Livorno

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Livorno

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Livorno (ליורנו)

Capoluogo di Provincia. Principale porto della Toscana, sulla costa tirrenica, sito a circa 15 km dalla foce dell’Arno. I primi accenni relativi all’esistenza di un insediamento a L., risalenti all’inizio del secolo XIV, si riferiscono ad un modesto porticciolo e ad un piccolo villaggio di pescatori e navicellai, che prestavano servizio per lo scarico delle navi  approdate al vicinissimo Porto Pisano. Dapprima sotto il dominio di Pisa, L. fu dal 1405 al 1421 sotto quello di Genova e, in seguito, sotto quello di Firenze.

Nei primi anni Quaranta del XVI secolo, Cosimo de’ Medici riuscì a farsi restituire da Carlo V la fortezza di L., occupata da tempo da truppe spagnole e nel 1575, Francesco de’ Medici promosse la costruzione della città nuova, fondata due anni dopo, e fece completare il canale navigabile dei Navicelli, che la univa a Pisa. Lo sviluppo della località fu determinato soprattutto dai provvedimenti presi, negli anni Novanta del secolo, da Ferdinando I per dare impulso al porto e favorire l’immigrazione: all’inizio del ‘600, L. assurgeva, così, al rango di “città”.

Nel 1796 L. fu occupata dai Francesi una prima volta e, successivamente, lo fu anche nel 1799.

La formazione di una comunità ebraica a L. prese impulso dall’iniziativa di Ferdinando I de’ Medici che, nel febbraio del 1591, concesse ampi privilegi a quanti avessero voluto venire a stanziarsi qui nell’immediato e in futuro[1]: nel luglio dello stesso anno, firmò delle lettere patenti con l’invito a stabilirsi a L. ai mercanti di ogni nazione, con l’intenzione di attirare, in particolare, gli ebrei levantini e marrani, e conducendo, allo scopo, trattative con il veneziano Maggino di Gabriello (Meir di Gavriel Zarfatì). L’invito, corredato dalla pubblicazione del testo riveduto delle lettere patenti con cui elargiva i privilegi (la cosiddetta Costituzione Livornina), fu ripetuto nel 1593 ed esteso, due anni dopo, sebbene apparentemente senza esito, agli ebrei cacciati dal ducato di Milano[2].

I primi israeliti che beneficiarono dei privilegi del 1591 furono Salvatore di Teseo, d’origine udinese (che, nel 1608, risultava, tuttavia, aver abbandonato L. per Firenze) e Maggino di Gabriello, che, dopo una serie di disavventure economiche, lasciò la città nel 1595, trasferendosi, poi, in Lorena[3].

Già nel 1594 si trovano attestate altre presenze ebraiche in città, tra cui quella di Abram Israel, influente  membro della Comunità levantina pisana, che ottenne un monopolio decennale  per l’apertura di un banco di cambiavalute[4].

Tre anni più tardi, si stanziarono a L. i fratelli Mosè e Daniel Cordovero, nati in Spagna da una famiglia di marrani portoghesi, ai quali, in assenza di un Monte di Pietà, fu concesso l’esercizio del prestito. Mosè Cordovero, medico, praticò la propria professione, curando anche pazienti cristiani ( in accordo con il Cap. XVIII dei privilegi), sino al divieto giunto per ordine dell’arcivescovo di Pisa[5].

Nonostante la documentazione sui primi ebrei stanziatisi a L. sia scarsa, notizie indirette consentono di ritenere che il loro numero non fosse del tutto esiguo e che, oltre a quelli d’origine levantina o marrana, ve ne fossero anche alcuni venuti in seguito all’invito rivolto nel 1595 ai Milanesi[6].

Nel 1596 i massari di Pisa ottennero la conferma granducale del proprio diritto di espellere gli ebrei stabilitisi a L. senza essere stati ballottati, ma già l’anno seguente, il nucleo livornese era sufficientemente numeroso per ottenere da Ferdinando di rendersi indipendente dalla soggezione all’autorità comunitaria pisana, ferma restando, tuttavia, la ballottazione da parte dei massari pisani, in seguito limitata solo a quanti volessero godere dei privilegi concessi a mercanti e industriali[7].    

All’inizio del Seicento è attestato l’arrivo a L. di numerosi passeggeri  provenienti dalla Spagna, presumibilmente marrani, in parte in transito per il Levante[8] e, dopo il primo decennio del secolo, circa una trentina di mercanti pisani risultavano trasferiti in città: il loro arrivo incontrò una certa resistenza tra i correligionari livornesi che, nel 1624, ottennero dal granduca di sottoporre al ballottaggio per l’insediamento nella città anche quanti erano già stati ballottati per Pisa[9]. Nel 1610, un ebreo levantino considerato particolarmente ricco, David Hauron, si trasferì poi  da Firenze a L., per condurre più agevolmente i propri affari con l’Olanda, il Levante e la Barberia[10].

