Andria

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Andria

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Provincia di Bari. Sorge su un luogo abitato fin dall'antichità, ma il centro si sviluppò attorno a una borgata formatasi in epoca medievale. Edrisi  (1154) così la descrive: Di fronte a Barletta, lontana nove miglia dal mare, giace entro terra una città grande e popolata che chiamasi Andria[1]. Sede vescovile dall'XI secolo, fu città prediletta dall'imperatore Federico II di Svevia, nelle cui vicinanze innalzò il famoso Castel del Monte. Nel 1443 fu tassata per 583 fuochi e nel 1532 per 1154.

 

La più antica attestazione della presenza di ebrei ad A. è costituita dalla notizia della conversione di alcuni di essi al cristianesimo nel 1294[2].

La documentazione  riprende con gli Aragonesi, subentrati nel 1442 agli Angioini nel dominio del regno di Napoli[3]. Il 16 aprile 1447 Mactadia de Leucio contrasse un prestito con il correligionario Criscio di Angelo da Marsiglia, abitante ad A.. Il Mactadia, che abitava a Bitonto, proveniva dall'area bizantina: era detto, infatti, rumanisco e aveva il soprannome di Dattilo, in greco “dito”. L’atto registra anche il giuramento sulla legge mosaica prestato dal debitore a maggior garanzia della restituzione[4].

Nel 1454 si rifugiarono ad A., provenendo da Trani, alcuni cristiani novelli discendenti dei convertiti del XIII secolo. Essi ­erano fuggiti qui per non contribuire all’ammenda di 40.000 ducati a cui  l’università di Trani era stata condannata a causa dei tumulti che avevano visto i Caccetta e i loro partigiani ‑ mercanti, navigatori, popolo ‑ scontrarsi violentemente con il par­tito dei nobili, loro avversari. Per ordine regio, tuttavia, anche i nostri fuggitivi furono compresi tra i tassati forse perché erano partiti a tumulti iniziati o perché in città erano rimaste le loro famiglie[5].

Di una vera immigrazione di ebrei di Trani ad A., come pu­re a Corato, Spinazzola e Taranto, si ha notizia in un documento della Camera della Sommaria datato 15 ottobre 1478, che accoglie come fondate le proteste della comunità tranese costretta a pagare le tasse anche per quei suoi membri che si erano trasferiti altrove[6]. Degli ebrei andriesi di questo periodo è noto Abram de Iaco Levi, assai attivo nel comme­rcio del frumento in varie località della provincia. A Palo del Colle egli aveva quale suo agente e procuratore, anche per la riscossione del denaro, Marino di Nicola Greco, un cristiano di A.[7].

Notizie più ricche sulla comunità locale ricorrono in un gruppo di documenti appartenenti agli ultimi due decenni della monarchia aragonese, dedicati per la quasi totalità a questioni di tasse e contributi. Gli ebrei, come è noto, erano tenuti, alla pari dei cristiani, all’imposta ordinaria annuale del casalinaggio e a contribuzioni straordinarie richieste da speciali circostanze come guerre, incoro­nazioni e matrimoni regi. Le comunità di ciascuna provincia provvedevano alla raccolta delle imposte, la cui quota indi­viduale era fissata sulla base dell’apprezzo o stima dei beni, che era affidato di solito a rappresentanti degli stessi ebrei. Nella ripartizione delle imposte, e nello stesso apprezzo, potevano accadere abusi e alcune comunità erano perciò tas­sate più del dovuto: questo sarebbe accaduto anche ad A. nel 1482. I giudei andriesi non soggiacquero però a quello che ritennero un sopruso e ricorsero a Na­poli: essi lamentarono che l’intera comunità, e in modo speciale Bauzzo de Levi, tranese ma cittadino di A., nei pagamenti annuali do­vuti alla Regia Corte non era stata trattata come le altre di Terra di Bari, ma era stata costretta a pagare sia per i propri membri nullatenenti sia per quelli che erano stati esentati dalle imposte per privilegio sovrano. La Camera della Sommaria, che era la magistratura di riferimento per simili cause, nella sua risposta ribadì la volontà del sovrano che nessuno fosse sottoposto a indebito tribu­to: gli israeliti andriesi non dovevano quindi pagare più di quanto toccava loro secondo giustizia. A garanzia di ciò, egli ordinò al percettore di Terra di Bari che per il futuro, quando si fossero dovute fissare le imposte o trat­tare altri affari riguardanti la Regia Corte, eleggesse un rappre­sentante della giudecca andriese perché curasse gli interessi della sua comunità[8].

