Urbino

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Urbino (אורבינו)

Capoluogo di provincia insieme a Pesaro. Capitale del dominio dei Montefeltro, divenne ducato nel 1443, quando papa Eugenio IV conferì a Oddantonio da Montefeltro il titolo ducale. Dopo l’uccisione di Oddantonio in una congiura di palazzo, gli succedette il fratellastro Federico, che conservò il titolo comitale sino al 1474, quando divenne duca. Agli inizi del secolo XVI passò ai Della Rovere e, nel 1631, allo Stato della Chiesa.

La presenza ebraica sembra risalire al XIII secolo, dal momento che Abraham Abulafia (1240-data posteriore al 1291) vi soggiornò: tuttavia, documenti attestanti l’esistenza di un gruppo israelitico ad U.[1] risalgono solo ai primi decenni del XIV secolo, quando Magister Daniele vi si trasferì da Viterbo ed aprì un banco di prestito[2].

Sappiamo che verso la fine del secolo il figlio di Daniele, Isaia, ricevette dei privilegi (di cui non è rimasta traccia documentaria) dal conte Antonio[3], che nel 1407 egli veniva nuovamente menzionato[4], continuando a ricorrere nella documentazione sino alla morte, avvenuta nel 1415, e che accanto a lui figuravano anche altri correligionari, sebbene sporadicamente[5].

Isaia possedeva una casa ubicata nei pressi della Piazza Maggiore[6] ed uno dei suoi figli, Dattalo, presente negli strumenti notarili relativi all’eredità paterna, risultava essere morto nel 1416, mentre un altro figlio, Magister Daniele, risultava essersi trasferito all’incirca tre anni dopo a Fossombrone[7].

Nel corso del XV secolo l’economia urbinate cominciò a fiorire, ingenerando la necessità  dell’apertura di banchi di prestito: altri ebrei impegnati nell’attività creditizia si aggiunsero, allora, ai discendenti di Magister Daniele ed anche feneratori di altre città investirono i propri capitali ad U., inviandovi  agenti e rappresentanti. Una rete di affari cominciò a formarsi con i giudei di Pesaro, di Casteldurante, di S. Angelo, di Rimini e di Città di Castello, di Arezzo, di Recanati e dell’Aquila.

Dato che Isaia di Magister Daniele e, in seguito, il figlio di Isaia, Salomone, ed i suoi eredi avevano ricevuto  il monopolio del prestito e particolari franchigie dai conti di U., coloro che avessero desiderato esercitare l’attività di banco in questa località avrebbero dovuto ottenerne il permesso dalle autorità e dalla famiglia  dotata del privilegio[8]. Fu così che Sabbatuccio di Alleuzzo di Recanati, che nel 1430 desiderava aprire un banco, dovette impegnarsi a pagare alla famiglia di Salomone una tassa annua di 400 ducati per poter iniziare l’attività[9]. Salomone, che sembra aver avuto un ruolo preponderante nel nucleo ebraico urbinate, morì nel 1432 o poco prima, mentre suo fratello, Magister Guglielmo, morì  nel 1427[10].

Nel 1436 Allegretto e Mele da Aquila, dovendo venire a U. a riscuotere  alcuni crediti,  chiesero agli eredi di Salomone il permesso di risiedere per un periodo nella città, godendo degli stessi privilegi concessi loro[11].

Durante i primi decenni del XV secolo, l’esigua presenza ebraica faceva sì che le lezioni di lingua e grammatica dei ragazzi dovessero essere affidate ad un precettore privato, come si deduce dal fatto che Magister Guglielmo di Isaia, per provvedere all’istruzione ebraica dei propri pupilli, dovette far venire da fuori un maestro non essendovi in Urbino scuole pubbliche per questi studi[12].   

Sebbene i Capitoli concessi alla famiglia di Magister Daniele siano andati perduti, se ne può ricostruire in gran parte il contenuto, a partire da documenti cinquecenteschi, da cui si evince ad esempio che, sino all’inizio del XVI secolo, agli israeliti era concesso vendere, comprare e possedere beni immobili in città e, in alcuni casi, anche nel contado[13]. Essi potevano, inoltre, vivere in qualunque parte dell’abitato, in case di affitto o di  proprietà, e potevano servirsi di personale cristiano anche per essere aiutati nelle attività  lavorative[14]. Gli ebrei risultavano, poi, essere sottoposti in gran parte o del tutto alla giurisdizione comune negli aspetti civili ed i concessionari dei privilegi elargiti dal conte avrebbero dovuto essere considerati tamquam cives[15].