Alcuni anni più tardi, anche un’importante ditta di Levantini veneziani, i Navarro, si stabilì nella città, per lasciarla poco dopo, in seguito a burrascose vicende. Giunsero, inoltre, svariati mercanti portoghesi, che, insieme a parte di quelli di provenienza pisana, cercarono di sollecitare una riforma del sistema oligarchico comunitario[11]

Ebrei iberici stanziati in Algeria cercarono rifugio a L., senza trovarvi una vera e propria sistemazione e abbandonarono la città, dopo la seconda metà del XVII secolo, mentre altri ebrei livornesi si stanziarono allora a Marsiglia, a Londra ed altrove[12].

Tra gli anni Settanta del XVII e la prima metà del XVIII secolo, giunsero a L. israeliti provenienti da altre parti di Italia e dal granducato toscano, dall’Africa settentrionale e dall’impero ottomano, ma il carattere sefardita della comunità restò inalterato[13].

La guerra navale nel Mediterraneo ed i provvedimenti come quello del 1683, che proibiva ai mercanti livornesi di effettuare cambi di valute e operazioni di sconto, allo scopo di favorire i fiorentini, danneggiarono gravemente la situazione economica della “nazione ebraica”, che già da un ventennio era stata costretta all’acquisto forzoso di stoffe di produzione fiorentina. Negli anni Novanta del XVII secolo, furono imposti a quasi tutta la popolazione tre tributi straordinari, particolarmente gravosi, cui gli ebrei parteciparono con somme ingenti. Un’epidemia di tifo esantematico aveva già colpito pesantemente, nel 1684, la Comunità e le sue finanze, provocando l’emigrazione di poveri e ricchi[14].

Dalla fine del XVII secolo, esistevano a L. botteghe del caffè, frequentate da clientela ebrea e cristiana: dati i litigi che nascevano tra gli avventori, il governatore locale proibì, con gravi pene, tale promiscuità[15].

Dopo il 1750 una nuova ondata di immigrazione proveniente dall’Africa settentrionale sembrò favorire manifestazioni di intolleranza popolare nei confronti degli ebrei, legate soprattutto al passaggio del viatico nel quartiere ebraico, con processioni seguite da molti fedeli cristiani. In tali occasioni, gli ebrei dovevano rinchiudersi in casa, secondo le istruzioni dei massari preavvertiti dai curati: tuttavia, la presenza di molti “turchi”, ignoranti delle usanze locali e refrattari a sottomettersi alle circostanze, provocava frequenti tafferugli. Per ripristinare l’ordine il governatore ed i capi della Comunità deliberarono di limitare rigorosamente il quartiere ebraico agli ebrei, indennizzando i cristiani per le eventuali perdite economiche[16].  

Sotto il granduca Leopoldo I di Lorena (1765-1790), mentre gli israeliti toscani avevano ottenuto di essere eletti per suffragio popolare nei consigli municipali, la “nazione ebrea” di L. non godette, paradossalmente, di tale diritto, ma solo di quello di farvi entrare un proprio rappresentante in qualità di designato interno della Comunità[17].

Il 31 maggio del 1790, in occasione della festa della patrona della città, Santa Giulia, vi fu una sommossa, nota in seguito come “l’insurrezione di Santa Giulia”, in cui la folla accusò gli ebrei di aver utilizzato per i restauri della sinagoga marmi e suppellettili della chiesa che portava il suo nome. Il quartiere ebraico e la sinagoga furono invasi e il tumulto venne sedato dall’intervento della forza pubblica, con un morto e svariati feriti cristiani: la Comunità si obbligò, allora, a versare una somma da devolvere alle vittime della repressione e ad opere di beneficienza cristiane[18].

Nel 1796 le truppe francesi si impadronirono della città per quasi un anno, allo scopo di colpire il commercio britannico, e la rioccuparono poi nel 1799, quando vennero consegnati alle autorità francesi gli argenti della sinagoga.

L’avvento del dominio francese fu salutato con entusiasmo dagli intellettuali e dalla parte meno abbiente della popolazione ebraica, che sperava, tra l’altro, di sottrarsi all’autorità dell’oligarchia comunitaria[19].        

Vita comunitaria

Dopo l’indipendenza dalla comunità pisana, i massari, in numero di cinque, furono eletti da un’ apposita assemblea di dodici capifamiglia con votazione segreta, secondo l’ordinamento in vigore a Pisa. Con l’aumento della popolazione ebraica, tale sistema assunse un aspetto oligarchico e diede origine a molti contenziosi e lotte per il potere, provocando l’intervento di Ferdinando II che, nel 1642, stabilì che i nuovi massari venissero eletti tra tutti i capifamiglia livornesi, mercanti all’ingrosso e al dettaglio di ascendenza non solo iberica, purché di età superiore ai venticinque anni, mentre i massari uscenti non potevano essere rieletti per tre anni. Tale riforma venne ben presto abolita e invalse il metodo elettivo in uso a Pisa dal 1638, con l’intervento diretto del governatore della città[20].