Pertinente alla riduzione delle imposte a causa dell’impoveri­mento del contribuente è la controversia che vide opporsi l’ebreo andriese Meo Levi ai proti e ai sindaci delle giudecche baresi. Il Levi, che non viveva prestando denaro, ma coltivandola terra e svolgendo altre attività, chiese una riduzione delle imposte, essendo le sue en­trate assai diminuite. Il percettore di Terra di Bari, Fabrizio de Scorciatis, prese le debite informazioni e accondiscese alla richiesta, diminuendogli la rata delle tasse da undici a sette ducati. I successori del de Scorciatis non vollero però riconoscere tale riduzione e con­tinuarono a tassare il Levi come prima. La Sommaria accolse il suo ricorso e ordinò (18 febbraio 1494) ai commissari Gio­vanni de Normandia e Francino Petralbes di rispettare l’alleggerimento accordato dal de Scorciatis[9]. Poiché le angherie continuava­no, il Levi scrisse di nuovo a Napoli, affermando che se quelle non fossero cessate, sarebbe stato costretto ad emigrare. La Sommaria inter­venne ancora in suo favore (14 aprile 1494), scrivendo al capita­no di Trani perché, insieme ai rappresentanti delle giudecche baresi, provvedesse alla revisione dell’apprezzo. Quanto fosse stato sot­tratto alla contribuzione del ricorrente, sarebbe stato però messo a carico di quei giudei che, pur essendo venuti ad abitare in Terra di Bari, non erano stati ancora iscritti nella lista dei contribuenti della provincia, o di quelli che fossero risultati pagare al di sotto delle loro risorse. L’ordine della Sommaria venne eseguito e il capitano di Trani definì l’ammontare della rata che spettava al Levi. Gli esatto­ri tuttavia, forse aizzati da antagonisti o concorrenti di quest’ultimo, non obbedirono, e la Sommaria intervenne nuovamente (7 gennaio 1495), intimando che la dichiarazione emessa dal capitano di Trani venisse osservata rigorosamente[10].

Ma disposizioni della Sommaria perché si prendessero diligenti in­formazioni in vista di una riduzione delle imposte furono inviate anche a  favore di Grazia, vedova con figli (11 giugno 1494) e di Abram de Iaco Levi (14 giugno 1494)[11]. Anche in questi casi la ri­chiesta di riduzione delle tasse era stata motivata con la sopravve­nuta diminuzione delle facoltà dei contribuenti.

Il 16 gennaio 1499 la Sommaria intervenne a favore di messer Michele, medico ebreo di Andria. Il padre del nostro medico, ma­stro Moyse, era stato numerato con i fuochi di A. e quando morì i suoi obblighi fiscali passarono al figlio. Il percettore di Terra di Bari, Berardino de Biconia, voleva però costringere il medico a pagare un secondo contributo, quello imposto agli ebrei che erano ve­nuti negli ultimi tempi ad abitare nella provincia e non erano stati ancora annoverati tra i fuochi di alcuna città. Messer Michele si sarebbe così trovato a dover pagare le tasse due volte, per il padre Moyse, di cui era l’erede, e per se stesso quale presunto immigrato. Ciò però avrebbe costitui­to un’ingiustizia e la Sommaria ordinò al percettore di non mole­stare l’ebreo, ma di trattarlo  alla pari degli altri cittadini di A.[12]. Lo stesso ordine fu emanato il 30 gennaio a favore di altre sei giudei che abitavano con le loro famiglie nella città ed erano stati annoverati tra i suoi cittadini. I nomi dei capofamiglia, riportati in calce alla lettera, mostrano la provenienza di tali giudei dalla Francia e dalla Spagna. Essi si chiamavano, infatti, Manuel Franzese, Mastro Abram, Mastro David, Nissim, un altro Nissim e Iosep Spagnolo[13].