Dal punto di vista fiscale nel XV secolo gli ebrei, oltre alla imposte comuni, erano tenuti a pagare la taglia della Marca ed i titolari del banco dovevano pagare ai signori della città una tassa feneratizia. Inoltre, si presume che i feneratori dovessero prestare somme di denaro al signore, talvolta restituite sotto forma di donazioni di beni immobili[16].  

La documentazione sul banco e sugli eredi di Isaia di Magister Daniele, associatisi in seguito con feneratori forestieri, per penuria di capitali o per mancanza di personale adatto a continuare l’esercizio del banco, continua sino agli anni Settanta del XV secolo[17].

La prima società feneratizia di cui è conservata documentazione è quella composta dai fratelli Salomone e  Magister Guglielmo di Isaia, in cui l’effettiva cura del banco veniva lasciata a Salomone[18]

La prima società con fenertatori forestieri fu, invece, quella formata nel 1433 da Sabatuccio del fu Magister Allevuzio da Recanati e Genetano (Genatao),Venturello e Isaac di Salomone da U.[19]: l’amministratore era Genetano, che doveva prestare il denaro, ricevere, custodire e restituire i pegni, curarne la vendita qualora  non fossero stati riscattati e gestire il capitale a proprio rischio e pericolo, dandone il rendiconto alla fine di ogni anno. I profitti erano distribuiti in ragione del capitale investito ed un compenso extra veniva assegnato a Genetano  per il lavoro svolto e ai tre figli di Salomone, in qualità di concessionari dei Capitoli[20].

Una decina di anni più tardi, Venturello, uno dei figli di Salomone, formava inoltre una società con Elia di Musetto di Aliuccio da Candia[21].

Nella seconda metà del secolo XV iniziò un periodo di ostilità nei confronti dei prestatori ebrei, originato, tra l’altro dalla predicazione dei frati Minori Osservanti: le parole del frate Domenico da Leonessa portarono alla fondazione del Monte di Pietà anche a U. nel 1468[22].

Date le deficienze del Monte e, in particolare, il divieto di mutuare a chi volesse liquidi per l’esercizio di una professione, il prestito ebraico continuò in tutte le sue forme e i feneratori ebbero la conferma dei Capitoli verso la fine del secolo XV[23].

Nel XV secolo è, allo stato attuale della ricerca, documentata una sola conversione nel 1434: l’uomo, che prese il nome di Guidomaria, è da identificarsi, presumibilmente con Vitale di Magister Daniele di Isaia e nel 1453 Guidomaria ottenne l’incarico di factor et negotiorum gestor del conte Federico da Montefeltro[24]

Nel 1507 una deliberazione consigliare proibì la vendita dei pegni fuori città e venne deciso di nominare una commissione per la riforma e la limitazione dei Capitoli agli ebrei[25]: tuttavia il gonfaloniere comunicò anche che il duca desiderava che rimanesse un ebreo prestatore, per venire incontro ai bisogni economici della popolazione e dell’entourage ducale[26].

L’anno successivo (1508), con decreto del duca Francesco Maria I Della Rovere, vennero annullate completamente le Condotte, così come qualsiasi altra forma di prestito: i feneratori furono obbligati a restituire i pegni, rinunciando a qualunque interesse e, più in generale, agli israeliti venne proibito il possesso di beni immobili e l’acquisto di qualsiasi genere commestibile prima del vespro e fu prescritto loro l’uso del segno distintivo: una berretta gialla per gli uomini ed un velo giallo per le donne[27].   

Secondo una fonte risalirebbe all’incirca a quest’epoca anche il divieto di servirsi di personale cristiano e l’obbligo della residenza coatta nel cosiddetto Androne delli giudei[28].