I massari entrati in funzione sceglievano due fra loro per costituire, per un semestre, l’esecutivo del loro magistrato con il titolo di parnassim (provveditori): i due eletti servivano per un trimestre ciascuno con il titolo di parnas presidente. I cinque massari, assistiti da altrettanti aggregati, ballottavano i nuovi venuti a maggioranza di due terzi di voti favorevoli e sedevano in giudizio nel Tribunale[21].

Sotto il controllo dei massari vi erano, presumibilmente come a Pisa, dei collaboratori (camarlinghi) addetti alla raccolta e all’erogazione dei fondi per le spese comunitarie, dalla beneficenza al riscatto degli schiavi[22].

Nel 1663 venne presa la decisione di eleggere (a tempo illimitato)  un collegio di dodici deputati - i Dodici governanti- per assistere i massari nel governo della “nazione” e nella conservazione dei privilegi. Nel 1690 il numero dei  Dodici fu portato a diciotto e, nel1693, a trenta[23].

Nel 1693 vi fu una riforma radicale: il numero dei governanti fu portato a sessanta, formanti il Congresso della Nazione, organo stabile cui era affidata la responsabilità per il governo comunitario, la legislazione e il bilancio. Cessò il sistema della estrazione dei massarabili dalla borsa dei candidati e la nomina dei massari venne fattadal granduca a partire da una lista di dieci membri fra i Sessanta governanti[24].

Nel 1715 il granduca sancì de jure l’ereditarietà delle cariche governative comunitarie ed il principio oligarchico, ammettendo tuttavia al governo anche i mercanti d’origine non iberica[25]

La carica amministrativa di maggiore importanza fu quella dei due Deputados da Escola che amministravano le finanze e i beni della “nazione”, eletti dalla metà del XVII secolo, dai massari e da 40 aggregati: in seguito, furono aggiunti ai due deputati altri due sovraintendenti[26].

Dal 1652 era, poi, attestata l’elezione di sette camarlinghi o gabbayim e tre deputati di shevuyim (addetti al riscatto dei prigionieri ebrei), mentre nel 1657 era registrata la nomina di quattro parnassim per l’istituzione scolastica della comunità (Talmud Torah)[27].

Dal 1675 furono eletti annualmente tre deputati di Issur ve-Hetter (“proibito epermesso”), dei rabbini cui spettava il giudizio in materia di Legge ebraica da applicarsi nella condotta degli affari pubblici e privati: in seguito, due dei massari in carica vennero ad aggiungersi ai tre deputati come aiutanti[28]. A partire dal 1684, per contrastare la crisi economica sopravvenuta, furono nominati tre Deputati dei Forestieri, cui spettava decidere l’espulsione dei forestieri indigenti per alleviare i servizi assistenziali comunitari[29].

Per non violare il capitolo V della Livornina agli ebrei non furono imposte tasse particolari da devolvere all’erario granducale, ma, sin dal XVII secolo, notevoli cifre vennero prelevate dalla “nazione” a titolo di donativo annuale, previe trattative tra il Primo Segretario granducale e i massari[30].

La prima tassa imposta dalla Comunità ai mercanti suoi membri e ai forestieri, dagli inizi del XVII secolo, fu quella sulle merci (Tassa delle balle) per il riscatto degli schiavi ebrei nel Bagno di L., che continuò ad essere pagata anche quando non sussistette più tale problema, venendo devoluta per il finanziamento delle attività assistenziali ed educative[31]

Tra i servizi comunitari, vi erano l’assistenza sociale, il servizio medico gratuito e l’istruzione scolastica o Talmud Torah, tenuta in ebraico, spagnolo e portoghese[32].

Sin dall’inizio dello stanziamento livornese esistette la confraternita dei baale’ teshubah (“pentiti” o “ritornati” sulla via dell’ebraismo), che alluderebbe al ritorno all’ebraismo di ebrei d’origine marrana e che più tardi prese il nome di Misericordia israelitica. Per l’assistenza ai malati vi era la confraternitadella Ghemilut hasadim, di cui si ignora la data di fondazione[33].

La confraternita più importante fu la Mohar ha-betulot (Dote alle nubili), che fu attiva per circa tre secoli, mentre risaliva alla metà del XVII secolo la Malbish arumim ( Vestire i poveri)  creata per attività assistenziali, soprattutto tra allievi e insegnanti bisognosi del Talmud Torah. Altre opere di beneficenza, legate a lasciti privati, furono l’Opera Pia Abram Israel Passarinho e l’Opera Pia Josef Gonzales[34]

Dal 1655 furono in vigore svariate leggi suntuarie tese a contenere il lusso maschile e femminile[35]. A rinforzo delle proibizioni granducali, i massari sancirono la scomunica contro chi si fosse dato al gioco d’azzardo, molto diffuso dal XVII secolo, in case da gioco pubbliche o clandestine, in strada o in case cristiane, permettendo solo di giocare in famiglia, in particolari occasioni e con molte limitazioni[36]

Il corpus di leggi su cui si reggeva la comunità di L., dalla fine del XVI secolo in poi, fu  raccolto nelle Haskamot ( “accordi” o “statuti”), contenute nel Libro Nuovo (1596-1647), nei Capitoli della Nazione Ebrea di Livorno (1655) e nella successiva legislazione[37]

Attività economiche

Nel 1598 Mosè e Daniel Cordovero furono autorizzati a gestire un banco di prestito al tasso del 3%, portato in seguito all’8,50% annuo per i locali e al 15% per i forestieri. Nel 1626 il banco dei Cordovero fu chiuso, stante l’apertura di un Monte di Pietà a L.[38].

