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Cingoli (צ'ינגולי)
Provincia di Macerata. Posta sul versante orientale del monte Cinguno o Circe, era chiamata Cingulum in epoca romana e si costituì a comune in epoca medievale. Alleata di Ancona, nel 1218, si ribellò ai marchesi d’Este e seguì la parte ghibellina. Nel 1293 il Rettore della Marca la assoggettò alla Chiesa, cui si ribellò nel 1376 e nel secolo XV fu dominata, per qualche tempo, da Alessandro e Francesco Sforza, dividendo, in seguito, le sorti delle Marche sotto il governo della Chiesa.
Sebbene vi siano documenti che sembrerebbero suffragare l’ipotesi di una presenza ebraica a C. già XII secolo[1], solo un documento del 1296 menziona esplicitamente Giacobbe iudeus de Cingulo, in relazione alla causa intentatagli dal cingolano Bono di Sinibaldo per riavere gli indumenti dati in pegno a garanzia di un prestito[2].
Solo nel 1414 si trova un’altra attestazione della presenza ebraica nella località, quando C. viene nominata tra le comunità tassate per finanziare le leve per l'esercito del deposto papa Gregorio XII e contribuisce con 13.16.0 ducati[3].
Nel 1425 le autorità comunali discutevano l’opportunità di cercare un feneratore per sopperire al fabbisogno economico del Comune e della popolazione di C., stipulando, l’anno successivo, dei Capitoli con l’ebreo Benedetto di Ventura[4]. Nel decennio in cui erano in vigore i Capitoli accordati a Benedetto, cui era concesso il monopolio del prestito, erano però attivi qui anche Dattilo di Angeletto e Abramo, verosimilmente soci del banco di Benedetto[5].
Al momento della stipula dei Capitoli, il Comune si era assicurato dal feneratore un introito di 40 ducati ogni quattro mesi, senza interesse nominale, che veniva corrisposto con un’elargizione di grano, mentre nelle spese straordinarie del Comune risultavano coinvolti Dattilo ed Abramo[6].
Dattilo prestava, infatti, al Comune nel 1432 e l’anno successivo lo stesso ricorreva ancora al denaro di Dattilo per l’invio di armati per il governatore della Marca. Contemporaneamente, il Comune si indebitava però anche con Abramo, ricorrendo al prestito del locale Pero Brunatti per restituire almeno parte della cifra ed in seguito continuava a prendere denaro a prestito da Dattilo[7].
Da una lettera indirizzata, nel 1447, dal cardinale di S. Croce, legato della Marca, agli ebrei sottoposti alla sua giurisdizione, per invitarli a pagare alla Camera Apostolica la consueta tassa, risulta che anche C. era nell’elenco dei contribuenti[8].
Nel 1487, il Comune, non volendo essere gravato dalla scomunica, revocò i patti stipulati con l’ebreo Guglielmo e soci e decise, dietro sollecitazioni del Minore Osservante fra’ Lorenzo da Roccacontrada, di erigere un Monte di Pietà, che iniziò ad essere in funzione dal 1510[9].
Ma la presenza ebraica a C. non si interruppe, come dimostra il fatto che negli statuti del 1523 veniva proibito agli israeliti di vendere pegni al di fuori del territorio comunale e di attenersi alle modalità di vendita seguite dal Monte[10].
Clemente VII nel 1525 incaricò il cardinale Francesco Armellino Medici, camerlengo papale, di costringere ebrei nelle Marche al pagamento della vigesima, se richiesto dai correligionari collettori: fra le comunità elencate nel mandato papale vi era anche C.[11].
Nel 1533 il camerlengo papale concesse una tolleranza per poter prestare ad interesse a C. a Ventura di Aronne ed ai figli del defunto Guglielmo da Norsa, ai membri dei loro famiglie ed ai soci secondo le condizioni stabilite per gli ebrei delle Marche[12] ed una licenza simile fu rilasciata nel 1535 anche a Salam di Elia da C. ed a Dattolo di Isacco da Civitanova, tutti soci a C.[13].
Nonostante il cardinale Ascanio Sforza, governatore di C., avesse stabilito nei Capitoli del 1560 che la città ed il suo territorio non dovevano tollerare banditi, ebrei e zingari, risulta che giudei abitassero ancora nella località in seguito, dato che, nel 1563, si imponeva loro di tener banco e di prestare a chiunque lo richiedesse, pena l’espulsione[14].
Nel 1566, in ottemperanza alla Bolla emessa a suo tempo da Paolo IV, si destinava a dimora coatta degli ebrei un’area in contrada S. Giuliano, compresa tra la casa di Troiano Violi e la strada pubblica[15].