Nel 1512 il Consiglio comunale stesso ricorse agli ebrei per armare dei soldati e inviarli a Pesaro al duca Francesco Maria[29] e, dalla metà del secolo circa, i decreti anti-giudaici sembrarono in vigore più formalmente che di fatto, come dimostrerebbe il bando del 1549  in cui si prescriveva il rispetto dei Capitoli degli ebrei che avevano banco, mentre l’anno precedente era stato proibito loro il prestito su pegno o senza, per non parlare del bando di quarant’anni prima con cui erano stati annullati i Capitoli stessi[30]

Inoltre, da un lato, nei decreti ispirati dalla volontà di compiacere il Santo Padre veniva proibito ogni contatto tra ebrei e cristiani[31] e si proibiva ai primi di toccare con le dita ogni genere alimentare esposto in vendita al mercato, ma, dall’altro, si ingaggiava Magister Mosè come medico del Comune, riconfermandolo nell’incarico per vari anni[32].

Nel 1553 il duca Guidobaldo II emise un bando per la confisca e la distruzione dei testi talmudici[33], ma meno di vent’anni più tardi (1571), il bisogno di ricorrere al prestito ebraico si fece così impellente che  vennero tolti svariati oggetti preziosi dal Monte di Pietà per darli in pegno ad Aleuccio ed Isacco, al  fine di poter finanziare l’invio di messaggeri a Pesaro e costruire il baldacchino per la venuta della duchessa a U.: tre anni dopo, il debito non era stato ancora pagato ed il Monte non era stato risarcito della perdita subita[34].

Sempre nel 1571, tuttavia, il duca Guidobaldo, per compiacere papa Pio V, espulse dal proprio territorio tutti gli ebrei immigrativi tre o quattro anni prima, cioè quelli cacciati dallo Stato della Chiesa nel 1569, che erano stati in un primo momento accolti in vista dei vantaggi economici che avrebbero potuto portare al ducato (così come erano stati accolti e poi espulsi, a suo tempo, i Marrani fuggitivi da Ancona)[35].

In un poema del 1588 si riferisce della conversione al cristianesimo di un ebreo, tale Fulvio, avvenuta presumibilmente lo stesso anno[36] ed intanto era cominciata la decadenza economica di U., che provocò l’emigrazione di molti ebrei locali a Pesaro, come attesta, nel 1626, la presenza di diciannove di loro che vi tenevano banco, mentre ad U. se ne contavano solo otto[37].  Altro indizio del declino di U. è offerto dall’ammontare della tassa degli israeliti che era passata dai 1.400 ducati del 1580, ai 1.250 del 1588 ed ai 1.200 ducati del 1607. Un 1622 si registrava un certo rialzo del contributo, che raggiungeva i 1.294 ducati, ma nel 1626 esso scendeva nuovamente, ammontando a soli 1.059 ducati[38].

Nel 1624 il duca Francesco Maria II, visto il clima di ostilità verso gli ebrei che da tempo si era venuto creando, emise un bando contro coloro che, in qualsiasi modo, li offendessero e li molestassero e, poco dopo, una Patente ducale confermava  di novo tutti et singoli privilegi, gratie, concessioni, capitolationi ed esecuzioni  sotto qual si voglia tenore […]dai noi e dai nostri antecessori fin hora ad essi hebrei fatti […] per l’esercitio di ogni arte, negotio et mercantia[39].

Nel 1628 una ragazza ebrea di nome Dionora passaò al cristianesimo con il nome di Vittoria, ispirando componimenti elogiativi della sua scelta[40] e, due anni dopo il passaggio del ducato allo Stato della Chiesa (1631), fu istituito il ghetto (1633), mentre venivano presi riguardo provvedimenti conformi allo spirito della bolla  Cum nimis absurdum (emessa a suo tempo da Paolo IV) e, in particolare, il legato pontificio dava disposizioni perché fosse applicato rigorosamente l’obbligo del segno distintivo, dal quale gli ebrei venivano esentati solo in viaggio[41].

Sotto il dominio papale, la  comunità ebraica decadde tanto che i suoi rappresentanti nel 1718 supplicarono il pontefice di esonerarla dall’obbligo di contribuire al pagamento dei debiti dei correligionari romani, scrivendo che essa versava in uno stato […] deplorabile che, se non fosse stato qualche sussidio che  dalla S.V. gli è stato prestato [..]  sarebbe stata necessitata di abbandonare il medesimo ghetto et andarsene dispersa altrove[42].La descrizione dello stato miserando della comunità veniva avallata da una lettera dei Priori della città[43] e, per venire incontro allo stato di indigenza in cui continuava a versare, papa Benedetto XIV nel 1755 le devolveva una parte della rendita della fiera di Senigallia[44].