Alla fine del XVI secolo erano presenti almeno quattro fabbriche di sapone impiantate da ebrei[39] e all’inizio del XVII secolo vi erano commercianti di panni e importatori di storione salato (morona) e caviale. In quest’epoca venne anche concessa l’autorizzazione di aprire a L. una grande bottega di rigattiere per rifornire soldati, marinai e forestieri ed è attestato un sarto[40]

Negli anni Trenta del secolo Jacob e Abram Franco da Albuquerque, levantini, aprirono a L. un grande filatoio di seta e vendettero la seta “indrappata” a Firenze, superando l’opposizione dell’Arte della Seta con l’aiuto granducale. Tra i mercanti di recente immigrazione, vi furono allora produttori di tabacco da naso profumato secondo l’uso sivigliano, un mercante di schiavi ed un importatore di vettovaglie dall’arcipelago greco[41]

Verso la metà del XVII secolo sono attestati qui 36 negozi gestiti da israeliti (ma presumibilmente ve ne erano di più), che vendevano svariate merci, tra cui stoffe, tabacchi, cuoiame, argenteria, gioielleria, merceria ed è anche registrata la bottega di un rigattiere[42].

Gran parte del commercio con la Turchia, l’Egitto, la Grecia e il Nord Africa era in mano ebraica: molti ebrei prestavano a cambio marittimo, fornivano le assicurazioni marittime e, inoltre, esercitavano l’attività di sensale. La lavorazione del corallo era gestita, poi, completamente da ebrei, che esportavano il prodotto finito in India, in Russia e in Cina, ottenendo come contropartita pietre preziose. Anche la produzione della carta era in larga parte ebraica e gli israeliti avevano la privativa della seta e l’appalto statale del tabacco e dell’acquavite,  partecipando anche al commercio degli schiavi, fiorente allora a L.[43].

Svariati medici ebrei, talvolta d’origine marrana, esercitarono a L., dall’inizio dello stanziamento ebraico in poi, mentre nel corso del XVII secolo sono attestati tre farmacisti ebrei[44].

Demografia

Dal censimento della popolazione di L., fatto nel 1601, risultavano esservi 134 ebrei, mentre nel 1622 il loro numero salì a 711.

Nel censimento seguito alla peste del 1631-32 venivano indicati 700 ebrei (dati circa le vittime  della peste non sono disponibili), mentre nel 1642 essi risultavano 1.115, nel 1645 1.250 e, alla fine del XVII secolo, 2.500. Nel 1738 il censimento ne attestava il numero di  3.476, salito a 3.687 nel 1758 e a 4.327 nel 1784[45].

Da un documento del 1645 risultava, poi, che dei 1.250 ebrei livornesi, solo 10 (individui o capifamiglia ) erano italiani ed uno askenazita, mentre dopo gli anni Sessanta del XVII secolo, aumentò il numero degli italiani (soprattutto, romani), che raggiunse il 21%  del totale nel 1700.

Dopo il 1730 una massiccia emigrazione dallo Stato della Chiesa, da altri Stati italiani e dal Maghreb mutò la composizione della “nazione ebrea”, portando la componente ispano-portoghese e levantina da maggioritaria a minoritaria[46].

Quartiere ebraico

Agli inizi del XVII secolo gli ebrei[47] abitavano e prendevano a livello case in via S. Francesco, nella via Balbiana e nella via Ferdinanda, dove si trovava anche la prima sinagoga. Nel 1604, in seguito al piano granducale di valorizzare la via Ferdinanda, che era la strada principale della città nuova, la sinagoga venne trasferita in una strada - definita  la via dove di presente stanno gli Ebrei e, in seguito, chiamata via della Sinagoga- nella zona dietro il duomo, nella parte meridionale della città, luogo in cui le autorità intendevano concentrare la popolazione ebraica[48].

Nel 1626 la via della Sinagoga e la via di S. Martino risultavano allivellate  agli ebrei, che, undici anni prima, avevano già ricevuto come particolare luogo di residenza il quartiere detto “del Casone”, sul quale si aprivano le due vie summenzionate. La continuazione della via della Sinagoga, chiamata ufficialmente via del Giardino del Governatore (attualmente, via di Franco), assunse la denominazione di via degli Ebrei, essendo stata ad essi allivellata[49].

