cfr. Michael, H.J.,Or ha-Hayyim, n. 1221, pp. 602-603; Artom, E., op. cit., p. 2, n. 2. Sul responso di Yitzhaq ben Sheshet, cfr. RJBSH, n. 127 della raccolta.
[15] Artom, E., op. cit., p. 9. Per i personaggi, implicati come testimoni della renitenza dello sposo a concedere il divorzio, si veda l'elenco in, ivi, pp. 6-7.
[16] Simonsohn, S., op. cit., doc. 489, 490, 572.
[17] Ivi, doc. 500, 687; History, p. 142.
[18] Ivi,doc. 709, 732; History,p. 329; Roth, C., The Jews in the Renaissance, pp. 140-141.
[19] Simonsohn, S., op. cit., History,p. 113; doc. 811*, 1394, 1646, 2009, 2120, 2691, 3060.
[20] Ivi, doc. 1836, 2478, 3043, 3063.
[21] AA.VV., Cultura ebraica in Emilia-Romagna, p. 47.
[22] Cfr. nota n. 7 ; Artom, E., op. cit., p. 3.
[23] Muzzarelli, M.G., La presenza ebraica nelle città della Romagna negli ultimi secoli del Medioevo ed all'inizio dell'età moderna, pp. 60-61.
[24] Muzzarelli, M.G., Ebrei e città d’Italia in età di transizione, pp. 83-84; p. 121.
[25] Muzzarelli,M.G., La presenza ebraica, p. 59.
[26] Simonsohn, S., op. cit., doc. 1470, 1587.
[27] Ivi, doc. 1547, 2931, 3017.
[28] Loevinson, E., Banques de prêts, p. 176 e segg.
[29] AA.VV., op. cit., p. 47.
[30] Simonsohn, S., op. cit., doc. 1269; cfr. AA.VV., op. cit, p.78.
[31] AA.VV., op. cit.,., pp.77-78.
[32] AA.VV., op. cit., p. 112 : si tratta del testamento rogato dal notaio Sante di A. da Serravalle, conservato tra gli Atti Notarili dell'Archiviodi Stato di R.
[33] Ivi, pp. 112-113.
[34] Kaufmann, D., Gesammelte Schriften, III, p. 209; Weisz, M., Katalog der hebräischen Handschriften und Bucher in der Bibliothek des Professors D. Kaufmann, p. 99, n. 278.
[35] Kaufmann, D., op. cit., I, p. 206.
[36] Neubauer, A., Catalogue of the Hebr. manuscripts Bodleian library, I, p. 3, n. 13.
[37] Mss. codices Hebraici Bibliot. I., B. De Rossi, Parma, III, 1803, p. 51, n. 1072, citato in Artom, E., op. cit., p. 4, n. 4.
[38] Toaff, A. s.v."Rimini", J.E.; Roth, C.,The History of the Jews in Italy, p. 224-225; Idem, The Jews in the Renaissance, pp.180-183.