Quando con Federico II d’Aragona (1496)  fu eseguito un ulteriore censimento dei giudei della provincia per esigere l’impo­sta di un ducato, il percettore non volle far decorre­re per gli ebrei andriesi la nuova tassa dal momento del censimento ma da una data posteriore. Ciò provocò il ricorso a Napoli della comunità andriese. L’istanza fu accolta e la Sommaria or­dinò al percettore di applicare la nuova imposta a partire dal mo­mento in cui fu eseguita la numerazione. Inoltre, poiché diversi ebrei avevano lasciato A. per porre altrove il loro domicilio, ingiunse di non esigere da quelli che erano  rimasti il tributo dovuta da quelli che erano andati via[14].

Che anche nell'ambito della piccola comunità locale vi fossero animosità, conflitti d’interesse e controversie che finiva­no davanti al giudice, cristiano per giunta, lo attestano due docu­menti della Camera napoletana. Il primo documento, datato 30 maggio 1483, è indirizzato al capitano di A. e contiene l’ordine di definire entro lo spazio di un mese la causa pendente da lungo tempo tra l’ebreo Iacob, nipo­te di Vitale da Lecce, e i giudei andriesi Abram, Samuele ed un al­tro Abram. Oggetto della lite era il diritto all’eredità del defunto Moseu de Noves, marito de Struda. Se la causa non fosse stata definita secondo giustizia entro il termine fissato ‑ un mese - il tribunale della Regia Camera l’avrebbe avocata a sé[15].

Il secondo documento, datato 17 maggio 1488, ha per oggetto uno strumento dotale, cioè una Ketubbah, sottratto, secondo la denunzia, a una Leonetta, maritata con un Lazzaro di Trani. La scrit­tura era stata per cautela da Leonetta affidata a suo pa­dre Iacob. Alla morte di Iacob, l’atto sarebbe venuto in possesso di una Gioia, moglie di mastro Samuele Spagnolo. Leonetta aveva più volte richiesto la restituzione del documento, ma l’altra negava che fosse nelle sue mani. Sporta denuncia alla Sommaria, questa or­dinò al capitano di A. di intimare a Gioia la restituzione dello strumento dotale. Ciò doveva avvenire entro dieci giorni, pena l’ammenda di 25 once. Nel caso Gioia avesse persistito nel nega­re di possedere il documento, avrebbe dovuto attestare la propria innocenza mediante il giuramento ebraico (herim).Se poi ella avesse avuto ragioni che giustificavano il suo comportamento reni­tente, avrebbe dovuto, trascorsi i dieci gior­ni, portarle a conoscenza della Regia Camera, che dopo aver ascoltato le parti avrebbe giudicato secondo giustizia[16].

Assai interessante è poi una lettera del Re diretta al capitano di A. in data 7 febbraio 1500, con istruzioni circa la causa che opponeva gli eredi di Cola de Otto a Bartolomeo Cristiano, che è detto neofita di questa città[17]. Ignoriamo l’occasione che portò il giudeo al battesimo: probabilmente esso è da collocarsi durante l’invasione del Regno da parte di Carlo VIII di Francia (1495), quando  sovente i giudei furono posti dinanzi all’alternativa della conversione o della perdita dei beni e della stessa vita.