Dai dati catastali del 1645 risultavano abitate da israeliti anche alcune vie contigue a via della Sinagoga, che erano state loro destinate a suo tempo dalle autorità: tuttavia, un elevato numero di presenze ebraiche veniva registrato anche altrove, nella via Ferdinanda, nella via dell’Amore e nella via della Palla a Corda alla Francese[50]. L’insediamento dietro il duomo fu a carattere essenzialmente residenziale, mentre quello della via Ferdinanda fu soprattutto commerciale[51].  

Sebbene nel 1620 Cosimo II avesse vietato agli ebrei di coabitare con la popolazione cristiana in case che non avessero ingressi e scale separate, venticinque anni più tardi sembra che tale divieto non fosse più rispettato[52].

Dopo il 1645 svariate altre strade sopperivano ormai al fabbisogno abitativo dell’aumentata popolazione ebraica e l’insediamento si era esteso nella zona posta dietro il duomo sino alla cerchia muraria da entrambi i lati della via Martella. L’ulteriore incremento demografico ebraico portò, poi, all’acquisto di altre case nelle stesse strade già abitate e all’aggiunta di piani agli edifici, allo scopo di aumentarne la capienza[53].

Dopo la metà del XVIII secolo, il governatore di L. ed i governanti ebrei pensarono di definire rigorosamente le strade del quartiere ebraico, proibendone l’abitazione ai cristiani: tale progetto non escludeva la possibilità per i maggiorenti della Comunità di continuare a possedere e ad abitare case fuori del quartiere stesso[54].

Sinagoga

La prima sinagoga fu ubicata in una casa al n. 114 della via Ferdinanda, ma, rimossa per ordine del granduca, essa (che rimase sempre una e di rito spagnolo) fu trasferita in quella che si sarebbe chiamata da allora in poi via della Sinagoga (successivamente, via del Tempio), in un edificio isolato, la cui costruzione fu iniziata nel 1602. Nel 1645 la sinagoga era stata ingrandita e fu ampliata ulteriormente nel corso degli anni: i lavori più ingenti vennero fatti nella prima metà del XVII secolo, facendola assurgere al rango di una delle più belle d’Europa, tappa obbligatoria delle visite dei granduchi e dei sovrani esteri a L.[55]

I terremoti del 1742 e del 1772 provocarono seri danni all’edificio, rendendo necessari svariate opere di restauro: la solenne inaugurazione della sinagoga così ingrandita e ristrutturata, nel 1789, diede origine a composizioni poetiche d’occasione in ebraico[56].

Cimitero

Nonostante il diritto ad un proprio cimitero fosse stato statuito dal capitolo 37 dei privilegi, sino al 1648 gli ebrei livornesi furono costretti a inumare i morti nel campaccio degli ebrei, nella spiaggia dei Mulinacci, che serviva anche alla sepoltura dei cavalli. Nel 1648 fu concesso un terreno di fronte alla Fortezza Nuova (dove, in seguito, fu la via Pompilia), privo di recinzione, per ordine dell’arcivescovo di Pisa. Un nuovo cimitero venne aperto, nel 1694 in via del Corallo e sia il vecchio che il nuovo cimitero furono recintati: tuttavia, sul muro perimetrale era proibita ogni iscrizione e, all’interno, non poteva essere innalzata alcuna fabbrica. Nel cimitero nuovo i tumuli di marmo o di pietra erano frequentemente ornati da scudi e stemmi gentilizi e corredati di epitaffi recanti pregevoli poesie in ebraico[57]

Attività culturali, dotti e rabbini.

Fu a L. nel 1599 il Dottor Elia Montalto de Luna, d’origine marrana e tornato all’ebraismo, che divenne, nel 1606, medico di Ferdinando I: autore di opere di medicina, di scritti in difesa dell’ebraismo e di un responso rituale attinente l’esercizio della medicina e l’osservanza sabbatica, divenne, in seguito, medico alla corte di Francia[58].  

Dalla legislazione interna della Comunità, risalente alla metà del XVII secolo circa, si evince l’esistenza di numerose accademie talmudiche private o yeshivot[59].

Il primo rabbino livornese fu Jacob di Mosè Cordovero,  insignito del titolo nel 1645, che ebbe una certa notorietà anche fuori dalla città[60]. Svariati rabbini e dotti, spesso d’origine straniera, risiedettero, poi, per un periodo a L. tra gli anni Trenta del XVII e gli anni Venti del XVIII[61].

Da segnalare è la breve presenza a L., intorno alla seconda metà del XVII secolo, del prolifico scrittore e “poeta laureato” della comunità portoghese di Amsterdam, Daniel Levi (nato Miguel) de Barrios, che riabbracciò l’ebraismo durante il suo soggiorno livornese e che fece ritorno, dopo varie vicende, nella capitale olandese[62].  