Nel 1799 le truppe francesi, che erano entrate in città, intercedettero a favore degli ebrei, che istituirono un “Purim locale” per ricordare lo scampato pericolo[45].

Attività economiche

Fino al XVI secolo gli ebrei di U., oltre che essere impegnati nel prestito, esercitarono il piccolo commercio ed altre attività di scarso rilievo economico. Tuttavia, ve ne erano anche alcuni che commerciavano in metalli preziosi con gli orefici cittadini, tenevano laboratori di sartoria e  negozi di panni, compravano dai principi la carta della cartiera di Fermignano e impiegavano i propri capitali nella concia delle pelli[46].

Inoltre, altri si dedicavano alla medicina ed anche una donna, tale Perna, presumibilmente di origine urbinate, esercitava questa professione, avendo chiesto, nel 1460, anche il permesso di praticarla a Fano[47].

Nonostante il loro successo sulla scena economica urbinate, gli ebrei che detenevano il monopolio del prestito raggiunsero un livello di ricchezza relativamente modesto, se paragonato ai concittadini cristiani[48].

L’attività svolta dal banco andava dal prestito su pegno, al mutuo regolato con pubblico istrumento e cauzione (o prestito chirografario), al prestito fiduciario, senza carte e senza cauzione[49]. La forma più  comune di prestito, tuttavia, risulta essere stata quella del piccolo prestito su pegno, cu ricorrevano anche alcuni correligionari. Il tasso di interesse era del 33% circa e, per il prestito chirografario, sembra che fosse invalso l’uso di far firmare atti per una somma superiore a quella effettivamente prestata, al fine di ottenere un interesse più alto: tale pratica era, però,  in contrasto con i Capitoli e venne proibita[50].  Mentre il prestito su pegno e quello chirografario erano obbligatori per i detentori dei Capitoli, quello fiduciario era semplicemente permesso[51].

Negli Statuti di U., risalenti all’incirca alla metà del secolo XVI, il tasso di interesse consentito per il prestito era all’incirca del 16% annuo[52].    

Dopo la devoluzione di U. alla Chiesa, gli  ebrei cui furono assegnate le abitazioni nel neo-istituito ghetto risultavano essere per lo più feneratori, merciai, orefici, commercianti, rigattieri, ma vi erano anche alcuni “maestri di scuola”, un sarto, qualche materassaio, due cappellai ed un libraio[53]. Con l’istituzione del ghetto, le botteghe tenute dagli ebrei fuori di esso dovevano venire evacuate ed il prestito e il commercio dell’usato diventarono le uniche attività permesse[54].     

Poco tempo dopo, la decisione di spostare dal sabato al mercoledì il giorno del mercato, al fine di consentire agli ebrei di svolgervi le loro attività, non venne avallata, contribuendo al deterioramento della situazione economica degli israeliti[55].

In seguito, le condizioni economiche peggiorarono al punto che, nel 1717, il  padre Vernaccia scriveva: Fu già un tempo che gli Ebrei di Urbino dal negozio dei banchi e dalla mercatura utilizzassero il loro mantenimento: adesso sono in uno stato assai calamitoso, e se di questa gente si dice che  dispersi sopra tutta la terra sono[…], degli Ebrei di Urbino giustamente può dirsi che sono anche senza pane, tanta è la penuria, tanta la mendacità in cui vivono[56].

Demografia

Nel 1415 gli ebrei presenti ad U. erano presumibilmente una ventina, appartenenti, per la maggior parte, alla famiglia e all’entourage di Isaia di Magister Daniele[57].

Quando U. fu devoluta alla Chiesa, risiedevano nella città 369 ebrei, originari di questa e di altre località sprovviste di ghetto ( Fossombrone, Gagli, San Lorenzo, Pergola, Mondolfo, Orciano e Mondavio)[58].

Da un documento dell’inizio del XVIII secolo si apprende, infine, che erano rimasti, all’epoca, 200 ebrei[59].

Ghetto

Nel 1633 venne istituito ad U. il ghetto, nella zona chiamata Valbona, che comprendeva l’attuale Via Stretta, via delle Stallacce, Via Sotto le Stallacce ed il vicolo sovrastante, oltre alle case con uscita nella via retrostante, di fronte alla sinagoga, sita nel Vicolo degli Ebrei[60].  