Sempre nel 1566 si convertì Mosè di Dattilo, ottenendo di abitare a C. e di esserne riconosciuto cittadino[16] e,
circa diciassette anni più tardi, anche due figli dell’ebreo Gioacchino di Pergola, Ventura e Diana, si convertirono, ricevendo aiuti dal Comune[17].
Dotti e rabbini
R. Samuel di Bengiamino Nedanel (Netan'el) Norsa fu a C. uno dei rabbini coinvolti nel notorio conflitto sul matrimonio di Rosa da Montalcino e autore di un responsum sull'argomento[18]. Egli fu anche contemporaneo d'un altro rabbino di C., R. Ventura di Guglielmo, banchiere e beneficiario d'una tolleranza da parte del camerlengo papale per poter prestare ad interesse in questa località (1536).[19] Ventura era anche un rappresentante delle comunità ebraiche delle Marche[20].
Bibliografia
Bernardi, S., “Note sulla comunità ebraica di Cingoli nel Medioevo”, in Appignanesi, P., e Bacelli, D., La liberazione di Cingoli –13 luglio 1944- e altre pagine di storia cingolana, Cingoli, 1988, pp. 454-467.
Boksenboim, Y. (a cura di), Parashioth, Tel Aviv 1986 (ebr.).
Diena, A., Responsa (Boksenboim, Y. ed.), 2 voll., Tel Aviv 1977-9 (ebr.)
Luzzatto, G., I banchieri ebrei in Urbino nell’età ducale, Padova 1903.
[1] Cfr. Bernardi, S., Note sulla comunità ebraica di Cingoli, pp. 457-458, in cui si fa riferimento a documenti in cui compaiono persone recanti nomi ebraici, senza, tuttavia, essere specificamente menzionati come ebrei.
[2] Archivio di S. Caterina (d’ora innanzi ASC), n. 726, cit. in Bernardi, S., op. cit., p. 458. Va, comunque, segnalato che Vitale di Abramo, iudeus de Urbe, ed il fratello Beniamino, nel 1257, davano quietanza al vescovo Uguccione, camerario del legato nella Marca, per la restituzione di un prestito fatto al fratello Parisio, residente a C. Sebbene l’atto di quietanza sia stato stipulato a Roma, vi sono motivi di supporre (pur senza provarlo) che Vitale di Abramo fosse stato, negli anni precedenti, a C. , dove avrebbe conosciuto Parisio. Vedi ibidem.
[3] Simonsohn,S., The Apostolic See, Doc. 579.
[4] La condotta feneratizia era decennale, il prestatore avrebbe dovuto essere trattato “tamque civis”, così come tutti i suoi familiari, avrebbe ricevuto una casa a spese del Comune, avrebbe dovuto essere protetto nella persona e nei beni, avrebbe potuto ricevere terreno da adibire a cimitero, sarebbe stato esentato dal prestito durante il sabato e le festività ebraiche e gli sarebbe stata concessa la macellazione della carne secondo la Legge. Per queste clausole e per tutto il testo dei diciassette Capitoli, vedi ivi, Appendice, pp.466-467.
[5] Ivi p. 461.
[6] Ivi, pp. 461-462.
[7] Ivi, p. 462.
[8] Luzzatto, G., I banchieri ebrei in Urbino nell’età ducale, Padova 1903, p. 14, n. 5.
[9] Anselmi, A., Statuti del Monte di Pietà fondato da fra Lorenzo da Roccacontrada, in Picenum Seraphicum, I (1915), pp. 143-144; 426-37; 570-76, citato in Bernardi, S., op. cit., p. 463, n. 45.
[10] Archivio Comunale di Cingoli (d’ora innanzi ACC), Statuto del 1523, L.II, rub. XIII, citato in Bernardi, S., op. cit., p. 463, n. 46.
[11] Simonsohn, S., The Apostolic See, doc. 1342.
[12] Ivi, doc. 1611.
[13] Ivi, doc. 1715.
[14] ACC, Miscellanea, t. II, c. 35 ( 25 gennaio 1565); Zibaldone storico della Marca Anconetana, ms. anonimo del sec. XIX , di proprietà della Bernardi, p. XXVI, n. 108, citato in Bernardi, S., op. cit., p. 463, nn. 47 e 48; cfr. ivi, p. 461, n. 35.
[15] Bernardi, S., op. cit., p. 463.
[16] Zibaldone…, cit., p. XXVII, sotto la data, cit. in ivi, p. 463, n. 50.
[17] Zibaldone…, cit., p. XXXVIII, n. 193, cit. in ivi, p. 463, n. 51.
[18] Parashiot, p. 274; Diena, A., Responsa I, p. 346; Ms. Jewish National Library (Jerusalem), No. 194.
[19] Simonsohn, S., The ApostolicSsee, doc. 1795, 1798, 1829.
[20] Ivi, doc. 1796.