Castelleone

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Castelleone

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Castelleone (קסטל ליאונה)

Provincia di Cremona. Sito nella pianura alla sinistra del Serio, l’antico Castel Manfredi fu distrutto da Federico I Barbarossa nel 1186 e ricostruito due anni più tardi dal vescovo di Cremona come Castrum Leonis e nel 1354 entrò a far parte del Ducato di Milano. In seguito, dopo una breve parentesi veneziana (1499-1509) C. andò in mani ai francesi e agli spagnoli.

Il primo accenno ad una presenza ebraica a C. risale al 1454, quando Manno, incaricato dal Duca di stabilire la quota che ogni ebreo avrebbe dovuto pagare, riferiva di aver inviato Salomone a ritirare la somma di 128 lire, che Anselmo di C. ancora doveva. Poiché, poi, gli ebrei non erano giunti ad un accordo sulle quote da corrispondere, il luogotenente di Cremona ricevette ordine di mandare Anselmo da Manno e dagli altri correligionari di Pavia. Qualche mese dopo, il podestà di C. (allora indicato come “Castro Leone” o “Castillione”) ebbe ordine di assistere Manno nell'esazione delle tasse che Anselmo doveva pagare. Nello stesso anno, il figlio di Anselmo, Samuele, anch'egli residente a C., era incarcerato per debiti a Cremona e avrebbe dovuto essere rilasciato per ritornare alla propria residenza, onde essere giudicato da un organo competente. Tuttavia, il podestà di C., temendo che Samuele potesse nascondersi, sottraendosi così alla giustizia,  chiese che restasse a Cremona e vi venisse giudicato. Nello stesso anno, Anselmo di C. si lamentò con il Duca per un contenzioso con Ser Zuliano Cernucio: il luogotenente di Cremona ricevette ordine di intervenire con la provisione che gli sembrasse conveniente, in modo che la disputa fosse conclusa con la completa soddisfazione di ambo le parti e non desse adito ad ulteriori lagnanze. L'anno seguente, il podestà di C. dovette  intervenire per aiutare Anselmo a recuperare i propri crediti e, sempre nel 1455, il Duca rimproverò lo stesso podestà per non aver obbedito ai suoi ordini, obbligando Bonaventura a pagare prontamente la tassa, parte dei 1.000 ducati convenuti, consegnando il denaro al latore della lettera.

Nel 1457 Mosè, noto come Angelo, ed il fratello, di C., entrarono in conflitto con Antonio Malvisino da Nibiano che cercava di forzarli a pagare un’imposta, in contrasto con i patti stipulati con gli ebrei: il giudice, Angelo da Viterbo, judex malificiorum di Milano fu chiamato ad intervenire, in particolare, contro Mosè (Angelo), senza, però, toccare l'argomento tasse o qualsiasi altro che fosse in connessione con il Duca.

Nel 1462 Angelo di C., avendo prestato del denaro ai soldati del Duca, senza richiedere dei pegni, sollecitava l'intervento ducale per riaverlo, dato che i militari non volevano restituirglielo: il podestà locale, pertanto, fu esortato ad aiutare Angelo a recuperare i propri crediti, permettendogli, così, di pagare, a sua volta, la tassa al Tesoro ducale. Due anni dopo, il podestà intervenne, soprattutto con i soldati, perché fosse rese il denaro dovuto ad Angelo, basandosi sul privilegio di quest’ultimo. L'anno successivo (1465), Angelo fu esortato dal Duca a fargli il favore personale di restituire al monaco Amadeo una Bibbia, impegnata presso di lui, accontentandosi del solo rimborso della cifra, senza interesse[1].

Nel 1469, dietro protesta di Angelo, il podestà di C. ricevette ordine di spingere i debitori al pagamento, secondo i termini del privilegio, in quanto era desiderio ducale che unicuique jus suum reddatur [2]. Nello stesso anno, il podestà intervenne con Angelo perché restituisse ad un membro della famiglia ducale il pegno lasciato presso di lui. Nel 1470 al podestà fu rimproverato il mancato aiuto ad Angelo per recuperare i suoi debiti, cosa che impediva all’ebreo di regolare la sua propria posizione con il Tesoro ducale, mentre ad Angelo fu richiesta, dietro pressioni da parte di Salomone di Monza e Angelo di Pavia, responsabili della ripartizione delle tasse per l'Università degli Ebrei, la lista completa dei debitori, ivi compresi i soldati senza pegno, e l'ammontare complessivo dei suoi crediti[3]. Nel 1471 anche il podestà di Cremona venne coinvolto nell'esazione dei crediti di Angelo, etiam con le spese legitime, secondo il  privilegio del banchiere[4].