Sinagoga.

Prima dell’istituzione del ghetto, vi era una sinagoga in Vicolo dei Merciari (più tardi chiamato Via Veterani), ma dopo l’istituzione del ghetto la sinagoga si trovava nella Via Stretta[61].

Rabbini, dotti, personaggi famosi.

Tra i rabbini di U. va menzionato  Shlomoh di Abraham di Shlomoh (sec. XV-XVI)[62].

Nel 1529, il sedicente Messia Shlomoh Molcho venne portato ad U. dal duca, desideroso di proteggerlo dalle conseguenze di una disputa sostenuta nella pubblica piazza di Ancona, ma, dopo un breve soggiorno, il Molcho lasciò la città[63].

Nel XVII secolo vanno menzionati i rabbini Shemuel di Abraham Corcos, Efraim Mahalel Porto, Zekharyah di Efraim Porto, Shlomoh di Mosheh Rocca,[64] Yedidyah di Hezeqyah Sabà[65].

Nel 1704, Yosef Del Vecchio, che affermava di “servire” la comunità di U., scriveva e decorava una Haftarah[66].

Nel XVIII secolo va ricordato il rabbino Yedidyah Gayyim Guglielmi [67] e, tra questo secolo e il successivo, il rabbino Mattatyah Nissim di Yaaqov Israel Terni[68]

 

Bibliografia

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Vitaletti, G., Vincenzo Citaredo canterino urbinate del secolo XVI, in Giornale storico della letteratura italiana LXXXV (1925), pp. 98-105.


[1] Sullo stato – talvolta problematico -  della documentazione relativa ai primi secoli della presenza ebraica a U., cfr. Veronese, A., La presenza ebraica nel ducato di Urbino nel Quattrocento, pp. 252-256.

[2] Archivio notarile di Urbino (in seguito ANU), Registri della Quadra di Pusterla, 1 agosto 1409, citato in Luzzatto, G., I banchieri ebrei in Urbino nell’età ducale, p. 20, n. 1.

[3] Luzzatto, G., op. cit., Appendice, doc. 1, p. 47; cfr. Veronese, A., op. cit, .p. 258.

[4] Sezione di Archivio di Stato di Urbino (d’ora innanzi Sez. AS Urbino), Quadra di Pusterla, n. 1 (1407-1408), cc. 13v-14r, citato in Veronese, A., op. cit., p. 257, n. 29.

[5] Cfr. ivi, p. 259, nn. 33, 34, 35, 36. Per la data di morte di Isaia, vedi ivi, n. 38.

[6] Ivi, p. 260.

[7] Ivi, p. 262.

[8] Luzzatto, G.,op. cit. , pp. 21-22. Nel corso del XV secolo presero impulso a U. l’industria della tintoria e  della carta, cominciò ad essere attestata l’arte della lana ed iniziò la produzione di maioliche, che si sarebbe sviluppata nel secolo XVI (ivi, p. 22). Riguardo agli ebrei di altre città, associati con la famiglia di Isaia di Daniele e, talvolta, dimoranti a U., cfr. Veronese, A., op. cit.,  p.  264.  

[9]  Luzzatto, G., op. cit., Appendice, doc. 1, p. 47; ANU, Quadra di Pusterla, 1443, citato in ivi, p. 22, n. 1. 

[10] Veronese, A., op.cit., pp. 262-263. Per l’elenco dei beni di Guglielmo, cfr. Veronese, A., Per la storia della vita materiale degli ebrei nel Ducato di Urbino: osservazioni tratte da due inventari di beni  del primo Quattrocento, pp. 38-42. Per  l’elenco dei beni del nipote, Genatano di Ventura ( o Venturello) di Isaia di Magister Daniele da U., cfr. ivi, pp.  42-48. Su i fratelli Salomone e Guillelmo si veda anche Simonsohn,S.,  The Apostolic See, doc. 624.

[11] ANU, Quadra di Pusterla, 9 dicembre 1436, citato in Luzzatto, G., op. cit., p. 23, n. 1.

[12] ANU, Quadra di Pusterla, 13 settembre 1416, citato in ivi, p. 23, n. 2; cfr. Veronese, A., op. cit., p. 269.