La successiva invasione del regno di Napoli da parte degli spagnoli e dei francesi prima (1501) e la conquista poi di tutto il Regno da parte della Spagna (1504), spinsero molti ebrei ad emigrare verso contrade più quiete. Diverse giudecche rimasero deserte e scomparvero dagli elenchi ufficiali, come accadde per A. Questa comunità, infatti, non compare nell’elenco delle giudecche presenti nel Registro del percettore di Terra di Bari del 1507. È pro­babile, comunque, che qui abbiano influito non solo le vi­cende belliche e politiche, ma anche una terribile pestilenza che di­mezzò la città nei primi anni del dominio spagnolo.

Nel secondo decennio del 1500 gli ebrei sono però di nuovo documentati ad A.: nella città, come in altre località di Terra di Bari, aveva aperto un banco di prestito e un punto di vendita di mercanzie varie Raffaele di Speranza. Questi, che era l’unico banchiere ebreo degno di nota a Napoli fra i tanti banchieri cristiani (genovesi, fiorentini, catalani e qualche napoletano), aveva il suo domicilio nella capitale, insieme ai cui ebrei pagava le tasse per le proprie attività. I proti delle comunità di Terra di Bari volevano però costringerlo a pagare i contributi una secon­da volta per i banchi e negozi che aveva nella provincia. Egli inoltrò ri­corso presso la Camera della Sommaria, che gli diede ragione e ordinò ai proti baresi di restituire quanto gli avevano illegittimamente esatto (12 settembre 1522)[18]. Procuratore di Raffaele de Speranza ad A. era Ruben Zizo, giudeo di Bari[19].

Al 1535 sono datati alcuni interventi della Sommaria a favore degli ebrei andriesi Elia de Moyse e suo figlio Raffaele. Ancora una volta si trattava di tassee delle consuete diatribe tra collettori e con­tribuenti. Il primo, già persona benestante sempre in regola con i pagamenti ordinari e straordinari, era stato nel 1530 derubato di ogni avere. Per questa ragione egli era stato, con sentenza del percettore, esentato dal pagare contributo alcuno. A onta della sen­tenza, tuttavia, le autorità provinciali ebraiche non solo avevano continuato ad esigere la stessa quota che Elia pagava prima di essere derubato, ma per il contributo imposto ai giudei dalla Regia Corte egli era stato tassato di circa 30 ducati. Elia ricorse allora alla Sommaria, che ordinò ai proti di restituire le somme indebita­mente esatte e al regio percettore di non molestare per nessun mo­tivo l’ebreo andriese[20].

Anche il figlio di Elia, Raffaele, era sotto il tiro dei suoi correli­gionari esattori e così, in occasione del pagamento straordinario imposto ai giudei nel 1535, era stato tassato per 50 ducati, come se fosse una per­sona facoltosa, e non sulla base della stima giurata dei beni posse­duti, come anche la Sommaria riteneva giusto. La situazione venne però complicandosi. Su relazione di alcuni correligionari suoi nemici, Raffaele fu tassato per 130 ducati, mentre in realtà quan­to egli possedeva non eccedeva il valore di 40 ducati. Si giunse così al pignoramento di tutte le cose che l’ebreo aveva nella sua botte­ga, ma che diceva di tenere a credito da altri mercanti. La Sommaria ordinò che si verificasse lo stato patrimoniale e dall’indagine risultò che effettivamente esso non superava i 40 ducati, per i quali Raffaele già pagava la giusta imposta. Nonostante ciò, il percettore eseguì un altro pignoramento e fece pagare a quest’ultimo una nuova imposta di 16 ducati, che la Sommaria però, in da­ta 15 novembre 1535, ordinò di restituire[21]. L'attività di Raffaele de Elia durò sino alla fine della presenza ebraica nel Regno, come attesta la quietanza che il 27 settembre 1540 l’ebreo barese Isac Trevoch gli diede per il denaro, gli oggetti e altri beni da lui ricevuti in passato nel corso dei loro affari[22].

Della presenza degli ebrei ad A. rimane ancora oggi il ricordo nel toponimo Via Giudea, nei pressi di Porta Nuova[23]indicante il luogo in cui essi abitavano.