L’eresia sabbatiana, presente anche a L., vi fu decisamente osteggiata dai massari , dopo la conversione del supposto messia, nel 1666[63].

Nel 1676 fu fondata a L. l’Academia de los Sitibundos, sul modello dell’omonima accademia letteraria di Amsterdam, di cui fu principale animatore il letterato d’origine spagnola Josef Penso de la Vega, che fu anche massaro e attivo nel commercio marittimo, prima di tornare nella città olandese, dove era cresciuto[64].   

Nel corso di tutto il XVII secolo, inviati dalla Palestina furono ripetutamente a L.[65] e, negli anni Settanta dello stesso, nacque qui Josef Attias, che godette di notevole fama nel secolo successivo per la sua cultura enciclopedica e fu in rapporto epistolare con Ludovico Antonio Muratori. Attias, per le sue profonde conoscenze ebraiche e di cultura generale, ricevette dalla “nazione ebrea” il titolo di rabbino e il titolo dottorale dal granduca Giangastone. Poco più di un decennio dopo di lui, nacque nella città, da prestigiosa famiglia spagnola, anche Josef Ergas, che ottenne grandi riconoscimenti  per la sua cultura rabbinica e per il suo intelletto e che fu presidente del tribunale rabbinico e capo spirituale della “nazione” con il titolo di Resh Galuta: valente talmudista, studiò  la mistica ebraica sotto la  guida del famoso rabbino Benyamin Coen di Reggio[66].

Allievo dell’Ergas fu il celebrato rabbino Malakhy ha-Kohen, autore dell’opera Yad Malakhy che tratta del metodo talmudico, di un testo manoscritto di responsa, Teshuvot Yad Malakhy  e di poesia liturgica. Altri rabbini di spicco del XVIII secolo furono Hezekyah da Silva e Immanuel Hay Ricchi, cabbalista e poeta, che si trovarono a L. per un  periodo[67].

Visse gli ultimi decenni della sua vita a L. il noto emissario della Palestina Hayyim Yosef David Azulai, che scrisse un ampio e ben noto diario dei suoi viaggi per le comunità italiane, centro-europee, africane e dell’Asia mediterranea, dal titolo Maagal tov (Il buon sentiero)[68]: apprezzato per la sua vastissima erudizione in ogni settore della letteratura rabbinica, suscitò, da vivo e da morto, venerazione per le sue qualità considerate più che naturali[69].

Stamperia ebraica

Verso la metà del XVII secolo,Yedidyah di Yizhaq Gabbay, figlio di un ebreo di Smirne trapiantato a Venezia ed attivo nella stamperia Bragadina, aprì una stamperia ebraica a L., pubblicando svariate opere, tra cui  lo Yalqut Shimoni  e la Mishnah, con commenti vari, giovandosi del finanziamento di mercanti livornesi. La stamperia chiuse nel 1658, forse per la morte del Gabbay. Nello stesso periodo in cui era attiva, furono stampate anche opere a carattere religioso, tradotte dall’ebraico in portoghese e in spagnolo.

Nel 1740 Rafael Meldola ed il suo socio Ricci aprirono un’altra tipografia di libri ebraici, rifornendo di testi cabbalistici e liturgici le Comunità italiane, nord africane ed asiatiche. Oltre al Meldola, furono presenti nella città svariati altri stampatori e dalla metà sino alla fine del XVIII secolo, nove tipografie stampavano qui opere ebraiche, mentre anche quattro tipografi cristiani (Fantechi, Santini, Giorgi e Falorni) si dedicavano a questo tipo di produzione, affiancati da collaboratori ebrei[70].

Bibliografia

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Azulai, H.Y.D., Ma’agal tob ha-shalem . Itinerarium (1753-1794), ediz. Freimann, A., Jerusalem, 1934.

Castignoli, P, Il banco dei prestiti degli ebrei a Livorno (1598-1626), in RMI L (1984).

Fantozzi Micali, O., La segregazione urbana: ghetti e quartieri ebraici in Toscana, Firenze 1995.

Frattarelli Fischer, L., Tipologia abitativa degli ebrei a Livorno nel Seicento, in  RMIL (1984), pp. 583-605.

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Toaff, A.S., Cenni storici sulla Comunità ebraica e sulla Sinagoga di Livorno, in RMI XXI (1955), pp. 355-368; pp. 411-428.

Toaff, R., IL governo della Nazione Ebrea a Pisa e Livorno dalle origine (1591) al Settecento, in RMI  L (1984).

Toaff, R., La Nazione Ebrea a Livorno e a Pisa (1591-1700), Firenze 1990.