[13] Luzzatto, G., op. cit., pp. 23-24. In alcuni casi, vi sono anche concessioni reiterate di enfiteusi fatte dai canonici della cattedrale  a favore di ebrei (ANU, Quadra di Pusterla Nuova, 22 febbraio 1424; Quadra del Vescovado, 12 maggio 1422; Quadra di S. Croce,  16 gennaio 1450; Quadra di Pusterla, 3 giugno 1453, citato in ivi, p. 24, n. 1). Cfr. Veronese, A., op. cit., pp. 268-270.

[14] Luzzatto, G., op. cit., p. 24.

[15] Ivi, p. 25. Per gli esempi riportati, vedi ibidem, nn. 1-3. Esiste anche documentazione di un solo caso in cui un ebreo faceva da testimone in un atto notarile, giurando more hebreorum. La formula per cui gli ebrei tamquam cives habeantur si trova in ivi, Appendice, doc. 1, p. 47.  

[16] Ivi, pp. 27-28; cfr. Veronese, A., op. cit., p. 269.

[17] Luzzatto, G.,op. cit.,  p. 29; cfr. Veronese, A., op. cit., pp. 267-268.

[18] Veronese, A., op. cit., p. 276.

[19] Per l’atto di costituzione di tale società, cfr. Luzzatto,  G., op. cit., Appendice, doc. II, pp. 48-49.Cfr. Veronese,  A., op. cit., p. 276.

[20] Luzzatto, G., op. cit., p. 30.

[21] Sez. AS Urbino, Quadra del Vescovado, n. 32 (1443), c. 10r (28/4/1443), citato in Veronese,  A., op. cit.,p. 277, n. 119.

[22]  Luzzatto, G., op. cit., p. 39.

[23] Ivi, p. 40. La prova della conferma dei Capitoli viene dedotta dal Luzzatto da una frase contenuta nel bando del 1508, emesso dal duca Francesco Maria, che ricorda la renovatione deli capituli facta per la felice memoria del duca Guido sino al presente dì (ivi, Appendice, doc. IV, p. 52).

[24] Veronese,A., op. cit., p. 266; cfr. in particolare, ibidem, nn. 72, 73, 74, 75.

[25] Archivio comunale di Urbino ( in seguito, ACU), Consigli, Vol. I, 7 luglio 1507, citato in Luzzatto, G., op. cit.,  p. 40, n. 2.

[26] ACU, Consigli, Vol. I, c. 10, citato in ivi, p. 41, n. 4.

[27] Ivi, Appendice, doc. IV, pp. 51-52.  In seguito, il segno distintivo fu la “rotella” gialla (ivi, p. 40, n. 3).

[28] Statuti di Urbino, Rubrica, De Iudaeis, citato (senza ulteriori indicazioni)  inivi,p. 41, n. 1. Il cosiddetto “Androne dei giudei” corrispondeva a quella che, all’inizio del XX secolo, era la via S. Luigi o Veterani.  

[29] ACU, Consigli, Vol. I, c. 58v., 10 ottobre 1512, citato in ivi, p. 42, n. 1.

[30] Ivi, Appendice, doc. IV, V, VI, pp. 51-52; cfr. anche  ivi,pp.  42-43.

[31] Ivi, Appendice, doc. VIII, p. 53; ivi, p. 43.

[32] ACU, Consigli, Vol. III, c. 212, citato in ivi, p. 43, n. 5. Da testimonianze dell’epoca risulta anche che alcuni ebrei frequentavano abitualmente la corte ducale, intrattenendosi a giocare con lo stesso duca Guidobaldo (cfr. Diari di Monaldo Attanagi, codice manoscritto della Biblioteca Comunale di Urbania, n. 44., citato in ivi, p.. 43, n. 6).

[33] Ivi, Appendice, doc. VII, p. 53.

[34] ACU, Consigli, Vol. III, cc. 90 e 159v, citato in ivi, p. 42, n. 2.

[35] Ivi, Appendice, doc. IX, p. 54. Per  l’asilo offerto ai Marrani di Ancona e per la successiva espulsione, vedi alle voci “Ancona” e “Pesaro” della presente opera.

[36] Vitaletti, G., Vincenzo Citaredo canterino urbinate del secolo XVI, p. 102.

[37] Luzzatto, G., op. cit., Appendice, doc. XII, pp. 55-56.

[38] Ivi, p. 45.

[39] Ivi, Appendice, doc. X, p. 54; doc. XI, p. 55.