 

 

 

Bibliografia

 

AA. VV., La presenza ebraica in Puglia. Fonti documentarie e bibIiografiche, a cura di C. Colafemmi­na, C. – Corsi, P. ‑ Dibenedetto, G., Bari 1981.

Carabellese, F., La Puglia nel secolo XV, 2.voll, Bari 1901.

Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia e nel Mezzogiorno nella Biblioteca Comunale di Bitonto, in Sefer Yuhasin 9 (1993), pp. 19-44.

Colafemmina, C., Gli Ebrei in Andria tra Medioevo e Rinascimento, in Catalogo della Mostra “Il Popolo di Mosè. Mostra su cultura e civiltà ebraica, Andria 4 settembre-31 ottobre 1998.

Colafemmina, C. -  Dibenedetto, G.  Gli Ebrei in Terra di Bari durante il Viceregno. Saggio di ricerche archivistiche, Bari 2003.

Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale dall’età romana al secolo XVIII, 1915, riedizione a cura di Filena Patroni Griffi, Napoli 1990.

Vitale, V.A., Trani dagli Angioini agli Spagnuoli: Contributo alla storia civile e commerciale di Puglia nei secoli XV e XVI, Bari 1912.

 

 

 

 

 


[1] L'Italia descritta nel "Libro del Re Ruggero", p. 104.

[2] Ferorelli, N., Gli ebrei nell’Italia meridionale, p. 47.

[3] Cfr. Colafemmina, C., Gli ebrei ad Andria, pp. 78-95

[4] ASBa, not. Pascarello de Tauris, prot. a. 1447, 39v; Carabellese, F., La Puglia nel secolo XV, p. 96.

[5]Vitale, V.A., Trani dagli Angioini agli Spagnuoli, p. 217. Qualcheneofita si rifugiò anche a Barletta.

[6] ASNa, Sommaria, Partium 14, 114v.

[7]ASBa, not. Domenico de Cassano, prot. a. 1474, 51v, 52rv, 58rv. Nel 1494 Abram de Iaco chiederà l’alleggerimento del carico fiscale essendo sceso di fortuna. Cf. ASNA, Sommaria, Partium 39, 96r.

[8]ASNa Sommaria, Partium 19, 92rv.

[9]ASNa, Sommaria, Partium 40, 10rv.

[10] ASNa, Sommaria, Partium 40, 167r; 38, 149r.

[11]ASNa, Sommaria, Partium 39, 77v; 39, 96r.

[12] ASNa, Sommaria, Partium 44, 15 1 v.

[13]ASNa, Sommaria, Partium 44, 177r. Colafemmina, C., Gli Ebrei in Andria tra Medioevo e Rinascimento, pp. 45-46.

[14]ASNa, Sommaria, Partium 47, 120v‑121r (6 maggio 1499).

[15]ASNa, Sommaria, Partium 20, 11 r

[16] ASNa, Sommaria, Partium 27, 18v.

[17]Colafemmina, C., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia e nel Mezzogiorno, pp. 38-39.

[18] ASNa, Sommaria, Partium, 111, 1 rv.

[19] Colafemmina, C. -  Dibenedetto, G.  Gli Ebrei in Terra di Bari durante il Viceregno, pp. 51-52, n. 107.

[20] ASNA, Sommaria, Partium, 166, 141rv-142r ( 8 aprile 1535); 186v (24 maggio 1535).

[21] ASNA, Sommaria, Partium 118, 186v (24 maggio 1535); 166, 219v (7 giugno 1535); 118, 186rv (15 novembre 1535).

[22] AA. VV., La presenza ebraica in Puglia. Fonti documentarie e bibIiografiche, a cura di C. Colafemmi­na, C. – Corsi, P. ‑ Dibenedetto, G., Bari 1981, p. 140, n. 307.

[23]Via Giudea che si trovava anticamente a ridosso delle mura, si snoda  oggi  tra  Via C. Colombo e Via Nicotera.

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