Nello stesso 1471, nell'elenco degli ebrei in ritardo sul pagamento delle tasse, multati di 25 ducati, si trovava anche un Moyse de Castro Leone (Angelo di C.?), mentre Benedetto da Trezzo, che godeva dell'appoggio ducale, si metteva in concorrenza con Mosè di Samuele per il banco dei pegni della località.

Nel 1477 il banchiere Angelo di C. si appellò ancora al Duca e alla Duchessa perché lo aiutassero a recuperare i suoi crediti, sostenendo che egli, come molti altri correligionari, era stato derubato di molte proprietà durante la tribulatione dell'anno precedente.

Verso il 1480 Mosè (Angelo) di C. risultava implicato nella vicenda di Marco di Mosè Furlano, costretto a lasciare Cremona per la sua difficile situazione economica e per le pressioni fattegli dai creditori cristiani ed ebrei che erano penetrati nella sua abitazione, prendendosi tutto il trasportabile. Angelo, dal canto suo, non aveva rispettato il documento in ebraico che lui e Marco avevano firmato per regolare i debiti di quest'ultimo e ottenne l'intervento del Duca e dalla Duchessa perché fossero prese ulteriori misure. Mentre Marco si opponeva, Angelo presentava una istanza da cui risultava creditore della metà della somma di cui Marco era debitore e, pertanto, chiedeva di non essere danneggiato economicamente dalla sua partenza.

Tra le carte ducali con le istruzioni riguardo a svariati ebrei del Ducato, compariva, nel 1494, una Floreta, moglie del defunto Angelo di C. e, intorno al 1485, il podestà di C. ricevette ordine dal Duca di stilare una lista segreta degli israeliti residenti in loco.

Nell'elenco degli ebrei, accusati di vilipendio alla fede cristiana nel 1488, figurava anche un Giacobbe del fu Isach di C.

Nel 1491 l'ebreo che teneva il banco a C. si era trasferito a Crema, portandosi dietro i pegni, con detrimento dei residenti: pertanto, il podestà intervenne per impedire il trasferimento dei beni in questione.

Nel 1496 gli abitanti di C. si appellarono al Duca, perché, costretti dal locale commissario a comparire a Cremona per saldare i debiti contratti con Simone, erano stati arrestati, non potendo pagare e non avendo garanti. Perciò, chiesero al Duca di far comparire Simone a C. a sottoporre i propri reclami all'autorità locale.

Più di cinquant'anni dopo, un altro documento allude ad una presenza ebraica a C., quando parla del processo istruito a Crema contro tale Giacomo Moscon, accusato di svariati reati, tra cui l'uccisione di un ebreo di C.

Nel 1548 Josef de Jona e il padre, Marco, figlio del defunto rabbino Jona, di C., ottennero da Caterina Bianca Stampa e da Giovan Angelo Ritio, commissari (conservatori) in carica per gli ebrei dello Stato di Milano, delle lettere che permettevano loro di esercitare il prestito a Soresina e a C., pagando al Tesoro la tassa annua di 13 scudi. Poiché anche a Giacobbe del fu Donato di Riva, noto come Bachis, era stata data la stessa autorizzazione, ne derivò un contenzioso che fu risolto lasciando il banco di Soresina a Josef e al padre, mentre Giacobbe li indennizzò con 200 lire.

Nell'elenco dei banchi e dei relativi proprietari del 1558, a C. risultava detenere il banco Isepo.

L’ultimo riferimento specifico alla presenza ebraica a C. risale al 1556, quando il podestà informò il governatore del Ducato di aver reso pubblico nella località l'ordine relativo al segno distintivo[5].

Bibliografia

Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982-1986.


[1] Simonsohn, S., The Jews in the Duchy of Milan, I, doc. 267, 273, 3o7, 312, 325, 348, 385, 467, 774, 775, 880, 912.

[2] Ivi,I,doc. 1146.

[3] Ivi, I, doc. 1176, 1240, 1241.

[4] Ivi, I, doc. 1330.

[5] Ivi,I, doc. 1267, 1328; II, 1753, 1953, 2039, 2129, 2165, 2139, 2256, 2547, 2560, 2991 (p. 1300); III, doc. 3330, 3331.

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