[40] Vitaletti, G., op. cit., p. 102.

[41] Moscati Benigni, M.L., Urbino 1633: nasce il ghetto, p. 128.

[42] Luzzatto, G., op. cit.,  Appendice, doc. XIII, p. 59.

[43] Ibidem.

[44] Moscati Benigni, M.L., op. cit., p. 138, n. 24.

[45] Pavoncello, N., I Purim locali delle comunità italiane,  in Israel XLIX, 27 febbraio 1964.

[46] Luzzatto, G., op. cit., pp. 23-26.

[47] Ivi, p. 26. Riguardo alla presenza dei medici ebrei ed alle attività diverse dal prestito, elencate  sopra, cfr. Veronese, A., op. cit., pp. 272-275.

[48] Luzzatto, G., op. cit., pp. 26-27.

[49] ASU, Quadra di Pusterla Nuova, 12 giugno 1415, citato in  ivi, p. 31, n. 6.

[50] Ivi, pp. 31-35.

[51] Ivi, p. 36.

[52] Statuti di Urbino, Rubrica de Iudaeis, citato in  Luzzatto, G., op. cit., p. 43, n. 3.

[53] Moscati Benigni, M.L., op. cit. , pp. 129-131.

[54] Ivi, p. 124; p. 137.

[55] Ivi, p. 136; p. 138, n. 23.

[56]  ACU, Arm. Vernaccia, V.,  Scritti vari raccolti e copiati da Antonio Rosa, 1717, p. 111, citato in  Luzzatto, G., op. cit.,  p. 46, n. 2; cfr. ivi, p. 39, n. 2.

[57] Veronese, A., op. cit., p. 261. Nel 1414 la comunità ebraica di U. fu tra le comunità di dimensioni relativamente grandi nelle Marche. Si veda Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 579.

[58] Moscati Benigni, M.L., op. cit., p. 122.

[59] Luzzatto, G., op. cit., Appendice, doc. XIII, p. 59.

[60] Moscati Benigni, M.L., op. cit., p.125; p. 127.

[61] Moscati Benigni, M. L., op. cit., p. 123 e pp. 134-135; cfr. Moscati Benigni, M.L., All’ombra dei Torricini, pp. 35-36. Nel 1704, Yosef Del Vecchio disegnò una pianta della sinagoga: per i particolari cfr. Nahon, Sarfatti ( Note introduttive a cura di),  Sefer ha-Maftir di Urbino, pp. 13-16 e per  la descrizione dell’ Arca o Aron ha-Qodesh, che si trovava in origine nella sinagoga del Vicolo Merciari, cfr. ivi, pp. 16-19; cfr. anche Mann, V. B., The Recovery of a Known Work (Torah Ark from Urbino), in Jewish Art12-13 (1986-87), pp. 269-278. 

[62] Cassuto, U., The Jewish Encyclopedia, alla voce“Urbino”.

[63] Cfr. alla voce “Ancona”.

[64] Mortara, M., Indice, p. 17; p. 51; p. 55.

[65] Cassuto, U., The Jewish Encyclopedia, s.v. “Urbino”.

[66] Cfr. Nahon, Sarfatti, op. cit.

[67] Mortara, M., op. cit., p. 28. Il rabbino Guglielmi ebbe una parte importante nell’intricata  vicenda di amore contrastato e controverse nozze, di cui furono protagonisti, durante il primo trentennio circa del XVIII secolo, due Ebrei urbinati, Consola Moscato e Shlomoh Gayyim (Salomone Vita) Castello, vicenda che coinvolse le autorità rabbiniche dell’epoca e viene narrata nel Pahad Yitzhaq del Lampronti (Roth, C., Un dramma d’amore a Urbino, pp. 15-20).     

[68] La presenza a U. del Terni , che fu attivo a Firenze e in varie località marchigiane, viene menzionata dal Cassuto, U., The Jewish Encyclopedia, alla voce“Urbino”.  L’appendice dell’opera di quesiti e responsi rituali Midbar Mattanah sarebbe da considerarsi stampata a U., nel 1750, da alcuni autori e attribuita a  Mattatyah Nissim Terni, mentre altri ritengono autore dell’opera Daniel Terni, così come sostengono che fu stampata nel 1810 (cfr. Pavoncello, N., La tipografia ebraica nelle Marche, p. 60, n. 20).

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