[1] Cosimo I de’ Medici, nell’intento di sviluppare la zona di Pisa e L. concesse, nel 1547 e nel 1548,  ampi privilegi a quanti avessero voluto venire a stabilirsi nella città. Nel 1551 Cosimo pubblicò un altro bando di invito per stanziarsi a Firenze o in altro luogo del suo dominio, includendovi  esplicitamente i mercanti ebrei: tuttavia, dall’esame dei documenti del 1578-1590, relativi ai nuovi abitanti di L., non risultano nomi di ebrei. Cfr. Fasano-Guarini, E., Esenzioni e immigrazione a Livorno fra sedicesimo e diciassettesimo secolo, in Atti del Convegno Livorno e il Mediterraneo nell’età medicea, Livorno, 1978, citato (senza indicazione della pagina) in Toaff, R., IL governo della Nazione Ebrea a Pisa e Livorno dalle origine (1591) al Settecento, p. 509, n. 19. Ne risulta che l’afflusso ebraico sia databile a non prima del 1591.

[2] Toaff, R., La Nazione ebrea a Livorno e a Pisa, pp. 42-44; p. 112. Per ulteriori notizie su Maggino, sulle lettere patenti e sulla Livornina, si veda alla voce “Pisa” della presente opera.

[3] Ivi, pp. 109-112.

[4] Ivi, pp. 112-114.

[5] Ivi, pp. 114-115. L’autorizzazione a curare pazienti cristiani, richiesta dal Comune di L. al Papa e al granduca, fu concessa solo nel 1637 con un breve papale (ivi, p. 114, n. 41).Per ulteriori notizie sulle attività dei primi ebrei stanziatisi a L., vedi sotto Attività economiche.

[6]  Abram Israel, che, sia pur non in forma ufficiale, sembrava detenere una certa leadership sulla Comunità sefardita livornese, nel  1599, informò Ferdinando I che alcuni ebrei giunti di recente, evidentemente dal ducato di Milano, non volevano seguire il rito spagnolo, cui non appartenevano, e suggerì che non dovessero seguire un rito diverso e non potessero sottrarsi all’autorità dei massari ispano-portoghesi. Il granduca accettò le posizioni di Abram Israel, pur auspicando che si trovasse un accordo in campo rituale, previa accettazione dell’autorità dei massari della Nazione ispano-portoghese. Tuttavia, i milanesi dovettero andarsene, come prova la presenza a L. di una sola famiglia originaria del milanese, quella dei  Vigevani, nel 1627 (cfr. ivi, pp. 116-117 e, in particolare, n. 54). 

[7] La concessione dei privilegi poteva, ovviamente, anche essere elargita dal granduca ad personam sostituendo la ballottazione. Cfr. ivi, p. 115-116.

[8] Ivi, p. 142.

[9] Ivi, p. 142; p. 144. Per l’elenco, presumibilmente incompleto, degli ebrei pisani passati a L., cfr. ivi, p. 145. Cfr., p. 146, n. 25.

[10] Ivi, p. 144.

[11] La documentazione disponibile sugli immigrati e sulle loro professioni è scarsa e copre solo una esigua parte delle presenze livornesi. Cfr. Toaff, R., op. cit. pp. 146-148.

[12]  Ivi, pp. 411-414.

[13] Ivi, pp. 414-417.

[14] Ivi, pp. 405-407. Un nutrito gruppo di ebrei livornesi si stanziò a Tunisi, dove fondò una propria Comunità, prendendo il nome di Gorni ( cioè, “di Livorno”).

[15] Ivi, p. 315.

[16] Frattarelli Fischer, L., Proprietà e insediamento ebraico a Livorno dalla fine del Cinquecento alla seconda metà del Settecento, p. 890. Cfr.  anche “Quartiere ebraico” .

[17] Rignano, I.E., Sulla attuale posizione giuridica degli israeliti in Toscana, Livorno 1847, pp. 25-28; pp. 30-32.

[18] Toaff, A.S., Cenni storici sulla Comunità ebraica di Livorno, pp. 423-424.

[19] Sonnino, G., Sentimenti e moti antifrancesi a Livorno alla fine de secolo XVIII, in Bollettino Storico Livornese, 1937, p. 135, n. 2, citato in Fantozzi Micali, O., La segregazione urbana: ghetti e quartieri ebraici in Toscana, Firenze 1995, p. 167, n. 58; cfr. Di Porto , B., L’approdo al crogiuolo risorgimentale, in RMI L (1984), pp. 815-817.

[20] Toaff, R., op. cit., pp. 155-159.

[21] Ivi, p. 160.

[22] Ivi, p. 161.

[23] Ivi, pp. 168-172.

[24] Ivi, 172-178.

[25] Per questo e per ulteriori particolari, cfr. ivi, pp. 180-182.

[26] Ivi, p. 167.

[27] Ivi, pp. 161-163.

[28] Per questa e per altre cariche di minore importanza, cfr. ivi, pp. 164-166.

[29] Ivi, pp. 166-167.

[30] Ivi, pp. 247–250.

[31] Per questa e per altre forme di tassazione diretta e indiretta cui erano sottoposti i membri della Comunità, cfr. ivi, pp. 250-251. Per i particolari sull’attività di riscatto degli schiavi ebrei, cfr. ivi, pp. 268-275.

[32] Ivi, pp. 253-260. Sul Talmud Torah, v. ivi, pp. 337-340.

[33] Ivi, p. 161.

[34]  Ivi, pp. 260-268.

[35] Ivi, pp. 306-308.

[36] Ivi, pp. 310-312. Per  i giochi  e gli svaghi permessi, cfr. ivi, pp. 312-314.  La frequentazione del teatro, in  italiano e spagnolo, fu osteggiata per gli scandali cui pare avesse dato luogo, ma, dopo il divieto del 1665, sembrerebbe non essere stata ulteriormente proibita (ivi, p. 314). Il ballo nelle case private sembrava essere divenuto usanza  tanto consueta, nel XVII e XVIII secolo, da provocare, nel 1755, un divieto alle donne di ballare se non con i parenti stretti (ibidem, n. 168).  

[37] Per la pubblicazione di tale legislazione, cfr. ivi, Appendice- Documenti, pp. 533-702.

[38] Castignoli, P, Il banco dei prestiti degli ebrei a Livorno (1598-1626), in RMI L (1984), pp. 542-550.  

[39] Toaff, A.S., Cenni storici  sulla comunità ebraica di Livorno, p. 361.

[40] Toaff, R., op. cit., pp. 143-144.

[41] Ivi, p. 149.

[42] pp. 139-140.

[43]Ivi, pp. 389-401. Quanto al possesso di schiavi non cristiani, concesso agli ebrei dal capitolo XXVII della Livornina, esso fu mantenuto sino al XVIII secolo: ivi, pp. 329-334.

[44] Ivi, pp. 384-385.

[45] Ivi, pp. 117-124; p. 140. Per l’identificazione di almeno una parte degli adulti di sesso maschile , registrati a L. nel 1645, cfr. ivi, pp. 149-151. Per l’identificazione degli adulti dal 1647 al 1700, cfr. ivi, pp. 151-154. Per la proprietà ebraica dalla metà del XVII alla metà del XVIII secolo, cfr. Frattarelli Fischer, L., op.cit., pp. 882-889.

[46] Toaff, R., op. cit., pp. 128-129.

[47] In forza della Livornina gli ebrei potevano acquistare immobili e non dovevano essere segregati in ghetto. Cfr. ivi, p. 131.

[48] Frattarelli Fischer, L., op. cit., p. 881.

[49] Toaff, R., op. cit., pp. 133-134.

[50] Ivi, pp. 135-137. Sugli immobili di proprietà ebraica, cfr. Fratttarelli Fischer, L., op.cit., p. 882 e segg.

[51] Frattarelli Fischer, L., op. cit., p. 882.

[52] Toaff, R., op. cit., p. 133; pp. 137-138.

[53] Per ulteriori particolari, cfr. ivi, p. 140. Per una visione d’insieme del quartiere ebraico nel XVII secolo, cfr. anche Frattarelli Fischer, L., Tipologia abitativa degli ebrei a Livorno nel Seicento, in  RMIL (1984), pp. 583-605.

[54] Secondo la Frattarelli Fischer il progetto avrebbe espresso la tendenza, comune alle autorità cristiane ed ebraiche, a differenziare la “nazione ebrea”, mettendo in un quartiere separato la massa ebraica e lasciando libertà di residenza ai maggiorenti. Cfr. Frattarelli Fischer, L., Proprietà e insediamento, pp. 890-891. 

[55] Toaff, R., op. cit., pp. 278-288; Toaff, A. S., op. cit., p. 362; pp. 413-418; cfr. Nahon, U., Il Tempio di Livorno in un secolo e mezzo di iconografia, in  RMI XXXIV (1968), pp. 435-455.

[56] Toaff, A. S., op. cit., p. 417; pp. 421-423.

[57] Ivi, p. 356; p. 420; Toaff, R., op. cit., p. 303.

[58] Toaff, R., op. cit., pp. 383-384.

[59] Ivi, pp. 341-343.

[60] Ivi, pp. 343-344.

[61] Per l’elenco e i particolari relativi a costoro, cfr. ivi, pp. 344-358. 

[62] Ivi, p. 343, n. 39.

[63] Ivi, pp. 369-371.

[64] Ivi, p. 361.

[65] Ivi, pp. 371-376.

[66] Ivi, pp. 335-336.

[67] Per un elenco più particolareggiato dei dotti ebrei livornesi del XVIII, cfr. Toaff, A.S., op. cit., p. 419.

[68] Per i viaggi dell’Azulai per le varie Comunità e, in particolare, per i rapporti con L., Amsterdam, l’Africa settentrionale  e la Turchia, cfr. Azulai, H.Y.D., Ma’agal tob ha-shalem . Itinerarium (1753-1794), ediz. Freimann, A., Jerusalem, 1934.

[69] Milano, A., Storia degli ebrei in Italia, p. 677

[70] Ivi, pp. 358-360; Amram, D.W., The Makers of Hebrew Books in Italy, pp. 398-402; Toaff, A.S., op. cit., p. 419.

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